Questo incontro ha avuto il merito di ricordare il sacrificio di tanti calabresi e numerosi reggini, che seppur divisi dalle opposte fazioni combatterono per un ideale :quello d’avanguardia relativo ai giacobini ed alla filosofia illuminista d’oltralpe, contrapposto a quello conservatore di stampo borbonico relativo ai sanfedisti .
Il professore Giuseppe Caridi ha relazionato sul tema "Repubblica napoletana del 1799" evidenziando una certa sfasatura tra la capacità di analisi dei Giacobini napoletani e l’efficacia operativa che avrebbe dovuto conseguirne .
Per ritorsione contro il Re di Napoli Ferdinando IV, che non aveva rispettato gli accordi diplomatici precedentemente accordati con Napoleone Bonaparte, il generale francese Jean-Antoine-Etienne Championnett marciò con le truppe verso Napoli occupandola il 23 gennaio 1799 formando un governo del tipo francese che si insediò il 24 gennaio e durò sino al 27 marzo.
Il reggino Giuseppe Logoteta fece parte alla stesura della Costituente della Repubblica Partenopea.
Dichiarata decaduta la monarchia dei Borboni, venne proclamata la Repubblica partenopea e nominato un governo provvisorio presieduto da C. Lauberg.
La Repubblica partenopea ebbe vita breve, dal 22 gennaio 1799 al 23 giugno dello stesso anno: quel mattino i giacobini liberati dalle segrete del castello di Sant'Elmo,dove erano rinchiusi per reati politici ,dichiararono la decadenza della monarchia borbonica e proclamata la «Repubblica napoletana una indivisibile» .
Il giorno successivo a Napoli entrarono le truppe del generale bonapartista Jean-Etienne Championnet si formò un governo del tipo francese che ebbe ad insediarsi il 24 gennaio e che durò sino al 27 marzo.
«Nei soli cinque mesi della sua travagliata esistenza, -evidenzia il cattedratico dell’ateneo messinese-, furono prese dai Giacobini misure di straordinaria rilevanza nei settori nevralgici della vita pubblica nazionale: dall’abolizione della feudalità, al riordinamento amministrativo, alla riforma giudiziaria» .
Quindi il concetto di «rivoluzione passiva» di Vincenzo Cuoco "Saggio storico sulla rivoluzione di Napoli" va corretto e le vicende del 1799, vanno inquadrate in un più largo contesto interno ed esterno.
La rivoluzione fu però passiva, si limitò ad accettare le idee straniere: quando le truppe francesi furono costrette a lasciare la città in seguito alla VI coalizione antifrancese (1799) la Repubblica si trovò a mal partito, dalla Sicilia Ferdinando IV inviò sul continente il Cardinale Ruffo, Vicario Generale del Regno, con l’incarico di restaurare la monarchia con le truppe sanfediste, tra le quali erano anche molti briganti capitanati da Frà Diavolo e Mammone che furono chiamate "cristianissime" perché affermavano di combattere «per la religione ed il Re» .
Se nel resto d’Europa avanzava l'affermazione del diritto di proprietà (LEGGE ANTIFEUDALE DEL 25 APRILE 1799) insieme ai controlli sull'attività economica, la condizione dei coltivatori divenne più precaria e, invece di migliorare, le cose andarono peggiorando per i contadini, perché si accentuò la loro dipendenza nei confronti dei proprietari e l'usura divenne fonte di nuove rendite e nelle campagne lo strumento più pesante di assoggettamento delle masse contadine.
Nel Nord d'Italia, specie in Lombardia, dove ci fu una maggiore collaborazione tra intellettuali e sovrani illuminati, la situazione dell'agricoltura era migliore.
L'agricoltura fu rivalutata grazie ai novali (terre a riposo) e l'introduzione del retaggio, grazie all'adozione di tecniche agricole nuove e l'abbandono di quelle tradizionali e, inoltre, grazie alle opere di bonifica.
