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Oggi- Agosto 2012

Film e documentari su Marilyn Monroe (Parziali)

Ricorre quest'anno l'anniversario della scomparsa di una delle icone cinematografiche più rappresentative del novecento: Marilyn Monroe, avvenuta il 5 agosto del 1962 in circostanze misteriose.

L'attrice statunitense soprannominata "The Blonde Bombshell MM", conosciuta all'anagrafe come Norma Jeane Baker, ed in arte Marilyn Monroe. La sua figura è stata sinonimo di fascino e bellezza immortali, ispirando arte, letteratura, musica e cinema.

Nel ripercorrerne la vita, la carriera e la tragica morte, il Circolo Culturale “L'Agorà” ha organizzato un incontro che si è tenuto presso la sala conferenze dell'Archivio di Stato di Reggio Calabria.

Nel corso della conferenza sono stati evidenziati non solo gli aspetti relativi alla carriera cinematografica dell'attrice hollywoodiana ma anche quelli inerenti ai temi culturali e politici degli Stati Uniti di quel periodo storico.

Mirella Marra (direttore Archivio di Stato di Reggio Calabria):in occasione di questo incontro mettiamo in mostra diverse riviste e quotidiani come “Il Tempo”, essi provengono dal fondo Latella che nel 2006 dona all’Archivio di Stato 5 cartelle di documenti, tra cui 75 buste di riviste e quotidiani che vanno dal 1957 al 1958.

Proprio dal periodo 1958-1962 abbiamo allestito una esposizione di tali pubblicazioni anche per omaggiare il giornalista Antonio Latella, scomparso di recente.

Nel corso della conferenza sono stati evidenziati non solo gli aspetti relativi alla carriera cinematografica dell'attrice hollywoodiana ma anche quelli inerenti ai temi culturali e politici degli Stati Uniti di quel periodo storico.

L’arco di tempo brevemente tratteggiato nella prima parte della conferenza riguarda il periodo (1945-1964) che è contrassegnato da  una politica estera statunitense molto dinamica mentre rimane molto conservatrice dal punto di vista socio-culturale.

Nello stesso periodo e cioè nel 1945 la Monroe cominciò a lavorare come modella, prima di firmare il suo primo contratto cinematografico nell'anno successivo e nel 1947 la troviamo sul set di The Shocking Miss Pilgrin (con il ruolo, non accreditato, di una centralinista; per questo motivo l'attrice non compare nella pellicola, mentre si ode la sua voce), regia di George Seaton . Ritornando nella sfera prettamente storica c’è da evidenziare il clima teso tra i due blocchi: quello della Nato e quello del Patto di Varsavia, quindi contrasti ideologici e non solo tra capitalismo e socialismo.

Nel 1950 inizia l’era del marcattismo, espressione creata dal disegnatore satirico Herbert Lock (Herblock) che trae origine dalla politica del senatore repubblicano del Wisconsin Joseph McCarthy, conosciuta anche come “Red Scare” ed in chiara chiave anti-comunista all’interno degli States.

In circa 24 mesi di indagini vennero esaminati circa  tre milioni di dipendenti
governativi di ogni livello; 2 mila si dimisero per evitare pretestuose incriminazioni, mentre più di 200 furono licenziati e costretti a impieghi umilianti.
Ogni settore della società statunitense fu interessata a tali ispezioni da quello della politica estera, a quello della ricerca nucleare ed anche a quello dello spettacolo.
C'è da dire che in precedenza e nello specifico a partire dal 1936 molti intellettuali europei di gran maggioranza di derivazione tedesca si rifugiarono negli Stati Uniti per sfuggire alle politiche della Germania nazionalsocialista.
Fra questi Bertolt Brecht, Thomas Mann, Erich Fromm, Theodor Adorno, Herbert Marcuse, Hanns Eisler, Fritz Lang, Billy Wilder .
Nel triennio 1938-1941 vennero realizzate negli studi hollywoodiani delle produzioni a cura della Frontier Film dal chiaro impatto sociale, come The Plow That Broke the Plains e The River di Pare Lorentz, Blockade di William Dieterle del 1938 (Marco il ribelle), Grapes of Wrath (Furore) di John Ford del 1939 e Man Hunt (Duello mortale) di Fritz Lang.
Ma anche in seguito a tale periodo vi furono altre produzioni relative al filone neorealista come  The Best Years of our Lives (I migliori anni della nostra vita, 1946) di William Wyler, Crossfire (Odio implacabile, 1947) di Edward Dmytryk, Lost Weekend (Giorni perduti, 1945) di Billy Wilder, Snake Pit (La fossa dei serpenti, 1948) di Anatole Litvak, Kiss of Death (Il bacio della morte, 1947) di Henry Hathaway, Brute Force (Forza bruta, 1947) di Jules Dassin, Smash-up di Stuart Heisler, Gentleman’s Agreement (Barriera invisibile, 1947) di Elia Kazan, tutti usciti tra il 1945 ed il 1947.
Naturalmente c'è da precisare che quelle produzioni non avevano caratteristiche di  film politici  ne di propaganda ; ma soltanto   di impegno e denuncia sociale.
A partire dal 1947 la letteratura cinematografica californiana invertì la sua rotta e nella sua produzione non ebbe spazio nessun tipo di pellicola dai contenuti sopra evidenziati ad eccezione di Grapes of Wrath, fu The Salt of the Earth (Il sale della terra, noto anche come Sfida a Silver City, di Herbert J. Biberman) girato nel 1951 fuori dagli studi di Hollywood.
QUINDI era necessario, come da programma del senatore repubblicano McCarthy scoprire  anche i comunisti che lavoravano a Hollywood, am anche nel mondo della cultura,  e tra questi i primi furono  Dalton Trumbo e Paul Jarrico (sceneggiatori),  John Lawson e Albert Maltz (scrittore di testi), Robert Rossen e Herbert Biberman, (registi) e qualche attore come Howard Da Silva e Anne Revere (attori).
LE INDAGINI proseguivano, il volume dei dossier andarono ad aumentare, iniziavano gli interrogatori, nel 1947 ad essere interrogati anche Bertolt Brecht (L’opera da tre soldi), che per Hollywood aveva collaborato alla sceneggiatura di Hangmen Also Die (Anche i boia muoiono di Fritz Lang, uscito nel 1943).
Tra il 1952 e l'anno successivo l'HUAC (Comitato per le attività antiamericane -  House Committee on Un-American Activities), segnalò oltre trecento nominativi che si aggiunsero nel registro degli indagati tra cui lo scrittore Dashiell Hammett (La chiave di vetro,1942, di Stuart Heisler), il regista Joseph Losey, gli attori Howard Da Silva, Zero Mostel, Lionel Stander, Anne Revere, John Garfield. Hammett.
Nel 1953  il commediografo Arthur Miller (che sposò Marilyn Monroe), condannato poi a un anno di carcere per essersi rifiutato di rispondere, e l’attore Charles Chaplin, che riparò immediatamente in Europa (già nel 1947 il senatore Rankin aveva chiesto l’espulsione di Chariot, che era inglese, e il bando di tutti i suoi film — fra tutti Luci della ribalta e Tempi moderni — dal territorio statunitense). Chaplin fu seguito in Europa da altri, come i registi Orson Welles, John Huston, Joseph Losey e Jules Dassin, e gli sceneggiatori Carl Foreman, Ben Barzman, Paul Jarrico e Michael Wilson. Preoccupato che troppi perseguitati andassero all’estero a raccontare scomode verità sulla realtà statunitense, nel 1956 il governo ritirò preventivamente il passaporto a chi era indagato dall’HUAC.
Tornando agli aspetti di politica internazionale c'è da registrare che le tensioni tra USA ed URSS aumentarono, quando lungo il 38° parallelo aumentarono le tensioni tra le due Coree ed il relativo intervento statunitense ed a seguito di ciò si giunse a quello che viene ricordato anche come “guerra 6·25” (25 giugno 1950-27 luglio 1953).
Alcuni mesi dopo, siamo nel febbraio dell’anno successivo, Marilyn Monroe e Joe DiMaggio erano in viaggio di nozze a Tokyo. La diva hollywoodiana viene invitata dal generale John E. Hull del comando orientale di recarsi in Corea per intrattenere le truppe statunitensi di stanza in quei luoghi: la Marilyn  ci andò nonostante il parere contrario di Joe DiMaggio.

