È stato l'incontro “Nel sessantesimo della morte di Curzio Malaparte” ad aprire l'edizione 2017 del ciclo di incontri denominati „Serate al Chiostro” organizzati dal Circolo Culturale „L'Agorà”. Nel corso della conversazione culturale sono stati analizzati diversi aspetti dello scrittore, del giornalista, del militare, noto, soprattutto all'estero, per i suoi romanzi neorealisti a sfondo autobiografico basati sulla sua esperienza di vita. La parola, dopo i brevi cenni introduttivi, da parte di Gianni Aiello (presidente del Circolo Culturale „L'Agorà”), la parola è passata ad Antonino Megali (socio del sodalizio organizzatore). Leo Longanesi – esordisce Antonino Megali – dopo qualche giorno la morte di Malaparte avvenuta in una clinica romana il 19-luglio 1957, per un tumore manifestatosi durante un viaggio in Cina, così scriveva a Giovanni Ansaldo: ”Non fu nemmeno un grande statista: era soltanto un grosso manierista, ed un fiero bugiardo. Malato di narcisismo visse senza affetti, senza passioni, sempre davanti allo specchio. Finto toscano, credette di fare il becero: era invece un lanzichenecco, uno schiavone con segrete tendenze omosessuali. A leggere bene i suoi libri, ci si trova di fronte non a un voltairiano com’egli amava dipingersi, ma un crepuscolare: amava la mamma e i grand hotels.” E in passato i due si erano scambiate altre affettuosità. Malaparte usava definirlo il “nano maledetto” e Leo di Curzio diceva :” A un matrimonio vuol essere la sposa, a un funerale il morto”. Ma Longanesi non fu il solo a non essere benevolo con Malaparte. Prezzolini da New York si augurava che morisse presto e bene. Neanche Montanelli lo ebbe mai come amico. E per ricambiare la battuta fatta su di lui :”L’ultima cosa che mi dispiace è morire prima di Montanelli”, scrisse un ironico epitaffio: Qui /Curzio Malaparte/ ha finalmente/ cessato/ di piangersi/di compiangersi e di rimpiangersi./Imitatelo.E sempre Montanelli scriverà dopo la sua morte: Curzio ha trascorso gli ultimi giorni della sua vita a giuocare con l’idea della Morte come un gatto col topo, senz’avvedersi che il topo era lui. Ne parlava, come si parla di una persona di servizio…
Kurt Erich Suckert nacque a Prato 1898 da padre tedesco e madre milanese. In seguito i due divorzieranno. Curzio non ebbe col padre una grande confidenza, tanto che lo scrittore arrivò a considerare suo vero padre il marito della sua balia. Spavaldo e dalla forte personalità nel 1914 lasciò il collegio Ciccognini di Prato, lo stesso frequentato da D’Annunzio, per andare con i volontari garibaldini che combattevano in Francia. Ma il generale Peppino Garibaldi lo rispedì a casa, Venna accettato l’anno dopo con l’entrata in guerra dell’Italia. Nel 1918 combattendo contro i tedeschi fu vittima dell’yprite che gli produsse danni permanenti ai polmoni. Il cambio di nome avvenne nel 1925. Era incerto se dovesse essere Farnese, Borgia, Lamberti. Poi un giorno vide in casa di un amico un libretto di autore anonimo intitolato I Malaparte e i Bonaparte nel primo centenario di un Malaparte-Bonaparte. L’autore sosteneva che i Bonaparte in origine si chiamassero Malaparte e che il nome era stato cambiato per concessione papale. Da qui la scelta del nuovo cognome. Fu tutto e il contrario di tutto: Spavaldo, teatrale, vanitoso, cinico, opportunista, voltagabbana. Il suo amico Orfeo Tamburi sosteneva che fosse impossibile fare un ritratto di Malaparte. Come si fa a fare un ritratto di un camaleonte?. Fu fascista intransigente :” Duce sono ai vostri ordini e