Prendendo spunto dal titolo del lavoro di Sthendal, manifesto letterario che da avvio alla grande stagione del realismo ottocentesco si passa ai fatti prettamente storici di Caulonia.
Ad introdurre la serata è stato il presidente del sodalizio reggino Gianni Aiello che si soffermato sul significato dell’incontro.
La prima parte della serata è stata rivolta ad un ampio excursus storico-sociale, ed in particolare del protagonista Pasquale Cavallaro, ad opera dell'intervenuto Zangari, il quale si è basato su elementi ricavati da un’inchiesta apparsa su “Vento del Sud” nel Luglio – Agosto 1975.
Pasquale Cavallaro era figlio di un proprietario terriero di S. Nicola, frazione di Caulonia. Il padre lo aveva mandato a studiare a Catanzaro dove aveva conseguito il diploma magistrale. Era figlio unico, ed appena in possesso del titolo ritornò a S. Nicola con la speranza di intraprendere la carriera di insegnante.
Aveva appena svolto qualche supplenza quando scoppiò la prima guerra mondiale e fu chiamato alle armi. Nel 1917 rientrò dal fronte per una licenza e fu colto da una broncopolmonite che lo costrinse a letto obbligandolo, dietro presentazione di certificato medico, a chiedere una proroga della licenza di dieci giorni.
Comandava in quel periodo la locale Caserma dei Carabinieri il Maresciallo Mura, uomo severo e molto ligio alla disciplina militare, che non intese accogliere la richiesta del Cavallaro.
Per tutta risposta il nostro invece di rientrare al fronte si trasferì in un'altra casa per cui allo scadere della licenza gli piovve addosso un mandato di cattura per diserzione.
Da qui ha origine la vita movimentata e rivoluzionaria del Cavallaro con tutte le implicazioni politiche ed avventurose che ne seguirono e che cercheremo di ricostruire per amore della verità storica e per ridicolizzare tutte le strumentalizzazioni che furono imbastite intorno alla figura ed all'opera di questo uomo.
Caulonia in quel periodo era un grosso centro agricolo. La popolazione contadina viveva nella più nera arretratezza ed a tutto vantaggio di poche famiglie arroccate sui loro privilegi economici ed ereditari. Inesistente una categoria intermedia di professionisti o di ceto medio: anche le attività loro pertinenti erano appannaggio dei vari signorotti del paese.
Il Cavallaro, figlio di un modesto proprietario, diplomato a Catanzaro, non aveva incontrato i favori delle persone abbienti del paese che si vedevano insidiati da un individuo di modesta estrazione sociale.
Pasquale Cavallaro, il figlio Ercole e Guido Verdiglione da: Caulonia, dal Fascismo alla "Repubblica" di Orazio Raffaele Di Landro
In poche parole era malvisto.
Il maresciallo Mura applicava la legge senza urtare però la suscettibilità dei potenti: cosicché era più facile incorrere nei rigori della giustizia da poveri che da ricchi.
Ad un certo punto il Cavallaro, essendo ricercato, dovette fare una scelta: consegnarsi o rendersi latitante. Egli scelse la seconda strada e si unì quindi ad una banda che allora costituiva la «’ndrangheta» di Caulonia.
Data la sua cultura, le sue capacità oratorie, il suo talento e la sua megalomania ne divenne il capo con lo scopo però, come egli stesso confessò in un secondo tempo, di persuadere ladruncoli e furfantelli a ritornare sulla retta via ed a fare gli uomini onesti.
Se si considera che non si era mai professato cattolico e nemmeno ateo, alla base della sua anima diremmo agnostica vi era l'ansia di essere qualcuno e di manifestarsi.
In un altro momento storico e precisamente alla vigilia della seconda guerra mondiale un suo intimo amico che lo seguì poi in tutte le sue vicissitudini, in quel momento di esaltazione collettiva a favore della guerra, gli chiese: «Professore, ritenete giusta e necessaria la guerra?» Egli rispose in modo evasivo: «Professore, ritenete giusta e necessaria la guerra?» Egli rispose in modo evasivo: «Secondo il mio grande ideale la guerra non posso augurarla, ma ritengo che ». L’amico replicò: «E qual’è questo vostro grande ideale?»
