La poesia trobadorica (dal verbo provenzale trobar, e cioè “poetare, fare poesia”) fiorisce alla fine del XI secolo nella regione della Francia meridionale della Linguadoca o Occitania; Il primo trovatore di cui ci è giunta nozia è Guglielmo IX d’Aquitania (1071-1126), un potente signore feudale (era duca di Poiers) la cui produzione poeca si colloca verso la fine del XI secolo, mentre l’ultimo componimento è, per convenzione, una lirica di Guiraut Riquier (1230ca - 1292) del 1291.
Questa precisa suddivisione cronologica è stata resa possibile dal fatto che la lirica provenzale è strettamente connessa al mondo feudale delle corti , in cui il poeta-trovatore, che risiede a corte, trova la propria collocazione naturale: da qui infatti vengono recuperate le tematiche principali (il rapporto tra il poeta e la donna amata, il legame di rispetto e devozione nei confronti del signore e così via) e qui la poesia trobadorica trova i propri destinatari che privilegia. I trovatori stessi appartengono diverse classi sociali connesse alla vità di corte : tra le loro fila si trovano sia potenti signori con il vezzo della poesia (ricordiamo Guglielmo d’Aquitania, Jaufre Rudel, Raimbaut d’Aurenga), che feudatari di livello minore, che poe di origine più modesta e persino alcuni giullari(come Marcabru e Raimbaut de Vaqueiras).
La produzione lirica trobadorica, che è in lingua d’oc, è assai omogenea dal punto di vista contenutistico e formale; piuttosto, è importante ricordare come i testi dei trovatori fossero sempre accompagnati da musiche (composte spesso dallo stesso autore dei testi) e recitati in pubblico da un giullare o da un mimo.
Le tematiche della poesia trobadorica sono quindi in stretta correlazione con l’ambiente in cui essa si genera e si sviluppa; tra di esse, possiamo individuare:
- Il rilievo assegnato alle virtù cortesi (come la lealtà verso il proprio signore, la generosità nei confronti dei più deboli, la liberalità nei rappor umani), fondamentali perché ogni cavaliere possa davvero definirsi tale, e quindi anche essere degno dall’amore della propria dama.
- La prevalenza della tematica amorosa, in cui il rapporto tra il cavaliere e la donna amata diventa spesso una metafora del rapporto feudale stesso; da qui si codificano una serie di atteggiamenti che poi saranno alla base di buona parte della lirica d’amore dei secoli successivi: ad esempio, il rapporto di sottomissione tra il poeta e la donna amata (che può essere una creatura perfetta ed irraggiungibile o un tiranno crudele e spietato), le serie di prove ed esami cui l’amante deve sottoporsi per dimostrare la propria eccellenza o l’autenticità della propria passione; le strategie del corteggiamento, che spesso devono essere segrete o comunque fortemente allusive (da qui, spesso l’utilizzo di senhal o pseudonimi per celare ad altri il nome del proprio amore).
- La presenza della passione e dell’amore fisico, che per i poeti trobadorici (a differenza, ad esempio, degli stilnovisti come Guinizzelli o Dante non è una dimensione in antitesi al rapporto spirituale; anzi, all’interno del rapporto di sottomissione con la donna amata, il rapporto fisico può riportare i due amanti su un piano di parità.
- La cosiddetta “questione della nobiltà”, che sviluppa il tema spesso all’interno di “tenzoni”, ovvero scambi di opinioni, serie o giocose, su un determinato argomento - per cui l’amore è riservato solo ai nobili di sangue o sia prerogativa di chi ha un animo superiore ma non è aristocratico per nascita.
Si tratta di un tema che tornerà esplicitamente nello Stilnovo, come ad esempio nel testo
programmatico Al cor gentile rempaira sempre amore di Guido Guinizzelli oppure in Amore e ‘l cor gentile sono una cosa).
- Le tematiche morali, belliche e politiche, che si affiancano all’amore in quanto altri argomenti connessi con la vita di corte dei feudatari.
Molto importante, poi, per comprendere a pieno il rilievo della poesia trobadorica, osservarne l’influsso su altre correnti poetiche nazionali, come la poesia in langue d'oïl nel nord della Francia, quella dei Minnesänger (“poeti d’amore”) tedeschi, la poesia galego portoghese, la scuola siciliana.
Centrali per la diffusione della poetica trobadorica sono le vidas (ovvero l biografie dei trovatori) e le razos (cioè testi che illustrano e spiegano la poetica dei diversi testi) che spesso corredavano le poesie dei poeti trobadorici.
Il rilievo storico-letterario della poesia trobadorica è notevole; infatti, con i trovatori abbiamo, per la prima volta in Europa, l’introduzione sistematica della versificazione tonico-sillabica, cioè di un modo di fare poesia incentrato sul numero delle sillabe e sulla disposizione degli accenti tonici nel verso (e non più, come nella poesia classica greco-latina, sulla quantità delle sillabe). Il verso più illustre della poesia trobadorica è così il decasillabo (che sarà modello dell’endecasillabo. A fine verso, troviamo sempre la rima, che diventa un fondamentale elemento ritmico e semantico e viene organizzato secondo determinati schemi convenzionali. I provenzali introducono poi le coblas,
ossia i gruppi di versi (le stanze o strofe) identificati da uno schema di rime costante.