Nel 1954, a conclusione del caso Brown vs. Board of Education of Topeka iniziato durante la guerra, la Corte Suprema dichiarò incostituzionale la segregazione nelle scuole pubbliche e dieci anni dopo il Congresso approvò il cosiddetto Civil Rights Act, un insieme di leggi e provvedimenti vari che proibivano la discriminazione razziale sia nei posti di lavoro che nei locali pubblici.
Importanti furono le decisioni della Corte Suprema   contenute del documento relative al Brown v. Board of Education of Topeka (1954) che misero fuori legge quelle strutture educative differenziate per neri e bianchi.
Nacquero negli States altri movimenti per i diritti civili, ma anche personaggi di rilievo come Malcom X, Martin Luther King e non per ordine d'importanza l'impegno politico-sociale del presidente statunitense John Kennedy ma anche il fratello Robert, allora Procuratore Generale che seguì  più di 50 cause legali in quattro stati per assicurare il diritto al voto dei neri americani.
La politica internazionale oltre alla guerra di Corea, era interessata anche dalla crisi iraniana, quella del golfo di Suez, la rivoluzione ungherese, le tensioni tra i due blocchi aumentavano anche per la presenza della Repubblica Popolare Cinese e la firma del premier sovietico Chruščëv  con Cuba  di Fidel Castro , la costruzione del muro di Berlino.
Ritornando alla politica interna a far data dal 1950 cresceva il benessere.
Infatti la notevole produzione di variegati beni di consumo, quella automobilista di Detroit, e non per ordine d'importanza anche il mercato immobiliare rivestiva una sua importanza, vedi le grandi aree abitative nella area di Long Island, conosciuta come Levittown: tale denominazione per ricordarne l'ideatore William Levitt .
L'amministrazione Kennedy durò circa 1000 giorni ma anche se tale periodo fu breve, esso fu caratterizzato da eventi di spessore come la continua crescita nella corsa spaziale, la guerra del Vietnam, la crisi di Cuba, l'integrazione dell'Università del Mississipi, l'arresto di Martin Luther King , la nomina del fratello Robert F. Kennedy nel suo gabinetto come Procuratore Generale.
Il mandato presidenziale si interruppe bruscamente a Dallas il 22 novembre del 1963 quando il presidente Kennedy venne assassinato.
Fu il vice presidente Lyndon Johnson a portarne a termine il mandato  e  realizzando la politica di Kennedy, vinse le elezioni presidenziali statunitensi del 1964.
Gianni Aiello (presidente Circolo Culturale “L’Agorà”) nel suo intervento ha evidenziato che nel corso del tema in argomento ci sono delle “agorà”, quindi dei momenti di incontro-confronto.
Ha evidenziato quindi la trattazione degli aspetti cinematografici, ma anche quelli relativi agli aspetti storico politici del periodo, come riportato ampiamente in apertura.
Infine, ma non per ordine d’importanza ha letto un documento inviato a firma di James Rodriguez, Console americano per la Cultura, che a nome del Console statunitense Donald Moore ha ringraziato il Circolo Culturale “L'Agorà” riconoscendo l'importante valenza culturale dell'incontro.