ai vostri disordini”, nonché autore della famosa Cantata dell’Arcimussolini: Spunta il sole canta il gallo o Mussolini monta a cavallo”. Ma poi per mostrarsi spiritoso raccontava di quando il Duce lo convocò per rimproverarlo dei pettegolezzi che faceva sulla sua mancanza di gusto nel vestire. E Malaparte rispose: Anche oggi uno sbaglio lo ha fatto Presidente non ha messo una cravatta a tinta unita sulla camicia a righe”. A soli vent’anni pubblicò- a sue spese perché respinto da tutti- Viva Caporetto, una delle sue opere migliori, dove c’è già tutto il suo tipico stile. Il libro gli provocò un sacco di guai. Venne picchiato dai compagni di università (era iscritto a Roma alla facoltà di Giurisprudenza), rotte le vetrine delle librerie che lo esponevano e i librai malmenati. Il volume fu sequestrato e poi ristampato con il titolo La rivolta dei santi maledetti. Nuovamente ritirato ne fu riproposta una nuova versione quando il fascismo prese il potere, ma il governo Mussolini lo sequestrò nuovamente. Anche Gramsci criticò violentemente il testo:" Il carattere prevalente del Suckert è uno sfrenato arrivismo, una smisurata vanità e uno snobismo camaleontesco: per aver successo il Suckert era capace di ogni scelleraggine”. Il suo nuovo cognome compare- insieme al vecchio- sul libro Italia barbara pubblicato da Piero Gobetti, l’ antifascista liberale a cui fu legato da una vera amicizia. Nella prefazione Gobetti lo definisce:” La più forte penna del fascismo”.Ѐ di questo periodo il duello con Pietro Nenni. Curzio era un buon tiratore di scherma e di sicuro affrontò sedici duelli, anche con fascisti. (Forse era un racconto inventato, ma sosteneva anche di essersi intrattenuto a tirar di scherma in Polonia presso l’Ambasciata italiana con l’allora nunzio apostolico Achille Ratti, futuro papa Pio XI). Quando Nenni lo accusò di essere “Un raccattatore di cicche comuniste” e di “Pornografia politica” Malaparte lo sfidò a duello. I suoi padrini erano Aldo Borelli e Italo Balbo. Svenne subito perché come spiegherà poi era digiuna da tre giorni. Difficile credere a questa versione, ma certamente non svenne per paura data la sua abilità di spadaccino. Nenni fu ferito due volte e non volle più riconciliarsi con lo scrittore. Molti anni dopo Curzio fece una satira in versi sull’avvenimento che così iniziava :”

                                            O Pietro Nenni ti rammenti
                                             quando eravamo due lattoni?
                                            Tu mi mandavi gli accidenti
                                            Io di rimbalzo ernie e bubboni.
                                           Io come un cane ti mostravo i denti
                                           Tu come un gatto mostravi gli unghioni.

Aderì in quel periodo alla corrente di Strapaese pubblicando sul Selvaggio di  Mino Maccari le ballate dell’ Arcitaliano; poi passò all’opposta corrente di Stracittà e scrisse pe il “900” di Bontempelli. Fu anche redattore capo del Mattino di Napoli. Poi il gran salto. Proprio a Napoli conobbe il senatore Giovanni Agnelli, proprietario della Fiat e della Stampa,  il quale era scontento delle vendite del suo quotidiano. Dovette però andare da Mussolini per chiedere il nulla osta per nominare direttore Malaparte. Il Duce restò indeciso poi disse al Senatore:”Mi congratulo per il suo coraggio”. La cura Malaparte diede i suoi frutti: in due anni aumentò di prestigio e di tiratura pur criticando talvolta il regime. Fece collaborare alla