Continua l'iter culturale relativo alle giornate di studio inerente al decennio francese, incentrato sulle tematiche dell’arte, e, vista la vastità della materia, sarà riproposto anche nella prossima edizione. Orlando Sorgonà ha esposto ai presenti un breve iter delle precedenti edizioni, evidenziando come il Re di Napoli fosse una figura di rivoluzionario liberale, alquanto singolare e che Gioacchino Murat fu il primo uomo d'azione del Risorgimento italiano.
« La borghesia liberale - prosegue Sorgonà - dei ceti più illuminati e liberali, compresa la sovversione occulta massonica e carbonara non lo capirono e forse non vollero capire, lo avversarono, e forse lo tradirono, fino a coadiuvare il regime borbonico per la sua cattura e l'eliminazione fisica in quel di Pizzo.
La storiografia ufficiale ha oscurato questo grandioso personaggio e la sua azione democratica tesa al liberalismo.
Murat pur attanagliato dai comandi e dalle direttive imperiali, tendeva a realizzare una nazione, un Regno unito, indipendente, secondo i modelli illuministici » .
Carmelina Sicari, Preside dell’Istituto Magistrale “T. Gulli”, ha relazionato su “Momenti al femminile del periodo francese”, dove le reminescenze mitologiche del periodo ellenistico si uniscono ad una nuova concezione della bellezza e del femminile destinata ad inserirsi nel romanticismo ed a creare una nuova sensibilità, dove i valori della bellezza e della tragedia vengono mescolati insieme.
« - dice la Sicari - è la figlia, la contessa Luisa Rasponi "Mio padre, molto alto di statura, aveva la maschia bellezza che s’addice ad un soldato; la sua andatura ferma, il suo colorito bruno, i suoi lineamenti risentiti, i suoi capelli neri come il giaietto, avrebbero potuto conferire alla sua fisionomia, se degli occhi azzurri d’una dolcezza estrema e un sorriso incantevole non avessero rivelato la tenerezza e la bontà che si celavano dietro a questa apparenza soldatesca" .
Questo clima caratterizzato da un'enfasi epica tramandataci dalla figlia -prosegue la Sicari - lo ritroviamo in molte opere pittoriche, come nel ritratto equestre del Gros, dove appare in maniera assolutamente iconografica .»
Altra figura femminile è quella relativa a Ida Saint-Elme che nelle "Memorie" lo identifica con il personaggio shakesperiano: Amleto. Infatti mentre attendeva di essere ricevuta ebbe a sentire: « Il sangue mi si agghiaccia nelle vene; la mia testa, sempre pronta a immaginare catastrofi e cose straordinarie, già crede vedere un nobile guerriero colpito da qualche pugnale italiano.
Ascolto con maggiore attenzione, sapendo come dovessi diffidare della mia fantasia; ma impossibile non confermare la supposizione di un antenato, perché i rumori e le voci diventano più acuti e spaventosi. Si sarebbe detto di una lotta accompagnata da minacce e resistenza.» , ma qualcuno ebbe a tranquillizzare la scrittrice dicendo che Gioacchino Murat amava il teatro e che era alle prese con il monologo di Amleto.
«Murat recitava Amleto - prosegue Carmelina Sicari - essere o non essere accanto a Napoleone rimanergli fedele o conquistare l’indipendenza» .
Altri momenti al femminile sono quelli relativi alla figura che rappresenta la Bella Partenope incatenata in un incisione del Chini su disegno del Pinelli, o di altre donne i cui tratti somatici ricordano le Muse o quelli di altri personaggi mitologici come Sofia che viene rappresentata mentre suona l’arpa, quindi viene rappresentata come la dea della musica.
«Che cosa significa questa moda della ritrattistica - conclude la Sicari- che parte da Murat e coinvolge molti dei personaggi femminili che si volge all’enfasi mitologica ? Ritorna qui il gusto dell’ellenismo che fu tipico della civiltà napoleonica e dei napoleonici . All’ellenismo ed al mondo ellenico, l’epoca si svolgeva perché le polis greche avevano entusiasmo ed avevano creato un imput , questa dimensione della libertà unita alla intellettualità.
