È a far data dal 2005 che all'interno del Circolo Culturale “L'Agorà” opera un laboratorio di ricerche indirizzato alle presenze ungheresi sul territorio e che funge da ponte culturale tra la parte meridionale della Penisola ed il basso-piano Danubiano. Tante le iniziative, organizzate non solo a Reggio Calabria, sono testimonianza della ricerca che testimonia la presenza di diverse culture ed esperienze storicizzate,i cui risultati in scrittura ed il video sono consultabili nell'apposita pagina del portale web del Circolo Culturale “L'Agorà”.
Gli strumenti utilizzati per tali scopi dal sodalizio culturale reggino sono quelli del recupero ed il mantenimento della memoria storica, attraverso la ricerca archivistica, e per tali scopi, così come da intenti statutari il Circolo Culturale “L'Agorà” ha da sempre posto attenzione alla riscoperta e tutela degli aspetti storico-culturali del territorio e conseguenzialmente ai vari rapporti tra le realtà eterogenee che si sono confrontate in tale area, crocevia di diverse culture.
E tra queste realtà vi è quella ungherese presente sul territorio sin dal periodo medioevale e per quanto riportato negli intenti statutari del sodalizio reggino vi è all'interno del Circolo Culturale „L'Agorà” un laboratorio di ricerca che funge da ponte culturale tra i due territori che, se pur lontani geograficamente, sono legati da un filo conduttore che ha radici storiche ben datate.
Per quanto sopra evidenziato il percorso organizzativo del Circolo Culturale „L'Agorà” che da sempre pone la sua attenzione sulla tutela della memoria storica e degli aspetti storico-culturali dell'area del Mediterraneo, da sempre luogo d'incontro di diverse realtà.
Nel corso del 2016 il dramma che venne a consumarsi 60 anni fa in terra d'Ungheria è stato oggetto di analisi di una serie ed articolati momenti di riflessione, ricordati attraverso varie iniziative che si sono svolte anche sul territorio italiano, con il chiaro intento di rendere viva la memoria di quei tragici eventi del novecento.
Tali circostanze sono storicizzate alla data del 23 ottobre del 1956, quando un lunghissimo corteo si snodava pacificamente per le vie cittadine della capitale magiara per manifestare la propria solidarietà nei confronti dei lavoratori polacchi della città di Poznań.
Nonostante gli intendimenti di quella manifestazione la situazione ebbe a precipitare a causa della violenta ed improvvisa azione comportamentale da parte dei militi della ÁVH acronimo di ÁLLAM VÉDELMI HATOSÀG (la polizia segreta ungherese) che iniziarono in modo inaspettato a sparare sulla folla inerme, degenerando, quindi, da quel momento, in una lunga sequenza di morti e feriti.
Queste alcune delle cifre che sono stato oggetto di analisi dell'incontro avente come tema “La rivoluzione ungherese tra aspetti storici e filatelici” organizzata dal Circolo Culturale “L’Agorà” e dal Centro studi italo-ungherese “Árpád” che ha ricevuto l'Alto Patrocinio dell'Ambasciata di Ungheria e nel contempo garantedo la presenza di S.E. Péter Paczolay (Ambasciatore straordinario e plenipotenziario) per tale iniziativa, dando così ulteriore pregio ed ampio respiro all'iniziativa promossa dal Circolo Culturale “L’Agorà” e dal Centro studi italo-ungherese “Árpád”).
Prima di entrare nello specifico della stessa giornata di studi, nel corso della mattinata, il diplomatico magiaro, accompagnato da una delegazione delle due co-associazioni reggine, ha effettuato una serie di visite di cortesia presso diverse istituzioni locali e nel corso di tali incontri è stata ricordata la solidarietà dei reggini nei confronti del popolo ungherese.
In tali circostanze sono state avanzate alcune proposte programmatiche inerenti al tema del turismo, degli scambi commerciali ma anche quelle specificatamente culturali, così come avvenuto nella sede istituzionale del Comune di Reggio Calabria, dove è stato espresso l'impegno da parte del Presidente del Consiglio Comunale, Demetrio Delfino e dei Capi gruppo Antonio Castorina ed Antonio Pizzimenti di sostenere la richiesta ufficiale indirizzata all'intitolazione di un luogo pubblico con la dicitura “Martiri Ungheresi del 1956”.
