Le elezioni politiche italiane del 1948 per il rinnovo dei due rami del Parlamento Italiano,la vittoria senza precendenti nella storia della Repubblica della Democrazia Cristiana che ebbe ad aggiudicarsi la maggioranza relativa dei voti e quella assoluta dei seggi,la pesante sconfitta del Fronte Democratico Popolare, lista che comprendeva sia il Partito Comunista Italiano che il Partito Socialista Italiano, l'attentato a Palmiro Togliatti, l'esclusione delle sinistre alla firma della Costituzione,queste alcune delle cifre che sono stato oggetto di analisi nell'apposita coversazione culturale sul tema: „1948: l'anno della svolta”, organizzata dal Circolo Culturale „L'Agorà” di Reggio Calabria. Il tema affrontato dal sodalizio culturale reggino, rientra nel palinsesto dedicato al
novecento e l'argomento riguarda un periodo che è stato un anno cruciale, un autentico spartiacque nella storia politica e sociale italiana. Nella parte iniziale della conversazione culturale Gianni Aiello (presidente del sodalizio reggino) ha evidenziato come anche il territorio venne interessato da particolari tensioni, vedi ad esempio le lotte contadine, fatti di sangue (omicidio del Sindaco di Sinopoli da parte di un esponente di un'altra formazione politica, forti tensioni con arresti e feriti durante una manifestazione monarchica, l'omicidio di un altro esponente politico nella città di Reggio Calabria) che delineavano una forte emergenza sociale.
La parola passa ad Antonino Megali, socio del Circolo Culturale „L'Agorà” che esordisce dicendo che ci sono modi di dire nella lingua italiana (oggi poco usati) come Fare un quarantotto; È successo un quarantotto; Mandare tutto a carte quarantotto, che indicano confusione anche nel senso di sommossa, caos, contestazione e anche provocare tumulti e liti. Diciamo subito che si riferiscono a una data di un secolo prima, 1848, che fu l’anno in cui si manifestarono moti rivoluzionari in tutta Europa. In Italia le cinque giornate di Milano e le insurrezioni di Napoli, Messina e Venezia.
Ma, come dicevano i latini, - continua il relatore - nomen omen (il nome è un destino) e a cento anni di distanza si ripresenteranno situazioni che implicano scelte tra valori e visioni del mondo opposte. Aggiungiamo che quanto avvenuto nell’anno preso in esame influenzerà almeno mezzo secolo di storia della nostra nazione. L’anno si apre con l’entrata in vigore della Costituzione approvata dai partiti antifascisti e che rappresenta nello stesso tempo la fine della collaborazione avvenuta nei mesi precedenti delle opposte forze politiche nate nel dopoguerra. Confermando l’analogia tra le due date sopra citate, Pietro Nenni scrive sull’Avanti che bisogna “adeguare il 1948 al 1848”, l’anno delle rivoluzioni. Questo richiamo al 1848 si ripete in ,un appello agli elettori da parte della Democrazia Cristiana e nei discorsi di Alcide De Gasperi. In un manifesto democristiano intitolato 1848-1948 sono rappresentati l’aquila asburgica accanto alla prima data e la falce e martello accanto alla seconda con su scritto: “Allora contro lo straniero / oggi contro la tirannia”. A cavallo tra i due anni 1947-1948, viene ufficializzata la nascita del Fronte democratico popolare formato in maggioranza dal PCI e dal PSI e a cui aderiscono formazioni politiche minori: Democrazia del lavoro, Partito cristiano sociale, l’Alleanza femminile emanazione dell’Unione donne italiane e esponenti repubblicani e socialdemocratici. Fu soprattutto Pietro Nenni, non Togliatti, a volere l’alleanza tra i due partiti, tanto da accettare il rifiuto del piano Marshall voluto dai comunisti. Il Fronte accoglie adesioni dal mondo dello spettacolo (tra gli altri Vittorio De Sica, Luchino Visconti, Paolo Grassi e Giorgio Strehler) e nell’ambito degli intellettuali. Nasce il Fronte nazionale della cultura con le adesioni di Corrado Alvaro (costretto a dimettersi dal Corriere della Sera per le critiche ricevute), Luigi Russo, Giulio Einaudi, Salvatore Quasimodo, Sibilla Aleramo, Leonida Repaci e Massimo Bontempelli sul quale circola l’epigramma: “Fascista ai