Con il patrocinio morale del Comune di Forlimpopoli (dove Pellegrino Artusi nacque ) e della Fondazione a lui dedicata il Circolo Culturale "L'Agorà", presieduto da Gianni Aiello, in collaborazione con la biblioteca di Reggio Calabria "De Nava", ha organizzato una giornata di studi per ricordarne la figura nel centenario della morte, avvenuta a Firenze il 30 maggio del 1911.
Quindi l'anno in corso rientra nella sfera dei festeggiamenti artusiani organizzati in modo capillare sul tutto il territorio nazionale, proprio per ricordare questa importante figura della letteratura gastronomica nazionale.
Nel 2011 ricorrono due importanti anniversari: il 150° della nascita dello stato Italiano e il 100° della morte di Pellegrino Artusi, uomo di cultura, critico letterario, scrittore e gastronomo che con il suo celebre manuale “La Scienza in cucina e l’arte di mangiar bene” unificò l’Italia a tavola.
Da queste cifre il Circolo Culturale “L'Agorà” di Reggio Calabria organizza una giornata di studi avente come tema “IL CENTENARIO DELLA MORTE DI PELLEGRINO ARTUSI, AUTORE DE «LA SCIENZA IN CUCINA  E L'ARTE DI MANGIAR BENE»”.
La manifestazione in argomento ha ricevuto il Patrocinio morale del Comune di Forlimpopoli e quello della Fondazione a lui dedicata.
L'opera di Pellegrino Artusi ha il merito di essere stata il giusto collante dell'unificazione nazionale più di quanto non sia riuscito il percorso letterario dei “I Promessi sposi”, come evidenziato nel 1979 da Piero Camporesi. 
Pellegrino Artusi a ragione è considerato "padre della patria", avendo avuto il merito di dare una cucina nazionale agli italiani.
A tal proposito, significativa è stata d'altra parte la visita del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano a Forlimpopoli (dove Pellegrino Artusi nacque il 4 agosto del 1820) nel corso del 150° anniversario dell'Unità d'Italia.
In tale occasione il presidente della Repubblica ha scoperto una targa ricordo dell'illustre gastronomo, quasi a legare le due ricorrenze del 150° anniversario dell'Unità d'Italia ed i cento anni della morte di Artusi.
L'opera di Pellegrino Artusi ha il merito di essere stata il giusto collante dell'unificazione nazionale più di quanto non sia riuscito il percorso letterario dei "I Promessi sposi”, come evidenziato nel 1979 da Piero Camporesi. 
È il padre della pasta al pomodoro come oggi la cuciniamo e che è il piatto che rappresenta la cucina italiana nel mondo, il libro cancella il monopolio della cucina francese.
Tale importante pubblicazione culinaria elevò il popolo al livello della borghesia e creò l'illusione che, mangiando tutti gli stessi cibi, si sentissero tutti uguali.
L’Autore è ormai unanimemente considerato padre della moderna cucina e divulgatore della lingua italiana.
Pellegrino Artusi a ragione è considerato “padre della patria”, avendo avuto il merito di dare una cucina nazionale agli italiani.                   
L'Artusi, così viene familiarmente definita la sua opera viene continuamente tradotta in molte lingue (francese, inglese, spagnolo, tedesco, giapponese, olandese, portoghese, svedese) e tra le prossime vi saranno le edizioni in lingua polacca ed in quella greca.
La famosa pubblicazione di Pellegrino Artusi "La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene" venne data alle stampe per la prima volta nel 1891 ed alo stato attuale annovera 130 edizioni ed oltre un milione e trecentomila copie vendute, rilevandosi un grande successo editoriale.
E da quanto sopra evidenziato la Giunti Editore in collaborazione con Comune di Forlimpopoli e Casa  Artusi ha pubblicato la ristampa anastatica della prima edizione della Scienza con interventi di Giovanna Frosini, Alberto Capatti, Massimo Bottura e Massimo Montanari.
Con le sue 790 ricette, raccolte dall’autore con paziente passione nel giro dei lunghi anni e innumerevoli viaggi, Pellegrino Artusi è il libro più famoso e letto sulla cucina italiana, quello da cui tutti i grandi cuochi dell’ultimo secolo hanno tratto ispirazioni e suggerimenti.