Cavallaro rispose: «Non siete in grado di capirlo».
In quel momento quindi non si compromise, non disse se il suo grande ideale fosse rappresentato dal fascismo, dal comunismo, o dal cattolicesimo.
Un fatto è certo: non si ricordano nette prese di posizione di Cavallaro contro il fascismo nel periodo del ventennio.
Addirittura esiste una poesia di Cavallaro in cui viene magnificata la figura di Mussolini.
Non contrastò d'altra parte le simpatie verso il fascismo del figlio Libero, volontario in guerra con gli avanguardisti, creatore di opere d'arte che esaltavano il fascismo, tra le quali un cavallo lavorato così bene che meritò l'esposizione ad una manifestazione a Roma accanto al secondo gagliardetto fascista d'Italia che era quello di Caulonia.
Gli scontri che Cavallaro ebbe negli anni 1922-1923 con il Prota, console della Milizia e lo Zurzolo, graduato fascista, avevano origini più che politiche, sociali. Cavallaro, nativo di S. Nicola, era il primo contadino istruito, volitivo, di temperamento focoso che scendeva in paese e osava ostentare nessuna sottomissione ai signorotti del tempo. Ecco quindi che i contrasti si svilupparono sul terreno delle origini sociali con naturali conseguenze politiche dato che nessuno in paese si era sottratto alle generale esaltazione della affermazione fascista.
Il mandato di cattura per diserzione già lo aveva qualificato come un ribelle, a ciò si aggiunse un oscuro episodio che lo vide al centro di un processo per omicidio. Era stato ucciso un certo Portare, zio di Cavallaro, noto come spia dei carabinieri.
Il Portaro pare che fosse a conoscenza del nascondiglio di Cavallaro nel periodo della latitanza, per cui fu imbastito un collegamento tra il ritrovamento di Cavallaro da parte dei carabinieri e l'uccisione di Portare per vendetta da parte del primo. In sede di processo però il Cavallaro fu assolto per insufficienza di prove.
In questo modo il suo dossier penale aumentava a dismisura e giunse un momento veramente critico: accettare la qualifica di delinquente comune o quella di perseguitato politico.
La seconda soluzione consentì al Cavallaro di ottenere il confino invece del carcere. Al confino godette di una certa libertà d'azione, ebbe la possibilità di avere i figli vicino, fece l'insegnante dando lezioni private e guadagnando dalle 5 alle 8 lire al giorno, era libero di muoversi durante la giornata, dovendo rispondere solo all'appello serale.
Alla luce quindi di quanto avvenne sembra logico pensare che il suo antifascismo fu veramente calcolato e fu un alibi per i suoi precedenti penali. Era naturale quindi che tutti questi avvenimenti avevano contribuito a dare un chiaro marchio antifascista al Cavallaro: si trovava pertanto isolato fra la gente contadina, era considerato peggio di un appestato dai ricchi signori più o meno nobili che indossavano trionfalmente la camicia nera.
Nel 1943 quando sbarcarono gli americani, Cavallaro era un tranquillo maestro di campagna che viveva dando lezioni private ed a tutto pensava meno che a fare il martire antifascista.
Gli Alleati decisero di sistemare le cose insediando Sindaco di Caulonia Saverio Asciutti, una persona di nessuno spicco politico e la cui unica virtù era quella di appartenere alla categoria degli altolocati e dei benestanti del paese: in poche parole la speranza di rinnovamento che si era accesa con l'arrivo degli americani moriva sul nascere.
Alcune frazioni del mondo contadino e dei piccoli proprietari (da cui traeva origini il Cavallaro) che avevano dovuto subire il predominio di un gruppo di famiglie che si era servito del regime per meglio imporre il proprio costume basato sullo sfruttamento e sull'oscurantismo, si sentirono certamente ingannate dalla decisione degli Alleati.
Cominciarono pertanto a dare segni di insofferenza, tumultuando in occasione della festa di S. Ilario e deprecando pubblicamente la nomina a sindaco dell'Asciutti.
