La lettura di un cortometraggio è un modo di confrontarsi proprio come avveniva nella "piazza" dell'antica Grecia, l'agorà, dove si di discuteva e ci si confrontava.
Quindi tale strumento, atto a dare un messaggio, è nel contempo un modello di lettura che l'autore del cortometraggio vuole lasciare con la sua produzione ed anche un viaggio nello spazio e nel tempo.
Infatti, nella sezione "archeologia" sono stati commentati alcuni lavori dei fratelli Auguste e Louis Lumiere, realizzati tra il 1895 ed il 1896, con la riproduzione di alcune scene di vita quotidiana di quel periodo, ed il lavoro di Edwin Porter "The great train robbery"- L'assalto al treno - (1903).
Il prodotto del regista statunitense può considerarsi uno tra i primi del genere western, un film che ottenne notevole successo, pur non essendo il primo film a soggetto.
Con i suoi soli undici minuti riuscì comunque ad ottenere un grosso seguito di pubblico anche in virtù dell'uso dei primi piani e per la sua facilità di lettura.
Questo blocco è stato caratterizzato da un voler ripercorrere quella che è stata la genesi storica del cinema, che nasce appunto come cortometraggio.
I filmati visti hanno rappresentato, attraverso la ripresa di momenti di vita vissuta, effettuata dai Fratelli Lumiere, un momento di riflessione per tutti quanti i presenti su due circostanze: come dalla fotografia si sia passati all’immagine-movimento (Gilles Deleuze, citato in apertura della sua introduzione da G. Cordì ) e, quindi al cinema e quali erano le caratteristiche dei primi cortometraggi della storia.
E’ emerso che dalla vita vissuta, ripresa dalle prime avveniristiche cineprese dei Lumiere, la macchina-cinema si è evoluta arricchendosi di storie, situazioni, personaggi, idee, giungendo alla forma-cinema del presente, ovvero quella del lungometraggio.
Il formato del corto non è mai stato abbandonato dai suoi cultori, ma oggi non ha più l’importanza che aveva una volta.
Il cortometraggio “L’assalto al treno” si è rivelato particolarmente importante in questo senso; infatti la storia risulta più costruita, i personaggi più delineati, le scene meglio disegnate.
La manifestazione odierna è stata organizzata dal Circolo Culturale L’Agorà e dal Centro Studi italo-ungherese “Àrpàd” in collaborazione con l’Amministrazione Comunale di Reggio Calabria – Assessorato alla Cultura e la Biblioteca “Pietro De Nava”.
I risultati di questa edizione sono positivi non solo per l’oculata scelta artistica operata nel campo della cinematografia indipendente, ma soprattutto perché al festival hanno partecipato due produzioni della regista ungherese Nòra Kovàcs, autrice insieme a Juhàsr Àdàm, Kubila Àdàm e Pintà Kristina di “Az öt bőr” ed “Eszmòlet”, di entrambi i lavori accuratamente sottotitolati in lingua italiana come da regolamento.
Gianni Aiello ha effettuato un breve excursus sia delle precedenti manifestazioni che della storia del cinema, visto che lo stesso nasce come cortometraggio anche per i costi e la tecnologia del periodo.
Ha anche spiegato ai presenti che sintetizzare in poco tempo, proprio con un cortometraggio, un messaggio, non è una cosa semplice come potrebbe sembrare.
«Il corto è qualcosa di più profondo - ha sottolineato Gianni Aiello - e potrebbe essere sintetizzato anche nella citazione di Corrado Alvaro: [...] L'arte non è altro che la forza di suggestione di un particolare [...]».
Quindi è seguito l'intervento di Gianfranco Cordì, Responsabile della "Sezione Cinema" del Circolo Culturale L'Agorà, che ha rivolto al pubblico un discorso sul cortometraggio basandosi sull'idea e sul concetto del "tempo".
Secondo il conduttore della manifestazione «il "tempo" gioca un ruolo importante nel cinema, quindi nella fattispecie nella sfera del cortometraggio, cosa che non avviene nella filosofia. La filosofia ha a che fare con i concetti, il cinema ha a che fare con il movimento, con il tempo, idee care a Gilles Deleuze - spiega Gianfranco Cordì - da una parte c'è il tempo, questo infinito che c'è da quando noi non c'eravamo e ci sarà quando noi non ci saremo più, ed è una cosa che nessuno sa cosa sia.
Il cinema incapsula un pezzo di movimento - questo è il concetto che Gianfranco Cordì ha più volte ripetuto ai presenti- come se fosse una sorta di punto di partenza, di nucleo centrale del suo concetto riferito al mondo del corto che diventa arte a se, con una sua casistica con una classica dei migliori cortometraggi della
storia.
Quindi il cortometraggio ha una sua propria letteratura, una sua dimensione.
