Continua il percorso culturale, organizzato dal sodalizio reggino presieduto da Gianni Aiello,  relativo ai contenuti e gli indirizzi dell'articolo 21 della Carta Costituzionale delle Repubblica italiana inerente alla libertà d'informazione. Essa è garantita dalla Carta Costituzionale (articoli 21, e 33) e dalle leggi ordinarie ed è acclamata dalla coscienza popolare che non ha necessità di decreti o deliberazioni. Nel corso del nuovo appuntamento, a cura di Antonino Megali (socio del Circolo Culturale “L'Agorà”),  è stato analizzato il tema “La  censura in Italia dal Novecento ai giorni nostri giorni”. Il relatore ha avuto il merito di sintetizzare un lungo arco di tempo a riguardo tale tema, illustrandone le tappe fondamentali di tale argomento, il cui termine ci viene dall’antica Roma.
Col nome di censori – prosegue Antonino Megali - venivano indicati i due magistrati che oltre ad effettuare il censimento avevano il compito di interessarsi della pubblica moralità. Poi venne attribuito loro il compito di sorvegliare i costumi nella vita privata con la facoltà di assumere decisioni inappellabili. Nel campo ecclesiastico s’intende la condanna di una teoria teologica erronea. La censura può andare dalla semplice ammonizione alla scomunica. Si poteva anche spingere ad impedire la diffusione di testi ritenuti pericolosi, compito facilitato perché un libro circolava in poche copie.
Con l’invenzione della stampa dal XV secolo, papa Paolo IV istituì l’Indice dei libri proibiti, comprendente le pubblicazioni contrarie alla fede e alla morale. Fu abolito poi da Paolo VI nel 1965. Dieci anni dopo la Congregazione per la Dottrina della fede conferma l’obbligo del placet solo per la pubblicazione di edizione e traduzione della Bibbia, di libri liturgici, catechismi. Nel campo giuridico la parola viene usata per indicare una sanzione disciplinare nei confronti di pubblici dipendenti e una limitazione alla libertà di manifestare il proprio pensiero con le parole e gli scritti. Il termine, infine, nel campo psicologico indica quella funzione dell’apparato psichico che preclude ai contenuti inconsci inaccettabili di accedere alla coscienza.
Il sistema repressivo della libertà è sempre esistito in ogni tempo compresi i giorni nostri e ha interessato tutti i campi: dalla letteratura al cinema, dalla radio alla televisione, dalle canzoni ai fumetti. Incominciamo la nostra analisi da quest’ultimi., ricordando che proprio il fumetto che ha compiuto qualche mese fa settant’anni (apparso il 30 settembre 1948) e che è ritenuto uno dei più belli di tutti i tempi, fu tra le pubblicazioni più censurate, anche se ciò può sembrare incredibile. Già nella seconda vignetta del primo numero di Tex dice: “Non è lo sceriffo con i suoi scagnozzi”, mentre nelle successive ristampe quest’ultima parola viene sostituita con “uomini”. Così verranno cancellate altre espressioni come “sangue del diavolo”, “bastardo” e altre simili. Prese di mira soprattutto le donne che in origine apparivano a gambe nude o con profonde scollature per vederle poi in altre edizioni coperte.
Si cerca perfino di modificare la natura del nostro eroe. In origine è un fuorilegge che spara e uccide anche quando non è necessario. Viene trasformato in “giustiziere”, i dialoghi sono modificati e più che ucciderli Tex pensa a portare in prigione i nemici arrestati. Nei primi numeri inoltre la legge poteva essere aggirata e gli sceriffi apparivano come degli incapaci e degni di essere oggetto di battute ironiche. Tutte caratteristiche modificate nelle ristampe. Ricordiamo che quelli di cui stiamo parlando erano anni duri per quel tipo di pubblicazioni. Nel 1949 uno psicanalista americano scriveva: “Che gli editori, i disegnatori e gli autori di fumetti siano dei degenerati e della gente da forca, ciò è pacifico; ma poiché allora migliaia di adolescenti accettano passivamente questa degenerazione ?”. Questo censore chiese la proibizione di tutti i comics a carattere sexy, di quelli esaltanti la violenza e persino dei super-eroi. In breve bisognerebbe eliminarli tutti, perché per costui anche Walt Disney poteva in certi episodi dei suoi personaggi essere fonte di turbamento per i giovani. In Italia piovevano da ogni parte contro il fumetto accuse di corruzione, immoralità e depravazione. Si tentò anche di far approvare dal Parlamento una legge che istituiva un controllo preventivo sulla stampa a fumetti, per fortuna senza successo. Nello stesso anno di Tex, 1948, appare la prima tarzanide italiana creata da Dalmasso e vestita alla maniera di Tarzan: Pantera bionda. Il ridotto bikini di pelle di pantera che indossa inizialmente diventa sempre più castigato fino a subire l’imposizione di un abito lungo maculato. Tutto questo portò alla sospensione della testata nel 1950. L’editore fu incriminato, processato e condannato.