Nel Meridione, invece, c'erano forme di agricoltura ancora arretrate, legate al sistema feudale: il problema più urgente da risolvere era proprio l'eliminazione del sistema feudale e latifondiario, causa maggiore del ritardo del progresso nel sud d'Italia.
Con la diffusione delle idee illuministiche e dei principi universali, affermatesi con la Rivoluzione francese del 1789, e col nascere in Italia dei movimenti giacobini, i patrioti diedero vita a diverse repubbliche, tra le quali quella napoletana del 1799.
Fu proprio in quel periodo di lotte politiche e di fermenti sociali che i giacobini napoletani ripresero e approfondirono i temi della lotta antifeudale.
Essi sostennero che il problema non consisteva nell'eliminare l'istituto della proprietà, ma nel confiscare le terre baronali e nel mutare la distribuzione fondiaria.
La discussione sui feudi in seno al Consiglio legislativo fece riflettere molti suoi componenti sul fatto che, per risolvere un problema del genere, ci doveva essere la collaborazione diretta dei contadini.
Purtroppo nelle campagne del nostro mezzogiorno le forze di rinnovamento erano troppo esigue e quelle poche che vi erano non riuscivano ad avere ragione della sfiducia e del fatalismo dei contadini, che vedevano nemici dappertutto.
I contadini guardavano con maggior sospetto la borghesia terriera che sembrava volerli privare dei pochi diritti che permettevano loro di sopravvivere entro il sistema feudale, tanto che si ribellarono, contro i fautori di questo nuovo ordine, preludio drammatico della mancata partecipazione delle masse popolari contadine, specialmente meridionali, all'epoca risorgimentale.
Quando la legge antifeudale fu approvata (essa prevedeva l'abolizione dei privilegi baronali, lasciando ai baroni alcune terre già in loro possesso, attribuendo ai Comuni soltanto i demanî feudali, cioè quelle parti del feudo, come boschi e pascoli di cui facevano uso comune le popolazioni), il 25 aprile 1799, era ormai troppo tardi: la rivoluzione nella sua fase cruciale aveva subito una battuta d'arresto; a quel punto la sua sorte era già segnata e sopravvenne di lì a poco la sua definitiva sconfitta ed i suoi fautori furono portati al patibolo.
Le vicende che si susseguirono nella breve vita della Repubblica napoletana del 1799, sono inevitabilmente da collegare alle vicende francesi ed europee.
Quindi il concetto di «rivoluzione passiva» di Vincenzo Cuoco "Saggio storico sulla rivoluzione di Napoli" va corretto e le vicende del 1799, vanno inquadrate in un più largo contesto interno ed esterno.
Quando le truppe francesi furono costrette a lasciare la città in seguito alla VI coalizione antifrancese (1799) la Repubblica si trovò a mal partito, dalla Sicilia Ferdinando IV inviò sul continente il Cardinale Ruffo, Vicario Generale del Regno, con l’incarico di restaurare la monarchia con le truppe sanfediste, tra le quali erano anche molti briganti capitanati da Frà Diavolo e Mammone che furono chiamate "cristianissime" perché affermavano di combattere «per la religione ed il Re» .
La notte tra il 21 e 22 dicembre 1798 il re Ferdinando IV e la regina Maria Carolina scapparono a Palermo con i tesori che riuscirono ad arraffare ed il reggino Giuseppe Logoteta, il 21 gennaio 1799, proclamò da Castel S. Elmo la Repubblica Partenopea.
La riconquista del Regno venne affidata da Maria Carolina al discusso Cardinale Fabrizio Dionigi Ruffo dei duchi di Bagnara e Baranello (nato a S. Lucido il 16 settembre 1744) che sbarcato a Punta Pezzo (8 febbraio 1799) con pochi uomini trovò disponibili un gruppo di reggini per il primo nucleo di quello che sarà l'esercito della Santa Fede.
Misero piede sulla terra reggina, insieme al cardinale rosso, il segretario abate Lorenzo Sparziani, il cappellano Annibale Capogrossi, l'aiutante reale marchese Malaspina, il commissario di guerra tenente colonnello Domenico Pietromasi.