Ha una sua dignità, ha un senso a sè che non è quello del lungometraggio che rappresenta un'esplosione del senso dell'immagine-tempo diversa dall'immagine-durata del cortometraggio che rappresenta un "movimento accorciato" rispetto al film vero e proprio, quindi una implosione del senso.
«I lavori visti nell'edizione odierna- dice Gianfranco Cordì - faranno riflettere, altri non li capiremo, alcuni ci lasceranno con l'amaro in bocca, in quanto il corto è un'implosione del senso che incapsula un pezzo del movimento ed ha la necessità di dire delle cose, tante messaggi pur nella sua brevità di tempo, quindi degli esempi concettuali.»
Nel corto di Nicolò Biligotti dal titolo “Sotto le scale“, molto interessante è l’uso della fotografia e delle luci per una storia dai tratti horror e surreali.
In questo lavoro non si vedono delle scene ma un concetto, in quanto i corti non rappresentano delle scene ma esprimono un messaggio, che è un qualcosa che oltrepassa il linguaggio cinema, quindi il corto è iperrealista.
Il secondo cortometraggio in concorso è stato quello di Roberto Grassi “Rispettabilità“, una produzione italo-francese sui temi della discriminazione razziale e dell’odio per il diverso, una storia che riguarda l'emarginazione, l'alterità , concetti questi che l'autore ha sentito intensamente di descrivere in questa sua produzione.
Ciò che avviene nel perimetro di un bar poi si sviluppa nella dimensione più ampia della quotidianità umana che non ha confini nè temporali nè geografici.
Tale concetto viene definito dallo stesso autore come " un qualcosa che assomiglia a un cortocircuito morale".
Ha fatto seguito il corto di Andrea Princivalli e Francesca Tosetto dal titolo “Grey“, un videoclip incentrato tutto sulla velocità delle sequenze.
Presentando il lavoro di Andrea Princivalli e Francesca Tosetto, Gianfranco Cordì fà riferimento al ["da" "a"] della psicanalisi di Sigmund Freud. Questo parallelismo è dovuto al fatto che il cinema ed i corti sono queste cose, queste messe in scena, queste rappresentazioni:
«Il corto è lo spazio della libertà, è il concetto messo in scena - dice Gianfranco Cordì - ed il videoclip in questione contiene un pò tutto questo»
Il regista presente in sala Giovanni Cuzzola ha presentato due cortometraggi in concorso “La verità“ e “Tradizioni popolari calabresi “.
Il primo, vero e proprio atto di omaggio alla filosofia, ha rappresentato la verità sotto forma di maschera.
Il giovane autore reggino Giovanni Cuzzola si è dimostrato abile nel realizzare un tipo dimarchingegno cinematografico multifaccia. "La verità" trova con i suoi concetti, diverse "visioni ed interpretazioni" nelle teorie filosofiche, così, come nell'idea del corto "La verità" potrebbe avere nell'interpretazione della sua visione.
Il secondo, invece, ha messo in scena alcuni momenti legati alle tradizioni popolari della nostra regione, come i" Vattienti" di Nocera Tirenese, così come di tante altre tradizioni antropologiche radicate sul territorio.
Bello il montaggio delle fotografie e ottima la musica di accompagnamento.
Di seguito Gino Vivabene ha presentato “Overstepping“, vivace esempio di cinema d’avanguardia: esso rappresenta la sintesi del cambiamento della persona, di un uomo qualunque: esso come dice l'autore a riguardo quanto trasmesso nel contenuto della sequenza delle immagini che «[...] rappresenta una contaminazione [...].».
L'intreccio tra il bene ed il male, il bianco ed il nero, il contrasto delle riprese, lo scontro-confronto tra i protagonisti delle scene del corto rappresentano un'altra idea di corto, di concetto, di messaggio.
Si è poi passati al lavoro di Matteo Merli con "In fondo agli occhi" che rappresenta una storia d'amore che "lega i protagonisti attraverso il passato, in un ricordo di indelebile forza", come lo stesso autore racconta.
Ben girato anche questo e struggente a tratti, Merli ha confezionato un corto per palati fini, lo stesso autore a tal proposito dice: « [...] ho deciso di fare un opera di sequenze spezzate, non armoniche, per inseguire il senso ultimo del sentimento come elemento di benessere e altre volte di rottura, adottando uno stile automatico del pensiero, dove il flusso dei ricordi rappresenta un limbo senza via di uscita. [...]».
E così non poteva non essere, visto anche l'interessante percorso artistico che l'autore ha realizzato fino al momento, come produzioni, diverse partecipazioni a festival, collaborazioni giornalistiche e non per ultimo la fondazione nel 1995 di un laboratorio, il G.A.C.: gruppo anarchico cinematografico .
La settima edizione di "HYPERGONAR" che si è svolta nell'elegante sala conferenze della Biblioteca Comunale "Pietro De Nava" ha quindi presentato il cortometraggio di Milo Busanelli, già presente in altre edizioni del festival, con il suo interessante "Requiem“, con il quale ha affrontato la tematica dell’incomunicabilità.