Sull’onda del successo del film di De Sica “Sciuscià” nel 1949 è in edicola una pubblicazione con protagonista un personaggio con lo stesso nome, creato da Tacconi per l’editore Torelli. Con questo termine venivano chiamati i monelli che facevano il mestiere di lustrascarpe. Qui la trasformazione rispetto ai primi episodi consiste nella scomparsa di un esibito antifascismo, sostituito da un accentuato filo americanismo. Ricordiamo altre pubblicazioni che hanno subito l’attenzione dei censori. Betty Boop di Fleischer, nata nel 1934 negli Stati Uniti, il primo personaggio a essere oggetto di attenzioni. L’autore s’ispirò all’attrice Mae West. Il suo corpo suscita una certa preoccupazione per la spregiudicatezza che manifestava anche nei cortometraggi che la vedevano protagonista. Quando nel 1939 fu costretta ad apparire infagottata così da essere quasi irriconoscibile, scomparve sia dai cortometraggi sia dai fumetti. Un’altra eroina che creò problemi è Wonder Woman, sempre apparsa negli Stati Uniti. È figlia di Ippolita, regina delle Amazzoni e sovrana dell’Isola Paradiso, popolata da sole donne. Disprezza tutti gli uomini e si dedica alla lotta contro i criminali di sesso maschile e manifesta anche un certo sadismo usando la frusta e torturando le sue vittime. Il suo succinto costume la rende spesso oggetto di censure da parte dei benpensanti. Facendo un passo indietro, facciamo una breve digressione sul rapporto dei comics col Fascismo. Soprattutto negli ultimi anni fu presa di mira l’editoria a fumetti, col risultato di cadere spesso nel ridicolo. Nel 1939 il Tarzan di Hogarth fu ribattezzato sull’Audace col nome di Sigfrido e il testo attribuito a un non meglio identificato Amedeo Martini. Il biondo Brick Bradford si chiamò Bruno Arcieri e poi Guido Ventura e gli furono tinti i capelli di nero per dargli un aspetto più italiano. Audax divenne il maresciallo Rossi, Jim della Giungla assunse il nome di Geo e a Mandrake fu tolta la K per diventare Mandrache. Nel 1940 si assiste al licenziamento fatto da Sor Pampurio – personaggio del Corriere dei Piccoli – della cameriera Maria Bice, colpevole di usare il Lei al posto del Voi. Nel 1941 una circolare della Federazione Nazionale Fascista - Editori Giornali proibisce tutti i racconti con “scene di banditismo, spionaggio, agguati, aggressioni ed ambienti loschi e azioni violente”. A passare l’esame del regime è solo Dick Fulmine di Cossio “il grande poliziotto italo-americano terrore dei gangsters” ispirato al pugile Primo Carnera. All’inizio indossava un maglione con il collo da ciclista a collo alto. Il Ministro della Cultura Popolare lo giudicò troppo americano e fece pressione perché apparisse più bello e al posto del maglione una camicia bianca con pantaloni alla zuava. Durante la guerra divenne solo Fulmine ed era impegnato nella lotta contro le spie anglo-americane.