Dopo queste doverose note introduttive la parola è passata al relatore Antonino Megali, socio del Circolo Culturale "L'Agorà" che ha tracciato nel corso del suo intervento le coordinate relative al tema della giornata di studi in argomento. «Oggi - esordisce il relatore - tutte le televisioni hanno un programma dedicato alla cucina, volto a  dispensare consigli e formule magiche col nobile intento di farci star bene in salute e mantenerci in forma.
I conduttori dopo le loro apparizioni diventano subito gastro-star.
Dal video alla carta stampata il  passo è breve.
Pubblicati i loro libri occupano i primi posti nelle classifiche delle opere più vendute.
Di questi ricettari e dei loro autori non si parlerà più fra qualche anno, mentre siamo qui a ricordare ad un secolo e passa di vita “L’Artusi”, un libro entrato non solo nella maggior parte delle famiglie italiane, ma a pieno diritto nella Storia della Letteratura.
Prima di lui solo due autori che si sono occupati di gastronomia hanno avuto un posto nelle rispettive letterature.
Il primo è Marco Gavio Apicio, autore del “De re coquinaria  libri decem” nato nel 25 a.C. e del quale autori come Tacito, Plinio e Seneca ci parlano con abbondanza di particolari.
Seneca lo rimproverava di “infettare il secolo con la sua dottrina” e di attirare quei giovani che mentre prima frequentavano scuole di filosofia e di retorica ora si accalcano alle scuole di cucina dove si parla di raffinate ricette per cuocere la selvaggina, i pesci più pregiati, le salse più sofisticate.
Ricco gaudente e buongustaio, si suicida dopo esser caduto in povertà.
Il secondo appartiene alla letteratura francese: è Anthelme  Brillat-Savarin, autore della Fisiologia del gusto ovvero Meditazioni di gastronomia trascendente, pubblicato nel 1825, senza firma.
Aveva il timore che quel libro” leggero “ potesse apparire in contrasto con la sua toga di Consigliere di Cassazione .
A rigore la Fisiologia è solo in parte un libro di cucina.
Le ricette sono poche, ma si parla di chimica, fisica, scienza medica, psicologia e ricordi di viaggio. Più tardi Baudelaire definirà questo testo straordinario un “falso capolavoro” perché dava poco spazio al vino. In quel tempo la cucina francese dominava in Europa, grazie anche al suo grande teorizzatore, uno dei più grandi cuochi di tutti i tempi: Marie-Antoine Carême , che si ribattezzò Antonin.
Esercitò solo presso privati e tutti- compresi imperatori e re- gli riconobbero eleganza, creatività e genialità».
Ma torniamo al nostro Artusi e alla sua Scienza in cucina .
Il libro fu pubblicato dall’allora settantenne  autore nel 1891 a proprie spese in mille copie e si arricchì di nuove ricette fino alla 14° edizione del 1911.
L’ultima ne presenta 790 tutte sperimentate dall’autore.
Dal matrimonio non fu mai tentato: “sono i voti indissolubili dogmi del Medioevo, obblighi contro natura che non hanno più ragione d’essere nell’ambiente razionalista e di progresso in cui ci troviamo”.
Ogni mattina andava a fare la spesa al mercato con i fedeli cuochi Marietta Sabatini e Francesco Ruffilli, che divennero ricchi dopo la morte del padrone incassando i guadagni per i diritti d’autore. Nominò erede degli altri suoi beni il municipio di Forlimpopoli con l’incarico di costruire una casa di riposo per i poveri.
Istituì, per testamento, un premio in favore di quel suo concittadino che sarebbe diventato entro il 1961 ministro di stato o generale d’armata del nostro esercito.
La prima edizione dell’opera –caso unico nella storia della gastronomia- è dedicata ai suoi due gatti Sibillone  e Biancani  “ due dei miei migliori amici dalla candida pelle”.
Nato a Forlimpopoli nel 1820 unico maschio sopravvissuto tra tante sorelle, fece studi classici e a Firenze fondò una banca da cui trasse forti guadagni.
I suoi studi letterari lo portarono a scrivere una vita di Foscolo e un saggio su Giuseppe Giusti. L’episodio decisivo nella vita del nostro fu quando, nel 1851, un brigante, Stefano Pelloni detto Il Passatore (sì, proprio quello definito dal Pascoli cortese, re della strada re della foresta nella sua poesia Romagna), prese di mira la casa dove vivevano Agostino Artusi, droghiere, la moglie Teresa, le figlie e l’unico maschio,Pellegrino.
