Non solo due tesi a confronto, da qui il titolo della conversazione culturale di oggi, ma anche due crisi: quella del 1929, che venne fronteggiata dalle linee programmatiche del “New Deal” dell'amministrazione Roosvelt e quella che ha avuto inizio nel biennio 2007-2008 e dalla quale ancora non si riesce a venirne a capo.
A riguardo i due periodi storici (1929 e biennio 2007-2008) vi è un'interessante letteratura dibattimentale che coinvolge economisti e studiosi della materia.
Un'aforisma americano asserisce che «Quando gli Stati Uniti starnutiscono, il resto del mondo prende il raffreddore» ed in effetti l'economia europea, e non solo, dipende da quella di Wall Street, anche se oggi il ruolo di motore dei mercati è diviso equamente con i colossi asiatici, Cina ed India in primis, come asserito dall'economista Carlo Scogliamiglio Pasini.
Lo scompenso economico-sociale odierno che riguarda una parte dell'Europa, riveste scenari diversi, ad esempio vi è una moneta unica che evita le svalutazioni, come quella del 1932 che interessarono il marco tedesco, anche se le economie dei vari Stati europei facenti parte della Comunità hanno “marce diverse” .
In un intervista dal titolo “Marx e Keynes per capire la crisi. E uscirne” rilasciata dal prof. Giorgio Lunghini alla rivista telematica KEYNESBLOG del 2 luglio 2012, l'accademico definisce Marx e Keynes i principali autori ad aver spiegato i limiti dell’economia di mercato, in contrapposizione alle teorie dominanti del tempo (e di oggi) ed illustra anche i motivi della crisi, tra i quali lo spostamento nella distribuzione del reddito, l’incapacità del sistema economico di autoregolarsi, le colpevoli condizioni della finanza pubblica e delle istituzioni finanziarie private e come i singoli paesi si trovano a dover fronteggiare le conseguenze della crisi ciascuno da solo, secondo le direttive della Banca Centrale Europea.
Secondo alcuni le teorie ed il pensiero di Carlo Marx sono superati, ma dati inconfutabili come ineguaglianza, disoccupazione, ingiustizia sociale, sono presenti in vaste aree non solo europee.
In Italia gli errori nelle scelte di macroeconomia, si sono concentrati negli anni settanta e ottanta, quando i governi hanno lasciato crescere una spesa pubblica finalizzata a un disegno perverso dello stato sociale , non attuando nel decennio successivo politiche di rientro del debito, lasciando che i tassi d’interesse nominale elevati continuassero ad espandere il deficit e il debito dando luogo a inflazione elevata e frequenti svalutazioni della moneta.
Tra le altre sviste di indirizzo macroeconomico vi è quella inerente alla scelta di privatizzare prima di liberalizzare.
Tutto ciò non tenendo conto di quanto contenuto nella “Teoria Generale” di Keynes, dove il fenomeno delle crisi è essenzialmente legato al livello d’investimenti generato dal sistema economico.
Come economista, Keynes non guardò mai ai problemi in modo isolato, o avulso dal contesto, bensì come elementi appartenenti a un sistema unitario e in esso interagenti.
L’idea base di Keynes a cui poi si ispireranno Roosevelt e Obama è che non è il capitalismo che crea occupazione, anzi è la piena occupazione che crea il capitale e mantiene in piedi l’intero sistema capitalistico, perché essa crea domanda di consumi e quindi spinge le imprese a produrre e a non risparmiare.
Keynes sottolinea che l’economia non è un sapere isolato, bensì inseparabilmente legato ad altri saperi come la filosofia, la psicologia, la storia e la politica.
Elementi questi che insieme ad altri come “ciclo economico” fanno parte della conversazione culturale a cura del prof. Francesco Barillà.
Va da sé che l'incontro di oggi è il primo che il Circolo Culturale “L'Agorà” tratta a riguardo la materia prettamente economica ed a tal proposito, prima di dare la parola al relatore, vorrei dedicare le cifre di questo mio breve intervento al prof. Mario Centorrino, docente di economia politica della facoltà di Scienze politiche di Messina e di cui fu preside dal 1985 al 1991, venuto a mancare lo scorso agosto.
18 luglio 2015
la conferenza