Il noto filoelleno Franco Mosino ha intrattenuto l’uditorio con una tematica suggestiva avente come tema “Cultura dei coloni Calcidesi in Occidente e l’Odissea” , trattando la Questione Omerica con nuove riflessioni e nuove suggestioni: nell’Iliade il paesaggio e l’animo del compositore propendono per una vicenda di guerra terrestre, un lungo assedio, mentre nell’Odissea il paesaggio è il mare, è l’arcipelago, è Itaca, è lo Stretto di Messina, è la Sicilia, è la dimora sul mare di Eolo, re dei venti. Mare, coste lontane, litoranei e scenari mai visti, che si allontanano, isole abitate da donne misteriose, spelonche di giganti favolosi con un solo occhio.
Trionfa la fantasia, trionfa il mito, trionfa soprattutto un uomo, l’eroe Ulisse, il cui ritorno (nostos) a casa è il movente di tutta l’azione.
Nuove riflessioni e nuove suggestioni hanno spinto il grecista ad interpretare criticamente l'intero ciclo epico omerico.
Secondo lo storico reggino, riguardo al poema sarebbe da rimettere in discussione la tesi di un unico poeta, Omero, autore sia dell'Iliade sia dell’Odissea: per Franco Mosino si tratta di almeno due poeti, ed Omero sarebbe solo il poeta dell’Iliade, mentre lo Pseudo – Omero, seguendo questa suggestiva ipotesi, sarebbe stato lo scrittore dell’Odissea.
L’Odissea tratta della scoperta del mare d’Occidente, ignoto ai Greci, abitato dai Barbari e da mostri, ma affascinante, proprio perché sconosciuto.
È possibile allora formulare l’ipotesi che l’Odissea sia nata tra i numerosi Greci, venuti a colonizzare l’Occidente.
Sul territorio,successivamente, essi avrebbero innalzato un tempio in onore di Apollo, dio di Delfi, il cui tripode è rappresentato su tante monete delle colonie greche d'Occidente.
Franco Mosino ha fatto notare anche alcuni particolari che riguardano le tecniche di costruzione di quei coloni, le stesse - immutate dall’età neolitica - che si trovano descritte nell’Odissea. Nel libro I, v. 320, troviamo la voce anopaia, che è un hapax legomenon, e sembra che abbia il significato di «tegola bucata per il passaggio del fumo all’esterno»: il foro, dal quale usciva il fumo, sarebbe ben presto stato completato da un fumaiolo di terracotta.
Le fonti ci informano che a Reggio, negli anni di Cambise (529 – 522 a. C.), fiorì il primo filologo della cultura europea: Teagene.
Egli viene presentato, in particolare, come colui, che «per primo scrisse intorno ad Omero»: fu insomma l’iniziatore degli studi omerici, molto tempo prima che i grammatici alessandrini, in età ellenistica, si dedicassero a codificare i testi omerici nella Vulgata, a commentarli e a tramandarli nella forma canonica, che noi oggi onosciamo, sistemati in libri da 1 a 24. Teagene non solo scrisse per primo intorno ad Omero, ma ne dovette necessariamente curare il testo, su cui esercitare la sua opera di esegeta.
E noi sappiamo da notizie di scoliasti che gli antichi avevano sotto gli occhi varianti testuali risalenti a Teagene di Reggio.
Inoltre il reggino Teagene inaugurò l’indagine razionalistica intorno agli dèi omerici, che giunge alla negazione del divino riducendolo a travestimento della materia eterna.
Questa tendenza «illuministica» e materialistica si accrescerà di nuove argomentazioni con i presocratici e con i sofisti.
Secondo Teagene, Apollo, Elios ed Efesto appresenterebbero il fuoco, Poseidone e Scamandro l’acqua, Artemide la luna, Hera l’aria.
Non soltanto le forze della natura verrebbero adombrate da Omero con i nomi degli dèi, ma anche le disposizioni dell’animo umano: così Atena sarebbe la prudenza, Ares l’irragionevolezza, Afrodite il desiderio, Ermes il discorso.
Di questa sorprendente penetrazione del mito Teagene fu l’inventore: la sua esegesi non deve essere confusa con quella degli altri teologi e filosofi del suo tempo o di poco posteriori.
Che i coloni calcidesi d’Occidente fossero capaci di comporre eleganti versi lo attesta enza incertezza la «Coppa di Nestore», della prima metà dell’VIII secolo a. C., da Pitecusa, «documento di un’attività editoriale già evoluta» (R. Arena).