È un aspetto sociale a lui molto caro, visto che lo ha trattato già in altre sue produzioni, tra l'altro presenti nelle precedenti manifestazioni del nostro festival, HYPERGONAR.
La trama del corto in questione, quello di Milo Busanelli, è coraggiosa come lo sono spesso le scelte del sodalizio reggino.
Nel lavoro dell'Autore non si trovano presenti le figure dei vincitori e degli oppressi, ma risalta evidente una caratteristica insita nel genere umano, quella della mancanza di comunicazione tra le persone.
Ironia della sorte questo parallelismo tra il lavoro di Milo Busanelli ed il Circolo Culturale L'Agorà, risulta interessante in quanto il sodalizio reggino ha scelto come nome dell'Associazione "la piazza", l'antico luogo dove si discuteva, ci si confrontava, era il luogo, quello dell'agorà, dove ognuno esprimeva il proprio parere, la propria opinione.
Sentimenti questi che allo stato attuale sembrano oramai da lungo tempo in crisi, ed ogni persona, in ogni essere umano, come in "Requiem", regna l'indifferenza reciproca e la difficile comunicabilità.
Il lavoro di Stellario Cama con “Souvenir“, gioca sulla velocità delle immagini.
Esso è un documentario ben realizzato, dinamico, che esprime quel sentimento che ognuno di noi ha, quello della libertà, dell'avventura.
Il viaggio, inteso anche come metafora di quella esperienza di vita - forse banale aggiunge il giovane autore- che ognuno di noi dovrebbe acquisire.
Esperienza questa poi valida anche per potersi tranquillamente confrontare con gli altri.
Quindi è un altro risultato che emerge dalle proiezioni di questo nuovo appuntamento relativo al mondo del cortometraggio e nella fattispecie di "Hypergonar", manifestazione ormai conosciuta ed apprezzata, tanto che da quest'anno ha impreziosito il proprio palinsesto con lavori giunti dalla lontana Ungheria, che permettono al festival di affacciarsi e confrontarsi con quanto avviene al di fuori della Penisola.
L''edizione odierna ha quindi il merito di arricchire ed allargare gli orizzonti di una manifestazione che è maturata negli anni e che si candida a divenire il punto di riferimento di un più ampio cartellone di appuntamenti che possano valorizzare l'intero comprensorio.
Segno,questo, del lavoro svolto fino a oggi dagli organizzatori che ha permesso al sodalizio reggino di ricevere ulteriori consensi.
Ma l'edizione odierna ha avuto anche il merito - secondo Gianni Aiello, di aggiungere un altro tassello che serve a ben strutturare e rafforzare le fondamenta del ponte culturale che si sta costruendo tra la nostra terra e l'Ungheria, grazie anche al Centro Studi italo-ungherese “Àrpàd”.
Il terzo blocco di cortometraggi "Omaggio all’Ungheria “ ha quindi compreso i lavori di Nora Kovacs, Adam Juhasa, Adam Kutila, Kristina Pinter dai titoli “La coscienza“ e “Le cinque pelli“.
Sono altri due esempi di come le immagini si possano felicemente coniugare conimportanti contenuti, quali filosofia e poesia.
Gli autori di questi due lavori Juhász Ádám, Kutika Ádám, Pintér Krisztina, Kovács Nóra , nel 2003 hanno realizzato un laboratorio artistico A(z) Avar utca (il nome contiene un gioco di parole intraducibile in italiano), dove vengono fatte confluire le esperienze culturali e le attitudini creative dei componenti, quali teatro, cinema, musica, arti figurative che fino al momento hanno dato alla luce quattro cortometraggi.
Hanno partecipato nel 2004 al festival cinematografico Vasi Filmfesztivál, dove il corto "La Coscienza" ha vinto nella categoria dei cortometraggi di fiction.
Sempre nel corso dello stesso anno i due film sono stati presentati a Pécs in occasione del festival estivo organizzato dall’associazione P.O.SZ.T. (Punto d’Incontro Nazionale Teatrale di Pécs).
L'anno successivo i due lavori sono stati presentati al Vas festival di Szombathely.
Con queste ultime proiezioni è calato dunque il sipario sul palcoscenico di questa settima edizione che si è svolta nella preziosa cornice della Biblioteca Comunale di Reggio Calabria ed ha anche ha avuto il merito della continuità - sette edizioni, non sono poca cosa - perseguita con molta difficoltà, come è difficile la realtà in cui si opera nel raggiungere tale obiettivo.
Nelle battute conclusive gli organizzatori del festival, hanno constatato il buon successo raggiunto dalla manifestazione e, prima di congedarsi, hanno salutato i presenti promettendo l'impegno di organizzare per l'anno venturo il nuovo appuntamento che giungerà all'VIII edizione del festival.