Aperta la porta il capo famiglia svenne dallo spavento vedendo irrompere il Passatore con i suoi accoliti.
La madre fu presa a pedate; Pellegrino perse i sensi per i colpi ricevuti con le pistole.
Una sorella ebbe rotta la testa; un’altra, Gertrude che il fratello definisce “bella e di lineamenti delicati e gentili” fu “ manomessa e contaminata” per usare il linguaggio eufemistico di Pellegrino.
Dopo gli abusi subiti dai briganti fu ricoverata  in manicomio dove visse fino alla morte.
La famiglia, dopo questi avvenimenti si trasferì a Firenze dove, dopo la morte della madre, toccò a Pellegrino occuparsi delle due sorelle desiderose di trovare marito.
Chi ha provato – scrive- che cosa sia l’aver zitellone in casa saprà dirmi che tormento sia poter tollerarle.
Il problema del matrimonio fu comunque risolto fornendole di una ricchissima dote.
Così Artusi  poté  finalmente fare la vita desiderata: frequentare biblioteche e conferenze, scrivere i due libri sopraccitati –due autentici fallimenti – come lo stesso autore ammise mettendo in guardia i suoi lettori: “Dio vi salvi dagli sbadigli”.
Decise allora di vendicarsi di quei circoli letterari che lo avevano snobbato e iniziò a concepire l’idea dell’opera che gli diede la fama.
Attenzione al titolo: La Scienza in cucina, l’Arte di mangiar bene, Manuale pratico per le famiglie.
Dove, come scrive Piero Camporesi, la scienza, attraverso la mediazione dell’arte diventa pratica, componendosi così quel triangolo cucinario di cultura,  invenzione ed esperienza che trova l’identico corrispettivo nell’altro triangolo i cui vertici sono dati da igiene (scienza), economia (pratica), buon gusto (arte).
La Scienza in cucina va pertanto letta come omaggio al diffuso positivismo del tempo; l’Arte di mangiar bene conferma che la cucina è fantasia, invenzione.
Le prime pagine trattano della nascita del libro, dei principi igienici, delle doti necessarie per fare una buona cucina.
La storia del libro somiglia a quella di Cenerentola, racconta l’Autore.
Avendo ospite un giorno il professore Francesco Trevisan, gli chiede un parere sul suo lavoro culinario.
Avendo in risposta la brutta sentenza: questo è un libro che avrà poco esito. Avvilito offrì il ricettario ad una casa editrice  fiorentina (Barbera), invitando a cena i proprietari.
Uno di loro,pur apprezzando le ricette ebbe a dire :” Se il suo lavoro l’avesse fatto  Donej, (il  primo ristorante di Firenze di fama  internazionale) se ne potrebbe parlare sul serio “Meritandosi l’arguta risposta di Pellegrino: “Se l’avesse compilato Donej, nessuno capirebbe nulla,mentre con questo manuale pratico basta si sappia tenere un mestolo in mano, che qualche cosa si annaspa”.
Poi una stoccata agli editori di allora (e forse di sempre ) .
Gli editori generalmente non si curano più che tanto se un libro è buono o cattivo ,utile o dannoso, per essi basta, onde poterlo smerciare facilmente che porti un nome celebre o conosciutissimo, perché questo serva a dargli la spinta e sotto le ali del suo patrocinio possa far grandi voli.
Un’altra mortificazione subita fu quando il nostro autore contribuì con due copie del libro ad una fiera di beneficenza.
Non l’avesse mai fatto-racconta- perché mi fu riferito che quelli che le vinsero invece di apprezzarle le misero alla berlina e le andarono a vendere al tabaccaio.
Ma fu un nome allora celebre a “sdoganare” il libro. Paolo Mantegazza, antropologo, patologo,igienista, sessuologo definì il testo “l’opera migliore che offre su quest’argomento la nostra letteratura” e ancora “non soltanto un libro di cucina e d’igiene, ma anche un’opera d’arte”.
L’autore in quella che chiama Prefazio con stile scanzonato e beffardo avverte che “la cucina è una  bricconcella; spesso e volentieri fa disperare, ma dà anche piacere, perché quelle volte che riuscite o che avete superata una difficoltà, provate compiacimento e cantate vittoria”.