Per restare, per così dire, nel leggero, affrontiamo il capitolo canzone. Fra i due secoli, tra otto e novecento non hanno problemi canzoni come “I’te vurria vasà” e “”’A cammesella” dove è descritto uno spogliarello. Nel primo dopoguerra compaiono versi con parole audaci e doppi sensi. “Vipera” lanciata nel 1919 da Anna Fougez, ad esempio, parla di una donna malvagia e di un uomo che masochisticamente trae piacere di essere in sua balia. “Vipera sul braccio di colei che oggi distrugge tutti i sogni miei […]. Vo’ il suo bacio che mi rende insano/la sua perfidia che mi fa piacere”. Nel 1924 il fascismo, sempre più vicino al potere, con una circolare ordina di presentare le canzoni straniere con parole “comunque tradotte”. Louis Armstrong diventa Luigi Braccioforte e Benny Goodman Beniamino Buonuomo. Dopo alcuni venivano ricordati i canti che potevano mettere in discussione il principio di autorità. Tra questi “la Marsigliese” e perfino “La Leggenda del Piave” perché parlava di “tradimento” e di “onta consumata a Caporetto”, e tutto quanto presentava riferimenti non rispettosi alla religione di Stato. Durante la guerra d’Etiopia la censura è perplessa nei confronti di “Faccetta Nera”, che ostentava troppa simpatia per la “bella abissina”. Il testo fu poi rimaneggiato e si cercò di contrapporre una Faccetta bianca che non ebbe seguito. Così qualche perplessità la giudica anche “Africanina” che fa: “Pupetta mora, africanina / piccolo fiore di orientalina  / labbra carnose, dolce pupilla, tutti i tuoi figli si chiameran balilla…”
Nel dopoguerra la canzone è sempre controllata dal potere, ma lo fa con molta prudenza, temendo la reazione del mondo giovanile. Così passa qualche verso audace e qualche altro con doppi sensi. È il caso di “Papaveri e papere” del 1952: “Lo sai che i papaveri 7 sono alti, alti, alti, … / e tu sei piccolina …/ e tu sei piccolina …”. Il brano allora alludeva ai notabili della DC e la paperina era il popolo vessato. Al punto che il PCI fece un manifesto in cui si vedevano gli alti papaveri democristiani falciati dal vento comunista. Censurata alla radio e alla televisione fu “La Pansé”. “Ah! Che bella pansé che tieni ! che bella pansé che hai / Me la dai? Me la dai? Me la dai la tua pansé …”.
Subisce una correzione “Vecchio frac” di Modugno: “un attimo d’amore che mai più tornerà” diventa: “un abito da sposa, primo e ultimo amor”. In “Resta cu’mme” sempre di Modugno viene cancellato il verso “Nun 'me 'mporta e chi t'ha avuto”. La canzone “Tua” cantata nel 1959 da Jula De Palma a Sanremo fece gridare allo scandalo perché poteva turbare il pubblico. La cantante ricevette lettere di insulti e venne pure aggredita. La RAI vieta la canzone anche per la pressione della Chiesa. Il verso “Tua /sulla bocca tua / dolcemente mia” si trasformò in “Tua / ogni istante tua / dolcemente tua / così”. Resta, nonostante i cambiamenti politici, una preferenza per i testi eroico-patriottici su quelli contro la guerra e in difesa dei soldati mandati a morire. L’esempio è “O Gorizia tu sei maledetta”, che ancora nel 1964, al Festival di Spoleto, fruttò una denuncia per vilipendio delle forze armate. E pensare che è una delle più note della Grande Guerra. Nel 1971 tocca a Lucio Dalla a Sanremo. La canzone prima aveva per titolo Gesù Bambino poi 4/3/1943. Alcune espressioni vengono giudicate troppo forti:”Giocava alla Madonna con il bimbo da fasciare” si trasforma in “giocava a far la donna col bimbo da fasciare”, mentre “e ancora adesso che bestemmio e bevo vino / per i ladri e le puttane sono Gesù Bambino”, diventa “ e ancora adesso che gioco a carte e bevo vino / per la gente del porto mi chiamo Gesù Bambino”.