tempi belli – comunista da poco – il re del doppio gioco – Massimo Bontempelli”. Tra i pittori vi sono Renato Guttuso, Mario Mafai, Domenico Purificato e Toti Scialoja. Il non aderente Ernesto Rossi usa per questi frontisti l’espressione, che avrà fortuna, di “utili idioti”. Non meno tenero è Benedetto Croce che li definirà: “sciocchi e vanesi succubi dei maneggi e degli inganni politici”. Dal lato opposto si forma l’Alleanza centrista il cui leader è Alcide De Gasperi che raccoglie anche il Partito Liberale, il Partito Repubblicano e i socialdemocratici. La coalizione ha l’appoggio della Chiesa e degli Stati Uniti. Nei primi mesi dell’anno tutto viene ideato e attuato in funzione della data decisiva del 18 aprile. Gli americani mandano centinaia di navi piene di medicinali e alimentari – oltre al già realizzato piano Marshall – adombrando un possibile intervento armato in caso di vittoria del Fronte. Ma ad entrare pesantemente in campo è la Chiesa cattolica che assume una posizione netta già dalla fine del 1947. Pio XII interviene attaccando “gli empi negatori di Dio, profanatori delle cose divine, adoratori del senso” e chiarendo che la scelta fra i due opposti schieramenti è “con Cristo o contro Cristo, o per la sua Chiesa, o contro la sua Chiesa”. Da allora la posizione di tutta la Chiesa assume i caratteri di una vera e propria guerra santa. In tutta Italia gli arcivescovi stabiliscono i principi a cui un cattolico non si può sottrarre. Diventa peccato mortale non votare o votare le liste di partiti che propagandano dottrine materialistiche e atee. Chi li favorisce è escluso dai sacramenti, non può avere la benedizione della Chiesa e dopo la morte non possono avere esequie cristiane, né essere sepolti nel Camposanto sotto il segno della croce. In un santino intitolato Il messaggio della Regina si legge: “Quando il voto avrai tu dato / allo Scudo ch’è Crociato / sentirai dentro del core / che non hai commesso errore. / Hai tu dato al Parlamento / gente brava e di talento, / hai mandato a governare / gente tal che ci sa fare. / Sta sicuro che ad Alcide / la Madonna gli sorride, / che votar per lui ti dice / la potente Ausiliatrice.
Vengono anche fondati, da Luigi Gedda – medico genetista famoso per le sue ricerche sui gemelli e direttore de il periodico “Il Vittorioso” dal 1939 al 1943 – Comitati Civici che affiancano la Chiesa nella propaganda elettorale e che si occupano di spiegare con opuscoli per chi e come si vota. Il Fronte popolare invece ebbe il torto di credere troppo nella sprovvedutezza dell’elettorato. Portava come modello politico e sociale l’Unione Sovietica. I rappresentanti del PCI andavano e venivano dell’URSS magnificando le condizioni di vita di quei popoli, le loro conquiste, tutto in contrapposizione alla miseria degli operai e contadini italiani. Ma parte della verità già si sapeva e pertanto risultarono poco credibili. Le elezioni del 18 aprile diventano infatti un referendum pro o contro il comunismo. Scende in campo, svolgendo un ruolo determinante, Giovannino Guareschi che inventa il termine “trinariciuti” rivolto ai militanti comunisti protagonisti delle famose vignette della serie “dell’obbedienza, cieca, pronta, assoluta”, raffigurati con tre narici in quanto spiega lo scrittore “ la terza narice ha una funzione completamente indipendente dalle altre due: serve di scarico in modo da tenere sgombro il cervello dalla materia grigia e permette nello stesso tempo l’accesso al cervello delle direttive di partito che, appunto, debbono sostituire il cervello”. Togliatti, in risposta, dice che Guareschi è tre volte cretino e che è tre volte idiota moltiplicato per tre. Dello stesso genere, sempre di Guareschi, la serie di Contrordine compagni che gioca sul significato diverso delle parole col cambio di una vocale o consonante. Un esempio: Contrordine compagni. La frase pubblicata su l’Unità: “Tutti i compagni debbono portare al callo il fazzoletto con l’effigie di Garibaldi, contiene un errore di stampa e pertanto va letta: Dobbiamo portare al collo il fazzoletto con l’effigie di Garibaldi”.