La parola è passata ad Antonio Megali. Il 5 agosto 1962 alle ore 15.01 l’agenzia Ansa batteva queste parole: Los Angeles. Marilyn Monroe la popolare attrice è morta poco prima dell’alba. è stata trovata morta dalla cameriera. Con questo scarno comunicato veniva data notizia della morte della donna che, come scrisse Norman Mailer, rappresentava la relazione amorosa di ogni uomo con l’America. Era bionda e bella, aveva un dolce filo di voce e tutta la pulizia di tutti i cortili americani. Era il nostro angelo, il nostro angelo del sesso, e lo zucchero del sesso giunse da lei come la risonanze di un violino. Era una cornucopia dispensatrice di sogni mielati.
Una versione ufficiale aggiungeva che era stata trovata morta  alle 3.30 del mattino e il suo corpo era nudo nel letto. In una mano l’infelice diva stringeva la cornetta del telefono. Accanto c’era una boccetta vuota di sonnifero. In realtà la versione ufficiale della sua scomparsa è vera solo in parte. A mezzo secolo dalla sua morte restano tanti punti oscuri. Del resto misteri e leggende sono gli elementi indispensabili perché il Mito acquisti fascino e si conservi inalterato nel tempo.
Suicidio scrisse l’impiegato dell’obitorio quando giunse la salma. “Probabile “ aggiunse nel certificato di morte il medico legale che eseguì la necroscopia. Del Nembutal, il sonnifero ingoiato non fu trovata traccia nello stomaco. L’assenza del segno dell’ago sulla cute dell’attrice fece anche escludere fosse stato iniettato per iniezione. I sostenitori della tesi dell’assassinio sostennero la somministrazione pe via rettale. Secondo una delle tante ipotesi Marilyn si sarebbe lasciata convincere dal cognato di Bob Kennedy , Peter Lawford, a inscenare un finto suicidio, poiché qualcuno l’avrebbe salvata, cosa che poi non avvenne. Secondo questa versione il medico sarebbe stato chiamato dopo la certezza della morte dell’attrice e dopo che lo stesso Bob Kennedy fu rassicurato dell’avvenuto decesso.
Messe da parte le fantasie, cerchiamo di ricostruire i fatti come probabilmente si svolsero. Quella sera Marilyn confidò allo scrittore messicano José Bolanos, suo amante, di essere a conoscenza di segreti che avrebbero potuto sconvolgere il mondo. Di lì a poco Bob Kennedy e altre due persone si presentarono a casa della diva.
I due uomini del fratello del Presidente uccisero l’attrice somministrandole dei barbiturici o , in alternativa, quando gli uomini se ne andarono fu la stessa Marilyn  a ingerire un tubetto di sonnifero. Una terza ipotesi prospetta che altri uomini, dopo l’uscita di Kennedy abbiano somministrato l’overdose di sonnifero. In seguito sul luogo del crimine entrarono altri investigatori con lo scopo di distruggere le prove dei rapporti della diva con i Kennedy, sottraendo quel famoso “diario rosso” dove era scritto che Frank Sinatra e il boss mafioso Sam Giancana avevano organizzato un’orgia durante la quale l’attrice sarebbe stata drogata violentata e fotografata per poter essere ricattata qualora avesse avuto l’intenzione di svelare i suoi rapporti con il presidente americano. Poi venne organizzata la messinscena del suicidio. Altre conclusioni investigative-da inserire nella mitologia che ne è derivata- valutarono il delitto secondo criteri esclusivamente politici. Colpevole sarebbe stata la mafia per vendicarsi dei Kennedy o altri uomini non meglio identificati- inseriti nella CIA o nell’FBI-per sbarazzarsi di uno dei fratelli: Bob. Gli irriducibili appassionati di libri gialli tirarono fuori la circostanza che i protagonisti di questa storia, i due Kennedy , moriranno per omicidio nel giro di pochi anni in circostanze mai del tutto chiarite. In questo quadro di nodi ingarbugliati e di problemi insoluti , di certo c’è che il clan del presidente americano è implicato nella brutta storia, ma rimane il mistero su come si sia svolta la sequenza dei fatti.
Ma ci furono-e ci sono- i favorevoli alla tesi ufficiale. Gli elementi a favore portati avanti sono la ben nota fragilità della diva e che la stessa abbia tentato più volte di suicidarsi. E si tolsero la vita, nell’ambito familiare anche un suo bisnonno, uno zio e per fino una tutrice si ucciderà con barbiturici. Per non dire che la nonna e la madre passarono la loro vita entrando e uscendo dai manicomi.
Confidandosi con un giornalista Marilyn confessò che sulla sua tomba avrebbe voluto questo semplice epitaffio: “ Qui giace Marilyn Monroe -95,56,89”.
L’ultima misura le valse il titolo-datole dai giapponesi, quando andò a Tokyo in viaggio di nozze col marito Joe Di Maggio-di “Onorevole Attrice dal Sedere che Ondeggia.”
In realtà la famosa camminata ondeggiante derivava anche da una lussazione all’anca procuratasi da bambina oltre che dai tacchi a spillo uno più alto dell’altro.
Vediamo ora di riassumerne la vita, gli amori e la carriera. Nasce nel 1926, l’anno in cui muore Rodolfo Valentino. Viene registrata dalla madre come Norma Jeane Mortensen, col cognome del secondo marito,  ma la chiameranno anche Norma Baker dal cognome del primo. Il vero padre sembra sia stato un tal Gifford, compagno di lavoro di Glady Pearl Monroe, mamma della diva. Rintracciato dalla figlia molti anni dopo il presunto padre si rifiuterà sempre di incontrarla, né ebbe mai alcun colloquio con lei. La madre, soggetta a crisi depressive, è quasi sempre ricoverata nei manicomi, per cui la piccola Norma finisce in orfanatrofio per essere poi affidata per brevi periodi a diverse famiglie- in tutto undici- dove in alcune di esse subisce violenze sessuali. Pur di trovare una fissa dimora a soli 16 anni sposa il primo uomo che gli capita. Ѐ un vicino di casa, Jim Dougherty, il quale poco dopo si arruolò in Marina e partì per la guerra. Al suo ritorno la diva le chiese il divorzio. Fu in quel periodo che uno scopritore di talenti, Ben Lyon, le suggerì che il nome Norma Jean Doughrty non era adatto per la carriera cinematografica. Ammiratore di una famosa attrice di Broadway,Marilyn Miller, le propose questo nome. Monroe lo volle la stessa diva, in omaggio al cognome dei nonni. Marilyn Morroe ti riempie la bocca di m m m disse lei. Mi piace mi porterà fortuna.
Il secondo matrimonio avvenne per giuoco, con lo scrittore Robert Slatzer.

(Marilyn Monroe)
on è il viso che colpisce, ma le espressioni... non è il corpo che ci piace, ma il modo in cui si muove... non è spesso l'aspetto fisico che ci attrae... ma sono i modi di fare di una persona.
N
ShinyStat
26 ottobre 2012

I due si sposarono in Messico nel 1952, ma dopo tre giorni decisero di annullare le nozze pagando una tassa di 50 dollari. L’altro matrimonio avvenuto nel 1954 durò di più: 9 mesi. Joe Di Maggio il suo terzo marito fu uno dei più grandi campioni di baseball. Figlio di immigrati siciliani, sognava di farne una moglie all’italiana. La voleva brava in cucina , nelle faccende e non tollerava che facesse l’attrice. Gelosissimo, quando lei girò a New York la famosa scena nel film Quando la moglie è in vacanza, in cui l’aria che esce dal condotto di aerazione del metrò le sollevava la gonna, la costrinse ad indossare ben due paia di mutandine oltre poi a riempirla di botte. Ma fu forse quello che amò di più e dopo la morte di Marilyn dispose che delle rose rosse venissero poste sulla tomba ogni tre giorni, per sempre.