A tal proposito cìè da ricordare che proprio a Reggio Calabria si concludono le celebrazioni sulla Rivoluzione del 1956 e tale scelta non risulta casuale, visto che per quell'impegno di solidarietà profuso dal territorio, la città dello Stretto ebbe a ricevere un riconoscimento ufficiale da parte di László Sólyom (Presidente della Repubblica Ungherese) nel 2007.
La mattinata di venerdì 25 novembre 2016 è stata una vera e propria full immersion di visite di cortesia da parte del diplomatico magiaro che ha anche avuto modo di confrontarsi con altri rappresentanti istituzionali, come il Signor Questore, S.E. il Prefetto ed una visita culturale presso il Museo Nazionale della Magna Grecia.
La seconda parte della giornata è stata dedicata allo speciale annullo filatelico,accompagnato da una cartolina celebrativa da collezione, e dopo tale cerimoniale ha fatto seguito la conversazione culturale che si è tenuta presso la Saletta conferenze del Palazzo delle Poste.
Dopo i saluti istituzionali si è entrati nel vivo dell'analisi del dibattimento sulla rivoluzione ungherese con la relazione di Antonino Megali (socio del Circolo Culturale „L'Agorà” che è intervenuto sul tema „Sessant’anni dopo la rivolta ungherese -Reazioni dei politici e degli intellettuali dell’epoca”.
Un vero e proprio annus horribilis – esordisce Nino Megali – fu il 1956 per il comunismo mondiale. Indimenticabile lo definirà Pietro Ingrao. E lo sarà anche per Rossana Rossanda che scriverà nella sua autobiografia:” In quei giorni mi vennero i capelli bianchi, è proprio vero che accade, avevo trentadue anni”. Nikita Kruscev legge la sua relazione il 25 febbraio al XX Congresso del Partito Comunista Sovietico. La novità fu subito percepita all’inizio dei lavori, quando Ekaterina Furtseva, segretario del partito a Mosca, nel discorso di saluto cita Stalin, ma solo per ricordarlo insieme ad altri dirigenti sovietici morti negli ultimi anni, tutti citati secondo un rigoroso ordine alfabetico. Il nuovo segretario del partito parla dei “Crimini di Stalin”e dei “Disastri del culto della personalità”. (Trenta gli svenimenti tra i delegati dicono i cronisti).Mesi dopo il grande latinista Concetto Marchesi commenterà :”Tiberio, uno dei più grandi e infamati imperatori romani, trovò il suo implacabile accusatore in Cornelio Tacito, il massimo storico del Principato; a Stalin, meno fortunato, è toccato Nikita Kuscev”. Il processo di destalinizzazione ha conseguenze drammatiche in alcuni paesi del blocco comunista. In Polonia a giugno insorgono gli operai. In ottobre, giorno 23 tocca all’Ungheria. La rivoluzione inizia con la discesa in piazza degli studenti ai quali si aggiunsero gli operai. Il primo atto fu l’abbattimento della statua di Stalin (oggi gli stivali di bronzo, tutto ciò che ne rimane, sono conservati al Memento Park ). Il giorno dopo in Italia il giornale del partito comunista l’Unità annuncia il “ grave tentativo di distorcere il processo di democratizzazione. Scontri nelle vie di Budapest provocati da gruppi armati di controrivoluzionari”. In realtà la rivolta provoca diverse lacerazioni nel P.C.I. e perfino la CGIL si dichiara solidale con gli insorti. Fuori dal partito il socialista Pietro Nenni dichiara di voler restituire il premio Stalin.Il primo dei tanti casi scoppiati all’interno dei politici comunisti è quello di Fabrizio Onofri che chiede ed ottiene di poter pubblicare su Rinascita un articolo in cui riassume la sua linea di critica alle scelte del PCI. Togliatti risponde accusandolo di “ avere la polenta nella testa” ricordandogli che “accogliere l’immondezza dalle mani del nemico è sempre operazione poco pulita”.Sarà poi espulso l’anno seguente dal partito. Analoga sorte toccherà ad Antonio Giolitti insultato da Amendola (“Traditore”) ricordandogli poi anche una vecchia massima stalinista:” Il PCI è un partito di combattenti e non di chiacchieroni”.