In occasione di una di queste manifestazioni di dissenso si cominciò a fare il nome di Cavallaio come sindaco della città.
Questi d'altronde aveva un seguito notevole tra i contadini; prima ancora del ventennio aveva dimostrato amore per la terra e spirito di sacrificio: a sue spese aveva tracciato una strada carrozzabile da Caulonia a Rose.
Era stato generoso con tutti e quindi il momento era favorevole per ribaltare una situazione politico – sociale a favore delle categorie meno abbienti.
Di fronte a tale manifestazione di protesta il neo sindaco Asciutti coraggiosamente si chiuse in casa, mentre il Cavallaro che abitava dietro la sede Municipale entrò in contatto con le forze alleate (conosceva molto bene l'inglese) ed ottenne la nomina a sindaco di Caulonia.
La nomina fu subito appoggiata dagli esponenti comunisti della Provincia, Enzo Misefari e Musolino e ratificata dal Prefetto Priolo di Reggio Calabria. Come pure tutti quegli sventurati che durante il ventennio avevano subito le prepotenze del "Circolo dei Nobili" e le vessazioni di un maresciallo Mura si riconobbero in Cavallaro e nella bandiera di riscatto che lo stesso agitava.
Pasquale Cavallaro aveva in quel momento in casa due figli: Ercole di 16 anni e Leone di anni 12.
Questi ragazzi svolsero un ruolo importante nella rivolta di Caulonia, anzi potremmo dire che determinarono con le loro azioni i fatti di Caulonia.
Con la nomina a Sindaco di Pasquale ormai la situazione in Paese si era capovolta a favore dei "proletari". Ercole e Leone seduta stante si erano posti a capo di un gruppo di ragazzi con lo scopo preciso di umiliare i ricchi del paese e i Carabinieri.
Uscivano la sera armati (con armi scariche) molestando chi capitava e rubacchiando in giro.
Non eseguirono certamente perquisizioni in case di fascisti (come è stato detto). Erano cose di poco conto ma in quei tempi bastava poco per buscarsi un mandato di cattura. E fu proprio quanto capitò ad Ercole Cavallaio e ai suoi amici.
In quei giorni arrivò a Caulonia un nuovo carabiniere che soprannominarono "il biondino" il quale pensò bene di porre fine a questo stato di cose con un’azione decisiva.
Avuta una sera una segnalazione che l’Ercole Cavallaro si trovava al Ristorante "Miramare" vi si recò e dopo averlo arrestato lo condusse alle carceri di Locri e lo fece regolarmente rinchiudere.
II fratello maggiore di Ercole, Libero, che era ritornato in quei giorni dalla Grecia, si era tenuto al di fuori della mischia anche perché non aveva condiviso il fatto che il padre facesse il capo comunista.
Di fronte però all'arresto di Ercole, Libero decise una manifestazione di forza pensando di premere presso la Magistratura ed ottenere la scarcerazione del fratello.
In un pomeriggio del marzo 1945 radunò un centinaio di uomini nelle campagne e al tramonto tutti insieme bloccarono il telefono della Società Elettrica che era l'unica fonte di comunicazione tra Caulonia ed il mondo esterno.
Fu fermato l'addetto, Amendolia, e fu dato l'allarme generale.
L'indomani mattina avvennero i primi sequestri.
Ma bisogna fare attenzione. Sequestri di quali fascisti? Caulonia era un centro fascistizzato all'estremo. Tuttavia, l'ing. Franco ad esempio, uno dei sequestrati, non era un fascista era stato sempre un repubblicano ed all'origine del suo fermo c'era il seguente episodio: il Franco possedeva un frantoio presso il quale lavorava un operaio che fu licenziato in tronco in seguito ad una lite, pur essendo un padre di famiglia. Pasquale Cavallaro, nell'intento di bloccare il sopruso, scrisse un articolo su «II lavoratore» di Reggio Calabria accusando il Franco di usare metodi deplorevoli ed antiumanitari.