Il “per sempre” durò solo vent’anni. Fu il marito di tre giorni, Slatzer, a continuare a deporre  rose, questa volta bianche, per tutta la vita.
Un commediografo famoso,  intellettuale progressista, Arthur Miller, fu il quarto marito. Per sposarlo si dice si sia convertita all’ebraismo. Il rapporto entrò in crisi quando Marilyn si innamorò di Yves  Montand, marito di Simone Signoret. (Se Marilyn è innamorata di mio marito, vuol dire che ha buon gusto, commentò l’attrice francese). Arthur Miller cercava di controllare l’uso di tranquillanti, di cui la diva abusava e scrisse per lei la sceneggiatura del film Gli Spostati. Ma, in fondo, non ne aveva una grande considerazione. Dopo la morte di lei, scrisse una commedia, Dopo la Caduta, dove non si dimostra pietoso verso la personalità dell’ex moglie. Dopo i mariti passiamo agli amanti : una quarantina tra illustri ed oscuri. Ricordiamo José Bolanos scrittore, Marlon Brando , due dei figli di Charlot, Sammy Davis, Sam Giancana mafioso, Elia Kazan, Frank Sinatra, e, naturalmente, i due fratelli Kennedy.

E fu proprio per John che qualche mese prima di morire, invitata alla festa di compleanno, cantò l’happy birthday con una voce di straordinaria dolcezza simile a quella di certe cantilene infantili. “Adesso sì che posso ritirarmi dalla politica, dopo che una ragazza dolce e pura come Marilyn Monroe mi ha augurato buon compleanno” il commento del presidente dopo averla ascoltata. Relazioni brevi con l’attrice ebbero anche due attori italiani. Il primo, Rossano Brazzi, uno dei belli del cinema; il secondo, meno bello, Carlo Croccolo che, a suo dire, si sentì trasportato verso di lei dal desiderio di consolarla apparendogli come una bambina spaurita.
Com’è, nelle migliori tradizioni alla diva venne attribuito un figlio segreto, avuto a quindici anni; poi si disse trattarsi di una figlia. Di certo desiderò essere madre e per questo, secondo un biografo , subì 12 aborti. Ebbe anche una gravidanza ectopica e soffrì di endometriosi.
Joe Di maggio dopo la morte dell’ex moglie disse che ad ucciderla era stato il mondo di Hollywood.

Tutta la sua vita, infatti, era stata decisa dagli altri con il risultato di accentuarne la fragilità. E Arthur Miller:” Non le fu mai concessa la dignità che chiedeva”. Le stelle di Hollywood, in quel periodo, dovevano avere un solo carattere: quello della dumb blonde, la” bionda  stupidina “. In questi ruoli c’erano state già Louise Brooks, Jean Harlow e Mae West. Ma Marilyn rese perfetto questo stereotipo fino ad autodistruggersi. Il suo corpo attraente aveva il compito di piacere a tutti, il ruolo di essere un sex symbol.

Ma l’ignoranza su cui tanto si ironizzava non era reale. Quando si spostava dalla sua casa per lavoro portava con sé un centinaio di libri che leggeva saltellando da uno all’altro. I suoi preferiti erano Tolstoi e Whitman. Appassionata di opere d’arte, nella sua pinacoteca figurava un quadro di Toulouse-Lautrec, una scultura di Rodin e un busto della regina egiziana Nefertiti. Per non dire che fu anche autrice di poesie. Pur non essendo dei capolavori, rivelano la vera Marilyn;la sua solitudine, la sua tristezza, il tema insistente della morte la consapevolezza di essere una donna sdoppiata vittima di un destino che l’avrebbe travolta.
Per concludere un breve excursus sulla rappresentazione della diva nella pubblicità e nell’arte e su come la videro gli scrittori. La sua immagine venne utilizzata per pubblicizzare calze, profumi, scarpe , automobili, acque minerali e perfino tranquillanti. La Repubblica del Mali mise il volto di Marilyn, quello di Jean Harlow e dei fratelli Lumière su un francobollo. Negli Stati Uniti venne messo in vendita un salvadanaio con sopra una bambola raffigurante Marilyn con il vestito di Quando la moglie è in vacanza; ogni volta che si metteva una moneta, un ventilatore sollevava la gonna della bambola. Il nostro Gianni Versace creò una serie di abiti e casacche con sopra la figura dell’attrice sorridente.
Nel campo artistico, uno dei primi a rappresentarla fu Andy  Warhol. Prima con Le Labbra della Monroe e poi con la famosa sequenza delle venticinque Marilyn . Una di queste versioni apparve sulla copertina di un libro dedicato all’arte moderna di Giulio Carlo Argan. Mimmo Rotella le ha dedicato uno dei suoi manifesti strappati, con al centro una scritta: Marilyn il mito di un’epoca.
Renato Guttuso inserisce il suo viso tra gli operari e contadini che assistono a d un comizio sindacale. Il suo quadro, del 1975 s’intitola, appunto, Comizio. Ispirandosi a Duchamp, Michel Faure in una cartolina sostituisce Monna Lisa della Gioconda con il volto dell’attrice.
Al suo fascino non rimasero indifferenti poeti e scrittori di ogni parte del mondo. Ernesto Cardenal, poeta nicaraguense e frate trappista le dedicò una bella poesia della quale diamo di seguito l’incipit :”Signore/accogli questa ragazza conosciuta in tutto il mondo con il nome di Marilyn Monroe/ nonostante non fosse questo il suo vero nome/(ma Tu conosci il suo vero nome, quello dell’orfanella violentata a nove anni/ e la piccola commessa che a sedici anni aveva voluto uccidersi)/ e che ora si presenta dinanzi a Te senza il minimo maquillage/senza il suo Addetto Stampa/senza fotografie e senza firmare autografi/sola come un’astronauta davanti alla notte spaziale”.
Anche Pier Paolo Pasolini le dedicò dei versi, recitati da Laura Batti in uno spettacolo e poi, inseriti, questa volta recitati da Bassani, nella prima parte del film La Rabbia. La seconda parte, ricordiamo,  fu opera di Giovannino Guareschi. Ne citiamo l’inizio:
Ne citiamo l’inizio:
Del mondo antico e del mondo futuro
era rimasta solo la bellezza, e tu,
povera sorellina minore,
quella che corre dietro ai fratelli più grandi,
e ride e piange con loro, per imitarli
e si mette addosso le loro sciarpette
tocca non vista i loro libri i loro coltellini,
tu sorellina più piccola,
quella bellezza l’avevi addosso umilmente,
e la tua anima di figlia di piccola gente,
non ha mai saputo di averla,
Perché altrimenti non sarebbe stata bellezza.
Sparì, come un pulviscolo d’oro.
Altri versi le dedicarono il grande Mario Luzi, Maurizio Cucchi e perfino l’attrice Sandra Milo.
Oriana Fallaci, che pure intervistò tutti i protagonisti della storia e della politica ,inseguì per tre anni la Monroe non riuscendo a incontrarla mai. E, scrive, tutto sommato ,non mi dispiace: sebbene siano molti gli ingenui che mi compiangono per questo. In realtà le dispiacque, eccome. Quando seppe che l’intervista l’aveva avuta un altro scrittore, Nantas  Salvalaggio, gli telefonò riempiendolo di insulti. L’allora giovanissimo Nantas aveva implorato un appuntamento inviando un mazzo di rose dal gambo lunghissimo, alte come granatieri di Sardegna. Racconterà tutto nel suo libro” Ho amato Marilyn”.
Con Giuseppe Prezzolini l’incontro avvenne all’Istituto Italiano di Cultura a New York, in occasione di un premio che l’Istituzione italiana le aveva dato come la più notevole artista straniera del cinema. Lo scrittore si limitò a farle un complimento sul suo vestito e le domandò se aveva una sarta italiana. L’attrice rispose di no, che non era ancora stata in Italia ma che però le sue scarpe erano italiane. L’Italia-scrisse il fondatore de La Voce- non ha dei grandi filosofi, ma in compenso ha dei grandi calzolai. Essi dettano legge al mondo. Tutti i piedi delle signore si adattano a questo impero. Tutte camminano sopra suole italiane, anche se non sopra il suolo italiano. Dopo tanti apprezzamenti, una stroncatura apparsa molti anni fa su Cinema Nuovo :quella di Oreste Del Buono. Vale la pena riportane alcuni passi “Sexy Marilyn?... ma sotto tanto frastuono c’è la realtà assai poco sconvolgente d’una ragazzotta piccola e paffuta, quasi innocua e abbastanza ottusa. Una ragazza che, per esempio, infatti di sexy-appeal, non può reggere il confronto con la nostra Mangano di Riso Amaro. Marilyn è come certe vignette umoristiche di disegnatori in vena d’abbondanza, una donna dalle apparenze normali. Il suo facile mito vuole che tutto in lei sia caricato, ad alto potenziale. Greta Garbo faceva impressione dicendo molto sensualmente al proprio interlocutore:” Dammi una sigaretta”. Marilyn in Niagara cerca di fare impressione dicendo molto sensualmente al proprio interlocutore:” Dammi una sottana”.
Dalla sigaretta alla sottana, non si può negare che un passo sia stato compiuto, e non proprio in meglio”. E a proposito del paragone con Jean Harlow  Del Buono osserva:” La Harlow , nella sua breve, tumultuosa esistenza, è stata una delle figure più rappresentative, più significative della sua epoca di disordini e sfrenatezze. Ma Marilyn cosa può rappresentare e cosa può significare?
Eppure qualcosa ha rappresentato, ha significato se a 50 anni dalla morte resta nella memoria collettiva come uno dei più grandi miti del cinema.