Pochi mesi dopo Giolitti dà le dimissioni dal partito.( Contro di lui, pur essendo amico parlò Giorgio Napolitano). Su l’Unità Ingrao chiude il caso scrivendo in un articolo :” Presto di Giolitti e di altri transfughi o espulsi non parleranno più nemmeno le agenzie specializzate nella calunnia anti sovietica”. Il futuro premio Nobel Salvatore Quasimodo preferisce tenere il piede in due staffe. S’affacciava ogni mattina – racconta Lajolo- sulla soglia della mia stanza e mi diceva “tieni duro” per poi firmare un appello anti sovietico. Al comitato centrale del PCI arriva quello che, dal numero dei firmatari, verrà definito il “Manifesto dei 101”.Tra gli aderenti professori universitari, funzionari di partito, parecchi dirigenti di sezioni . Dopo qualche giorno però iniziano i distinguo. Chi dichiara di non aver
mai firmato, chi denunzia la buona fede carpita, chi si dice sorpreso perché la stampa di opposizione aveva falsato lo spirito dell’iniziativa. Così 14 sottoscrittori se ne dissociarono perché ritenevano che il testo del Manifesto che ribadiva la condanna dello stalinismo servisse solo ad un dibattito interno. Tra questi Elio Petri, Paolo Spriano, Lorenzo Vespignani. Concetto Marchesi non era stato tra i firmatari, ma ci tiene a chiarire la sua posizione di fronte al partito. E lo fa parlando di “Cagnara reazionaria, clericale e fascista che si è scatenata sui fatti di Ungheria”.Sul merito della questione dichiara ancora:” Quanto alla insurrezione ungherese penso che un popolo non si rivendica in libertà tra gli applausi della borghesia capitalistica e le celebrazioni propiziatorie”. Neppure aderisce Cesare Zavattini, il quale come Presidente del Circolo Italiano del Cinema, prende le distanze dichiarando che il Circolo non fa politica. Giovannino Guareschi gli dedica una vignetta intitolata “Zavattini rispetta le idee”, dove si vede lo scrittore guardare uno che sta accoltellando un uomo. La vittima urla mi ammazzano… aiutatemi!. E Zavattini risponde:” Un momento : quale Presidente del Circolo Italiano del Cinema, prima di aiutarvi, o solamente compatirvi, mi dovete dimostrare che in quanto vi sta accadendo non entra la politica”. In quel periodo nelle vignette su Candido le bandiere del PCI (diventato Partito Complici Italiani ) grondavano un lago di sangue.
La storia dei manifesti non finisce qui un altro viene promosso dal Mondo e dall’Espresso, in cui si condannava “ingiustificabile aggressione consumata dall’ URSS contro il popolo ungherese”. Tra gli intellettuali firmatari vi erano Fortini e Vittorini, Salvatorelli e Salvemini Jemolo e Moravia. Contemporaneamente anche in Francia appare un altro appello promosso da Albert Camus. Jean Paul Sartre condanna senza riserve l’invasione:” rompo con rammarico, ma completamente, i rapporti con gli scrittori sovietici miei amici, che non denunciano-o non possono denunciare- il massacro in Ungheria. Non si può più avere amicizia per la frazione dirigente della burocrazie sovietica: l’orrore supera tutto”. Il Partito comunista francese parla di infamia e del veleno di Sartre paragonandolo a “Termiti che pretendono di rosicchiare il partito dal di dentro” creando “ occulti piccoli circoli Petofi”. Sartre rimarrà in ogni caso nell’orbita comunista. Chi uscirà dal partito è Vercors ,pseudonimo di Jean Bruller autore de Il silenzio del mare ispirato al clima della resistenza anti nazista. Manifesta così la sua delusione:” L’esercito rosso, stritolando con i suoi carri armati gli operai ungheresi, si è battuto per la prima volta contro la liberazione di un popolo, ed ha perduto così, agli occhi di milioni di uomini, la sua innocenza”. L’anno dopo con la pubblicazione del pamphlet P.P.C. (per prendere congedo),darà un addio al partito comunista. Dall’URSS arriva una dura risposta a chi criticava l’intervento in Ungheria: mentre in occidente gli intellettuali si perdevano in inutili discussioni, i soldati sovietici, sacrificando la loro vita, salvavano decine e forse centinaia di migliaia di vita umane dal terrore fascista scatenato e impedivano che nel centro dell’europea si stabilisse un regime fascista revanscista.