Il Franco reagì alle accuse diffondendo un volantino con il quale definiva il Cavallaro un relitto umano e respingeva l'accusa di nostalgico specie perché pronunciata da un uomo che aveva un figlio (Libero) di fede fascista.
Libero in quel periodo era ritenuto disperso in guerra ed in casa Cavallaro questa circostanza aveva imposto il lutto stretto.
L'offesa quindi era atroce perché toccava Pasquale nei suoi sentimenti paterni.
Fu questo episodio che spinse Libero a operare il primo sequestro nella persona dell'ing. Franco il quale ricevette 16 frustate e fu poi rilasciato.
Un fascista fermato, certo Lucano, subì il sequestro perché in precedenza aveva avuto una discussione con un nipote di Cavallaro e gli aveva sparato ad un piede.
II giorno successivo fu prelevato il pretore Cananzi e gli fu ingiunto di recarsi a Locri per ottenere dal Procuratore l'immediata scarcerazione di Ercole Cavallaro.
Il notaio Pipino, appreso il fatto, essendo amico del Cananzi, si recò a casa dello stesso per portare conforto ai familiari. Imbattutosi nel portone di casa in alcuni uomini di Cavallaro che gli avevano intimato l'alt reagì con frasi pesanti per cui fu preso di peso e scaraventato in mezzo alla strada con quattro bastonate.
Abbiamo citato alcuni degli episodi più noti e significativi dei primi due giorni di rivolta per evidenziare i caratteri umani e politici e nello stesso tempo ribadire la condotta di Pasquale non partecipe in prima persona a nessuno di questi fatti: divenne un capo in virtù degli eventi da altri determinati, come era diventato poco tempo prima sindaco.
I signori ed i benestanti, dal canto loro, visto che le cose si erano messe in un determinato modo avevano fatto buon viso a cattiva sorte e si erano tappati disciplinatamente in casa, inviando agli insorti viveri ed alimenti di ogni genere.
Anche l'uccisione del prete Gennaro Amato ebbe uno sfondo più personale che politico (delitto d'onore?). Don Amato aveva un debole per le donne ed in particolare era l'amante della moglie dell'omicida.
Fino a quel momento lo stesso aveva tollerato le corna, con la rivolta in atto non se la sentì più e si sbarazzò del prete.
Per il resto la vita in città si svolgeva in maniera normale. Il centro era occupato dagli agitatori di sinistra: contadini e disoccupati.
Il pullman viaggiava regolarmente: dall'esterno si entrava in Caulonia con il visto della sezione del PCI.
La rivolta che era cominciata con l'arresto di Ercole Cavallaro si spense con la sua scarcerazione che avvenne il terzo giorno. Non appena rientrato in paese, i comunisti per festeggiare la vittoria e porre fine allo stato di agitazione, organizzarono un corteo ed issarono alle porte di Caulonia una bandiera rossa ed una bandiera bianca, quest’ultima in segno di resa e di pace.
Ma evidentemente non tutti la pensavano allo stesso modo e forse i primi a non condividere questa resa erano gli stessi Cavallaro: i figli più del padre.
Nella campagna si andava intanto spargendo la voce che scarseggiavano i viveri, che la farina non veniva distribuita: coloro i quali ritornavano alle loro case, dopo aver partecipato al movimento insurrezionale, si sentivano estremamente euforici e furono portati a trasmettere ad altri il loro stato d'animo.
Avvenne cosi che il movimento insurrezionale che si andava spegnendo a Caulonia si accendeva nelle campagne e si estendeva in territori della provincia di Catanzaro.
É difficile dire quanto abbia contribuito a questa ribellione l'azione personale e diretta del Cavallaro, è certo però che in ogni caso egli costituiva un punto di riferimento preciso per ogni azione rivoluzionaria.
Il prefetto di Catanzaro, informato in maniera alquanto esagerata di quanto avveniva ai confini della sua provincia, mobilita l'arma dei Carabinieri per contrastare l'insurrezione.
Altrettanto fece il prefetto comunista di Reggio Calabria, Priolo, dando ordine ai Carabinieri di marciare decisamente su Caulonia.