Dopo l'intervento di Antonino Megali, la parola è passata a Tonino De Pace (Presidente del Circolo del Cinema "Zavattini".

Questa relazione non riporterà la biografia dell’attrice nata nel 1926 e scomparsa nel 1962, la sua vita a molti è nota, ma qualsiasi volume o sito web a lei dedicato traccerà con migliore ampiezza la sua tormentata biografia. Queste note vorranno essere, solo e sommessamente, un excursus della sua carriera d’attrice, vorranno riportare la percezione che della sua immagine si è avuta nel tempo, tanto da diventare una moderna icona del desiderio, della femminilità, del glamour, divinizzata e sacralizzata da artisti della più varia estrazione e, ancora oggi, salutata con rispettoso riguardo dagli amanti del cinema e anche da chi il cinema lo conosce poco o affatto.

Un prezioso e ormai introvabile libro dal titolo semplice ed esplicativo: Il cinema di Marilyn Monroe edito da Fanucci, di Domenico Cammarota, in verità appassionato di cinema horror e di fantascienza, elenca con straordinaria e puntigliosa cura la carriera cinematografica di Norma Jean Baker, la nostra futura Marilyn Monroe.
Il volume è prezioso perché contiene l’intero, breve, ma illuminante e intenso, corpus poetico dell’attrice. È da queste sue intime confessioni poetiche che apprendiamo ad esempio quali fossero i suoi pensieri quando aveva appena diciannove anni, prima di diventare attrice e molto prima di diventare Marilyn: Aiuto aiuto/ aiuto./ Sento/ la vita/ che/ si/ avvicina,/ mentre tutto ciò/ che vorrei,/ è soltanto/ morire.

Il suo percorso cinematografico comincia nel 1946 con un piccolo film pubblicitario per una nota bibita icona dell’America benestante. Nel film Norma Jean Baker appare senza veli e in una evidente posa ammiccante mentre gioca con la famosa bottiglietta, ma non è ancora biondo platino e ha solo vent’anni. Negli anni successivi seguiranno comparsate insignificanti in brutti e scadenti film che in Italia non sono stati neppure distribuiti. Ma nel 1950 arriva uno dei film della sua vita Giungla d’asfalto del grande John Huston ed è il film che consegna, Norma Jean Baker alla storia del cinema con il nome di Marilyn Monroe. La Monroe non si trova a disagio nei panni della “pupa del gangster” e il suo ruolo, le sue battute, giocano un effetto positivo ed ambiguo nella odierna rilettura del personaggio Marilyn come corpo imprescindibile del cinema.
Non è possibile citare qui tutti i film che hanno visto impegnata la Monroe negli anni, anzi nei mesi immediatamente successivi a Giungla d’asfalto. Ma vale pena ricordare, invece, che nell’anno successivo l’attrice ha lavorato con un altro geniale e indimenticato autore del cinema, Fritz Lang che con Marilyn ha girato La confessione della signora Doyle. In questo melodramma dalle tinte emotive accese, si consuma l’amore adulterino di Barbara Stanwick che interpreta la signora Doyle, una donna alla ricerca di una definitiva libertà che la vedrà tornare dal marito che aveva sposato in tutta fretta, dopo una breve storia d’amore vissuta durante la fuga al suo paese natio. Marilyn interpreta il ruolo della giovane fidanzata del fratello. La ragazza è pura, ma il mondo è pericolosoe la cognata, che sa come va il mondo la istruisce per evitare i sui errori. È un periodo fecondo per Marilyn, i copioni arrivano, i film si realizzano e così dopo un altro paio di opere non certo indimenticabili, la nostra approda ad un’altra produzione diretta da un regista di tutto rispetto come era Howard Hawks. Il titolo italiano del film, del 1952, è Il magnifico scherzo, ma quello inglese Monkey bussines traduce con maggiore immediatezza il tema del film.
Una divertente e moraleggiante storia sulla ricerca dell’eterna giovinezza che vede Marilyn nelle vesti di una segretaria. Sarà questo l’ultimo film tra quelli meno conosciuti girati dall’attrice. Da questo film in poi i suoi lavori segneranno tappe, una dopo l’altra, importanti nella sua carriera, instaurando un dialogo costante con il proprio pubblico e consacrando la star del cinema, in star del della bellezza e del desiderio.

