Il nuovo appuntamento dei “Pomeriggi Culturali” ha avuto come tema conduttore l'argomento relativo  alla conoscenza degli aspetti inerenti lo studio
dell'anatomia archeostatutaria.
La giornata di studi in argomento ha avuto come tema “L'identità perduta”, titolo dell'omonimo volume realizzato da Riccardo Partinico docente di scienze motorie, tra l'altro ospite nella manifestazione organizzata dal Circolo Culturale“L'Agorà” in qualità di relatore.
In buona sostanza tale lavoro, come tra l'altro evidenziato dall'autorevole parere del Direttore del Laboratorio di restauro del Museo della Magna Grecia di Reggio Calabria Pasquale Dapoto, rappresenta un qualcosa che “non è un trattato di storia dell’arte né un saggio di archeologia; esso nasce da un’idea semplice e geniale di un professore di scienze motorie: applicare le conoscenze moderne di anatomia, postura, morfologia muscolare, somatometria dei distretti muscolari alla statuaria antica, a quella statuaria che rappresenta comunemente atleti o guerrieri, e catalogata da noi archeologi secondo convincimenti e schemi consolidati di  rappresentazione artistica o risultati di  confronti stilistici.”
Quindi tali informazioni,  contenute nel saggio in argomento, sono indirizzate alla lettura di alcune realizzazioni del periodo classico e nello specifico quelle relative alle sottoelencate opere statuarie:

Prima di passare agli aspetti squisitamente tecnico-illustrativi alle opere sopra elencate il  gradito ospite del sodalizio reggino ha ricordato ai presenti che ha cercato un “incontro-confronto” con altre “esperienze”, così come avveniva nella piazza “agorà” del mondo egeo, a riguardo i suoi studi in argomento. Infatti ha posto un quesito al pluricampione italiano di Lancio del Giavellotto Francesco Pignata, reggino, in forze al Gruppo Sportivo Fiamme Gialle: “Secondo la Sua autorevole competenza, cosa pensa della mia interpretazione sui capolavori custoditi nel Museo di Lussino,  “Apoxyòmenos-Colui che si deterge”, nel Getty Museum di Los Angeles, “Victorious Youth-Giovane Vittorioso” e nel Museo di Atene, “Pèrseo che tiene la testa di Medusa”?
In merito a tale quesito l'atleta reggino ha fornito questa risposta: “E’ una interpretazione esatta, che condivido, sia per l’analisi tecnica  che per quella posturale.
A me che pratico il Lancio del Giavellotto dall’età di 15 anni, sembra di leggere un libro già letto. La postura delle tre statue, sicuramente, per un’incredibile coincidenza, pur trovandosi in tre luoghi lontanissimi l’uno dall’altro, ripropone l’esatta sequenza di un lancio di precisione.
La statua di Lussino (Croazia) rappresenta l’arrotolamento del laccio attorno all’asta del giavellotto, quella di Los Angeles il puntamento ed, infine, quella di Atene il lancio.
 Infatti, proprio in quest’ultima statua, la parte sinistra del corpo è bloccata mentre quella destra avanza leggermente grazie alla spinta del piede destro, ottenendo così una piccola rotazione antioraria del busto dell’Atleta.
Anche osservando le dita della mano destra, risulta chiaro che l’indice ed il medio mantengano quella posizione in seguito al rilascio dell’attrezzo, evidenziando come siano le ultime due dita che, inserite all’interno dell’Ankùle,
imprimono l’ultima propulsione al giavellotto ”.
Sembra opportuno quindi fornire al lettore qualche cifra storica a riguardo l'argomento e nello specifico ad un laccio di cuoio  chiamato Ankùle (Cfr. in latino Amèntum), che serviva per migliorare la presa dell’arma e  lanciarla, quindi, su un bersaglio con maggiore precisione.
Infatti, nelle prime gare di lancio del giavellotto, in ambito sportivo, si teneva conto della precisione e non della gittata. Solo in epoche successive, nelle gare di lancio del  giavellotto si è considerato il risultato della distanza raggiunta dall’attrezzo scagliato dall’Atleta.