Nel “Per fare un uomo” Guccini canta: “Per fare un uomo ci vogliono vent’anni, per fare un bambino un’ora d’amor”. Alla RAI non piace. Lo trasforma in “per farlo vero un’ora d’amor”. In “Ragazzo triste” del 1966 Patty Pravo cantava: “scoprire insieme il mondo che ci apparterrà”, ancora una volta la RAI preferisce”il mondo che ci ospiterà”. Claudio Baglioni corregge volontariamente “Piccolo grande amore”. Troppo forte “la paura e la voglia di essere nudi”. Meglio “la paura e la voglia di essere soli”. Infine in “Bella senz’anima” di Cocciante “e quando a letto lui ti chiederà di più” non va bene, meglio “e quando un giorno lui ti chiederà di più”.
Mettiamo ora da parte pure le canzoni e passiamo alla galassia RAI-TV. In questo settore oltre alla solita censura, si scopre un fenomeno di autocensura tanto che i funzionari si preoccupano preventivamente di non creare situazioni incresciose. La TV delle origini pone precisi limiti all’uso delle parole. Non si può dire “membro del Parlamento” o “in seno alla Commissione”. Non si possono usare termini come amante, parto, vizio, alcova, amplesso. Preferibile”stato interessante” a gravidanza; a suicidio “insano gesto” e “male incurabile” a cancro. Ma, si sa, nessuno è perfetto e qualcosa può anche sfuggire. Allora s’interviene dopo. Nel 1956 la rivista “La piazzetta” viene sospesa perché la ballerina Alba Arnova balla con una calzamaglia aderente tale da sembrare nuda. Alle gemelle Kessler (quattro gambe con una testa come scrisse Ennio Flaiano) dalle lunghe gambe vennero fatte indossare pesanti indumenti di lana scura e solo dopo alcuni anni fu loro concesso di usare il nylon. Maria Luisa Garoppo, concorrente di Lascia o raddoppia, suscita scandalo per il suo seno prosperoso, tanto che si cerca di inquadrarlo il meno possibile. Alighiero Noschese quando imita gli uomini politici viene sottoposto a censura preventiva e i tagli non si contano. Nel 1974 in occasione del referendum sul divorzio viene tagliata la frase scambiata da una coppia: “Se vuoi ti concedo il divorzio, non mi oppongo”, pronunziata nello sceneggiato David Copperfield. Infine Abbe Lane e Xavier Cugat provocarono scandalo per gli ancheggiamenti dell’attrice e la trasmissione fu sospesa.
Oggi naturalmente tutto è cambiato. Il principale desiderio è la visibilità, la privacy è scomparsa e ognuno si sente in diritto di parlare di argomenti che non conosce. Resta costante solo la lottizzazione della TV da parte dei partiti.
Ora una breve carrellata sul cinema. Oggi non esiste più la censura sugli spettacoli, ma in passato il cinema ha dovuto fare i conti con norme restrittive preventive o applicate a posteriori. I films proibiti durante il fascismo si contano a centinaia dato che i nudi erano proibiti; l’amore di una coppia doveva sfociare necessariamente nel matrimonio. Si tollera a mala pena il bacio purché “casto”. Solo a partire dal 1940 viene tollerato qualche strappo. Nel 1941 ne “La corona di ferro” l’attrice Vittoria Carpi scopre il seno e l’anno dopo lo farà anche Clara Calamai ne “La cena delle beffe”. Nel dopoguerra Andreotti mantiene la censura preventiva e De Gasperi promette un Ufficio presso la prefettura dove si possono segnalare le offese al pudore. Nel 1947 viene bloccato il “Diavolo in corpo” poi rimesso in circolazione dieci anni dopo. Il motivo è l’indulgenza verso l’adulterio. Il romanzo di Stendhal “Il rosso e il nero” nella riduzione cinematografica subisce il taglio di una scena di due amanti a letto e l’abolizione della parola “pretonzolo”. “Il Disprezzo” di Carlo Ponti tratto dal romanzo di Moravia contiene scene con la Bardot nuda. Vengono tagliate. Un caso famoso è quello della Dolce Vita di Federico Fellini. La prima visione è accolta de fischi e insulti e la Chiesa si schiera contro poiché offende la sacralità di Roma. Fellini è aggredito da una vecchietta che si attacca alla sua cravatta gridandogli: “Meglio legarsi una pietra al collo e affogare nel più profondo dei mari piuttosto che dare scandalo alle genti”. Così a Padova sul portale di una Chiesa appare un enorme manifesto listato a lutto con sopra scritto: “Preghiamo per la salvezza dell’anima di Federico Fellini pubblico peccatore”. Il film non viene ritirato, ma la visione è vietata bai minori di sedici anni.