Lo scrittore incide sulla campagna elettorale anche con i suoi manifesti. In uno, sotto il titolo “centomila prigionieri italiani non sono tornati dalla Russia”, lo scheletro di un soldato invoca: “Mamma, votagli contro anche per me”. Un altro: “Nel segreto della cabina elettorale Dio ti vede, Stalin no!”. E ancora: “Vai a votare! Mentre tu dormi, Stalin lavora”. Inventa anche con uno scritto “cretino” con l’avvertenza “talloncino da ritagliare e conservare”. Il 19 aprile chi non avrà votato potrà appiccicarselo sulla fronte”. Non è da meno Leo Longanesi che definisce la campagna elettorale “cruenta e decisiva”. Crea dei manifesti in cui si vedono i soldati russi-mongoli con sotto scritto: “Questi sono quelli che comanderanno”. Stampa un libretto, “Non votò la famiglia De Paolis”, protagonista una famiglia che non ha votato il 18 aprile, poi si pente quando vede il nascere di una dittatura. Suo è anche lo slogan: Italiani, ricordatevi che Togliatti è un fesso. Del resto anche fra gli uomini politici non si va per il sottile. De Gasperi attribuisce a Togliatti “un piede forcuto, come il diavolo”. E Togliatti di rimando in un comizio dichiara di “aver fatto mettere alle scarpe due file di chiodi” per colpire dopo il voto il leader democristiano “in una parte del corpo che non voglio nominare”. E i presenti alla fine cantano: “E vattene, e vattene / schifoso cancelliere / se non ti squagli subito / son calci nel sedere”. Ancora il Fronte ricordando il passato austriaco di De Gasperi lo chiama Von Gasper e in un volantino con il volto di Cesare Battisti scrive: “Quando lo impiccarono De Gasperi approvò”.
Com’è noto, protagonista della pubblicità elettorale è la testa di Garibaldi, che diventa simbolo del Fronte Popolare. Le reazioni a questo monopolio sono varie. In un manifesto l’eroe afferma: “Non votate per me! Non ho mai aderito al Fronte Popolare Democratico”. In una vignetta mente un elettore sta per votare il simbolo del Fronte, Garibaldi interviene urlando: “ Disgraziato! Ma che fai!”. E ancora Guareschi disegna l’eroe da un barbiere sulle nuvole che chiede a un angelo: “Tagliatemi la barba, i baffi e i capelli sono stufo di somigliare all’emblema dei blocchi comunisti!”. Il Fronte risponde con un manifesto sul quale si può leggere: “Dietro Garibaldi c’è falce e martello? Certo! Il martello degli operai. La falce dei contadini”. Tra i personaggi noti vengono anche arruolati Gino Bartali e Fausto Coppi. Sui muri appaiono delle scritte: “Viva Bartali democristiano” o “Viva Coppi comunista”. In realtà Coppi rifiuterà la candidatura offertagli dal Fronte. Il 18 aprile si recano alle urne 27 milioni di italiani, il 92 per cento degli aventi diritto. Vi sono delle famiglie, a Roma e a Milano, che dopo aver votato, se ne vanno in Svizzera e lì attendono il risultato del voto con l’intenzione di fermarsi in caso di vittoria del Fronte. La giornata, contrariamente alla tensione della vigilia non presenta gravi incidenti. I risultati diedero una schiacciante vittoria alla DC col 48,5 per cento. Il Fronte si ferma al 31 per cento. De Gasperi commentò: “Credevo che piovesse, non che grandinasse”. I