Il palinsesto della nuova edizione si è articolato in due sezioni: quella del concorso vero e proprio e la sezione "Horismos" che ha proposto i corti migliori partecipanti alle precedenti edizioni del festival del cortometraggio "Hypergonar", organizzato dal Circolo Culturale "L'Agorà".
Molte le tematiche affrontate, quali violenze,immigrazione, dolore, solitudine, voglia di rivincita, incubi.
Il festival, brillantemente condotto da Gianfranco Cordì, responsabile del settore cinema del sodalizio reggino, anche per questa edizione ha riscosso consensi nelle adesioni.
Tale riscontro scaturisce dalla passione, e ci si consenta anche dalla serietà e la professionalità dello staff tecnico, condotto dallo stesso Gianfranco Cordì.
La manifestazione è stata l’occasione per poter vedere, in città, delle piccole opere che altrimenti non avrebbero avuto alcuna possibilità di passare al pubblico.
Il cortometraggio è stato, da sempre, un mezzo molto più rapido ed efficace per affrontare il mezzo—cinema in maniera più sbrigativa e semi-professionale.
L’autore che si cimenta in questo tipo di opera ha a disposizione pochi minuti e non racconta una storia (come si fa in un lungometraggio) ma si muove, più che altro, per mezzo di flash-back e di immagini visivamente mosse per descrivere uno stato d’animo, una sensazione, un’idea.
Si sono viste a Reggio Calabria, proprio opere che sono di questo tipi.
In pochi istanti veniva condensata sullo schermo una certa impressione visiva o d’altro tipo) e veniva lasciata allo spettatore, tante volte, anche la conclusione stessa dell’opera.
Il pubblico ha molto apprezzato proprio questo aspetto della cosa.
Il cortometraggio è filtrato attraverso tutta la sua serie di possibili soluzioni: dallo spot pubblicitario, al minifilm al cartone animato.
Si sono viste le opere e le tematiche più disparate.
È stato messo in evidenza che maggiore visibilità dovrebbe essere riservata ad opere di questo tipo.
Nei circuiti queste produzioni non passano e se si fanno solo da supporto a qualche film di grande consumo.
Il cinema tende sempre a farsi fatto commerciale.
Ciò danneggia le piccole produzioni che si trovano senza spazi per potersi fare apprezzare.
Il film che passa nelle sale è un film di largo respiro e di larga fruizione. È spesso becero, inutile, goffo: fatto di luoghi comuni, violenza e sesso più che altro.
O il grande attore di grido che attira le folle.
Sembra non vi sia alcuna attenzione per i contenuti.
Il film è solamente un recipiente che contiene spesso, solamente, i rimasugli del sogno collettivo dell’immaginario quotidiano.
I cineasti non riescono ad andare oltre quello che è il buon senso comune filmico, e il comune sentire delle folle.
Un film deve essere buono qui come in America come in Somalia.
Per i cortometraggi il discorso cambia.
Dover condensare in pochi minuti un concetto, consente di diluire la dose di conformismo presente nelle produzioni maggiori.
Il mezzo del corto è già di per se rivoluzionario, in questo senso.
Con il corto il concetto è lo stesso corto.
La sua brevità.
E questo consente che, paragonandoli alla letteratura, i corti non siano dei racconti brevi paragonati alla narrazione fiume del romanzo, ma delle opere a se, dissimili dal romanzo- film: che racchiude spesso un unico senso ed un’unica utenza di destinatari.
I cortometraggi visti a Reggio esprimevano proprio questo stato di cose.
Ed alcuni erano, anche, di ottima fattura.
Fare corti è un mestiere difficile.
C’è chi vi si dedica solamente.
Non è un piccolo film ma è un film diverso dal film lungo che siamo soliti vedere.
È, concettualmente, un’altra cosa.
E l’autore dei corti si trova a doversi confrontare con un suo specifico che è uno specifico che ha delle sue regole e dei suoi meccanismi prespicui.
I corti passati a Reggio hanno fornito una rassegna, per immagini, dell’Italia di oggi e delle altre realtà internazionali.
Storie microscopiche e rapidi appunti di storie per riempire il nero dello schermo quasi sempre di un’idea.
Il che non è poco.
La prima giornata si è svolta con la discussione su alcune pubblicità sia italiane che straniere da parte di Gianni Aiello.
La pubblicità come mezzo di comunicazione o di dissuasione dalla realtà : oltre quarant’anni di vita e costume della penisola italiota … attratti anche dal modo di concepire la vendita dei prodotti oltre confine, Francia, Usa, alcuni degli esempi.
