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l Circolo Culturale “L’Agorà” ha organizzato un nuovo incontro da remoto con Tonino De Pace, collaboratore di “SentieriSelvaggi”, presidente del Circolo del Cinema “Zavattini”. Il titolo della conversazione ha come tema “Peter Greenaway, il cinema erudito” e nel corso della chiacchierata il gradito ospite del sodalizio organizzatore, descrive le tappe che hanno caratterizzato la carriera del famoso regista e del suo linguaggio cinematografico. Peter Greenaway è una personalità molto interessante del cinema dei nostri tempi, - afferma il gradito ospite del sodalizio culturale reggino - perché lui non è solo l’autore dei film che dirige ma anche pittore, scrittore e sceneggiatore. Il suo è sicuramente un cinema colto e ricercato ed è egli stesso che si definisce un “pittore su pellicola”. "Tutti i miei film parlano della classificazione del caos" ha dichiarato il regista che nella cui opera cinematografica confluiscono tutte le forme di sperimentazione, frutto dei suoi interessi molteplici e tuttavia coerenti. Peter Greenaway non è un regista come gli altri: è un ideatore di sequenze visive, che siano film, cortometraggi, videoinstallazioni o dipinti; un attento ricercatore di spazi e dettagli, che si tratti di affreschi o di immagini in movimento; affascinato dall’arte e dall’architettura. L’avvicinamento, da parte del regista britannico alla “settima arte” è racchiuso in un’intervista rilasciata a Massimo Galimberti, nel corso della quale ebbe a dichiarare che “Molti di quelli che vanno al cinema, dopo 105 anni di produzione cinematografica, si aspettano che venga loro raccontata una storia. Non credo che il cinema sia un mezzo adatto alla narrazione. Se vuoi raccontare una storia, è meglio che tu faccia il romanziere. Il fatto che il cinema migliore non sia narrativo porta a paradossi e contraddizioni di cui mi sono occupato negli ultimi 15 anni. Ma c’ è un problema: se si cerca di minimizzare o eliminare la narrazione, va trovato un altro modo di organizzare il materiale, altrimenti ci si trova nell’incoerenza e nel caos. Ho iniziato come pittore, mi interessavano molto i metodi e le classificazioni. Per questo ho usato spesso sistemi diversi dalla narrazione per organizzare il materiale cinematografico. Utilizzo le classificazioni numeriche, il simbolismo e la codificazione dei colori, e sicuramente anche i sistemi alfabetici.” Prosegue nella sua disamina il gradito ospite del Circolo Culturale “L’Agorà” che evidenzia le qualità dei film di Peter Greenaway che vanno a costituire, quasi sempre, costituiscono un’opera saggistica rispetto ai temi che trattano, pur adeguandosi ai canoni consueti del cinema: quello narrativo, soprattutto all’inizio poi, ben presto abbandonato, per poi passare a quello più prettamente documentaristico. Studia pittura e cinema alla Walthamstow School of Art e tenta in seguito, senza riuscirvi, di entrare al Royal college of Art Film School. Come pittore ottiene la sua prima personale nel 1964 alla Lord's Gallery. Negli anni successivi comincia a lavorare come tecnico del montaggio al Central Office of Information e a dirigere i primi cortometraggi. Le caratteristiche cinematografiche di Peter Greenaway fanno sì che il “suo cinema” sia di non facile catalogazione , ed egli stesso parlando dei suoi film dichiara che servono a classificare il kaos. Quindi un cinema che diventa compendio d’autore e che assorbe i suoi interessi molteplici quali quelli di architetto, pittore, e che risente della sua erudizione multiforme, abbracciando discipline figurative eterogenee, ma anche altre come la letteratura o le altre arti espressive, spingendosi sino alla scienza che entra a far parte dei suoi interessi precipui. Un cinema che diventa summa, mai conclusivo ovviamente di questi profili della cultura che Peter Greenaway sa abitare da molti anni, e cha sa mettere in scena, come spesso avviene, con un’ironia prettamente inglese ed attraverso una divertente ed arguta forma scenica. Questo ovviamente crea dei percorsi non semplici all’interno dei suoi film e per queste ragioni le sue produzioni diventano fortemente selettive per i pubblici che lo seguono. Nel 1982 viene presentato a Venezia "I misteri del giardino di Compton House" (The Draughtsman's Contract), suo primo lungometraggio a soggetto, una metafora, giocata sull’ironia tutta inglese, di una sorta di asservimento dell’arte al potere. Altra metafora è il film successivo del 1985 “Lo Zoo di Venere” (A Zed & Two Noughts) è su un registro del tutto differente: diventa un saggio sulla morte come forma di rigenerazione della vita. Con "Il ventre dell'architetto" (The belly of an architect, 1987), Peter Greenaway torna alle sue passioni originarie. Con “Giochi nell'acqua” (Drowning by Numbers, 1988) Peter Greenaway sposta la sua attenzione sul gioco e sull’enigmistica, come forma di relazione tra i personaggi. Le successive produzioni cinematografiche "Il cuoco, il ladro, sua moglie e l'amante" (The Cook, the Thief, His Wife and Her Lover, 1989); “L'ultima tempesta” (Prospero's Books, 1991); “Il bambino di Mâcon” (The Baby of Mâcon, 1993); “I racconti del cuscino” (The pillow book, 1996); “8 donne e ½” (8 ½ Women, 1999), confermano la figura di Peter Greenaway come una icona tra quelle dei autori del mondo della settima arte, così come le successive produzioni, quali mediometraggi, documentari e esposizioni che confermano l’attenzione che Peter Greenaway rivolge alla sfera eterogenea dell’arte. Nel rispetto delle norme del DPCM del 24 ottobre 2020 la conversazione è disponibile, sulle varie piattaforme Social Network presenti nella rete, a far data dall’8 gennaio.