comunisti tentarono di capovolgere la realtà arrivando a scrivere sull’Unità che il Fronte aveva battuto la DC. Al contrario Pietro Nenni ammise la sconfitta: “Nessun dubbio, siamo battuti”. Poi il Fronte giustificò la sconfitta con due motivi: l’interferenza straniera e i brogli. Per poi ammettere di essere stati sconfitti per non aver saputo interpretare i sentimenti e le opinioni del paese. Il nostro Corrado Alvaro osserva “che la vittoria dei cattolici è stata talmente strepitosa che i vincitori sono preoccupati”. Da parte dei vescovi, cardinali e uomini di Chiesa viene presentata come una vittoria religiosa identificando DC e Chiesa cattolica. Gli sconfitti lanciano una canzone composta scritta da un contadino militante comunista – rivolta agli eventuali pentiti del voto democristiano – che così recita: “Vi ricordate quel diciotto aprile / d’aver votato democristiani, / senza pensare all’indomani, / a rovinar la gioventù ? / O care madri dell’Italia, / e che ben presto vi pentirete / e i vostri figli ancor vedrete / abbandonar lor casolar. /
Le elezioni furono senza dubbio il maggiore avvenimento dell’anno. Ma dopo pochi mesi accadde un altro fatto che scatenò una tensione tale che avrebbe potuto cancellare la svolta del 18 aprile: l’attentato a Togliatti ad opera di Antonio Pallante, arrivato da Randazzo per ammazzare il leader comunista responsabile “di impedire la rinascita dell’Italia”. Oggi novantacinquenne in una recente intervista al Giornale, racconta che suo padre voleva che diventasse sacerdote. Rimase cinque anni in Seminario a Cassano dello Jonio. Espulso prese la licenza ginnasiale a Castrovillari, la maturità classica a Bronte per poi iscriversi a giurisprudenza a Catania. Allora era liberale e qualunquista e i suoi scontri con i comunisti erano all’ordine del giorno. Compra per l’occasione una pistola, una Smith calibro 38 al mercato nero per 250 lire. Poi con 25 lire cinque proiettili. Aspetta fuori Montecitorio e quando vede Togliatti (uscito dalla Camera) con Nilde Iotti che stanno andando a prendere una granita di caffè, spara quattro colpi contro il leader. Il quinto resta nella pistola. Togliatti riuscirà a sopravvivere – secondo Pallante – non solo per la bravura del chirurgo che l’ha operato, ma anche perché le pallottole erano molli, non rivestite di antimonio ed erano adatte per il tirassegno. Stalin il giorno dopo l’attentato ordina di eliminare l’aggressore con quattro colpi. Nel primo processo Pallante viene condannato a 19 anni. In appello la pena fu ridotta a 13, poi la Cassazione la riduce a 6. Dopo 5 anni è libero. Dopo il ferimento la prima reazione di Togliatti è di raccomandare la calma. Infatti molti militanti sono favorevoli a una insurrezione, ma a questa soluzione non erano favorevoli né Togliatti né Stalin essendo consapevoli che tutto era stato deciso a Yalta nel 1945: l’Italia sarebbe rimasta fuori dall’influenza sovietica in quanto sotto la protezione americana. Così come ancora circola la favola che a stemperare la tensione creatasi dopo l’attentato abbia contribuito la conquista della maglia gialla da parte di Gino Bartali al Tour de France.