terza pagina Alvaro, Prezzolini, Praz, Vittorini, Moravia e Campanile. Dopo due anni il brusco licenziamento e le vere ragioni non si conobbero mai bene. Di sicuro la sua testa saltò nel gennaio 1931 per volere di Agnelli e non del regime. Fu attribuito ad una relazione stabilitasi tra Malaparte e Virginia Agnelli,   nuora del Senatore. La relazione ci fu, ma è datata quattro anni dopo, quando ormai era anche vedova. Fra l’altro in quel periodo  aveva un’altra donna che chiamò sempre Flaminia con la quale si trasferì a Parigi dopo il licenziamento . E sembra che la sua defenestrazione dal giornale sia stata causata dal fatto che lo scrittore chiese a Mussolini l’allontanamento dell’amministratore delegato perché antifascista. Agnelli prima cercò di opporsi poi lo fece dimettere, solo però dopo aver ottenuto il licenziamento di Malaparte. Poiché ne abbiamo fatto cenno, soffermiamoci ora sul suo rapporto con le donne.  Come scrive Guerri nella biografia dello scrittore “A Malaparte le donne non interessavano”. Non era né un collezionista di conquiste né un amante focoso e insaziabile. Il sesso per lui veniva dopo la carriera professionale.  E anche dalle sue opere erano escluse perché come scrisse in una lettera del 1950 a proposito del film che stava preparando :” Non amo mischiare le donne alle storie degli uomini. La vita degli uomini è abbastanza tragicamente complicata senza aggiungervi le sdolcinature femminili. Tuttavia, ho dovuto mettere in scene delle donne, perché le donne esistono nella natura e nella società, e il pubblico vuole vedere anche loro in una storia ben bilanciata”. Eppure ne ebbe tante di donne perché gli piaceva essere amato e invidiato. In Donna come me descrive la sua donna ideale:” Alta e bruna la vorrei,  di fianchi pieni e snelli dalla piccola testa di statua. Una testa di lucertola, lievemente triangolare.  I capelli corti e ricciuti, morbidi come le piume di certi uccelli e facessero un vivo contrasto col viso pallidissimo e spaurito…Vorrei che i moti, gli istinti, i sentimenti, propri della virilità ,si ritrovassero anche in lei, se pur  attenuati e avviliti…Vorrei che fosse mia madre. E avere in lei, amante, la stessa confidenza, lo stesso abbandono, che il bambino ha verso la madre”. Questo tipo di rapporto l’ebbe in un certo senso con Virginia Agnelli durato all’incirca dal 1935 al 1939. Curzio passava per essere un bell’uomo. Susanna Agnelli lo descrive così:”  Lo era bello, in una strana maniera esotica. Aveva i capelli neri liscissimi, lucidi come velluto, tirati all’indietro su una testa molto rotonda. Le ciglia, che erano una cornice spessa intorno agli occhi scuri e brillanti, facevano parte del suo sguardo. Quando sorrideva le sue labbra si incurvavano e scomparivano; i suoi denti erano bianchi e animaleschi”. Anton Giulio Bragaglia fin dal 1923 lo aveva messo in testa a una classifica dei “belli di terza pagina”. Le sue guance erano lisce e tese perché sembra che quando era steso a letto fosse solito mettere due bistecche crude sul volto. Si diceva usasse anche la cipria, il rimmel alle ciglia e che si radesse perfino le ascelle. La relazione con Virginia inizia dopo la morte del marito. Curzio le dedica anche una poesia dal titolo Solo per te :

                              Solo  per te, Virginia, solo per te
                               aprirò il cielo notturno alla mia fronte,
                               il sapore del mio sangue solo per te,
                                Virginia, brucerà la bianca notte d’estate.