Dopo aver effettuato per un decennio uno studio su alcune statue in bronzo del periodo classico,  - afferma Riccardo Partinico - posso serenamente affermare che le dita della mano destra dei capolavori custoditi nel Museo di Lussino, “Apoxyòmenos-Colui che si deterge”, nel Getty Museum di Los Angeles, “Victorious Youth-Giovane Vittorioso” e nel Museo di Atene, “Pèrseo che tiene la testa di Medusa”, sono impegnate, rispettivamente, ad avvolgere, trattenere e sganciare l’Ankùle utilizzata dagli Atleti Greci per lanciare il giavellotto.
Ciò non vuol dire che nelle statue manca un giavellotto, che è andato perduto, ma vuol  significare che gli Atleti che hanno posato per l’Artista hanno assunto quel gesto caratteristico del Lancio del Giavellotto, le cui prime notizie storiche risalgono agli  scritti di Senofonte (440-355 a.C).
Nonostante questa tradizione ultramillenaria, nel periodo di rinascita dello sport moderno la gara acquista ufficialità soltanto alla quarta edizione delle  Olimpiadi (Londra, 1908).
I due Record del Mondo di Lancio del Giavellotto,  Maschile e femminile, sono, rispettivamente, di 98,48 metri, conseguito il 25.05.1996 a Jena (Germania) da Jan Zelezny, atleta della Repubblica Ceca, con il giavellotto di 800 gr. di peso, e di 72,28 metri, conseguito il 13.09.2008 a Stoccarda (Germania) da Barbara Spotakova, atleta della Repubblica Ceca, con giavellotto di 600 gr. di peso.
Uno dei migliori Atleti italiani, nella storia di Lancio del Giavellotto, è l’atleta delle  Fiamme Gialle e della Nazionale Italiana Francesco Pignata con un record personale di 81,64.
A proposito del sopra menzionato atleta reggino l’autore della pubblicazione “L’identità perduta” ha fatto visionare ai presenti un video-clip dove è possibile vedere la tecnica di lancio del giavellotto: che nell’estensione di questo resoconto è visibile cliccando sull’immagine del campione Alessandro Pignata, tra l'altro si precisa che la foto è tratta da una gara per le Fiamme Gialle.
Il relatore Riccardo Partinico si è poi soffermato nel descrivere la tecnica dell'ankule, dove l'atleta per lanciare il Giavellotto a lunghe distanze deve, attraverso una complessa catena cinetica, sviluppare forza muscolare e velocità.
I  Greci, già nel V sec. a.C., avevano escogitato un sistema di leve che aumenta la gittata e la  precisione dell’attrezzo. Un laccio di cuoio denominato Ankùle legato “a cappio” attorno all’asta del Giavellotto diviene il braccio di una leva che permette di sfruttare la forza centripeta sviluppata dalla circonduzione dell’articolazione  della spalla che si trasforma, nel momento del lancio, in forza centrifuga uguale e contraria a quella prodotta.
L’azione motoria inizia con la rincorsa e termina con il lancio, precisamente con la flessione prima del polso e successivamente delle due dita, indice e medio, impegnate a mantenere l’Ankùle.
Quest’applicazione di forza veloce risulta efficace, se sorretta da una tecnica esecutiva che rispetti i principi della biomeccanica. La gittata del giavellotto è determinata anche dall’angolo d’uscita ottimale e dalle condizioni aerodinamiche dell’attrezzo che influenzano la balistica della traiettoria.
Dopo questi interessanti aspetti riportati nel corso del suo intervento, Riccardo Partinico è passato alla descrizione delle opere statutarie  sotto indicate:

Le stesse sono state oggetto di particolareggiati studi e che di seguito se ne descrivono alcuni aspetti:
                              

Opera d’Arte: Statua in bronzo risalente al Periodo Classico;
denominazione: Apoxyòmenos (colui che si deterge);
data di ricupero: 27 aprile 1999;
luogo di ritrovamento: Mare Adriatico vicino l’Isola di Lussino (Croazia);
dimensioni: 192 cm in altezza;
Luogo di esposizione: Museo di Lussino (Croazia);
Interpretazione del gesto: Atleta che avvolge l’Ankùle attorno al giavellotto.
I Greci rappresentavano gli Eroi, Atleti o Guerrieri, con le armi o con l’attrezzo che essi utilizzavano per dimostrare il proprio valore nello sport e la propria audacia nelle guerre.
Tale affermazione è confermata da innumerevoli dipinti raffigurati sui vasi dell’epoca e da relazioni di autorevoli studiosi di Storia dell’Arte.
La statua in bronzo custodita nel Museo di Lussino, denominata “Apoxyòmenos-Colui che si deterge”, a mio modesto avviso, riproduce, invece, un Atleta che pratica il Lancio del Giavellotto.