In realtà, al di là delle leggende, a evitare la guerra civile fu la forza dimostrata dal Governo e l’atteggiamento prudente di Mosca. Per certi aspetti con l’attentato si concluse il periodo più oscuro del dopoguerra. E secondo Nilde Iotti l’accaduto ebbe un aspetto positivo: contribuì a far uscire il popolo della sinistra dalla profonda frustrazione in cui era caduto dopo la sconfitta del 18 aprile. Ricordiamo che solo in quei giorni divenne ufficiale la relazione tra Togliatti e la Iotti. Ancora durante il ricovero le veniva raccomandato da parte dei dirigenti comunisti di sostare nel corridoio dell’ospedale e di non farsi vedere al capezzale del capo.
Un altro fatto da segnalare tra il voto di aprile e l’attentato di luglio: l’11 maggio, dopo un terzo scrutinio andato a vuoto, Luigi Einaudi viene eletto presidente della Repubblica. Ha settantaquattro anni; è stato governatore della Banca d’Italia e ministro del Bilancio. Proviene dal Partito liberale e ha un passato di antifascista, ma ha votato monarchia nel referendum del 1946. L’avvenuta elezione a Presidente gli viene comunicata da Giulio Andreotti. “Per me va bene”, risponde Einaudi. “Però c’è un grande inconveniente. Sono zoppo: come farò a passare in rassegna le truppe durante le parate ?”. E Andreotti: “Non si preoccupi. Potrà farlo in automobile”.
Ma ora ci allontaniamo dalla politica e vediamo cosa è avvenuto di rilevante nel campo letterario, cinematografico e nella società. Nasce la saga di don Camillo e Peppone di Guareschi, che poi proseguirà con altri libri e cinque film. Milioni di copie vendute in tutto il mondo. Elsa Morante pubblica “Menzogna e sortilegio” e Simone de Beauvoir “Il secondo sesso”. Appare in libreria anche “La disubbidienza” di
Alberto Moravia. Elio Vittorini è presente con “Il Garofano rosso” e Aldo Palazzeschi con “I Fratelli Cuccoli”. Un protagonista di quegli anni, Leo Longanesi, stampa “In piedi e seduti”. Al poeta T.S. Eliot viene assegnato il premio Nobel per la letteratura. Suscita un certo scalpore l’apparizione del famoso “Rapporto Kinsey” sul comportamento sessuale dell’uomo.
Per quanto riguarda il cinema Vittorio De Sica con Zavattini realizza “Ladri di biciclette” con due “attori presi dalla strada”, ottenendo un successo mondiale. È la storia di un disoccupato che perde il posto tanto sospirato per il furto subito. L’anno seguente sarà premiato con l’Oscar. Debutta il regista Comencini con “Proibito rubare”, un film sui ragazzi. Luchino Visconti si afferma con la pellicola “La terra trema”, storia di povertà e sfruttamento ambientata tra i pescatori di Aci Trezza in Sicilia. Anche questa pellicola è interpretata da attori non professionisti.