Con il magniloquente Henry Hathaway nel 1952 gira Niagara. Siamo alle prese con un altro melodramma, ma qui Marilyn è al centro delle attenzioni della storia, è all’apice della sua bellezza che è ancora carica di una primitiva forza e non sottoposta alle cure dello star system. Il film fece scandalo, Marilyn costituiva lo scandalo. Era scandalosa la sua camminata, il vestito rosso che le fasciava il corpo, il suo risveglio nel velo di un lenzuolo che invece che coprire faceva risaltare il corpo statuario. Un lungo elenco di ammiccamenti che fecero si che il film in Italia fosse avversato dalla componente cattolica (ma non era una novità) e che dovesse circolare con il divieto per i sedicenni. Fu subito dopo questo film che l’attrice fu ingaggiata dall’esercito americano per rallegrare gli animi dei soldati durante la guerra in Corea.

Marilyn, nonostante il successo era consapevole dello spietato meccanismo dello spettacolo, era ben cosciente che il successo era qualcosa di fuggevole, legato all’icona fisica che rappresentava, che offriva al pubblico. Sembra di sentirla parlare con se stessa nei brevi e dolorosi versi che compongono, nel 1952, la poesia Il cubetto di ghiaccio dove l’utilizzo della perfetta metafora sintetizza un intero saggio sul successo come condizione precaria dell’esistenza e sulla bellezza come malintesa misura della popolarità: Il cubetto di ghiaccio/ è un prodotto,/ che reca gioia/ a chi ce l’ha/ nel bicchiere./ E in breve tempo,/ si scioglie inosservato/ciò che al principio/ fu così necessario.

L’elencazione dei film che hanno trasformato l’attrice in diva e la diva in icona immortale prosegue. Il 1953 è l’anno di Gli uomini preferiscono le biondeancora di Howard Hawks, dove il corpo cinematografico e bianchissimo di Marilyn aveva un’antagonista di tutto rispetto, nell’altrettanto sensuale corpo moro di Jane Russell.
È sempre del 1953 Come sposare un milionariodi John Negulesco. Il film vede come interpreti oltre a Marilyn Monroe anche Betty Grable, Lauren Bacall ed è la storia di tre modelle che tentano di sistemare le proprie vite sposando un uomo ricco. La novità del film per la Monroe fu il tentativo di trasformarla in un’attrice comica, affibiandole per tutto il film un paio di occhiali da miope che nelle intenzioni di regista e scenografo avrebbero dovuto far sorridere. L’effetto non è riuscito così come gli autori speravano, ma l’interesse di questo film, riguardo alla Monroe in rapporto alla sua carriera sta da un’altra parte. Per la prima volta, nel manifesto il suo nome precede quelli, in verità più illustri delle sue colleghe e coprotagoniste. Due attrici la Bacall e la Grable che, all’epoca, sapevano arricchire il box office della Century fox che produceva. Era il segno inequivocabile che l’ascesa dell’attrice era inarrestabile.

La magnifica preda di Otto Preminger è del 1954. Il film è la storia di May, la Monroe, che segue l’uomo incontrato nei locali di infima qualità dove si esibisce come cantante. Dopo un viaggio che assomiglia ad una fuga i due finiscono alla fattoria di Matt Calder (Robert Mitchum), vedovo con un figlio. Tra May e Matt nascerà l’amore e per questo la protagonista abbandonerà i panni di cantante per dedicarsi alla nuova famiglia e al lavoro nella fattoria.
Anche questo film sembra cucito addosso alla Monroe, canzoni, vestiti kitsch e attillati, di tutto per restituire l’immagine di un desiderio. Anche il titolo italiano gioca su questo aspetto, in originale il film è River of no return. Eppure nonostante questo la Monroe non amò mai questo film che definì detestabile. Non amò mai il western e questo film, benché anomalo, era un western.

Nello stesso anno, il 1954, gira l’insignificante Follie dell’anno, musical caramelloso di Walter Lang. L’unica cosa da ricordare è la comparsa di Marilyn che canta con un curioso costume di tipo messicano, un incrocio tra Carmen Miranda e Lola Montez.

Il film che forse ha maggiormente pesato positivamente sulla carriera di Marilyn è quello che avrebbe girato nell’anno successivo con l’inarrivabile Billy Wilder. Il titolo italiano è già un programma, una proiezione di desiderio, un assunto trasgressivo: Quando la moglie è in vacanza, ma non lo è di meno il titolo originale che suonerebbe Il prurito del settimo anno. Insomma, comunque lo si veda il titolo diventa pruriginosamente allettante. La Monroe è la vera bomba sexy che sconvolge la vita di Richard Sherman, uomo comune, medio borghese, felicemente sposato alla boa del settimo anno. La vacanza della moglie e del figlio faranno riassaporare a Richard i piaceri dello scapolo, l’irrompere della nuova vicina di casa sconvolgerà del tutto la sua tranquilla (ma non tanto) esistenza. Film dai molteplici significati, dai remoti segni come molta della cinematografia del geniale autore, Quando la moglie è in vacanza ha immortalato per sempre la Marilyn dal vestito sollevato per lo sbuffo d’aria sulla grata della metropolitana. Scena impressa nella memoria di tanti e che all’epoca segnò il blocco del traffico in una New York in delirio per la diva che girava la scena.

Fermata d’autobus di Joshua Logan è del 1956. Il film racconta della storia d’amore tra l’ingenuo cow boy e la innocente Cheriè, che nasce e si consolida alla fermata dell’autobus che alla fine li condurrà in Montana. Commedia solare e divertente, che trae origine, come il suo regista dal teatro e che vede Marilyn a suo agio nei panni un po’ soliti, per la verità, della bella e ingenua che spicca in un mondo di oscura malizia.