Singolare la vicenda della quale fu protagonista Italo Calvino. Lo scrittore aveva mandato una lettera di dimissioni, accolta senza commenti dal partito. Poi nel settembre 1957 nel suo intervento al comitato centrale Togliatti lo cita senza nominarlo come “Il letterato che ha scritto la novelletta, per buttar fango…”. Cosa era successo? Lo scrittore che pure era rimasto comunista sceglie di raccontare il proprio addio al partito con una metafora, immaginandolo come un galeone di pirati finito in una secca. La intitola La gran bonaccia delle Antille, stranamente eliminata da tutte le pubblicazione future della opere dello scrittore. Calvino affida ad un immaginario zio Donald il racconto della sconfitta dell’ammiraglio Drake (Togliatti). La bonaccia costringe all’immobilità la navicella corsara difronte ad un galeone spagnolo:” Il galeone stava fermo, noi ci fermiamo pure e lì in mezzo alla gran bonaccia, prendiamo a fronteggiarci. Non potevamo passare noi, non potevano passare loro. Ma loro a dire il vero, non avevano nessuna intenzione d’andare avanti. Erano lì apposta per non lasciar passare noi”. La nave è il PCI il galeone spagnolo la DC. Nel finale allo zio Donald viene chiesto:” Diteci come andò a finire in nome del cielo! Non possiamo più aspettare! Continuate il vostro racconto”. Ma il racconto si interrompe. Per Calvino la bonaccia non era ancora finita e non se la sentiva di rinnegare il proprio passato. Su Rinascita è Maurizio Ferrara a rispondere con un’altra parabola marinara La gran caccia alle Antille, firmata Little Bald (piccolo calvo= Calvino). Traccia il cammino del PCI dalla caduta del fascismo, che viene chiamato “Pirateria nera di Testa di Morto (Benito Mussolini). Agli ordini del Vecchio (Togliatti) la nave “Speranza “ va a caccia della Balena Bianca cercando di non prendere l’esempio del capitano Acab (Stalin) che “aveva instaurato al suo bordo una vita durissima “. Quando si seppe che “ a bordo di un battello ungherese era scoppiato l’ammutinamento conto i vecchi capi che s’erano ficcati in testa di fare come Acab, sulla nave-PCI scoppiò la rivolta. Si ribbellarono Gegé le Moko (Eugenio Reale), Fabrizio lo Stravizio (Onofri), Marco il Gagliardone (Cesarini Sforza), Antonio il Nipote (Giolitti), Carlo il Moscetto (Muscetta),Italo il Petalo (Calvino),Vezio il Trapezio (Crisafulli). Qui la metafora finisce bene e la nave continua a tenere il mare perché “ C’è sempre una Balena Bianca da cacciare con tempesta o bonaccia che sia, per chi ha un rampone da stringere in pugno”.