Alla radio, le canzoni di maggiore successo sono La Vie en rose di Edith Piaf, O mama mama di Nilla Pizzi e il Duo Fasano e i Pompieri di Viggiù di Clara Jaione. Sempre in quest’anno l’italiano medio scopre lo scooter. Con la Vespa e la Lambretta la gente incomincia a motorizzarsi. Questi mezzi rappresentano una piccola rivoluzione che investe il modo di vita del paese. Conquistano anche il mondo dello spettacolo. Resterà nella storia del cinema la scena di “Vacanze Romane” che vede Gregory Peck e Audrey Hepburn girare sulla vespa per le strade di Roma. Un altro avvenimento scuote la società italiana. Dopo appena due mesi dall’attentato a Togliatti, tra il 15 e il 16 settembre nel salone delle feste del Grand Hotel di Villa d’Este sul lago di Como, Pia Caroselli coniugata Bellentani spara al suo amante Carlo Sacchi con la pistola del marito. Cerca poi di uccidersi, ma l’arma fa cilecca. Arrivata la polizia, la contessa offre i polsi per le manette, ma nessuno l’ammanettò data la sua condizione sociale. Nel silenzio della sala risuonò la voce del barone de Rotschild: “Quel ennui ces italiens”. Che noia questi italiani. Il delitto suscitò enorme scalpore. Anche se la vera vittima, Carlo Sacchi non fu rimpianto, anzi presentato come vizioso e la donna divenne lei la vera vittima, quasi fosse stata obbligata a uccidere chi l’aveva umiliata. Pia Caroselli era nata nel 1916 e da ragazza più volte aveva tentato di togliersi la vita. Fino a quattordici anni studia a Roma. Poi aspira solo a un buon matrimonio. A vent’anni conobbe il conte Bellentani che di anni ne aveva quasi il doppio. Fu un colpo di fulmine e l’anno dopo si sposarono. Fu durante gli anni della guerra che conosce Carlo Sacchi e se ne innamora. La relazione è nota a tutti, ma nessuno la prende sul serio: non il marito sicuro che la moglie non lascerà le figlie; non la moglie di Carlo, convinta che il marito non l’avrebbe abbandonata. Per Sacchi del resto è solo una delle tante donne da conquistare. La stessa Pia tollera i tradimenti dell’amante, fin quando accanto a Carlo nota la presenza di una donna più vecchia, ma di gran lunga più affascinante di lei. Si rende conto che per lei è finita la relazione e ritorna la sua mania di suicidarsi: si getta sotto le ruote dell’auto dell’amante, che però riesce a scansarla in tempo. Decide allora di ucciderlo. Durante il processo gli avvocati impostano la difesa sulla provocazione e sulla seminfermità mentale e fu condannata a soli dieci anni di carcere (tre condonati) e altri tre in casa di cura. In appello la pena fu ridotta a sette anni e dieci mesi. Il presidente Giovanni Gronchi condonò i dieci mesi e la contessa poté uscire dal manicomio di Pozzuoli prima del Natale 1955. Si stabilisce a Roma, mentre il marito dopo il delitto ha lasciato l’Italia e si è ritirato a Montecarlo. Lei ha dovuto risarcire la vedova e le figlie di Sacchi. Dopo l’uscita dal carcere intreccia una nuova relazione con un noto giornalista che era andato per intervistarla. Non si spiega come di questo crimine – in fondo uno dei tanti! – se ne parlò per anni. Secondo il segretario di d’Annunzio, Tom Antongini, Pia Bellentani fece notizia perché “era anzitutto una donna bella ed elegante – e questo non guasta mai – né troppo giovane né troppo vecchia: nel primo caso avrebbe ispirato compassione, nel secondo disgusto”. E nel mondo di rilevante cosa accade in questo 1948 ? Il mahatma Gandhi viene assassinato da un fanatico indù. Negli Stati Uniti, Truman è rieletto presidente. Truman è quello che ha deciso il lancio della prima bomba atomica ed è sua la famosa “dottrina” con cui si ribadisce il concetto che gli Stati Uniti devono aiutare i popoli liberi impegnati contro i soprusi. A Parigi Pierre Cardin fonda la sua casa di moda. In Ungheria il 26 dicembre viene arrestato per cospirazione anticomunista il cardinale Jozsef Mindszenty. Il cardinale entra in conflitto con il regime ungherese quando è stata votata la nazionalizzazione delle scuole confessionali. Fa suonare le campane a morto in tutta l’Ungheria. Il Papa scomunica i governanti ungheresi.
Da questo quadro tracciato per sommi capi si può capire perché il 1948 è fondamentale per capire la Storia di quegli anni e perché ha influenzato gli anni a venire fin quasi ai giorni nostri.