Da Scilla lo sparuto gruppo si riunì a circa trecento armati, sotto gli ordini di Francesco Carbone, che man mano andò sempre aumentando raccogliendo proseliti lungo il percorso che portava alla capitale .
Un esercito costituito prevalentemente da calabresi, di tutte le estrazioni sociali ma dove predominavano briganti ed avventurieri; un esercito che si rafforzava sempre più risalendo la Calabria e che passerà alla storia per le atrocità, le violenze, le ruberie perpetrate lungo il percorso di avvicinamento a Napoli per la riconquista del regno nel nome dei Borboni.
I Repubblicani napoletani tentarono una disperata difesa ma il 22 giugno 1799 capitolarono accettando le onorevoli condizioni offerte dal Ruffo, però Ferdinando IV ed Orazio Nelson non accettarono l’accordo del Ruffo e si iniziò una feroce e crudele reazione che condannò all’esilio, all’ergastolo e spesso a morte l’aristocrazia morale e intellettuale del Regno .
L’Ammiraglio apparve con le sue 24 imbarcazioni all’alba del 24 giugno e tale arrivo non entusiasmò neanche il cardinale Ruffo che aveva offerto ai giacobini clausole di capitolazione troppo generose , in ogni caso contrarie agli ordini del Re.
Nelson dichiarò subito di non riconoscere il trattato firmato dal Ruffo e chiese al Ruffo di ordinare ai giacobini di uscire dai forti e rimettersi «alla clemenza del loro Sovrano» : ma era un inganno .
Seguì una feroce repressione voluta dalla Regina Maria Carolina, sorella di Maria Antonietta, e dall'ammiraglio inglese Nelson, che supportata da processi sommari di una compiacente Giunta di Stato si ebbero 119 condanne a morte dal 1° giugno del 1799 al 13 settembre del 1800 .
Le navi che imbarcarono i giacobini e che erano pronte a partire per l’esilio di Tolone si trasformarono nelle loro tombe.
Da quel momento le quattordici imbarcazioni, le polacche si trasformarono in altrettanti prigioni, e a Napoli ebbero inizio i processi della Giunta di Stato, le carcerazioni, gli esili, e le innumerevoli condanne a morte, i dati ufficiali parlano di 119 giustiziati di cui 15 calabresi (4 erano reggini) .
Il professore Pasquino Crupi ha trattato invece l’argomento relativo a "Riflessi letterari nella Repubblica napoletana del 1799" dal quale si evince che non ci sono riflessi immediati nella letteratura meridionale ne in quella calabrese ma immediate furono invece nella saggistica come la pubblicazione del Cuoco "Saggio sulla repubblica napoletana del 1799" pubblicata nel 1801 .
Priva è nel campo letterario, questo non creò nulla di originale, perché nel crollo della rivoluzione del 1799 fu spezzata la schiena della cultura meridionale con il massacro dei letterati, intellettuali del periodo .
Il romanticismo non aveva ancora varcato le Alpi per descrivere le sconfitte o le vittorie di un popolo ed il primo romanziere calabrese fu Nicola Misasi, nativo di Cosenza, che con le sue opere ha evidenziato fatti, aspetti e personaggi che precedentemente erano stati denigrati dagli storici del Nord Italia, Nicola Misasi ha voluto difendere il popolo calabrese dalle calunnie degli storici .
La relazione di Gianni Aiello si è basata su "Fatti e personaggi nel periodo Giacobino nella Provincia di Reggio Calabria", come il giallo storico relativo all’omicidio del Governatore ella città dello Stretto, avvenuto il 12 settembre 1797, Giovanni Pinelli, episodio che diede l’imput alla caccia al giacobino che sfociò in numerosi arresti che vennero imbarcati e trasferiti nel forte S.Giacomo di Favignana .