Il mito che torna nell’epoca dei napoleonici è il mito della democrazia costruita però sul pensiero, così come Pericle aveva costruito Atene attraverso la bellezza, il diritto e la sapienza e la saggezza così nell’epoca dei napoleonici ritorna questo mito ed a questo mondo ellenico che vuole unire insieme la tradizione occidentale e quella orientale nella ritrattistica dell’epoca si fa ampio spazio e per questo motivo l’elemento femminile in questo periodo si coniuga all’epicità» .
Gianni Aiello, presidente del Circolo Culturale L’Agorà ha trattato su “Tracce di arti figurative del decennio francese nella provincia reggina”, richiamando l'attenzione dei presenti su alcune "verità", celate, forse perché scomode .
Non è vero che ci fu in tale periodo storico un proliferare di azioni atte al saccheggio di opere d'arte, ma bensì come attesta lo storico tedesco Franz Herre « ... Subito dopo la vittoria di Lodi sugli Austriaci del 10 maggio 1796, la ricca città di Milano aprì loro le porte. Parma e Modena, lo Stato della Chiesa e Napoli si affrettarono a comprare la pace col denaro e i tesori artistici, alla fine, cedette anche Ferrara, Bologna, la Romagna e Ancona... ¼» [Napoleone, pp. 52-53, Bompiani, 1989] .
Il presidente del sodalizio reggino continuando nella relazione, con il supporto di diapositive, ha parlato della piazza ove era ubicato un obelisco, che ricordava la venuta del Re di Napoli Gioacchino Murat in città tra il 17 ed il 18 agosto del 1810, esso era posto al centro della stessa.
Dopo la caduta dell’amministrazione murattiana la piazza venne ribattezzata Piazza dei Gigli, poi Piazza Vittorio Emanuele o conosciuta anche come Piazza Italia.
L’attuale corso Garibaldi assumeva la dicitura di Corso Gioacchino Napoleone mentre una strada era dedicata a Carolina Murat, denominazioni che con le relative targhe vennero immediatamente asportate e cambiate dai reggini che inneggiarono ai “rientrati” borboni , vedi la seduta del Decurionato del 16 giugno 1815: «Il sig. Principe Della Scaletta comandante e commissario civile di questo distretto, ha disposto che venissero tolte le lapidi nello stradone detto corso Napoleone, cancellarsi questa denominazione; e supplirsi quella di borbone e così quella di Piazza Murat, in piazza de Gigli, e strada Carolina in strada Ferdinanda.» .
Tra gli altri documenti commentati da Gianni Aiello vi sono stati quelli relativi ai due ritratti delle MM. LL. Gioacchino Napoleone ed Annunziata Carolina.
Poi si è parlato anche della lapide funeraria del Castello di Scilla.
Gianfranco Scafidi componente della sezione di arti figurative dell’associazione organizzatrice ha trattato il tema relativo a “La pittura napoleonica tra dipinti di cerimonia e di battaglia”.
«L'arte nel periodo napoleonico - dice Gianfranco Scafidi - vide l'emergere di due tendenze: una prima, alla quale appartenevano tutti quegli artisti che, lavorando per l'Impero, adottavano una tipologia iconografica attenta alle esigenze della committenza; una seconda, più libera dai vincoli citati, che esprimeva il malcontento e le frustrazioni di chi paga le conseguenze di una dittatura».
Il relatore ha trattato di alcuni tra i "pittori di corte", facendo notare ai presenti che seppure la pittura napoleonica si suddivideva a sua volta in dipinti di cerimonia e di battaglia, aveva come filo conduttore l'obiettivo di voler celebrare l'imperatore nella sua magnificenza, andando sempre al di là della visione oggettiva della realtà, per arrivare, seppure in casi estremi, al divinizzare la figura di Napoleone con tele visionarie ed irreali.
Sotto l'amministrazione napoleonica l'arte di corte è ciò che oggi si può definire la massima espressione del Neoclassicismo, che vede come colonne portanti in pittura Jaques-Louis David ed in scultura l'italiano Antonio Canova.
Suggestiva è stata la sequenza di diapositive che ha effettuato un percorso artistico relativo a dipinti di cerimonia, di battaglia e ritratti celebrativi, opere artistiche che aiutano a comprendere l'arte, al pari degli scritti, quindi nel suo complesso tutto ciò rappresenta una chiara documentazione delle vicende storiche di ogni epoca.