Rallegrandosi che, per sua fortuna pochi lo abbiano mandato a quel paese per imbarazzo di stomaco o per altri fenomeni che la decenza gli vieta di nominare.
È noto che fra sette e ottocento nasce un vero interesse per la scienza dell’alimentazione e s’incomincia a parlare di fisiologia della digestione, assorbimento intestinale, metabolismo.
Viene scoperta l’importanza dei cibi contenente ferro per gli anemici; dei cibi proteici; della distinzione degli alimenti in proteine, carboidrati e grassi; del metabolismo epatico dello zucchero e del glicogeno nella produzione di energia.
L’Artusi ostenta le sue conoscenze scientifiche oltre che degli aforismi della medicina ippocratica e della scuola salernitana, dopo essere stato promosso come autore”igienista” dal grande Paolo Mantegazza .
Ed è per questo che prima di elencare le ricette introduce alcune norme d’igiene, per poi chiudere il libro con un capitolo intitolato” Cucina per gli stomachi deboli, la quale pare sia venuta di moda”.
Suo questo straordinario ritratto degli ipocondriaci:”Questi infelici ipocondriaci, che altro non sono, meritano tutto il nostro compatimento imperocché non sanno svincolarsi dalle pastoie in cui li tiene una esagerata e continua paura e non c’è modo a persuaderli, ritenendosi ingannati dallo zelo di coloro che cercano di confortarli.
Spesso li vedrete con l’occhi torvo e col polso in mano gettare sospiri, guardarsi con ribrezzo allo specchio e osservare la lingua; la notte di soprassalto balzar dal letto,spaventati per palpitar del cuore in sussulto.
Il vitto per essi è una pena, non solo per la scelta dei cibi, ma ora temendo di aver mangiato troppo stanno in apprensione di qualche accidente, ora volendo correggersi con astinenza eccessiva, hanno insonnia la notte e sogni molesti…per questi tali non c’è medicina che valga e un medico coscienzioso dirà loro: divagatevi, distraetevi, passeggiate spesso all’aria aperta per quanto le vostre forze il comportano, viaggiate se avete quattrini e guarirete”.
Altri precetti riguardano il vestiario: alle mamme consiglia di vestir leggieri i bambini, al primo fresco non esagerare nell’indossare altri indumenti e all’avvicinarsi della primavera consiglia a tutti di rispettare il seguente proverbio:
Di aprile non ti alleggerire
Di maggio vai adagio
Di giugno getta via lo cotticugno
Ma non lo impegnare
Ché potrebbe abbisognare.
Per colazione alla mattina una tazza di caffé nero con un crostino imburrato, o il caffè col latte, oppure la cioccolata. Durante il pranzo si può scialare solo d’inverno, perché col caldo si richiedono alimenti leggieri.
Consiglia la carne per digerire meglio e di non bere troppa acqua durante il pasto contrariamente a quanto consigliato dagli igienisti. (In realtà si sconsiglia di bere acqua solo agli obesi in quanto li porterebbe a mangiare di più).
I consigli artusiani proseguono rammentando il vecchio adagio della scuola salernitana: Post prandium stabis et post cenam deambulabis. Ricorda che la prima digestione si fa in bocca per cui ènecessario curare e conservare il più possibile i denti.
L’uso dei liquori è da evitare; solo d’inverno è permesso un qualche leggero poncino di cognac.
Mai lasciarsi vincere dal vino. Chiude la serie delle norme igieniche la citazione di due proverbi.
Il primo inglese:
Coricarsi presto ed alzarsi presto
Fanno l’uomo  sano, ricco e saggio.
Il secondo francese:
Alzarsi alle sei, far colazione alle dieci
Pranzare alle sei,coricarsi alle dieci,
Fa vivere l’uomo dieci volte dieci.
Nella cucina per gli stomachi deboli che chiude l’elenco delle settecentonovanta ricette ,scopriamo un Artusi più prudente, che si affida all’esperienza e che valuta le parole.
Riconosce  che lo stomaco è un viscere capriccioso, che ad esso conviene l’uso e anche  l’abuso del latte.
Il brodo deve essere sgrassato, il più confacente è quello di pollo, di castrato e di vitella.
Evitare di mangiare fuori dai pasti e troppi dolciumi.