Infatti, analizzando il volto dell’uomo rappresentato dalla statua, in particolare il naso  e le orecchie, non si riscontrano segni caratteristici derivanti dalla pratica di Sport di combattimento-setto nasale deviato, zigomi deformati, orecchie ingrossate da otoematomi, ecc.-: quindi, non è un pugile e neanche un lottatore che si deterge il sudore, l’olio e la polvere con lo strìgile.
Infatti, le mani snelle ed agili, la muscolatura longilinea, i deltoidi ed i trapezi ipertrofici, lo sguardo rivolto verso il basso, concentrato a preparare, con le mani, l’azione preliminare di un lancio, ovvero, la legatura e l’arrotolamento dell’Ankùle attorno al giavellotto avvalorano la mia tesi.
L’atto di detergere il sudore, così come indicato da molti studiosi di Storia dell’Arte e riportato da autorevoli Riviste, è un’interpretazione errata del gesto effettuato dal giovane rappresentato dalla statua.
Infatti, un Atleta, per utilizzare lo strìgile, non avrebbe posto molta attenzione su tale attrezzo e non avrebbe compiuto l’azione frontalmente, ma lateralmente, così come rappresentato da altra statua in marmo (Museo Città del Vaticano), copia originale dell’opera in bronzo attribuita allo scultore Lisippo.
Infine, lo strigile è un attrezzo con il manico a forma di cucchiaio e, quindi, la postura delle mani dell’Atleta, rivolte verso il basso, non è compatibile con l’interpretazione in analisi. Pertanto, si desume che la mano destra dell’Atleta mantiene ferma, con le due dita indice e medio, l’Ankùle e la mano sinistra, invece, ruota l’asta, in senso antiorario, per arrotolarlo.
                              

Opera d’Arte: Statua in bronzo risalente al Periodo Classico;
denominazione: Victorius Youth (Giovane Vittorioso) o Atleta che si incorona;
data di ricupero: 14 agosto 1964;
luogo di ritrovamento: Mare Adriatico, Scogli di Pedaso a Fano (Pesaro);
dimensioni: 151,5 cm. in altezza;
Luogo di esposizione: Museo Getty di Los Angeles;
Interpretazione del gesto: Atleta che mantiene il giavellotto con l’Ankùle.
Gli studiosi di Storia dell’Arte, commettendo un errore di valutazione, hanno denominato  “Victorious Youth-Giovane Vittorioso” o “Atleta che si incorona” la statua custodita nel Getty Museum di Los Angeles risalente al Periodo Classico. La statua, priva dei piedi e di una parte delle gambe (circa 20 centimetri), misura in altezza 151,5 cm.
Al termine della mia analisi interpretativa, posso affermare - continua Riccardo Partinico - che il giovane rappresentato dalla statua trovata nel Mar Adriatico nell’anno 1964 è un Atleta Greco, di età compresa tra i 15 ed i 18 anni, che pratica il lancio del giavellotto.
Quindi, non ha vinto nessuna gara, non si incorona con la mano destra e nella mano sinistra non trattiene alcuna corona di alloro. Semplicemente, con lo sguardo rivolto in avanti, sta assumendo la classica postura di chi si appresta a lanciare il giavellotto munito di Ankùle.
Infatti, le dita della mano destra, indice e medio, sono impegnate a trattenere l’immancabile laccio di cuoio che veniva arrotolato dai Greci attorno al giavellotto per migliorare la presa, imprimere un effetto rotatorio ed aumentare la propulsione e la precisione dell’attrezzo.
La muscolatura dell’Atleta, vista la giovane età, si presenta poco ipertrofica ed anche la gabbia toracica è di piccole dimensioni. I muscoli pettorali sono caratteristici -quanto a forma quelli degli adolescenti al termine dello sviluppo prepuberale.
I muscoli degli arti inferiori appaiono agili ed allenati alla corsa breve e veloce.
Il braccio sinistro leggermente flesso ed abdotto e la mano sinistra del giovane, che assume lo stesso gesto della mano destra, dimostrano simmetria ed equilibrio.
Probabilmente, il gesto appena descritto è determinato dal fatto che, nell’uomo, i due emisferi cerebrali, destro e sinistro, sono in comunicazione tra loro per mezzo del corpo calloso e, nelle fasi statiche o istintive, ripropongono la stessa postura, in questo caso le dita, indice e medio, divaricate.