Suggestiva ed emozionante è stata la sequenza delle diapositive raffiguranti i lavori di Jaques-Luois David che seppe conferire uno stile inconfondibile alla grandezza napoleonica come nelle tele di "Napoleone primo console" , "Napoleone varca le Alpi", "Le Sace", "La distribuzione delle aquile nello Champ De Mars".
Scorrono le immagini sui colori e le tecniche di altri grandi autori come Jean Auguste-Dominique Ingres, Anne Louis Girodet Trioson, Francois Gerard, Andrea Appiani, la tela "Bonaparte a Rivoli" di Philippoteux, Charles Mener, Antoine Jean Gros, l'allievo prediletto di David che fu sempre fedele al suo maestro e dal quale ereditò l'atelier.
La sequenza si conclude con una tela di Goya, realizzata nel 1814, intitolata "Los Fucilamientos" , appartenente ad una serie di lavori dedicati agli orrori della guerra.
Mario Spizzirri, socio del “Centro Nazionale di Studi Napoleonici e di storia dell'Elba”, nonché Cavaliere del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio e dell'Ordine Imperiale Sovrano della Corona di Ferro, ha relazionato su
“Uniformologia ed armamenti in epoca murattiana” .
Con l'avvento al trono di Gioacchino Murat (1 agosto 1808), l'Esercito Napoletano migliorò sensibilmente e progressivamente il proprio sistema di reclutamento e la propria organizzazione. Gioacchino Murat intendeva avere un regno ed un esercito tutti suoi e, nel tentativo di risolvere i problemi economici che erano alla base dell’ampliamento degli organici, sistema che col tempo avrebbe dato dei discreti risultati, “in primis” fece adottare un nuovo modello di bandiera: colore celeste, bordata di scacchi bianchi ed amaranto, al centro la corona monogramma del sovrano e l’iscrizione in oro in lingua italiana (adottata da tutti i reggimenti; gli squadroni portavano invece uno stendardo).
Per gli armamenti si cercò di costituirli nel regno potenziandolo, adeguatamente: « la Manifattura di Torre Annunziata e “mettendo in cantiere” – prosegue il prof. Mario Spizzirri – un modello di fucile per la Fanteria leggermente diverso da quelli francesi (lunghezza: cm 150 e calibro 17,7) e tanto avvenne anche per i fucili adoperati da Gendarmeria e Zappatori (lunghezza: cm 114, canna: cm. 75,5, calibro 17,7) ».
Molte altre armi (4.000 sciabole e 8.000 fucili) vennero acquistati dalla Ditta Barison di Milano e 10.000 fucili presso la Manifattura Reale di Torino.
La cavalleria era dotata di un moschetto da 22 pollici e di una pistola costruite a Napoli. Le Armi, in generale, somigliavano molto a quelle in uso negli eserciti imperiali ma Murat che desiderava, via via, rendersi “autonomo” dalla Francia, cercò in tutti i modi, di farle costruire, adattandole alle potenzialità e capacità delle truppe napoletane, nel Regno di Napoli o di acquistarne corposi quantitativi in altre regioni d’Italia.
Anche per le uniformi, bellissime e sofisticate, di cui il Murat era un eccezionale cultore e “modello”, si scelsero colori sgargianti e la cura di finimenti e “particolari” ne fecero dei capi ultra sofisticati e di “alta moda” .
Inutile aggiungere che Murat guardava costantemente ai modelli e alla fogge in uso nei reparti napoleonici ma il suo estro artistico e il desiderio, sempre meno inconscio, di rendersi un sovrano dalla regalità effettiva e sostanziale, fece si che le sue truppe indossassero uniformi “vistose” ma con sostanziali varianti riguardo a quelle francesi e tendendo all’uso di “particolari” (vedasi copricapo) di sostanziale necessità innovativa per le forze armate dell’epoca.
Quindi il periodo dei napoleonidi si può considerare a ragione come "l'epoca delle uniformi": non si era mai vista tanta varietà di stili, tessuti ornamenti e colori che combinati abilmente creavano un qualcosa di originale e di suggestivo sia nelle parate che sui campi di battaglia.