La pubblicità come specchio dei tempi, e l'uso di varie forme di cortometraggio: cartone animato, storia breve, pubblicità dirette.
Abbiamo scelto di aprire con le pubblicità che esprimono il nostro tempo come “Civiltà dell’immagine” .
Con la loro velocità indicano i tempi che viviamo
È stata un’ occasione per parlare degli spot stranieri che non vanno in onda in Italia come la Holstein Piels con l’attrice Marylin Monroe , Pepsi con Ray Charles, Michelob del regista Stanley Kubrick, la francese Samaritane.
La discussione si è conclusa con una classica italiana degli anni boom del “Carosello”: con i contenuti relativi a de “Lagostina” con la striscia di Osvaldo Cavandoli e del suo famoso personaggio conosciuto come "La linea".
É stata anche la volta dei personaggi del “Caffè Paulista” dove «… nella pampa sconfinata dove le pistole dettano legge …» o di altri momenti caratterizzati da altre animazioni del periodo.
Nella sezione "Horismos" invece è stato proiettato "Camper Clown" .
Il clown è l’unico che c’è in giro in una città vuota.
Buona inventiva e capacità di realizzazione per avere girato in una città completamente vuota.
Un gruppo di amici tornando da una vacanza si accorgono che la loro città è completamente vuota e che uno strano individuo si aggira in essa.
I quattro giovani sono sereni, lontani ancora per poco da un omologazione che non sanno o non hanno gli strumenti per rifiutare, ma il grigio avanza, cercando più volte di rovinare l’armonia, riuscendoci, alla fine.
Bello è stato, il corto in questione che racconta una storia futuribile di una città priva di abitanti dove risiede solamente il misterioso clown.
Solitudine esistenziale e grottesco della vita, misti insieme in questa opera hanno portato agli spettatori il fascino di una narrazione altra, da quella che può essere la narrazione tradizionale di un lungometraggio accreditato.
Ci è sembrato per questo notevole di essere riproposto all’attenzione del pubblico .
La seconda giornata è stata caratterizzata dal lavoro di Daniele Carrer che nel resoconto visivo, è caratterizzato da tredici episodi basati sulla difficoltà di non essere normale.
Nei temi di Daniele Carrier nessun personaggio parla ma una voce fuori campo racconta tutto, in questo si riconoscono New York, Parigi e Venezia.
Il percorso realizzato dall'autore non ha nulla in comune con il titolo: nessun fallimento o improvvisazione, anzi il messaggio di Daniele Carre va in tutt'altra direzione.
Il secondo cortometraggio della giornata, "Les chants de Maldoror", poggia le proprie fondamenta su un monologo, ben interpretato, inserito in uno scenario caratterizzato da onirici giochi di luce, filmati e musiche che danno il giusto pathos all'interpretazione dell'attore.
Il lavoro di Alberto Di Cintio prende spunto da una lettera di Ducasse - Conte di Lautreamont che si materializza in un umorismo alquanto macabro e dal quale risulta difficile dare una lettura relativa nel distinguere dove finisce la sincerità e dove, invece, ha inizio l'azione relativa alla mistificazione che Ducasse fa del suo personaggio “Maldoror": una sorta di giullare di corte.
L'autore del cortometraggio prende spunto da inodore Ducasse – Conte di Lautreamont, il quale in una lettera del 1869 definiva così i suoi romanzi in prosa: “Qualcosa nel genere del Manfred di Byron e del Konrad di Mickiewicz, ma ben più terribile”.
Un intreccio interpretativo costituito da frenesia sadica, bizzarro senso dell'umorismo, giusti elementi che ben inquadrano il linguaggio dei “Chants”, con anticipazioni, elusioni, inserite nel linguaggio filmico.
Il lavoro visivo, dai gusti surreali, riesce a materializzare l’aspetto letterario dell’universo maldororiano, concentrandolo nel set di una stanza, dove si sono succedute rapidamente le varie fasi della produzione ed il susseguirsi degli addetti ai lavori che hanno improvvisato nell' unica location del film.
Samantha Casella ci propone due lavori, di cui il primo "Non chiudere gli occhi" risulta alquanto attuale dove ipocrisia, solitudine, sono inseriti in uno strano percorso narrativo, un manifesto che rispecchia la società attuale, dove l'individualismo prevale su tutto il resto.
