Continua la programmazione da remoto del Circolo Culturale "L'Agorà" che organizza una nuova conversazione sul tema della rivolta di Reggio Calabria del 1970. Il nuovo incontro, organizzato dal sodalizio organizzatore ha come titolo “Comitato per Reggio Capoluogo: iniziativa discutibile che ignora precedenti e legittimi Comitati sui fatti del ’70. Cosa ci ha detto l’Onorevole Aloi”. Nel corso della giornata di studi il gradito ospite del sodalizio culturale reggino ha avuto modo di analizzare il susseguirsi e l’evolversi dei vari Comitati per Reggio Capoluogo. Un’analisi della “Rivolta” di Reggio non può prescindere dall’individuazione di alcune rilevanti componenti e realtà che hanno operato all’interno della “vicenda”. È ciò per avere uno spaccato più esauriente di un fatto che ha rivestito un’importanza enorme sotto il profilo della storia meridionale. In primo luogo, va considerato il ruolo delle donne che, forse per la prima volta, si muovono in maniera decisamente unitaria, organizzandosi attraverso un “Comitato femminile” che viene a coagulare il bisogno di partecipazione rilevante del cosiddetto “sesso debole”, la cui incidenza è altrettanto incisiva. È la prima, o una delle prime volte, che la donna del profondo Sud esce dall’ambito meramente familiare (viene così superata la filosofia del “focolare domestico”!) per portarsi in piazza e testimoniare così la propria adesione ad una Causa che – così come hanno fatto gli uomini – non può non essere sostenuta, essendo la Causa di tutta la Città. È stato, in quei giorni, grazie alla presenza delle donne (cortei, iniziative, partecipazione a varie forme di solidarietà cittadine ecc.,) tutto un germinare di impegni nel sociale, che ha segnato per le donne e la Città una svolta. E da quel momento viene a tramontare la vecchia concezione della donna racchiusa tra le quattro pareti domestiche, tant’è che le successive, in ordine di tempo, assunzioni di responsabilità a livello socio-culturale vedono le donne positivamente protagoniste. E di ciò va dato qualche merito anche a quei momenti di impegno femminile per la Città! Un ruolo rilevante è stato svolto anche dai Comitati pro Reggio. Si tratta di organismi che vengono ovviamente alla luce quando, mancando l’apporto di forze politiche o sociali, i cittadini ritengono necessario, se non indispensabile organizzarsi dando vita a siffatta realtà. A Reggio, appena si incominciò a capire che le forze politiche davano segni di discutibile approccio alla “questione Capoluogo”, vennero fuori diversi Comitati, la cui storia e ben nota, anche e perché, all’interno degli stessi, si verificarono fatti e situazioni che portarono all’emarginazione di quelli che non si resero conto dello sviluppo degli avvenimenti. I tre Comitati, che in ordine di tempo, svolsero un ruolo nella battaglia per Reggio furono: 1) Il Comitato di agitazione, che ebbe come Presidente l’avv. Francesco Gangemi. Ad esso aderirono parecchi elementi di vari partiti, ma non riuscì a coagulare le varie realtà socio-politiche, per cui perse d’incisività e venne a confluire in un altro Comitato, quello “Unitario”. Anche in quest’ultimo di registro la presenza di vari elementi di settori politici diversi. Tentò di portare, attraverso l’organizzazione di una carovana, anche in provincia la proposta di “Reggio Capoluogo”, legandola alla prospettiva di industrializzazione della provincia. Il risultato non fu però molto positivo anche in considerazione del fatto che ormai la situazione politica diventava sempre più incandescente, per cui il discorso del possibilismo, del moderatismo finiva per essere più accentuato, essendosi capito che ormai il compromesso sulla questione “capoluogo” stava per essere consumato a danno della città. Di qui lo scioglimento del Comitato Unitario, quando si ebbe la notizia che il governo stava per usare contro la Città “metodi repressivi”! Una scelta quella dello scioglimento del Comitato, che venne adottata con profondi contrasti interni, essendoci ci riteneva che si dovesse continuare, quali che fossero state le conseguenze, la lotta per la Città. Ed infine il Comitato d’Azione, guidato da Ciccio Franco, e sostenuto dall’azione giornalistica di Totò Dieni che col suo periodico “Libertà e Lavoro” portò avanti la sua intransigente linea per Reggio Capoluogo. Ed è stato in quel momento, in cui rimase di fronte all’azione repressiva del governo solo il Comitato d’Azione, che la Città si trovò sostenuta sa un gruppo di uomini decisi fino in fondo, tant’è che molti di loro pagarono con processi, galera e confino la propria passione per la Città. Ed il popolo riuscì a capire come si dovesse seguire quegli esponenti del Comitato d’Azione che l’Unità ed i giornalisti della sinistra chiamarono “caporioni”. Il popolo, sì il popolo, nella sua estrazione più autentica capì l’importanza di quella battaglia: il “sottoproletariato” reggino, quello dei quartieri popolari, come S.Caterina e Sbarre, fu protagonista vero, perché il popolo sentì profondamente, a differenza di qualche sofisticato intellettuale che parlò di “capoluogo” come “pennacchio”, come l’attaccamento al campanile sia l’attaccamento alle “radici” più vere. È fu in quei momenti che, all’ingresso del rione S.Caterina, apparve un emblematico cartello su cui si leggeva: “La partitocrazia ha ucciso, in questa Città, la democrazia”. Una profetica intuizione, questa, che gli anni successivi avrebbero, purtroppo verificato! Ed il popolo scavalcò ogni steccato ideologico, dimostrando come certe barriere, quando la “casa brucia”, sono inaccettabili. E vennero fuori personaggi da settori diversi a testimoniare la propria adesione alla battaglia: chi può dimenticare il comandante Alfredo Perna, che proveniva da posizioni diametralmente opposte a quella di altri, lui che aveva fatto la “resistenza”, mentre chi si batteva come lui e vicino a lui aveva militato nella RSI; così come l’ex militante comunista stava accanto al “borghese” contro cui prima della “Rivolta”, aveva scagliato in nome dell’ideologia della lotta di “classe”, ogni sorta di maledizione sociale. Ecco come “i fatti del’70” hanno portato all’incontro delle “classi”, dimostrando che, quando si verificano avvenimenti di grande spessore morale e civile, le stesse vengono meno. E non è la prima volta che questo accade nella Storia. Un quadro, quindi, sociologicamente variegato, quello delle varie forze, che hanno dato vita ad una “vicenda” che ormai appartiene alla Storia del Mezzogiorno, che, con i suoi frequenti moti e con le sue antiche e nuove proteste, vuole sentirsi parte integrante di uno Stato, che non può né deve considerare l’Unità d’Italia una semplice aggregazione o peggio una conquista della parte più forte a danno di quella più fragile sotto il profilo socio-economico. (1)