Infine, non può essere esclusa la possibilità che l’Atleta in posa mimasse di avere nella mano sinistra un altro giavellotto, considerato che le gare di questa specialità, nell’Antica Grecia, si svolgevano al meglio dei due lanci.
Ankùle: laccio di cuoio che veniva arrotolato dai Greci attorno al giavellotto per migliorare la presa, imprimere un effetto rotatorio ed aumentare la propulsione e la precisione dell’attrezzo.
                              

Opera d’Arte: Statua in bronzo risalente al Periodo Classico;
denominazione: Paride con la mela, Perseo con la testa di Medusa;
data di ricupero: 1900;
luogo di ritrovamento: Anticitera - Coste del Peloponneso (Grecia);
dimensioni: 194 cm in altezza;
Luogo di esposizione: Museo di Atene;
Interpretazione del gesto: Atleta che lancia il giavellotto con l’Ankùle.
Non è Paride con la mela, non è Pèrseo con la testa di Medusa: è, invece, un Atleta Greco, di età compresa tra i 20 ed i 25 anni, specialista del lancio del giavellotto.
Il gesto della mano destra rappresenta le due dita, indice e medio, inserite nell’Ankùle nella fase finale di un lancio di precisione con un giavellotto.
L’Ankùle (greco) o Amentum (latino) era il laccio di cuoio che gli Atleti Greci arrotolavano attorno al giavellotto per lanciarlo con effetto rotatorio e con maggiore potenza e precisione.
Le tecniche insegnate agli efebi erano quelle finalizzate a migliorare la precisione dei lanci. Le dita flesse della mano destra della statua, con quella postura, non possono, certamente, sostenere il peso di una testa e non sono neanche compatibili alle dita che dovrebbero tenere una mela.
Infatti, nel primo caso l’uomo rappresentato dalla statua avrebbe dovuto chiudere completamente la mano per poter sorreggere il peso di una testa, nel secondo caso, invece, una mela non coincide, per dimensioni, con lo spazio disponibile tra le cinque dita.
La muscolatura dell’Atleta custodito nel Museo di Atene appare bene sviluppata, simmetrica e proporzionata. I muscoli degli arti inferiori appaiono potenti ed allenati alla corsa veloce e di breve durata, mentre i deltoidi, i pettorali, i bicipiti brachiali ed i tricipiti evidenziano la capacità di effettuare azioni rapide e precise.
I muscoli addominali obliqui si dimostrano allenati nelle torsioni del busto. La mano sinistra ripropone il gesto che gli estensori del braccio destro hanno modificato  nella stessa mano per consentire di lanciare il giavellotto.
Il piede destro dell’Atleta raffigurato dalla statua è poggiato sull’avampiede, la gamba destra semipiegata ed il peso del corpo sull’arto sinistro, con la spalla destra avanzata, con l’arto destro in avanti e le due dita, indice e medio, divaricate.
Al termine dei miei studi, posso confermare che quel gesto rappresenta il momento finale di un lancio di precisione. Infatti, a differenza di altri tipi di lancio, il lancio di precisione richiede stabilità e controllo del corpo.
L’Atleta deve impegnare soltanto i distretti muscolari interessati, in questo caso
l’arto superiore destro, la spalla destra e l’anca destra, mentre, la parte sinistra del corpo svolge la funzione di sostegno e controllo.
                              

Opera d’Arte: Statua in bronzo risalente al  Periodo Classico;
denominazione: Bronzo di Riace, Statua A o il Giovane;
data di ricupero: 21 agosto 1972;
luogo di ritrovamento: Mare Jonio antistante Riace  (Reggio Calabria);
dimensioni: 198 cm in altezza;
Luogo di esposizione: Museo della Magna Grecia di Reggio Calabria;
Interpretazione del gesto: Guerriero che mantiene  una lancia con la mano destra ed uno scudo con l’avambraccio sinistro.
I Bronzi di Riace rappresentano due personaggi  eroici realmente vissuti perché lo scultore o gli scultori che hanno realizzato i due capolavori hanno copiato, fedelmente, alcune deformazioni del loro sistema scheletrico: scoliosi e ipercifosi  della colonna vertebrale e varismo del 5° dito dei piedi del “Vecchio”. Duemila e cinquecento anni fa, infatti, nessuno conosceva questi dismorfismi.