Nel 1957 Marilyn arriva in Europa. Si preparava a girare una produzione importante, un film che l’avrebbe vista accanto ad uno dei mostri sacri della scena teatrale e cinematografica dell’epoca: Laurence Olivier e il film è: Il principe e la ballerina con la regia dello stesso Olivier.
Un film che ha la colpa di essere appesantito da una messa in scena teatrale, attesi i trascorsi del suo regista e interprete principale, ma che ha permesso di mostrare alcune doti dell’attrice, in primo luogo la profonda ironia. Il film non ebbe successo né di critica, né di pubblico e così tra le due sponde anglofone si scatenò la guerra delle responsabilità. Gli inglesi davano la  colpa alla Monroe, gli americani ad Olivier. La Century Fox però si dissociò dal progetto costringendo la Monroe a finanziare il film con una parte dei suoi guadagni. Di recente, proprio l’estate scorsa, il film Marilyn di Simon Curtis ritorna su questo film che ha costituito l’occasione per un fugace flirt della Monroe. Tratto dal libro autobiografico di Colin Clark racconta di se stesso, quando giovane assistente alla regia del grande Olivier in questo film, ha avuto l’occasione di incontrare più volte la Monroe anche in privato. Colin ha potuto scoprire il suo animo intenso e tormentato, la sua solitudine e il suo desiderio d’amore. La corrispondenza d’amorosi sensi che era nata tra di loro non diventerà mai amore, ma sarà l’occasione per fare scoprire al giovane cineasta le debolezze della donna più desiderata di quel tempo.

Il regista che forse (ma diremmo sicuramente) ha saputo trarre il meglio dall’attrice è stato Billy Wilder, un autore che ha saputo sempre conciliare la commedia con il dramma, che ha saputo utilizzare la commedia per raccontare l’animo umano con un tocco ed una leggerezza dote rara di pochi grandi autori. A qualcuno piace caldo è forse il film che più ciascuno di noi associa alla diva. Ma quel film del 1959 ha costituito una piccola magia, Jack Lemmon e Tony Curtis restano indimenticabili nel travestimento, attraverso cui passa, come spesso in Wilder, il ghigno sornione che ci ricorda l’omosessualità latente nei suoi personaggi, una misoginia congenita e quindi il lato oscuro della vita privata, il tutto confezionato con grazia e leggerezza in una commedia scoppiettante che vede la Monroe mattatrice che coniuga con straordinaria eleganza, desiderio e devianza, seduzione e conformismo. A proposito della sua attrice ebbe a dire a causa di una scena, dalle brevi battute che richiese però sessanta ciak: Era imprevedibile, e questo lo odio, ma se riusciva a dire le battute, era assolutamente perfetta, il tempo, il suono della sua voce… capiva l’essenza comica. Non era una dilettante, era nata con quel dono. Puoi trovare 50 attrici, tutte brave, alcune persino più… con una tecnica eccellente, ma nessuno poteva essere migliore di lei.
Wilder conosceva il pubblico e le regole dello spettacolo e sapeva usare con grande maestria le strutture drammaturgiche. Per queste ragioni è riuscito, sempre, con rara abilità, a sdoganare temi invisi al grande pubblico, portando a termine una delle operazioni più ardite del suo cinema così ingannatore, così abilmente sotterraneo. Che poi la realtà sia ben diversa dalla finzione ce lo testimoniano le parole di Tony Curtis quando disse che baciare Marilyn è stato come baciare Adolf Hitler.

L’anno successivo, nel 1960, Marilyn interpreterà Facciamo l’amoreil cui autore Gorge Cukor è forse uno dei maggiori direttori d’attrici e creatore di personaggi femminili che la storia del cinema ricordi. Ma il film, oltre a dare l’occasione all’attrice per un nuovo ennesimo flirt con il suo coprotagonista il cantante attore Ives Montand, non offre particolari spunti originali. Molta musica, molte canzoni per raccontare la storia del ricco che si fa passare per povero attore squattrinato per far si che la giovane ballerina Amanda, si possa innamorare di lui. In Marilyn si vedono già i segni di una profonda trasformazione fisica e l’ultimo film della sua carriera ce lo testimonierà pienamente.

Gli spostati, del 1961 è un film di John Huston che nasce da un copione di Arthur Miller. A volte accade che i fatti belli o brutti della vita si raddensino improvvisamente e che un certo avvenimento costituisca occasione da ricordare per sempre in positivo o in negativo. Ebbene il film di Huston è uno di questi avvenimenti.
Il titolo italiano non rende giustizia all’ambiguo The Misfits (un po’ come dire i disadattati) che racconta le storie di Roselyn (Monroe) donna instabile con alle spalle problemi familiari e sentimentali che è alla ricerca di una figura paterna; Gay Langland (Clark Gable) è un uomo disilluso che è solo alla ricerca di una sua personale dissoluzione; Perce (Montgomery Clift) è l’annientamento del desiderio, la sua natura ombrosa lo rende un solitario; Guido (Eli Wallach) è attratto anch’egli dalla bella Roslyn. Il trio di cow boys caccia cavalli selvaggi, ma corteggia la donna. Quest’ultima però si innamora di Gay. Il giorno dopo della fine delle riprese Clark Gable morì e anche Marilyn l’anno successivo sarebbe scomparsa nel modo che tutti sappiamo; Montgomery Clift uscì mutilato da uno spaventoso incidente e questo fu l’ultimo copione di Arthur Miller che dopo la morte della sua musa vide rinsecchire la sua vena artistica. Film maledetto eppure così intenso nel trasferire in questa storia di amori incrociati e dolorosi personaggi, il malessere dell’America, il malessere dei suoi stessi attori. Quel malessere che sembra essere protagonista anche delle storie private come nel caso del particolare rapporto tra la Monroe e Gable. Marilyn cresciuta senza la figura paterna da ragazza mostrava le foto dell’attore americano raccontando che quello fosse suo padre. Il set diventava così anche realizzazione del desiderio e il film un’incredibile congerie di sentimenti e di vita, di dolore e di morte che sono rimasti immortali nelle scene di Huston.