Vediamo ora quello che accadde nel sindacato . La CGIL con Giuseppe Di Vittorio deliberò un documento che condannava sia l’intervento sovietico sia la repressione. Il 25 ottobre Togliatti pubblica un articolo dal titolo “Da una parte della barricata a difesa del socialismo” dove scrive :”In Ungheria dove si attenta, con le armi alla mano, alla legalità socialista, il potere risponde necessariamente colpo su colpo, sul terreno armato su cui si è posta la sedizione controrivoluzionaria. “Lo stesso Di Vittorio, definito da Togliatti un sentimentale non un politico, fu convocato a Botteghe Oscure. All’uscita scoppiò a piangere dicendo, che la classe operaia non meritava cose simili. Ma anche lui si piegò sia pure parzialmente alle direttive del partito. Viene anche espulso Eugenio Reale in quanto, col suo atteggiamento si era posto fuori dal partito. Togliatti ai suoi attacchi risponde :” Stupisce la completa assenza di inventiva. Rimasticano sempre la stessa zuppa questi sciagurati”.
Entra in crisi anche Renato Guttuso, testimoniata dalle sue opere del 1956 e rimaste a lungo sconosciute : Uomini straziati, un impiccato a testa in giù, falce e martello spezzati. Tra espulsioni, crisi personali, polemiche inutili, pentimenti veri o presunti si inserisce l’abbaglio di cui rimane vittima un insospettabile anticomunista: Indro Montanelli.
Ospite della nostra Ambasciata elabora la tesi secondo la quale la rivolta era comunista e quindi gli insorti rifiutavano quel comunismo ma non le idee di sinistra, cadendo oltre tutto in un piccolo infortunio quando scriverà la falsa notizia che parlava di numerosi membri della polizia politica appesi agli alberi cittadini. In realtà è documentato un solo caso di impiccagione pubblica a Budapest : un agente appeso ad un lampione. Di fronte alla situazione che vedeva intellettuali che restavano iscritti al PCI, altri che lasceranno il partito ma resteranno a sinistra alti ancora che si sposteranno su posizioni conservatrici, Ennio Flaiano scriverà:” Sguazziamo nel disgelo. Le statue di neve di Stalin, con la pipa in bocca e la scopa sottobraccio, si squagliano al primo sole. Gli scultori che imponevano ai cittadini di adorarle, ora si tirano palle di neve sporca tra di loro, aumentando il peso con un sasso. Uno di essi provoca un passante: vuole il dialogo. E dimostrare, con questo dialogo, che loro hanno sì avuto torto anche se per motivi interni dovevano sostenere di avere ragione; ma che d’ora in avanti tutto cambierà e che avranno dunque sempre ragione”.
Intanto a Budapest si consuma il dramma dei rivoltosi. 4 novembre ultime invocazioni della radio :”Che Dio ci salvi, viva la libertà,aiutateci, aiutateci,aiutateci”. 7 novembre l ‘ultimo appello per radio dice :”Perché non ci avete aiutati? Addio, Addio…”. Così arriviamo al 24 novembre quando l’Unità informa che a Budapest “il lavoro riprende”.
I tredici giorni della rivolta di Budapest incrinarono per la prima volta il mondo comunista, ma non sconvolsero il mondo. Dall’inizio i sovietici sono presi in contropiede, ma poi non possono lasciar passare il messaggio, come sosterrà Fёjto, “ che la rivoluzione non è affatto monopolio esclusivo del partito comunista russo e che anzi, in determinate circostanze, può essere diretta proprio a rovesciare il dominio di questo partito”. In Italia la gestione del dramma ungherese è affidata naturalmente a Togliatti. E il Migliore lo fa con cattiveria, cinismo e perfidia. Dopo la seconda repressione russa, brinderà “ Con un bicchiere di vino rosso in più”. Dopo qualche giorno scriverà “Ѐ mia opinione che una protesta contro l’Unione Sovietica avrebbe dovuto farsi se essa non fosse intervenuta, e con tutta la sua forza questa volta, per sbarrare la strada al terrore bianco e schiacciare il fascismo nell’ uovo”. Commenterà Ignazio Silone:” Nei confronti degli insorti ungheresi Togliatti è stato di una volgarità e di una insolenza che la lingua italiana non aveva più conosciute dalla caduta del fascismo”.