Il sovraccarico dell’elmo, della corazza, dell’arma impugnata e dello scudo utilizzati dai guerrieri per eseguire azioni di combattimento hanno determinato alcune alterazioni strutturali del loro sistema scheletrico.
In particolare, la colonna vertebrale del “Vecchio” presenta una “classica” scoliosi dorso-lombare e l’appiattimento del tratto cervicale, mentre i suoi piedi presentano l’allargamento della zona di appoggio laterale con una leggera riduzione dell’altezza dell’arcata plantare ed il varismo del 5° dito.
Il “Giovane”, invece, presenta una scoliosi
dorso-lombare di lieve entità ed un’accentuata
iperlordosi, compensata da un’ipercifosi del tratto dorsale. Questi dismorfismi che possono definirsi “professionali” non diminuiscono la funzionalità, la potenzialità e neanche l’estetica dei due “Guerrieri”.
Le loro strutture fisiche sono state forgiate proprio dal tipo di addestramento alla guerra. L’uso della corazza che proteggeva il tronco ed il sovraccarico delle armi utilizzate, che non consentiva di sollevare agevolmente le spalle, ha indotto i guerrieri, in addestramento ed in guerra, ad utilizzare frequentemente la respirazione diaframmatica.
                              

Opera d’Arte: Statua in bronzo risalente al Periodo Classico;
denominazione: Bronzo di Riace, Statua B o il Vecchio;
data di ricupero: 22 agosto 1972;
luogo di ritrovamento: Mare Jonio antistante Riace (Reggio Calabria);
dimensioni: 197 cm in altezza;
Luogo di esposizione: Museo della Magna Grecia di Reggio Calabria;
Interpretazione del gesto: Guerriero che mantiene una lancia con la mano destra ed uno scudo con l’avambraccio sinistro.
Dallo studio della fisionomia muscolare degli arti inferiori e dei muscoli posteriori delle spalle emergono dati molto interessanti, da cui possiamo sicuramente dedurre che i Bronzi di Riace hanno esercitato attività belliche differenti.
Anche se la circonferenza delle cosce dei due guerrieri è di pari misura (cm. 65), gli arti inferiori del “Vecchio” sono compatibili, per fisionomia, con soggetti che cavalcano.
Infatti, i glutei, gli adduttori ed i muscoli dei polpacci sono molto definiti ed ipertrofici. Anche la meno accentuata ipertrofia della muscolatura posteriore delle spalle e del dorso  del “Vecchio”, che appare poco sviluppata, dimostra, ulteriormente, che questo guerriero trasportava l’elmo, la corazza, la lancia e lo
scudo sul cavallo.
Diversamente, il “Giovane” presenta i piedi bene strutturati, le dita armoniose, simmetriche e senza alterazioni scheletriche. Inoltre, l’ipotonia di alcuni muscoli delle cosce, in particolare degli adduttori, dimostra che questo guerriero non andava a cavallo.
La conferma  è data anche da un’accentuata ipertrofia dei  muscoli delle spalle. Tale particolarità fa ritenere che egli utilizzava continuamente con gli arti superiori attrezzi di peso consistente.
I due “Guerrieri”, per sorreggere la lancia, utilizzano la particolare impugnatura greca che consente di maneggiare con destrezza l’arma e, con l’aggiunta dell’Ankùle, di lanciarla con maggiore potenza e precisione.
Questa impugnatura permette anche di adoperare e mantenere con una mano la lancia e, quindi, trasportarla agevolmente per gli schieramenti dell’esercito e per le parate militari.

Opere d’Arte: Statue in bronzo risalenti al IV secolo a.C.;
denominazione: “Lottatori di Ercolano”;
data di ricupero: 1700;
luogo di ritrovamento: Villa dei Papiri - Ercolano (Napoli);
dimensioni: cm. 118 in altezza;
Luogo di esposizione: Museo Archeologico di Napoli;
Interpretazione del gesto: Partenza della “Corsa  Veloce”
Dai tempi dell’antica Grecia fino ai giorni nostri le specialità di “Corsa Veloce” sono sempre state contenute in distanze variabili tra i 100 ed i 400  metri piani. Nell’Antica Grecia le gare di “Corsa  Veloce” si disputavano sulla distanza di 1 stadio  (unità di misura pari a metri 180, circa) o sulla  misura di 2 stadi.