La relazione non piacque al vecchio Senatore che arrivò al punto di far togliere a Virginia la patria potestà. I figli le vennero poi riconsegnati  anche perché Mussolini intervenne a suo favore. Negli anni seguenti il rapporto diventa sempre meno forte e si conclude alcuni anni prima della morte di Virginia dovuta ad un incidente automobilistico nel 1945. Anni dopo un’altra relazione clamorosa. Una giovane americana, Jane Sweigart si suicidò e Malaparte fu ritenuto il responsabile. L’aveva ospitata nella sua villa di Capri per impedire che fosse rimpatriata, poi non ne volle più sapere di lei. La giovane va a Ostia, prende tre tubetti di sonnifero e poi si getta in mare. Ripescata, entra in coma. “Se vive, la sposo” ripeteva a tutti Malaparte. Ma un cronista commenta:” Jane è morta mentre Malaparte piangeva come il coccodrillo...In compenso le compra una tomba al cimitero degli inglesi. Un mese dopo, in treno, conversando con Orfeo Tamburi ricordando la giovane dice:" la storia dell’americana non è andata poi tanto male…hai visto quanta pubblicità m’ha portato?”. Di sicuro, più che le donne, lo scrittore amò i cani, tanto che quando morì il suo Febo, usò parole così dolci, mai riservate a nessuno e gli fece anche un monumento funebre davanti alla villa di Capri. Quando arrivava in una nuova città, in casa o in albergo, passava le prime notti alla finestra ululando e abbaiando per richiamare i cani della zona. Dopo il licenziamento da direttore della Stampa si stabilì in Francia. Qui scrisse Tecnica di un colpo di Stato che in Italia comparve solo nel 1946. Nel suo soggiorno francese in un epistolario con Nello Quilici, accusò Italo Balbo di complottare contro il regime. Per questo fu mandato al confino. Pima a Lipari, poi grazie all’intervento di Ciano a Ischia e in seguito a Forte dei Marmi  spiaggia da lui amata. Dal confino continuò a scrivere per il Corriere della Sera con lo pseudonimo di Candido. Per il giornale farà anche l’inviato speciale di guerra in Africa, Spagna e Russia. Il suo rientro ufficiale nel giornalismo avviene con la rivista Prospettive, fondata nel 1937 definita dallo scrittore “Italianissima e fascista per spirito”. Ciò significò una rinnovata adesione al fascismo. Durò fino a marzo 1942. Il suo capolavoro Kaputt, iniziò a scriverlo nel 1941 in un villaggio dell’Ucraina e continuato in Polonia e in Finlandia.  L’ultimo capitolo fu completato dopo la caduta del regime a Capri. Fu definito un libro crudele dallo stesso autore. Nessuna parola-ha affermato- meglio della dura parola tedesca Kaputt, che letteralmente significa rotto, finito, potrebbe dare il senso di ciò che noi siamo, di ciò che ormai è l’Europa :un mucchio di rottami. Ѐ un viaggio attraverso gli orrori della guerra fra episodi drammatici e crudeli. Una stoccata è anche riservata, nel finale, alla società romana:”Col suo servilismo interessato, la sua avidità di onori e di piaceri, la sua indifferenza morale, propria di una società intimamente guasta”. Il libro che venne dopo Kaputt, La pelle ebbe un successo straordinario tanto da far scrivere allo scrittore:” Il successo del mio libro è madornale . Mi fa perfino ridere talvolta… Conosco i limiti attuali della mia opera, so benissimo che potrò far meglio, e farò meglio e so perfettamente che Kaputt è molto migliore. E allora perché tanto chiasso intorno alla Pelle, che non vale un unghia di Kaputt?”