I generi più diffusi sono la canzone (in provenzale, canso), il sirventese di tematica politica, la sesna, la pastorella, incentrata sul tentavo di seduzione di una giovane di origine popolare da parte di un cavaliere, e l’alba, che esprime il disappunto del cavaliere che vede sorgere il sole dopo aver passato la notte con la sua dama. La poesia trobadorica è anche teatro di una contrapposizione stilistica fra trobar clus (dal lano clausus, “chiuso, inaccessibile”) e trobar leu (dal lano levis, “dolce, leggero, di poco valore”). Si tratta di un’opposizione non solo formale ma anche tra due diverse concezioni della poesia stessa:
una più aristocratica, dal contenuto morale assai elaborato e molto oscuro e stilisticamente elaborata; l’altra più semplice e immediata, destinata a un auditorio più ampio di cui si vuole catturare il consenso. A queste due tipologie è stata affiancato dagli studiosi un terzo stile: il trobar ric, ovvero uno stile alto e di notevole elaborazione retorica, ma dalla tensione morale inferiore a quella del trobar clus. Il poeta più noto del trobar clus è indubbiamente Arnaut Daniel, la cui produzione è databile alla fine del XII secolo e che viene citato da Dante nel De vulgari eloquenza (e poi nel ventiquatresimo canto del Purgatorio) quale modello di stile.
Eleonora, duchessa di Aquitania, la più ricca ereditiera del suo tempo, dopo il 1170 fissò la
residenza a Poitiers, suo feudo ereditario, e vi tenne splendida corte.
Per la saison di primavera, fra Pentecoste e il giorno di S. Giovanni, si davano convegno da Eleonora i rampolli delle due case regnanti rivali che erano suoi figli o suoi figliastri: Margherita di Francia e sua sorella Alais, Costanza di Bretagna, Alice contessa di Blois, Eleonora regina di Castiglia, Giovanna regina di Sicilia, Riccardo Cuor di Leone e suo fratello Giovanni Senzaterra. Al loro seguito si recavano a Poitiers i giovani discendenti delle famiglie nobiliari di tutta Europa.
Cantori tedeschi, francesi e provenzali accorrevano alla corte di Eleonora per celebrarne la virtù e la fama. Bertrand de Born le dedicò un canto in cui giurava che lo stesso Tristano non aveva patito tanto per amore di Isotta, quanto egli per lei, Eleonora. Un chierico, Andrea Cappellano, compose un trattato dal titolo Dell’arte di amare cortesemente, in cui raccolse 31 regole sulla dottrina dell’amore.
Nel cortile del suo palazzo di Poitiers, su un dais, un palco sopraelevato, Eleonora presiedeva agli arrets d’amour, veri tribunali d’amore, in cui si giudicavano gli uomini, con lunghe dispute sulla forma del loro legame con le donne. Alla saison del 1174, presieduta da Maria di Champagne, si asserì che l’amore tra marito e moglie è impossibile, poiché i coniugi hanno il dovere di prestarsi ai reciproci desideri e non rifiutarsi scambievolmente nulla, mentre gli amanti si concedono favori liberamente e non spinti da necessità legale.
Per quei tempi dovette apparire una vera e propria eresia.
Eleonora vedeva l’amore come espressione dell’anima appassionata e voleva mitigare la brutalità della società maschile che imponeva la logica dei matrimoni politici. Cercava di educare gli uomini all’amore inteso come arte, come eterno corteggiamento fine a se stesso e non come desiderio selvaggio e come possesso. Il tentativo di dare uno stile al rapporto tra uomo e donna era più di un vano gioco: era creare un’apparenza in cui illudersi di vivere, era concedere alla passione la distanza psicologica che mancava nelle strutture domestiche e sanitarie della casa medioevale.
I trovatori presenti agli “incontri” di Poitiers avevano il compito di mettere in versi e musica il nuovo stile d’amore. La moda dilagava: si diffuse in Savoia, Monferrato, Portogallo, Germania. Il messaggio traversava l’Europa.
A Poitiers i lirici in lingua occitana raccoglievano gli umori di una corte irrequieta e ribelle, in canti che erano di aspra critica al governo della Chiesa e dei principi.
Bertrand de Born istigherà il giovane re Enrico III contro il fratello Cuor di Leone che era entrato in gran pompa a Limoges e, per volere della madre Eleonora, vi aveva contratto matrimonio simbolico con la Santa protettrice Valeria, patrona di Aquitania: nella chiesa di Saint-Etiènne Riccardo, in segno di legame con i suoi vassalli, si mise al dito l’anello della Santa.
Regina di un regno immenso, che dalla Scozia arrivava a Tolosa, Eleonora era il punto di riferimento della cultura francese, figlia del libero sud. Sottratta alla pressione della volontà del regale marito, Eleonora viveva nel suo feudo di Aquitania, in cui accoglieva i nobili malcontenti del governo del re Enrico II. Riuscì ad istigare i figli contro il padre. Nel 1173 Enrico represse una rivolta, allontanò da sé i figli ribelli e chiuse la regina in una torre inglese. Eleonora vi restò prigioniera per quindici anni, vittima del suo singolare gioco, tra finzione della poesia cortese e appassionata rivolta politica; ma Enrico morrà logorato e inasprito, il cuore mortalmente stanco.
In Aquitania arrivavano, coi venti di oriente, i semi della libertà di spirito diffusi dalla esperienza greca antica e lì si mescolavano coi germi della nascente eresia albigese. Al principio del XIII secolo verseggiatori illustri italiani, alle corti estense, malaspiniana e sabauda, già copiavano le tecniche metriche dei trovatori provenzali, dimostrando di padroneggiare la lingua occitana e imponendo ai loro signori il gusto per una cultura e un’arte nuova. Il più noto trovatore italiano è Sordello da Goito, verseggiatore vigoroso, giullare quindi poeta in molte corti italiane, protetto da Ezzelino da Romano. Si stabilì alla corte di Raimondo, conte di Provenza e poi in quella di Carlo d’Angiò. Dante lo immagina sdegnoso e fiero nell’Antipurgatorio.