Le due statue situate nel giardino del Museo Getty di Los Angeles, copie di quelle originali custodite nel Museo di Napoli, a mio avviso, sono state denominate erroneamente “I Lottatori di  Ercolano”.
In realtà, rappresentano due fanciulli di circa 13  anni d’età che praticano Atletica Leggera,  specialità “Corsa Veloce”.
Quanto appena affermato ho potuto desumerlo dallo studio della postura assunta dai due fanciulli, dall’analisi di alcuni particolari tecnici della “Corsa Veloce”, dalla mimica facciale e dall’interpretazione della fisionomia muscolare.
I due fanciulli sono stati ritratti nella fase di partenza della specialità “Corsa Veloce”. Dallo sguardo si percepisce che la mente è concentrata a cogliere il segnale di “via”.
Il corpo è “immobile”, raccolto perfettamente in un cerchio, dove, se si considerano gli assi ed i piani anatomici, possono essere valutate anche  alcune componenti essenziali del dinamismo, quali la postura, le angolazioni delle articolazioni ed i successivi movimenti che le stesse articolazioni potrebbero determinare con le loro flessioni o estensioni.
Inoltre, da questa analisi è possibile anche desumere la proiezione del baricentro, il momento massimo di equilibrio statico ed, infine, la possibile traiettoria del corpo.
L’arto inferiore sinistro, con la gamba semipiegata ed il piede rivolto in avanti, è
avanzato e sostiene la maggior parte del peso del corpo; l’arto inferiore destro, con la gamba leggermente piegata ed il piede appoggiato sulla parte anteriore della pianta, è arretrato ed è pronto a spingere sull’appoggio per consentire al corpo la propulsione in avanti.
Se i due Atleti rappresentati dalle statue fossero stati lottatori, così come scritto dagli altri studiosi su autorevoli riviste, sicuramente la pianta del piede sinistro sarebbe stata appoggiata completamente per mantenere la massima stabilità  ed il tronco sarebbe stato leggermente più sollevato.
Invece, il tronco è inclinato in avanti di 45°  rispetto all’asse longitudinale ed anche gli arti  superiori, che, assieme alla testa, mantengono in equilibrio i due fanciulli, coincidono, per angolazioni, all’azione della corsa.
Il tronco inclinato di 45° favorisce la migliore propulsione in avanti e gli arti superiori sono posizionati in maniera da poter intraprendere, immediatamente, il ritmo alternato della corsa veloce.
Le dita delle mani sono semiflesse, a forma di “coppa”, per poter spostare, in partenza, la massa d’aria e, quindi, poter vincere meglio la resistenza prodotta dalla densità dell’aria ed, infine, la testa protesa in avanti, che, come già  detto, contribuisce a mantenere l’equilibrio, è pronta a scattare per far assumere al corpo la postura eretta, dopo i primi passi di corsa.
Uno dei due fanciulli ha la testa ruotata verso sinistra rispetto al resto del corpo che è proteso in avanti; questa postura può far pensare ad un Atleta che partecipa alla gara della Staffetta ed è in attesa dell’arrivo del compagno di squadra, sulla stessa corsia, per ricevere il “testimone”.
Osservando la fisionomia muscolare dei due soggetti rappresentati dalle statue e considerando la giovane età, si può ritenere che essi siano stati impegnati nella prima distanza utile delle gare di Velocità.
Infatti, la normale ipertrofia muscolare degli arti inferiori dei due fanciulli, caratteristica della qualità fisica “forza- elastica”, evidenzia quanto appena affermato. Qualora essi avessero praticato assiduamente i 400 metri piani, avrebbero posseduto, sicuramente, una massa muscolare più sviluppata, caratteristica della qualità fisica “forza-resistente”.
È noto, infine, che le discipline di fondo e mezzofondo non sono mai state specialità che hanno riguardato giovani Atleti.
Lo studio che ho effettuato - afferma il relatore -  su incarico del dr. Jens Daehner, direttore del Getty Museum di Los Angeles, sulle due statue in  bronzo del IV sec. a.C., custodite nel museo di Napoli ed, in copia, nello stesso Getty Museum di  Los Angeles, ha richiesto un impegno notevole per un motivo ben preciso.
La postura delle due statue ha confuso le idee anche ad esperti del settore ed ad altri autorevoli studiosi. Secondo la loro interpretazione, le due statue in oggetto rappresenterebbero due lottatori.