. Il suo giudizio letterario è da condividere. Nonostante questo le reazioni politiche e della critica furono feroci (Cecchi lo definì fabbricante di bolle di sapone terroristiche). L’opera venne messa all’indice dal Santo Uffizio. A Napoli che si riteneva offesa, si ebbero comizi e dimostrazioni e lo scrittore fu invitato a non mettere più piede nella città partenopea. Ricordiamo che il libro si sarebbe dovuto intitolare La peste. Ma dopo la pubblicazione dell’opera di Camus con lo stesso titolo, divenne La pelle. L’opera, va detto subito fu giudicata non per il valore letterario (inferiore ad altre suoi libri), ma della descrizione della Napoli di allora. Quella di Kaputt era “illuminata da una bellissima speranza”,” ora ha l’aspetto di una macabra festa, di Kermesse funebre, con danze di negri ubbriachi e di donne quasi nude o nude addirittura nelle piazze e nelle strade, fra le rovine delle case distrutte dai bombardamenti”. Malaparte oppone la dignità della lotta per non morire quando in guerra non si vende il corpo al nemico si preferisce soffrire la fame e si combatte contro i nemici alla lotta per vivere quando per la fame e per salvare la pelle ognuno è pronto a “Vendere la propria moglie le proprie figlie a insozzare la propria madre, a vendere i fratelli e gli amici a prostituirsi a un altro uomo.Ѐ pronto a inginocchiarsi a strisciare per terra a leccare le scarpe a chi può sfamarlo, a piegare la schiena sotto la frusta, ad asciugarsi sorridendo la guancia sporca di sputo: ed a un sorriso umile, dolce, uno sguardo pieno di speranza famelica, bestiale…”Il vero, il solo programma di ogni italiano è di essere in buoni rapporti con il partito al potere. Non sappiamo se lo scrittore pensò a questa sua frase quando chiese la tessera del partito comunista prevedendo nell’immediato futuro (l’anno era il 1944) una vittoria comunista. Era infatti esclusa una scelta ideologica perché la sua visione della vita era l’opposto. Forse voleva nuovamente far parte di una rivoluzione. Scrive nel suo ultimo articolo tra quelli pubblicati nel breve periodo di collaborazione all’Unità:” O l’antifascismo è rivoluzione, o non è che ripiego, compromesso politico, provvisorio rimedio, non è che rinvio”. Quando poi non gli fu concessa l’iscrizione al partito comunista- nonostante Togliatti provasse per lui una certa simpatia- Malaparte la prese male e la considerò un’ingiustizia e tornò ad essere anticomunista, anarchico, qualunquista. L’uomo politico preferito è De Gasperi perché ha capito che “ l’antifascismo non che l’immagine rovesciata del fascismo”. Ma poi ne ha per tutti . Per Einaudi : O Presidente faccia onesta/non arrossisci di vergogna?/ Spenti i lumi, finita la festa / non ci riman che salire alla gogna. Per Togliatti: Prima fai il furbo e poi ti penti? /Ti genufletti e poi ti duol la schiena ?/ Gionata sei, che con gli altri escrementi/ fa capolino, e il Papa è la balena. Per Saragat :” Perché non dici mai quello che pensi/ perché non pensi mai quello che dici?/ ahi, tu mentisci quando il vero dici, e dici il falso quando il vero pensi. Mentir dicendo il vero/ è il sol tuo modo d’essere sincero. Oltre a essere stato sindacalista, soldato, giornalista,scrittore, fascista e comunista, fu anche regista e attore. Con la sua regia nasce nel 1950 Il Cristo proibito, nel quale scrive soggetto e dialoghi e ne compone anche la musica. Il film vuole essere popolare, non neorealista, e vuole rappresentare i problemi immediati del popolo italiano, oltre il reinserimento dei reduci nella società. Gli attori sono Raf Vallone, Elena Varzi, Anna Maria Ferrero e Gino Cervi. Il film fu un fiasco totale sia di critica che di pubblico. Da attore invece compare nello spettacolo di varietà Sexophone dove tutti gli uomini politici vengono presi in giro, talvolta con battute grossolane. Fanfani è “Mens sana in corpore nano” e sulla Cassa del Mezzogiorno :”Ѐ mezzogiorno aprite la cassa “. Lo spettacolo di varietà fu un altro insuccesso  e Malaparte fu fischiato. Negli ultimi anni di vita lo scrittore pratese non fa altro che viaggiare attraverso diverse nazioni. Visita il Brasile, il Cile, l’Argentina, la Germania, la Russia e la Cina. Vuole rendersi personalmente conto delle trasformazioni