Il capo dei comunisti italiani appoggerà la richiesta di condanna a morte di Imre Nagy, capo del governo ungherese. Chiese solo che l’esecuzione avvenisse dopo le elezioni politiche del maggio 1958, per non creare turbamenti nel mondo comunista. Nagy, che era stato stalinista, aveva contribuito all’eliminazione di tanti compagni e forse aveva fatto parte del plotone di esecuzione che fucilò lo zar Nicola II. Venne impiccato nel 1958 insieme al suo collaboratore Pal Maleter. La sua riabilitazione avvenne nel 1989 dopo che i suoi resti furono ritrovati in una fossa comune in cui erano stati gettati.
Dopo la rivolta a Budapest fu imposto il silenzio e venne l’invito a dimenticare. Venne l’ora dell’avvio della operazione di “normalizzazione”, e le piazze della capitale ungherese e di altre città brulicarono di forche e di impiccati. Prevaleva ancora una volta la vecchia strategia sovietica, che dopo aver compiuto i massacri, pretendeva il silenzio su quanto era stato compiuto. Del resto l’aveva già scritto,in un altro contesto, Solzenicyn nella premessa al suo primo Arcipelago Gulag:” Per una inattesa svolta della nostra storia qualcosa, infinitamente poco, dell’arcipelago è venuto alla luce. Ma le stesse mani che stringevano le nostre manette ora si alzano a palme protese, concilianti: Lasciate stare! Non si deve rivangare il passato! Si cavi un occhio a chi lo rimesta!”.Il proverbio, però, aggiunge :” E due a chi lo scorda”.
La cortina di ferro – conclude Antonino Megali - cala nuovamente in Europa. Solo dopo molti anni incominciano, tra quanti avevano allora avallato quegli avvenimenti, a manifestarsi ripensamenti e pentimenti e finalmente la verità riuscirà a prevalere sulle menzogne.
Dopo l'accurata analisi di Antonio Megali, è stata la volta di Gianni Aiello (Presidente del Circolo Culturale “L’Agorà” e del Centro studi italo-ungherese “Árpád”) che ha esaminato il tema inerente a “La rivoluzione ungherese tra aspetti storici e filatelici”.
Nel corso della dettagliata analisi, Gianni Aiello ha posto all'attenzione dell'uditorio la linea di collegamento storica tra i due territori, gli strumenti di ricerca utilizzati a rendere viva la memoria che accomuna fatti, vicende, personaggi alle due aree in questione.
Da queste premesse alle movitazioni della scelta del logo impresso sull'annullo filatelico dovuto a pazienti ricerche archivistiche che testimoniano che sul territorio vennero effettuate delle vendite benefiche di coccarde e spille distintive con l'emblema di Kossuth allo scopo di raccogliere fondi da destinare ai profughi ungheresi. Queste alcune delle notizie che sono state oggettio di analisi da parte di Gianni Aiello che attraverso il supporto visivo di documenti del periodo ha dato modo di attenzionare l'interesse dell'uditorio.
Altro passaggio fondamentale è stato quello rivolto all'evoluzione storica dell'organizzazione dei servizi postali in Ungheria dei quali sono testimonianza i ricordi custoditi nelle diverse location all'interno del Museo Postale. ubicato a Budapest e che venne istituzionalizzato nel 1890.
La disamina a cura di Gianni Aiello ha toccato diversi campi dei servizi postali ungheresi come la capillare presenza su tutto il territorio e per quanto riguarda la capitale magiara un cenno è stato fatto a riguardo l'ufficio ubicato in piazza Nygati, vicino all'omonimo scalo ferroviario, che svolge funzioni di sportello anche nelle ore serali.
Durante i moti insurrezionali del 1849 c'era la chiara volontà di Lajos Kossuth di realizare una prima emissione filatelica che venne commissionata all'artista Mor Than, ma per gli esiti delle vicende politiche questo non ebbe a sviluppare gli obiettivi preposti in tal senso.
Le prime emissioni risalgono al 1868 quando vennero stampati dei francobolli per la spedizione dei quotidiani ed in tali valori postali erano raffigurati gli emblemi ungheresi e la dicitura „Regno di Ungheria”, mentre tre anni dopo un francobollo ungherese raffigurante il sovranp Francesco Giuseppe e successiamente, nel 1874 troviamo la seguente didascalia „magyar kir. posta/posta reale magiara”.