Nella città di Caulonia, con grande sgomento di Cavallaro che risultava sempre segretario di una sezione comunista, si venne a sapere che avanzavano verso la città i carabinieri preceduti da fascisti che cantavano gli inni della rivoluzione.
Tenta il Cavallaro quindi di entrare in contatto con il prefetto Priolo affinché venga fermata questa gente e per spiegargli i fini del movimento insurrezionale di Caulonia: aveva preparato all'uopo una lettera che doveva pervenire al Priolo tramite i dirigenti provinciali del partito.
Le cose si mettevano male e la situazione andava evolvendo verso uno scontro diretto tra la popolazione di Caulonia e l'arma dei Carabinieri.
Il Misefari non trova di meglio che mandare Musolino a prelevare Cavallaro per portarlo a Reggio Calabria ed avere un incontro con il Prefetto Priolo e affrontare la questione. Sulla strada tra Caulonia e Roccella una pattuglia di Carabinieri fermò l'auto che trasportava Cavallaro a Reggio Calabria e Cavallaro fu arrestato e poi rinchiuso nelle carceri di Roccella.
La verità storica vuole che su quella strada mai vi erano stati pattugliamenti dei Carabinieri e che molto sospetta apparve la presenza di quella pattuglia a quell'ora e su quella strada. Il tradimento quindi era compiuto.
In carcere Cavallaro, il movimento insurrezionale si arrestava. Difatti non appena entrarono i Carabinieri a Caulonia i figli di Cavallaro furono costretti a scappare: furono presi soltanto un mesetto dopo mentre dormivano in un pagliaio.
Intanto la repressione a Caulonia fu violenta.
I rivoltosi furono rinchiusi nel mattatoio, bastonati e torturati. Stranamente il prefetto Priolo mandò a guidare ed organizzare la repressione proprio quel maresciallo Mura, di famigerata memoria, che era stato tanto caro ai fascisti ed ai “nobili” del paese.
La gente nelle campagne si disperse ed i Carabinieri, avuta carta bianca, interruppero qualunque ansia di rinnovamento e dissuasero i contadini ad organizzare la resistenza.
Il ministro della Giustizia, Togliatti, non alzò un dito a favore di Cavallaro e del suo movimento contadino, anzi i suoi interventi successivi suonano in tono giustificativo dell'operato dei dirigenti del partito che preferirono obbedire ad una logica repressiva ed anti – proletaria anziché assecondare la speranza di un popolo che in Caulonia vedeva l'inizio per spezzare una quasi secolare catena di umiliazioni e di intimidazioni.
Bisognava in quei giorni avere il coraggio di credere nella terra e nella funzione che contadini e braccianti potevano svolgere in una società rinnovata: ma l'arresto di Cavallaro sintetizzò un indirizzo diverso delle forze di sinistra a discapito di povera gente che aveva creduto in una bandiera in buona fede e con entusiasmo.
Tra l'altro, fra gli uomini del PCI, serpeggiava una certa invidia cocente nei confronti di Cavallaro, dotato di capacità oratorie e trascinatrici che costituivano una seria ipoteca sulle future battaglie politiche ed elettorali: quindi tutto l'apparato del partito vide con piacere scomparire quest’uomo dietro le sbarre di un carcere.
Ed il calvario di Cavallaro non terminò solo con la galera ma, scontati i sette anni, si recò a Roma con l'ingenua speranza che i gerarchi del PCI lo avrebbero accolto a braccia aperte. Non fu ricevuto ne da Terracini, ne da Togliatti, nonostante le sue numerose anticamere in via delle Botteghe Oscure.
Questa fu l'ultima umiliazione per un uomo che aveva dedicato una vita alla causa della sua gente, strumentalizzata ancora una volta da un partito che mostrava una faccia proletaria e aveva già una sostanza da “compromesso storico”.
Ha poi preso la parola l’on. Fortunato Aloi, altro relatore della serata, che si soffermato sulla “Repubblica di Caulonia” attraverso l’esame di alcuni documenti storici, non prescindendo dal collegamento della “vicenda” con la politica nazionale.