Il giovane ricercatore ha anche parlato di Vincenzo Fabiani di Grotteria, soffermandosi sulle figure di Agamennone Spanò che venne condannato a morte il 19 luglio 1799 mediante impiccagione, insieme al catanzarese Giuseppe Schipani e Giuseppe Logoteta, che ebbe un ruolo importante nel Governo della Repubblica napoletana , infatti votò per la legge antifeudale e per le sue idee, comuni a tanti calabresi del periodo, venne impiccato in Piazza Mercato il 28 novembre 1799. Gianni Aiello ha parlato anche di Paolo Polimeno che compose l’inno sanfedista dei calabresi che parteciparono al saccheggio ed il massacro di Altamura o del seminarese Francesco Antonio Grimaldi decapitato in piazza del Plebiscito.
Il presidente del Circolo Culturale L'Agorà ha parlato della battaglia di Vigliena che rappresenta l’esempio più significativo e più elevato per atti d'eroismo .
La piccola fortezza costruita nel 1706 era difesa da una guarnigione di 150 calabresi (una parte della Legione Calabra forte di 2000 calabresi distribuiti nei forti ed ai quali era, praticamente, affidata la difesa di Napoli) guidati personalmente da Girolamo Arcovito, reggino «vincere e vendicarsi o morire».
Dopo la caduta di Giuseppe Schipani, catanzarese, al largo della Favorita, il forte di Vigliena, comandato dal prete cosentino Antonio Toscani, venne attaccato dai russi alleati del Cardinale Ruffo.
Per due giorni, 10 e 11 giugno, gli assediati resistettero e respinsero i sanfedisti con l'aiuto delle batterie delle navi dell'ammiraglio Francesco Caracciolo.
All'alba del 13 giugno, vista la resistenza dei patrioti, il Ruffo decise di lanciare tre compagnie di cacciatori calabresi comandati dal tenente colonnello Francesco Rapini di Reggio.
La lotta fratricida fu cruenta, continua, ininterrotta fino al tramonto: calabresi contro calabresi.
Dopo la scalata delle mura i difensori ripiegarono sotto l'urto dei Sanfedisti, senza scampo; il combattimento si trasformò in un corpo a corpo, al coltello.
Ad essa parteciparono Girolamo Arcovito , Antonio Toscani, Bernardo Pontari, (22 anni, di Reggio), Francesco Martelli (di Staiti) , Nicola Bosurgi, Domenico Muratori, Vincenzo Catalani, il medico Vincenzo Fabiani di Grotteria .
I feriti furono finiti al coltello dai lazzari quindi spogliati e derubati.
Gianni Aiello, dopo l'elencazione dei giacobini calabresi che vennero giustiziati, ha concluso la sua relazione con la proiezione di alcuni reziosi ed inediti documenti del periodo, quali quelli relativi alla spesa per la scorreria, la soldatesca di ordinanza d’istanza a Messina; alcuni atti notarili che testimoniano il passaggio di bastimenti ottomani ed uno con la bandiera raguscia (Dubronovic città slava) nelle acque dello Stretto, quello di una nave corsara inglese che ebbe ad informare un bastimento napoletano (atto del 10 maggio 1799) che la città di Livorno era in mano alle truppe francesi, consigliando l’imbarcazione di ripiegare su Messina.
Ha concluso l'incontro Orlando Sorgonà, trattando "La Repubblica napoletana del 1799 in antiche ballate popolari" evidenziando i vari stati d’animo relativi al breve ma intenso periodo della giovane e sfortunata Repubblica .
I giacobini meridionali pagarono con la vita il tentativo di aprire le porte del progresso civile nel loro Paese, impietosamente sterminati dalla repressione conservatrice, ma le idee non si possono fermare e oggi anche la nostra Costituzione, come la loro inizia con "la Repubblica è una e indivisibile", a indicare che i legami del "Contratto sociale" di Rousseau che fa di una comunità una nazione non possono essere recisi da convenienze temporanee (ciò che è economico è sempre temporaneo per sua natura in quanto perennemente variabile)