sociali verificatesi in questi popoli. E fu proprio in Cina che si manifestò la malattia i cui sintomi erano già apparsi qualche anno prima che erano state attribuite ai postumi di Bligny. Si trattava di un carcinoma bronchiale in stato avanzato. Curato prima in Cina in tre diversi ospedali fece poi ritorno in Italia e uscito dall’aereo tornò ad essere il Malaparte di sempre e controllò chi era venuto ad accoglierlo dicendo a chi lo aiutava a stare in piedi:”Guarda, c’è Moravia che piange”. Quattro mesi dopo morì nella clinica Sanatrix. Nessuna agonia nessuna morte furono seguite con tanta attenzione. Il tempo illustrato ne fece un resoconto in diretta. Al suo capezzale si alternano uomini politici di opposta ideologia oltre a giornalisti e altri amici. Nell’aprile 1957 Togliatti aveva comunicato allo scrittore la sua iscrizione al partito comunista italiano. Ma incominciarono a frequentare la stessa stanza due religiosi, padre Rotondi e padre Cappello. Il primo si diceva fosse il confessore di PioXII. Restò un mistero l’iter che portò lo scrittore alla conversione, non da tutti avallata. Un mese prima della morte chiese il battesimo. Poi pochi giorni prima del decesso volle aver vicino padre Rotondi. Il gesuita raccontò poi che lo scrittore si era confessato, comunicato, rinnegato il libro La pelle e strappato la tessera del PCI. Fu sepolto sullo Spazzavento il monte che domina la valle di Bisenzio che si affaccia a picco su Prato. In vita aveva progettato la villa di Capri che domina uno dei paesaggi più belli del mondo e la chiamò “Casa come me”. Aveva comprato il terreno dopo aver visto Capri e poi ottenne la licenza edilizia grazie alla amicizia con Galeazzo Ciano. Dopo la sua morte voleva che fosse destinata agli studenti cinesi, ma gli eredi contestarono il testamento e così divenne proprietario una Fondazione intitolata al suo nipotino ucciso da una granata tedesca durante l’ultima guerra. Il Malaparte migliore resta quello delle corrispondenze e degli articoli pubblicati nella rubrica” Battibecco” che ebbe un enorme successo. Il Tempo illustrato, il giornale su cui veniva pubblicata guadagnò subito cinquantamila copie. Ed è in questa rubrica che denunziava gli errori e le viltà dell’Italia. L’Italia- come scrisse- dei servi e dei padroni; un’Italia spregevole che non merita né pietà né rispetto. Essa non ha nulla a che fare con l’Italia vera, umiliata, ricattata, affamata, tradita. E non si dica che l’Italia è talmente avvilita che non può sopportare la verità, e che ha bisogno della menzogna per vivere e sopravvivere. Se non sopporta la verità, crepi pure. Io non so che farmene di una patria che non sopporta la verità. Un’ultima considerazione che ci riporta ai giorni nostri. Ci è sembrata giusta la decisione di non assegnare il premio Strega postumo a Malaparte. L’idea lanciata di recente da Veltroni aveva raccolto un centinaio di firme tra scrittori e intellettuali. Avrebbe dovuto essere una sorta di risarcimento perché nel 1950 quando concorse- contro la sua volontà- con La pelle, fu bocciato e preferito Cesare Pavese (alla fine disse : Io bevo Champagne non Strega). Perché assegnare un premio a un morto a cui, da vivo, non voleva partecipare?

ShinyStat
22 luglio 2017
la conferenza
F.VEGLIANI, “Malaparte”, Guarnati ,1957
G. MARTELLI, “Curzio Malaparte”, Borla, 1968
G. GRANA,”Malaparte”, La Nuova Italia Editrice,1968
O. TAMBURI,”Malaparte come me”, Editoriale Nuova, 1979
G. B. GUERRI,”L’Arcitaliano” , Bompiani, 1980
C.MALAPARTE. “Coppi e Bartali”, Adelphi. 2009
C.MALAPARTE. “Kaputt”, Adelphi. 2009
C.MALAPARTE. “La pelle”, Adelphi. 2010
C.MALAPARTE. “Tecnica di un colpo di Stato”, Adelphi. 2011
C.MALAPARTE. “Il ballo al Kremlino”, Adelphi. 2012
M. SERRA, “Malaparte vite e leggende”, Marsilio, 2012
C.MALAPARTE. “Maledetti toscani”, Adelphi. 2017