Se il cinema è soprattutto luogo dei sogni, archivio dell’immaginazione e deposito di ogni desiderio, Marilyn Monroe ha frequentato pienamente, per quanto brevemente, ma intensamente, questi posti. La sua presenza scenica diventa magnetica, la sua sagoma inconfondibile. Non c’è dubbio che Marilyn si affermi soprattutto come corpo. Ma non è una deminutio, l’attrice, l’attore sono sempre prima di ogni altra cosa corpo, Marilyn è un corpo straripante. Lei se ne rende conto, indubbiamente, e il suo intento è quello di rigenerarsi e questa crescente palingenesi avviene e si realizza sia attraverso una progressiva ricerca della perfezione, sia attraverso una attenzione maniacale al proprio aspetto.
Non è una novità quindi, che continuano, ancora oggi, ad emergere, da un passato che sembra infinito, una valanga di immagini della diva, immagini che ci raccontano sempre la stessa, ma sempre una diversa Marilyn, che mitizzano la sua carica sensuale, anche nelle immagini più “domestiche e meno addomesticate”. Un recentissimo e breve saggio comparso su Cineforum 516, di Marco Marchesini riesce a restituire un ritratto, inconsueto, ma assai credibile di una diva che per troppo tempo è stata considerata l’oca giuliva che avrebbe dovuto solo soddisfare le voglie occulte del pubblico maschile. Marchesini ci racconta con dovizia di particolari di una Marilyn affamata di immagini di se stessa, il suo rapporto con il pubblico diventa reale e si fa interessante solo attraverso l’immagine e sono stati in moltissimi i fotografi che l’hanno ripresa conservando ciascuno un ritratto particolare della donna e dell’attrice. Marilyn era capace di osservare per ore e ore le sue fotografie, tentando di capire, di volta in volta, cosa andasse bene e cosa ci fosse di sbagliato. Né dovrà stupire il suo studio, in qualche misura matto e disperatissimo, per il corpo, per l’anatomia che diventava viatico essenziale per l’impostazione della sua figura, del suo modo di camminare, del suo modo di esporre le forme sinuose del corpo.

Una delle sue capacità che aveva acquisito in tanti anni di sedute fotografiche era quella, come si diceva, di essere estremamente critica nei confronti delle proprie fotografie, nella sua maniacale ossessione  per l’immagine che costituiva il racconto di se stessa. Nel novembre 1961, ci racconta Marchesini nel saggio citato, Douglas Kirkland fotografo in ascesa della ricca Hollywood di quegli anni, prende contatti con la Monroe per una seduta fotografica. Il set sarà quello del letto, fino ad allora l’attrice non si era fatta mai riprendere a letto. Il risultato di quella faticosa seduta fu una serie di fotografie che probabilmente costituiscono una cesura nella vita artistica di Marilyn. La “bambola di carne” era diventata donna, così almeno traspare nelle immagini di Kirkland che è riuscito, non si sa se intenzionalmente o meno, a fare risaltare non i tratti volgari di Marilyn, ma perfino il suo passato fatto di un aborto, di un tentato suicidio e di tanti giorni di clinica psichiatrica. Qualche giorno dopo, Marilyn stessa guardando quelle fotografie ebbe a dire all’amico Bob Slatzer: Ti giuro che il ragazzo era sveglio. Anche troppo. Non me l’aspettavo. Il maledetto mi ha infilato uno spillone. Qui, dalle parti dell’osso sacro. In quelle immagini si vedono benissimo le mie disgrazie. Come se qualcuno avesse rubato il mio diario per spiattellarlo in giro senza pietà.
Marilyn è il prototipo di donna dall’animo inquieto, mito trasversale di più generazioni, resa immortale dall’arte, sia da quella trasgressiva e iconoclasta di Wharol, sia da quella immaginifica e “realistica” di Rotella, sia dall’originale occhio cinematografico di Paolo Gioli artista intenso e originalissimo, è così che Marilyn è diventata negli anni eterno riferimento ed icona incancellabile di bellezza e significante erotico sempre costante nel tempo.
Ma Marilyn è anche donna dai sentimenti profondi, dalla vita travagliata che è riuscita a trovare nell’espressione poetica uno sfogo all’eterna amarezza che l’ha sempre portata ad una congenita depressione. Scandagliare il suo animo attraverso i suoi versi costituisce una piena immersione dentro le pieghe di quell’esistenza. Comprendiamo dai suoi versi a volte disperato, che esiste un fuori sincrono, diremmo oggi, tra la sua immagine pubblica e quella privata, personale, intima, quella insondabile. Proprio sotto questa luce ci appaiono ingenerosi alcuni giudizi che sono stati espressi su di lei perché superficiali e poco attenti della poliedrica personalità dell’attrice. Una personalità così insondabile da costituire ancora oggi un mondo sconosciuto e l’espressione artistica che l’ha presa a modello lavora proprio su questa affascinante prospettiva di ricerca. Per queste ragioni paiono, davvero e incredibilmente miopi, ad esempio i giudizi di Franco La Polla uno studioso e grande critico di cinema che oggi purtroppo ci ha lasciato e che è stato un grande conoscitore del cinema americano al quale siamo grati per tante, tantissime sue intuizioni, ma dal quale sommessamente dissentiamo circa le opinioni che ebbe ad esprimere su Marilyn nel suo, pur importante volume “Sogno e realtà americana nel cinema di Hollywood”. … il più grande mito femminile degli anni ’50 si allineava perfettamente a quelli dei decenni precedenti: una figura di donna cui non son richiesti intelligenza, spirito, dinamismo, qualità «maschili» in genere, ma al contrario una vera e propria identificazione di pubblico e privato all’insegna della stupidaggine e, ad esser buoni, dell’ingenuità.Più avanti aggiunge: Il fatto è che Marilyn il pagliaccio era l’unica cosa che sapeva fare, e il suo mito nacque grazie anche al fatto che fare il pagliaccio era tutto quel che il pubblico le chiedeva.
Ma se ci pensiamo, come stridono queste parole accanto a quelle di Marilyn:

Il mio simulacro
invecchia
ma io devo
ancora nascere…
Perché
quello
che ho
dentro
nessuno
lo vede.
Ho pensieri bellissimi,
che mi pesano,
come una lapide.
Vi supplico,
lasciatemi
parlare…
(1960)

 

Trentacinque anni
vissuti con un corpo estraneo
trentacinque anni
con i capelli tinti
trentacinque anni
con un pupazzo.
Ma io
non sono
Marilyn
io sono
Norma Jean Baker.
Perché
la mia anima
vi fa orrore
come gli occhi dei rospi
sugli argini dei fossi?
(1961)

 

Sono orribile,
non guardarmi,
girati,
guarda
da un’altra parte…
Sono un disastro,
dimenticami…
Ma no…
Dammi
Un solo minuto,
mi laverò la faccia,
ci metterò sopra
qualcosa,
qualcosa
di splendente…
e sarò
Marilyn
(1961)