Può sembrare strano, ma pochi furono perseguitati come Totò. Scene dei suoi film furono tagliate o soppresse, i dialoghi modificati, titoli e nomi cambiati. Totò e Carolina, con Anna Maria Ferrero, detiene il record dei tagli.  Uscì con un anno di ritardo. I motivi erano le offese all’arma dei carabinieri e alla religione cattolica, apologia del comunismo ed altro. Risultò non adatto in 35 punti. Alcune scene ritenute scabrose perché figuravano nudi femminili venivano girate due volte: una per il mercato italiano, l’altra per quello straniero. La pellicola “Una di quelle” fu vietata ai minori di sedici anni sia per il tema trattato – quello sulle prostitute – sia per il titolo. In “Risate di gioia” con la Magnani fu cambiata la battuta “sono una manica di stronzi” con “sono una manica di fessi” e potremmo continuare ancora per molte pagine. Spesso come racconta Gianni Massaro nel suo “L’occhio impuro” in passato esisteva una vera e propria categoria di moralizzatori che passavano il tempo a vedere film proibiti per denunziare all’autorità poi ogni tipo di oscenità con ogni dettaglio. Qualcuno confessava, messo alle strette, di non aver mai visto il film e la denuncia era stata fatta … per sentito dire. Lo stesso ricorda che dopo la proiezione di “Quel gran pezzo dell’Ubalda tutta nuda e tutta calda” vi fu un sacerdote di una città del sud che cominciò a inveire contro il malcostume cinematografico senza pensare che gli altri spettatori avrebbero potuto rilevare – come effettivamente accadde – la stranezza della presenza di un uomo di Chiesa in una pellicola dal titolo fin troppo esplicito. Da ricordare infine – come fa Marta Boneschi nel suo “Il comune senso del pudore” ricco di episodi dei quali alcuni ripresi in questa relazione – all’inizio degli anni cinquanta il Centro cattolico cinematografico, classifica la pellicola con un codice: T è per tutti, A soltanto per gli adulti, AR per adulti con riserva, S sconsigliabile, E escluso. Passiamo ora alla letteratura. Prima del fascismo il controllo era affidato ai prefetti, ma era piuttosto elastico e aveva il compito di preservare la cosiddetta morale pubblica. Ma ci sono sempre autori processati per oscenità. Tocca a Umberto Notari per “Quelle signore” e poi a Filippo Tommaso Marinetti per “Mafarka il futurista”. Mussolini, preso il potere, iniziò prima ad occuparsi della Stampa, soprattutto dopo il delitto Matteotti, che peraltro conosceva bene per essere stato giornalista. Poi, gradualmente, la censura riguarda i libri e tutti vengono passati al setaccio e vengono modificate perfino le traduzioni se gli autori sono stranieri (“Niente di nuovo sul fronte occidentale” di Remarque viene pubblicato solo nel 1941 e problemi hanno anche autori come Mann, Steinbeck, Simenon). Riesce a farla franca Moravia perché il suo primo libro, “Gli indifferenti” del 1929, è stampato dalla casa editrice Alpes della quale era presidente Arnaldo Mussolini. Centinaia sono gli scrittori incriminati come dimostra il lungo elenco che ne fa Giorgio Fabre nel suo “Il censore e l’editore”. Anche dopo la caduta del regime, nel dopoguerra, rimane ancora presente nella mente di molti politici una visione legata ancora al mondo in cui erano vissuti. E a loro fianco anche la Chiesa si batte per la difesa della morale e del pudore. L’opera teatrale di Vitaliano Brancati, “La governante”, nel 1952 non ottiene il visto. Tocca infatti il tema dell’omosessualità e la protagonista si suicida pure. Andrà in scena solo dopo molti anni e dopo la morte dell’autore. Brancati scrive con “Ritorno alla censura” la sua difesa e accusa la democrazia di usare ancora metodi dittatoriali. Il nulla osta, nel 1947, è negato anche a un classico, “La mandragora” di Machiavelli, perché protagonisti sono un’adultera e un frate non proprio esemplare. E perfino nel 1960 viene considerata “opera pagana” “Il Martirio di San Sebastiano”, opera che era stata scritta da d’Annunzio in Francia e musicata da Debussy. Nello stesso anno vietata ai minori di diciotto anni va in scena “L’Arialda” di Testori, ma sarà sequestrata l’anno dopo avendo al centro il tema dell’omosessualità. Curiosa la vicenda de “L’amante di Lady Chatterley” di Lawrence, pubblicata per la prima volta a Firenze, in inglese, nel 1928. Il romanzo fu subito considerato osceno perché trattava l’amore di una nobildonna con un guardiacaccia. In Inghilterra fu processato e dato alle stampe solo nel 1960. Ma proprio ora si è scoperto che il giudice che presiedeva il processo a Londra fece leggere in realtà il libro alla moglie che non mancava di sottolineare con una matita blu tutti i passi ritenuti osceni. Saltiamo l’argomento Pasolini perché occuperebbe da solo una relazione. Pensate che fu al centro di oltre trenta procedimenti giudiziari.