A mio modesto avviso, invece, - prosegue Riccardo Partinico -  le due statue rappresentano due  “giovani velocisti” e, considerato che all’età di 15 anni ho praticato la disciplina della Lotta presso la gloriosa S.G.S. Fortitudo 1903 di Reggio  Calabria sotto la guida del Prof. Giuseppe Pellicone e che, quindi, ho conosciuto ed allenato le posture e le tecniche di questo Sport di
Combattimento, mi occuperò, io stesso, di fornire un riscontro tecnico a questo studio. Nell’Analisi Interpretativa, seguendo criteri scientifici e tecnici, ho spiegato perché i due Atleti sono “velocisti”.
Adesso, utilizzando gli stessi criteri, dimostro perché essi non possono essere “lottatori”. Si tratta di svolgere un’attenta analisi sulla posizione di guardia assunta da loro.
Essa deve possedere alcuni requisiti indispensabili negli Sport di Combattimento. Primo tra tutti l’equilibrio e, successivamente, la protezione di  alcuni segmenti corporei. Il lottatore, rimanendo in perfetto equilibrio,  può compiere con maggiore efficacia le azioni di attacco e di difesa; inoltre, proteggendo il collo, i polsi e le gambe, non consente all’avversario di poterlo attaccare agevolmente.
Nelle due statue, oggetto dello studio, nessuna di queste condizioni si può riscontrare. Infatti, i due Atleti mantengono i piedi rivolti in avanti, in particolare il piede sinistro appoggiato sull’avampiede con il tallone sollevatoda terra.
Questa postura non consente, certamente, di mantenere l’equilibrio del corpo sul piano  sagittale. Neanche sul piano frontale la condizione di equilibrio è rispettata. Infatti, il  “passo” troppo stretto tra un piede e l’altro  determina il sollevamento del baricentro del corpo con conseguente precario equilibrio.
La larghezza del “passo”, per mantenere i criteri minimi, dovrebbe misurare almeno quanto la larghezza delle spalle dell’Atleta.
Infine, le mani, rivolte con le palme verso il basso, sono facile “preda” per l’avversario, così come il collo, scoperto dalla spalla sinistra, risulta una presa naturale.
Si rimanda nella fase della “Comparazione Archeologica” il riscontro con altre statue o  raffigurazioni, pur anticipando che, per un Artista, creare due statue perfettamente uguali  prive di qualsiasi indizio che possa far capire  cosa si stia osservando non avrebbe senso.
Sin da 5000 anni, questa è la datazione del più antico reperto ritrovato in Mesopotamia, i lottatori sono sempre stati rappresentati avvinghiati l’uno all’altro ed in azioni di immobilizzazione.
A conclusione di questo interessante resoconto relativo alla giornata di studi in argomento piace ricordare, non per ordine d'importanza, che Riccardo Partinico è stato affidato un incarico da  parte del Direttore della sezione Antichità del Museo Getty dr. Jeans Deanher, di interpretare le due statue in bronzo custodite nel Getty Museum di Los Angeles.
Da questo studio dipenderà la disposizione finale delle due statue presso il Getty Museum di Los Angeles.
Infatti, se, come interpretato da autorevoli archeologi e studiosi di Storia dell’Arte, i personaggi rappresentati dalle statue risulteranno essere due Lottatori, esse troveranno una collocazione, se, invece, dopo lo studio del prof. Partinico, risulteranno essere due Velocisti, ne troveranno un’altra.
A tal proposito sono stati interpellati Atleti,  Insegnanti Tecnici ed esperti del settore Lotta, ma l’interpretazione non è risultata univoca.
A Los Angeles, il prof. Partinico aveva subito risposto alla domanda del Direttore che chiedeva se i due Atleti rappresentati dalle statue potessero essere lottatori o pugili.
Il docente reggino aveva escluso, immediatamente, che essi potessero essere Atleti che praticavano Sport di combattimento, per un insieme di motivi: la postura dei piedi, l’assenza di segni caratteristici della lotta o del pugilato, la fisionomia delle mani e dei muscoli degli arti inferiori, e si era riservato, al suo rientro in Italia, di effettuare lo studio con il metodo scientifico “Anatomia Archeostatuaria”.
La ricerca del prof. Partinico è arrivata alla sua conclusione ed è emerso che i due fanciulli non sono Lottatori ma Velocisti. Infatti, nessun lottatore rimarrebbe in precario equilibrio, con il collo ed i polsi indifesi.

ShinyStat
31 marzo 2011