1) uno legato alle attività primarie che trasformano uno spazio geografico in spazio per l’abitare giacché la sua etimologia rimanda, infatti, a verbi indicanti attività agricole: tĕrĕre = arare, triturare le zolle; tauritorium = terreno lavorato dai tori.
2) l’altro che connota un’idea di spazio appropriativo, difensivo o escludente. Infatti è interessante la possibile derivazione da terreo, terrēre = atterrire, spaventare (quindi un’accezione difensiva /ostile della territorializzazione).
Traendo ispirazione dalla lettura del celeberrimo brano di Leonida Repaci: “Quando fu il giorno della Calabria”[ da “Calabria grande e amara” (1964), il prof. Renato Crucitti ha illustrato le ricchezze naturalistiche e ambientali che la provincia di Reggio Calabria è in grado di offrire abbondantemente a quanti vogliano percorrerla curiosando in lungo e in largo.
La relazione ha messo in evidenza come nei trascorsi periodi storici, la eccellente posizione geografica della Calabria, al centro del mar Mediterraneo, pur facilitando il progresso e lo sviluppo socio-economico del territorio, ha tuttavia favorito l’avvicendarsi di numerose dominazioni straniere che di questo estremo lembo di terra ne avevano percepito la prosperità e la grande importanza strategica.
Nella sua esposizione il relatore ha altresì posto l’accento sul 38esimo parallelo settentrionale che, affratellando Reggio alle città di Seul, Smirne, Atene, Cordova e San Francisco, ne traccia quasi un unico orizzonte di culture diverse ma (si auspica) di pace.
Si sono sottolineate le peculiarità dello Stretto di Messina (“il paradiso dello zoologo”), gli aspetti fisici e le sue caratteristiche idrodinamiche.
Si è entrati quindi nel vivo dell’esposizione presentando gli elementi geografici che definiscono il territorio: la sua storia geologica, il suo assetto tettonico e la geomorfologia, il rilievo e quali risorse geologiche si nascondono nelle sue viscere, il mare, le coste e le acque interne, la flora e la fauna, le ricchezze paesaggistiche ed antropiche (i segni lasciati dall’uomo nello spazio e nel tempo).
In merito al primo punto le vicende geologiche del territorio reggino coincidono con la nascita del rilievo aspro montano la cui nascita risale a circa 28 milioni di anni fa grazie all’espansione dei fondali oceanici ed ai movimenti di deriva della masse continentali.
Il lungo racconto ha evidenziato inoltre come questa terra, dal fondale oceanico si sia progressivamente innalzata fino a culminare a 1956 m s.l.m.
La conseguenza più ovvia appare nel tormento di un paesaggio che, sotto le ripetute spinte compressive ed espansive delle zolle crustali in movimento, si è come “accartocciata”, mostrandosi oggi con una forma stretta ed allungata (penisola di penisola), quasi del tutto priva di grandi pianure ma prodiga di zone elevate, montuose e collinari, aspre e dirute.
Sono state perciò mostrate le entità del sollevamento, le linee di faglia, gli strati del terreno ripiegati e/o contorti, le sedimentazioni erosive e i terrazzamenti marini.
Né sono stati sottaciuti gli aspetti geomorfologici e le notevoli differenze tra il versante tirrenico e quello ionico, condizionati come sono dagli influssi climatici vieppiù esasperati dall’azione dei venti di scirocco.
Riguardo alle risorse litologiche e mineralogiche si sono ricordate le ricerche minerarie d’epoca borbonica (1756) di rame, zinco, piombo e argento ad Arangea e Trunca sul Valanidi, nonché i centri di estrazione e lavorazione del ferro (e del molibdeno) a Stilo, Bivongi e Pazzano nella vallata dello Stilaro cui, in tempi relativamente recenti (1939-1959) si è affiancato il circondario di Mammola per l’estrazione dell’arsenopirite da parte della Rumianca S.p.A.(miniera Macariace).
Si è poi passati ad esaminare le ricchezze paleontologiche che abbondano nelle colline intorno a Reggio e che sono riportate nella letteratura specializzata con esempi che vanno da una mandibola infantile di tipo neandertaliano, alle ossa di animali terrestri (elefantidi, cervidi, bovidi, suidi ed equidi) ed ai resti scheletrici di mammiferi marini (cetacei e sirenidi) ma anche isolati denti di squalo ed enormi ammassi di alghe calcaree e gusci conchigliari.
Per quanto attiene le acque interne il resoconto del professore ha chiarito la presenza dei torrenti e delle fiumare che nella parte alta del loro corso mostrano spettacolari salti d’acqua (numerose le cascate aspromontane).
Nelle loro acque inoltre non sono infrequenti gli endemismi quali: il Tritone alpino della Calabria (Mesotriton alpestris inexpectatus), l’Ululone dal ventre giallo (Bombina pachypus), la Salamandrina pezzata appenninica (Salamandra salamandra gigliolii).
Tra le piante, vi sono da annoverare alcune rarità di felci tropicali: la Felce bulbifera (Woodwardia radicans), la Pteride di Creta (Pteris cretica) e la Pteride a foglie lunghe (Pteris vittata longifolia), veri e propri relitti climatici, mute testimoni di altre epoche geologiche sopravvissute solo grazie a ristretti habitat isolati rimasti incontaminati, nonchè la pregiata Rosa di monte o Peonia maschio (Paeonia mascula ssp. mascula).
Nelle foreste montane fa la sua fugace apparizione un altro endemismo, il “folletto dei boschi”, lo scoiattolo nero meridionale (Sciurus vulgaris meridionalis), in dialetto chiamato “zancaneddha”.
Chiudono la rassegna le falesie del litorale di Palmi e di tutta la Costa Viola; sulle pareti alte e rocciose a strapiombo sul mare, si aprono spesso grotte ad altri anfratti, oltre a spiaggette isolate e incantevoli raggiungibili solo dal mare.
Tra i segni lasciati dall’uomo particolare menzione merita la Vallata delle Grandi Pietre, ricca di leggende e di storia. Già luogo di antichi insediamenti di monaci basiliani si trova sul versante orientale del massiccio d’Aspromonte, nella zona del comune di S. Luca, ed è caratterizzata dalla presenza di enormi blocchi di pietra tra cui Pietra Cappa (il più grande monolite d’Europa), Pietra Castello, Pietra di Febo e la Rocca di S. Pietro dove sono tuttora visibili gli asceteri e i romitori utilizzati dai santi eremiti.