Veniamo ora ai giorni nostri. Dopo il sessantotto la società si trasforma o, forse più correttamente, accelera il suo processo di trasformazione. Il nudo non scandalizza più nessuno. L’anno scorso lo spettacolo “Bestie di scena” vede quattordici attori maschi e femmine spogliarsi sul palcoscenico e proseguire in costume adamitico fino alla fine. Nessuno protesta vedendolo in tanti teatri d’Italia. Il turpiloquio impazza in TV. E pensare che successe il finimondo quando nel 1979 era stata sdoganata in RAI da Cesare Zavattini la parola “cazzo”. Oggi personaggi come Grillo, Corona, Sgarbi, usano un linguaggio ricco di parole una volta ritenute sconvenienti. Anzi più trasgrediscono con le parole, più vengono applauditi. Inoltre oggi chi oserebbe classificare in cosa consiste il “comune senso del pudore” ? Il codice penale è stato modificato e chi una volta finiva in prigione per aver commesso atti contrari alla pubblica decenza o qualunque cosa rasentasse l’oscenità, oggi, male che vada, se la cava con una multa. Sembra non esistere, dopo anni di totale bigotteria, censura né censori e sui social girano foto intime che poi fanno il giro della rete. Tutto risolto, pertanto, con la liberazione sessuale, la libertà del linguaggio e la scomparsa di tutti i tabù e di ogni proibizione ? No, cambiano solo le motivazioni e oggi, camuffata da “Buona Causa”, riappare la voglia di censure e d’inquisizioni. Questo nuovo conformismo si chiama “politicamente corretto”. Un breve elenco di fatti, accaduti negli ultimi anni fino ai giorni nostri per far capire i risultati delle ossessioni e delle requisitorie moraliste. Già nel 2016 Paolo Mieli sul Corriere lanciava l’allarme per questo fenomeno citando una serie di avvenimenti. A Madrid un sindaco donna imponeva Re Magi donne per avere “un rapporto più equilibrato tra uomini e donne”. Il capitano Achab protagonista del capolavoro di Melville è stato messo all’indice in alcune università americane perché “portatore di un atteggiamento sconveniente nei confronti delle balene”. È messo in discussione Ovidio, il poeta latino, per il contenuto violento delle sue “Metamorfosi” contenenti “scene erotiche tali da provocare traumi nei giovani lettori”. Ad Andrea Camilleri è stato chiesto dalla commissione europea alla pesca di eliminare dalle avventure di Montalbano l’abitudine di cibarsi di pescetti. E perfino alla Disney, è stato inoltrato l’invito dall’Associazione per la difesa del fanciullo di togliere il battipanni con cui lo zio insegue Qui, Quo e Qua per bastonarli. Ma non è finita qui. Alcune scuole americane hanno tolto il Diario di Anna Frank perché descrive il suo corpo in trasformazione. Una compagnia teatrale inglese per non offendere persone con disabilità ha trasformato il gobbo di Notre Dame (dal romanzo di Victor Hugo) in “Il suonatore di campane di Notre Dame”. In una scuola dell’Idaho i genitori degli allievi hanno chiesto che il libro “Uomini e topi” di Steinbeck non venga fatto leggere agli studenti per via della presenza di parole come “bastardo”. Negli ultimi anni gruppi di nativi americani hanno fatto pressione perché non venga più celebrato il Columbus Day. Oggi il genovese Colombo è considerato un mercante di schiavi, un razzista. Un classico come “Le avventure di Huckleberry Finn” di Mark Twain viene ritradotto eliminando la parola negro e sostituita con schiavo. Il povero Kipling ha visto all’Università di Manchester coprire un murale con una sua poesia, perché considerato razzista. Al