E’ un vaso di terracotta ritrovato in frantumi in una tomba a cremazione nella necropoli di Pitecusa (isola d’Ischia) nel 1955, di origine forse rodia, con iscrizione metrica sinistrorsa in alfabeto euboico – cumano, applicata forse sul luogo stesso del ritrovamento.
L’iscrizione ha la forma di una strofa tristica, formata da un trimetro trocaico catalettico e da due esametri.
Il suo significato è il seguente: «La Coppa di Nestore è certo soave a bersi; ma colui che beva da questo boccale, subito lo prenderà desiderio di Afrodite dalla bella corona» (M. Zambarbieri).
La datazione assegnata alla coppa di Pitecusa/Ischia oscilla tra il 750 e il 700 a.C. ma c’è chi pensa pure alla prima metà del VIII secolo a.C.
Tornando all'ipotesi del Mosino, la coincidenza cronologica di fondazione coloniale dei Calcidesi e di nascita dell’epos odissiaco rafforzerebbe la suggestione di una origine "reggina" dell'Odissea, spiegherebbe questo laboratorio di omeristi a Reggio nei tempi successivi: dallo Pseudo – Omero a Teagene.
Lo Pseudo – Omero canta i formidabili Miti epicorii del Mediterraneo, mare minaccioso e seducente, mare di isole, mare di coste, mare di naufragi, in cui l’eroe Ulisse, reduce da Troia, da quella guerra di Troia narrata da Omero nell’Iliade, dà prova di coraggio e di virtù.
Trionfa in Ulisse l’umanità superiore ad ogni ostacolo, quell’umanità, che ha come scopo il ritorno a Itaca, a casa sua, dai suoi...
L’eterno topos del ritorno nasce da qui, per riversarsi in tutte le letterature occidentali dei tempi antichi, medievali e moderni, fino al messinese novecentesco Stefano D’Arrigo.
L’Odissea «calcidese» nasce tra i mostri, le suggestioni e le seduzioni di una realtà da poco conosciuta: la realtà dell’Occidente barbarico, che lentamente essi trasformeranno in Magna Grecia.
Fondamentale, per questa ricostruzione storica, il ruolo gicato dall'Eubea.
L'Eubea (Euboia) un’isola greca nel Mar Egeo, parallela alla costa dell’Attica.
Abitata da una popolazione di origine ionica, essa era nota già in epoca arcaica per le miniere di rame e di ferro, per i marmi e le fabbriche di vasi.
Le città più importanti erano Calcide ed Eretria, che lottarono a lungo durante la prima metà del sec. VIII a.C., per conquistare la supremazia.
alcide ne uscì vittoriosa e si diede a una intensa attività colonizzatrice.
I coloni calcidesi, che, dopo Zancle in Sicilia, fondarono Reggio sul continente, furono subito affascinati dalle leggende del mare occidentale: da queste leggende nacque il romanzo epico, l’Odissea Calcidese, dello Pseudo – Omero.
Ma nell’Odissea Calcidese come è presente la memoria di Calcide, la madre patria di Reggio?
Nell’Iliade l’Eubea è appena accennata di passaggio, nel Catalogo delle Navi. Niente di più...
Nell’Odissea Calcidese invece l’isola di Eubea è descritta (Canto VII, vv. 317 ss.) nelle parole, che Alcinoo rivolge ad Ulisse circa il suo imminente viaggio per mare dell’indomani, sulla rotta che conduce ad Itaca .
Dunque i Reggini narrano al colto viaggiatore le leggende epicorie dello Stretto, che Platone chiama «Stretto di Scilla»; quelle leggende, che vevano sedotto molti secoli prima i coloni calcidesi.
La persistenza nel folclore locale di tali veteres fabulae conferma la nostra tesi, esposta nelle pagine precedenti.
Per il grecista Franco Mosino, come abbiamo visto, l’Iliade è l’epopea guerresca dei coloni greci, conquistatori dell’Asia e dell’Oriente, l’Odissea è invece il romanzo delle avventure di Ulisse, scritto in Occidente dai coloni calcidesi di Reggio, dove Teagene, due secoli dopo, avrebbe costituito uno dei primi testi dei due poemi, con un suo commento.
Dall’Iliade Ionia all’Odissea Calcidese.
Infine nel mare davanti alla Marina Grande di Scilla affiora un grosso scoglio, oggi chiamato ancora a petra du cani marinu, che è un relitto dell’etimo odissiaco circa il toponimo Scilla, come si legge nel poema: « Là dentro Scilla vive, orrendamente latrando: / la voce è come quella di cagna neonata.»