Poi però, contraddicendosi, consiglia una serie di ricette dove compaiono salse, uova, carne,dolci, gelati ed anche le fritture di cervello,animelle, coratella e granelli (testicoli di montone, passati nell’uovo sbattuto poi in padella, sottolineando che “ hanno un gusto come di animelle” ma più gentile ancora”) .
Un breve excursus ora sulle invenzioni, sulle divagazioni, sui meriti, sui suggerimenti di  questo libro di cucina, sempre presentati con tono ironico,pratico, senza darsi grandi arie.
Artusi è stato il primo a mettere in discussione il predominio francese in cucina, sostenendo che  “quella italiana…può rivaleggiare con quella francese e in qualche punto la supera”.
Con questo testo l’Italia rivendica per la prima volta una autonoma gastronomia.
Fu il nostro autore ad imporre gli gnocchi di patata.
Giunte in Europa dall’America, le patate erano oggetto di opposte opinioni.
Per alcuni questo tubero aveva effetti miracolosi: favoriva la fecondità ,guariva dalla tisi.
Per altri favoriva la lebbra, era velenoso e mangiarlo perfino peccaminoso.
Ancora ai primi dell’ottocento non c’è traccia di un vero uso in cucina di piatti a base di patata.
Tanto è vero che proponendo l’insalata di patate sente ancora il bisogno di giustificarsi.
Benché si tratta di patate- scrive- vi dico che questo piatto nella sua modestia, è degno di essere elogiato.
Fu ancora il nostro a mettere la salsa di pomodoro (distinta dal sugo) sugli spaghetti e  a fissare  la sua composizione: cipolla, aglio, sedano, basilico, prezzemolo,olio, sale il tutto unito ai pomodori.
Un’altra rivalutazione: le melanzane, che egli chiama petonciani secondo l’uso toscano.
Già le condannava l’etimologia: mala insana, frutto insano.
Mentre il petonciano, egli dice è un ortaggio da non disprezzare per la ragione che non è ventoso, né indigesto.
Erano tenuti a vile come cibo  da ebrei, i quali dimostrerebbero in questo come in altre cose di maggior rilievo, che hanno avuto buon naso più dei cristiani.
Artusi non vuole apparire campanilista e provinciale.
Prima di descrivere la ricetta dei krapfen, dice che ha sì un nome di tedescheria, ma bisogna andare in cerca del bello e del buono in qualunque luogo si trovino; ma aggiunge “per decoro di noi stessi e della patria nostra non imitiamo mai ciecamente le altre nazioni per solo spirito di stranieromania “.
Lo stesso per lo strudel. Non vi sgomentate–annota- se questo dolce vi pare un  intruglio  nella sua composizione e se dopo cotto vi sembrerà qualcosa di brutto come un enorme sanguisuga, o un   informe serpentaccio, perché poi al gusto vi piacerà. Entrano a far parte di questo ricettario la maionese, il vol –au- vent, la bouche des dames, le bisquit, les brioches, Roast- beef, il plume-cake.
Non vi entrerà il panettone di Milano, ma quello di Marietta ,la sua cuoca. C’è perfino il cuscussû, “ piatto di origine araba che i discendenti di Mosé e di Giacobbe hanno portato in giro per il mondo. La ricetta , avverte si deve alle gentilezza di due israeliti. Alla fine poi si pone e anticipa due dubbi : perché tutto quell’olio,  e sempre olio per condimento?
E poi :”il merito intrinseco di questo piatto merita l’impazzimento che esso richiede?” La risposta è salomonica: può piacere anche a chi non ha il palato avvezzo a tali vivande.
Abbiamo già sottolineato come tra i pregi dell’opera siano gli aneddoti inseriti nelle ricette.
Ma, in una, quella del pavone arrosto il gusto della divagazione gli prende la mano.
Dopo aver parlato della bellezza del pavone, di come Alessandro il Macedone avesse comandato di non ucciderli, che poi trasportati a Roma il primo a cibarsene fosse l’oratore Quinto Ortensio, dimentica di indicare la ricetta stessa.
In occasione di questo centocinquantesimo anno dell’unità d’Italia, accanto a veri o presunti Padri della Patria, fu inserito anche il nostro Artusi come fautore dell’Italia unita, sulla scia di quanto scritto da Piero Camporesi :”
La Scienza in cucina ha fatto per l ‘unificazione nazionale più di quanto non siano riusciti a fare i Promessi Sposi.”