Nel corso della sua relazione Gianni Aiello ha illustrato con l'ausilio di interessanti documenti la genesi del servizio postale ungherese sia per quanto riguarda i servizi sia per quanto riguardo le emissioni filateliche, attenzionando l'analisi sulle varie emissioni relative al 1956 sia per quanto riguarda l'anno sia per quanto riguarda l'anniversario della rivoluzione.
Prima di passare agli aspetti storici della rivoluzione ungherese, Gianni Aiello ha ricordato anche lo scalo portuale e la città di Fiume dove, nel 1749, venne istituzionalizzato il primo ufficio postale.
Gianni Aiello, prima di passare alla seconda parte del suo intervento ha illustrato le motivazioni della scelta del logo impresso sull'annullo filatelico realizzato per tale occasione motivando tale scelta sia sull'importanza storica della figura di Lajos Kossuth, sia anche per alcune notizie locali che testimoniano la vendita benefica di coccarde e spille distintive con l'emblema di Kossuth.
La seconda parte dell'analisi si è concentrata sugli echi che la rivoluzione ungherese per la liberta “szabadság” ebbe sul territorio provinciale attraverso la lettura di altri documenti ritrovati dallo stesso studioso, dopo pazienti ed elaborate ricerche archivistiche, che danno la possibilità di alzare il sipario sul palcoscenico della storia locale e con tale operazione riemergono diverse vicende di storia locale come la raccolta fondi, le domande di adozioni verso gli adolescento, le varie note prefettizie, la presenza di profughi ungheresi, tra i quali diversi bambini, ospitati in alcuni centri di accoglienza come quello di Catona.
Tante sono state le immagine e le situazioni documentali analizzate da Gianni Aiello frutto di diverse ricerche archivistiche che hanno permesso di dare colore a quelle fotografie della storia sbiadite dal tempo e dall'oblio e che hanno permesso di creare quella cernerie della memoria tra micro e macro storia.
Ma sopratutto come la storia locale di quel periodo ebbe ad assimilare ciò che una certa visione della politica del periodo etichettava con l'acronimo di „fatti” di Ungheria, e della conseguenziale ricaduta emotiva sul territorio.
Altri documenti che sono stati analizzati nel corso della giornata di studi da parte di Gianni Aiello sono stati nello specifico:
• telegrammi;
• note informative da parte dei vari Comuni della provincia di Reggio Calabria;
• i mandati di pagamento;
• note da parte della Prefettura di Reggio Calabria;
• documentazione inerente all'attività della Croce Rossa;
• atti di enti pubblici con relative sedute di Consiglio;
• circolari delle forze dell'ordine;
• articoli di quotidiani e riviste;
• manifesti,locandine.
In un altro documentato che è stato oggetto di analisi da parte di Gianni Aiello vi è la seguente dicitura. „gli operai, gli studenti, caduti sotto il piombo della repressione, hanno sacrificato la loro esistenza non già per l'nstaurazione di privilegi, ma per ottenere l'indipendenza del loro Paese, una giustizia sociale, una libertà politica e libertà di coscienza”. Parole dall'alto significato e che rappresentano uno dei manifesti di soladarietà tra i due territori che, se pur lontani geograficamente, sono legati da un filo conduttore che ha radici a far data dal periodo medievale.
Le conclusioni della giornata di stuidio sono state a cura dell'Ambasciatore magiaro che ha espresso parole di elogio sono state rivolte da parte del rappresentante istituzionale ungherese S.E. Péter Paczolay che ha apprezzato l'impegno profuso dalle due co-associazioni reggine per quanto organizzato.
Il dramma che venne a consumarsi 60 anni fa in Ungheria è stato ricordato anche in riva allo Stretto anche per tenere viva quella memoria di quei tragici eventi che ebbero inizio il 23 ottobre del 1956.
25 novembre 2016
la conferenza