Maggio Musicale Fiorentino viene cambiata la finale dell’opera lirica Carmen di Bizet per non istigare al femminicidio. Qualche anno fa ai Musei Capitolini furono coperte statue nude per non offendere un leader iraniano, che se ne andò sconcertato per quell’atto di servilismo. È recente la decisione delle sindache grilline di Roma e Torino che censurano manifesti contro l’utero in affitto ritraenti due maschi con un bimbo nel carrello della spesa. Offenderebbe gli omosessuali. Mesi prima altri manifesti erano stati rimossi presentando un feto di undici settimane. L’immagine offendeva – non si capisce perché – le donne. In mezzo a questo scempio meraviglia che si sia salvato Alessandro Manzoni che a don Abbondio fa commentare così la peste: “È stato un gran flagello, ma è stata anche una scopa; ha spazzato via certi soggetti che, figlioli miei, non ce ne liberavamo più”. Ma sentite questa recentissima. Una giornalista su Repubblica ha scritto che Maria Elena Boschi si è presentata alla Leopolda con “degli stivali a mezza coscia”. Un collega ex direttore di Europa l’ha attaccata perché a suo parere l’espressione “a mezza coscia” è sessista. Il bello è che – come appare dalla foto – gli stivali erano sotto il ginocchio.
Ora passiamo all’incredibile. È finita sotto accusa una delle più belle fiabe scritte: “La bella addormentata nel bosco”. Il bacio finale del principe che pone fine all’incantesimo è una vera e propria molestia sessuale! Prima o poi cambieranno il finale. Un attrice, tale Keira Knightley ha proibito la visione a casa sua del cartone della Disney “Cenerentola”, per non far credere alla figlia che esistono i principi azzurri che salvano le fanciulle. Non sanno che la conoscenza delle fiabe è un elemento fondamentale nello sviluppo dei bambini, perché come ha scritto lo scrittore Bernard Malamud è attraverso le fiabe che i bambini imparano che la notte finirà e che rimarranno vivi fino al nuovo giorno. E dimenticano l’ammonimento di Chesterton: “Le fiabe non dicono ai bambini che i draghi esistono, ma che i draghi possono essere sconfitti”. E come non ricordare quella fiaba di Andersen dove è un bambino, dando una lezione a tutti i conformisti, a rivelare la nudità del Re.
Il politicamente corretto ha infierito anche sul vocabolario e sull’uso delle parole. Già Sergio Romano qualche anno fa lamentava la scomparsa di termini straordinariamente espressivi come “sciancato, storpio, orbo, zoppo, straccione, pezzente”. Oggi il termine clandestini è ritenuto discriminatorio; dare del negro è un reato; lo stesso vale per la parola zingaro; omosessuale può passare, ma non i suoi sinonimi. Il termine “vaffa” è orma di uso comune, ma diventa censurabile se accompagnato dal dito medio. Cancro non va, meglio tumore, l’ideale è neoplasia. Cieco e sordomuto vanno sostituiti con ipovedente e audioleso. Demente è troppo crudo, meglio persona colpita da malattia neurodegenerativa. Guai a dire grasso: devo dire sovrappeso. Storpio è una persona con disabilità motoria. Un nano diventa verticalmente svantaggiato. Non si è vecchi, ma anziani. E sentite come è andato a finire il termine zoppo: persona con una ridotta funzionalità degli arti inferiori. Il paralitico ? È “non deambulante”.
Basta! Aveva proprio ragione Flaubert che in una lettera a Maupassant sotto processo per i suoi Versi, esprimendogli tutta la sua vicinanza, così concludeva: “La terra ha dei limiti, ma la stupidità umana è infinita”.
ShinyStat
8 novembre 2018
la manifestazione