Qualcuno ha arricciato il naso facendo notare, con qualche fondamento, che sono presenti ricette francesi, inglesi, tedesche, mentre poche sono quelle napoletane e siciliane.
Pressoché assenti quelle calabresi, pugliesi e del resto del sud.
Ma bisogna riconoscere che nei secoli precedenti e anche durante il Risorgimento esisteva una cucina contadina regionale, una dei ricchi e della nobiltà.
Le famiglie povere mangiavano pane di granoturco, minestre con mescolate polenta e legumi.
Il pranzo tipico della borghesia e della nobiltà era costituito dal consommé ,antipasti,carne, gelato, dolci, frutta.
Borghese e orgoglioso di esserlo, Artusi portò nella Scienza in cucina la sua morale e l’impose a tutta la classe media del tempo.
Il suo intento era quello di far mangiare a tutti gli italiani gli stessi cibi, volendo con questo renderli  uguali nel buon gusto nell’evitare gli sprechi e le stravaganze.
Promuovendo una gastronomia basata sull’igiene e sulla buona salute, riformò le tradizioni precedenti e riuscì a unificare l’Italia a tavola.
L’uomo che non ha patria- scriveva il Tommaseo- è l’uomo che non ha desinare. L’uomo che non ha patria è l’uomo che va all’osteria.
Il grande merito dell’Artusi fu appunto l’aver dato una patria e un desinare agli italiani.
Non a caso questo testo resiste al tempo e i suoi insegnamenti rimangono in gran parte validi.
Un discorso a parte merita la lingua. Artusi fu in questo intransigente, eliminando il gergo della cucina usato fino ad allora, iniziando ad uniformare i termini culinari, cancellando i modi di dire regionali e dialettali.
La terminologia all’inizio troppo fiorentineggiante,venne, nelle successive ristampe del libro, revisionata fino a farla diventare più conforme alla lingua della nazione.
Il testo si regalava all’epoca alle giovani spose e si tramandava di madre in figlia oltre ad essere presente in ogni biblioteca familiare.
Giovanni Papini ricorda che in casa della zia esistevano tre soli libri: il messale, un lunario e l’Artusi.
Col libro da Messa la vecchina si poneva in rapporto con Dio e con i Santi, cioè col Paradiso; col lunario seguiva le vicende delle stagioni, dei pianeti e della luna, cioè con gli eterni ritorni della natura; con “l’Arte di mangiar bene” provvedeva a ben custodire il corpo, tempio provvisorio dell’anima.
L’insospettabile Giuseppe Prezzolini gli dedica un intero capitolo del suo “l’Italia finisce ecco quel che resta” e lo giudica una guida indispensabile. In Italia ,sostiene, l’Artusi è ricordato alla stessa maniera di Dante “Dammi l’Artusi”, “Cercalo nell’Artusi “, “Cosa dice  l’Artusi?”. L’opera è un’autorità e un classico.
Anche per Giorgio Manganelli fu la bibbia domestica dell’Italia umbertina, che la consegnò alle successive età come libro esemplare.
Meglio dello stesso Manzoni, dotto e pedagogico, più felicemente del sordido Cuore questo signore bene educato si stabilì nel cuore di migliaia di case, fu un solitario e discreto commensale.
Un’ultima curiosità. Il nostro autore compare in un romanzo giallo di Marco Malvaldi: Odore di Chiuso.
Trasformato in detective, senza rinunciare alle sue ricette e alla critica di altri libri di cucina, risolve il giallo della morte per avvelenamento di un maggiordomo di una nobile famiglia proprietaria di un castello della Maremma toscana.

ShinyStat
26 ottobre 2011

A. BRILLAT- Savarin, Fisiologia del gusto, Bur,1955;
J. F. REVEL, 3000 anni a tavola, Rizzoli,1979;
G. PREZZOLINI, L’Italia finisce ecco quel che resta, Rusconi, 1981;
G. MANGANELLI, Laboriose inezie, Garzanti, 1986; 
AA. VV.,Artusi 2000 con i consigli del dietologo, Giunti, 1991;
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J. DICKIE, Con gusto. Storia degli italiani a tavola, La Terza, 2009;
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G.G. GARBARINO, E l’Italia si riunì anche a tavola, Storia in rete, 03.2011;
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