Il secondo lavoro "Memoria da un isola di morti" è una produzione italo--svizzera e narra le vicende caratterizzate dai pensieri, dalle sensazioni di amori passati come quello della Monroe o quello della Waleska con Napoleone Bonaparte, un buon intreccio di flash-back sia storico che di costumi.
Nella sezione "Horismos" trova posto il lavoro di Ferruccio Gibellini con "Il volo di Ivan" : una storia intelligente, un racconto per flashback, metafora dei tempi moderni con temi kafkiani.
La terza giornata si apre con il lavoro di Maurizio Failla che estrapola alcuni fotogrammi del lavoro, diretto da Tony Scott , con Tom Cruise, inserendoli nel triste settembre newyorkese di qualche anno fa.
I lavori, hanno un unico comune denominatore, il titolo "Top Gun" ma le storie, purtroppo rimangono diverse come sono le sensazioni e le conseguenze che caratterizzano finzione e triste realtà.
Seguono i quattro lavori di Stefano Bertelli che vanno dall'animazione, ai cartoon, al video-clip vero e proprio, quello musicale risulta quello oggetto della visione caratterizzato da ritmie alquanto grintose che sostengono la trama sonora di "THE PASSAGE" – video clip dei EPHEL DUALTH .
Dei quattro lavori, tra l'altro tutti di ottima fattura, quello che ha più colpito è stato il lavoro, alquanto ironico, che riporta alla mente i fatti di cronaca estera.
Il set è caratterizzato dal cartoon, sostenuto da una buona musica, i cui principali attori nel bene e nel male, anche se un pò difficile fare un distinguo, faranno ancora per molto tempo parlare di se stessi e di tutto ciò che è ruotato ed è stato schiacciato intorno a loro.
Un lavoro intelligente, dinamico, oggetto di riflessione dei fatti, dei personaggi, del momento che si sta vivendo in questo ultimo periodo storico.
È stata la volta del lavoro di Fabio Comi "Qualcuno su cui sputare" , ispirato ad un fatto di cronaca accaduto recentemente, il corto narra di Skanderber, immigrato clandestino albanese, che desidera integrarsi nella società italiana.
Deve però scontrarsi con la difficile realtà quotidiana fatta da indifferenza, soprusi e violenze.
Questa narrazione tende a far riflettere sulla situazione dell'immigrazione vista da parte dei deboli, di coloro che vengono nella penisola italiana dopo stenti e che forse illusi dalla pubblicità televisiva, dai quiz a premi, o forse da altro: la realtà risulta difficile, ben diversa da quella immaginata.
La storia dell'immigrazione con i suoi drammi, paure, impatti culturali, a volte difficili da decifrare analizzare: il lavoro del giovane regista reggino né da uno spaccato di tale situazione una sorta di analisi storica e sociale del fenomeno con i suoi drammi ed aspetti umani dei protagonisti.
Fabio Comi , laureato in Disciplina delle Arti e dello Spettacolo. Nel 1997 ha vinto il primo premio al concorso per video “Rosadimaggio” indetto dall’Università della Calabria con il corto “The last script” .
Nel 1998 ha vinto il secondo premio al concorso “Filippo Sacchi”, indetto dal Sindacato Giornalisti Cinematografici Italiani per le migliori tesi di argomento cinematografico.
Un altro autore reggino è stato Pasquale Misuraca: Laureato in sociologia, presso l’Università “La Sapienza”, tra il suo curriculum annovera quello di consulente della Rete Due televisiva della Rai-Tv (1976-80), collaboratore della Terza Rete radiofonica della Rai-Tv (1980-82), della ENCICLOPEDIA MULTIMEDIALE DELLE SCIENZE FILOSOFICHE della Rai-Tv (1990-91.
C'è ancora qualcosa da sottolineare ariguardo questa edizione e nello specifico i lavori dei due autori reggini, ma sovente anche di chi ci si cimenta nella realizzazione di un cortometraggio, realizzati, spesso, con pochi soldi e molta fantasia.
I lavori di Pasquale Misuraca e Fabio Comi.
È una risposta da due autori che vedono la realtà delle cose per mezzo della videocamera e che lamentano una mancanza d’aiuti per coltivare la loro professione, il loro talento.
Alla fine della manifestazione, dopo il dibattito sono stati premiati Pasquale Misuraca, Fabio Comi e suoi collaboratori.
Buona la qualità e l’organizzazione di un festival che sta diventando un appuntamento fisso per reggini e non .
Le iscrizioni sono aperte per l’edizione del prossimo anno.