Dopo lo scenario dello Stretto,  luogo dello scorso appuntamento culturale,  si ritorna nei siti consueti per tale manifestazione e nella fattispecie, per l'odierna edizione, nella sala della Villetta della Biblioteca Comunale "Pietro De Nava" di Reggio Calabria che ha visto una partecipazione di pubblico particolarmente attento e gratificato dall'argomento odierno relativo a "Cronache calabresi durante il decennio francese".
Appare chiaro dal titolo che il tema trattato si riferisce alle figure dei primi inviati di guerra che vivevano quotidianamente con gli eserciti napoleonici condividendone la gloria ed in molti casi i rischi a cui anch'essi andavano incontro.
La manifestazione organizzata dal sodalizio culturale reggino rientra nel contesto degli eventi denominati "ottobre piovono libri:  i luoghi della lettura", una campagna promossa dal Ministero per i beni e le attività culturali in collaborazione con la Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, l'Unione delle Province d'Italia, l'Associazione Nazionale Comuni Italiani.
Aderendo a tale iniziativa il Circolo Culturale L'Agorà, a tal proposito,  ha avuto il merito di far conoscere ai numerosi intervenuti  manoscritti, inerenti all'amministrazione francese in Calabria, tradotti dal prof. Enzo Liberale che ha relazionato sulle sue ricerche riguardanti la presenza dei napoleonidi nel territorio, luogo in cui opera dal 1993 il Circolo Culturale L'Agorà di Reggio Calabria.   
Si tratta nella fattispecie di due interessanti pubblicazioni tali “PRIMO MODERNO REPORTAGE SULLA CALABRIA VISTA ALL’ALBA DEL 1800 DA UN  UFFICIALE NAPOLEONICO” manoscritto di cui non si conosce l'autore e  “L’OCCUPAZIONE FRANCESE DELLA CALABRIA” di Lubin Griois: da entrambi i saggi si può evincere, grazie alla dettagliata  ed attenta testimonianza dei corrispondenti del  periodo, come era la situazione sociale della regione, degli usi, dei costumi, delle  tradizioni, degli aspetti archeologici, dell’assetto viario e naturalmente anche di quelli militari,.
In entrambi le pubblicazioni si tratta di corrispondenti francesi al seguito dell’esercito napoleonico che ebbero il merito di tramandare ai posteri queste importanti informazioni relative al territorio, si tratta quindi di corrispondenti di guerra, quindi di giornalisti in uniforme.
Ci troviamo quindi davanti al giornalismo di guerra, alla storia di questo aspetto
dell'informazione che ha fondamenti storici lontani e che lo stesso Presidente del Circolo Culturale L'Agorà Gianni Aiello ha evidenziato  nel corso del suo intervento con un excursus  tal proposito:  « [...] la letteratura relativa al "giornalismo di guerra" ha radici antiche: essa ha inizio con la presenza dell'uomo sulla terra con i primi graffiti apposti nelle grotte che raffiguravano varie scene di vita quotidiana compresa quella relativa ai primi combattimenti tra tribù o clan del periodo preistorico. [...]».
Il relatore prosegue il suo intervento passando alla figura di Erodoto, autore de "Le storie" dove lo storico greco narra le vicende relative alle guerre tra il mondo persiano e quello ellenico, poi l'opera "Anabasi" di Senofonte, di seguito è stata la volta degli scenari epici di Omero "Odissea", "Iliade" ma anche di quella di Virgilio "Eneide", dove, naturalmente tra fatti storici e fantasia venivano narrate le gesta dei condottieri del periodo classico, per ritornare ad aspetti squisitamente più reali dal punto di vista logistico,come quanto viene descritto nel “De bello gallico”,  il cui titolo originario si pensa che fosse “C. Iulii Caesaris commentarii  rerum gestarum”, che vide Giulio Cesare descrivere in modo dettagliato le operazioni  militari, descrivendo, al contempo, diversi aspetti sugli usi e dei costumi delle popolazioni indigene con cui veniva a contatto: esso fu redatto da Cesare fra il 58 e il 50 a.C. come diario di guerra, quindi un vero e proprio  reportage giornalistico del periodo.
La letteratura in questione è passata alla disamina della "Gazete de Renaudot" del 1633, giornale francese che al suo interno aveva diversi articoli inerenti le cronache ed i bollettini sulla guerra, come ad esempio quella che si svolgeva nella lontana  Persia.
Il relatore ha diretto uno sguardo alla  "Gazette" del Cardinale Richelieu, passando poi a tratteggiare la struttura del "Bulletin de la grande Armee" ed attraverso la lettura « [...] di questa pubblicazione - dice Gianni Aiello -  si può  comprendere l'abilità di come l'imperatore Napoleone Bonaparte riusciva ad edificare solide fondamenta atte alla costruzione di un apparato sia informativo ma al contempo anche disinformativo, strumento valido atto a disorientare gli avversari  durante lo svolgimento delle sue operazioni logistiche, aspetti questi che si verificavano puntualmente  [...] »
La nascita della figura dell'inviato di guerra si ha con la guerra di Crimea  (1854-1855), che vedeva impegnati da una parte Inghilterra, Francia e Impero Ottomano contro la Russia zarista: il primo inviato fu il giornalista irlandese William Howard che fu al seguito delle truppe britanniche in qualità di inviato del quotidiano inglese "Times".
Dopo i due conflitti mondiali ed il periodo della guerra fredda, Gianni Aiello ha posto l'accento sulla figura del giornalista Montanelli che fu a Budapest, durante la rivoluzione ungherese del 1956, in qualità di inviato del "Corriere della Sera" , il quale  iniziava così la sua corrispondenza in un articolo datato Vienna 12 novembre: [...]  Questa è la storia della battaglia di Budapest e il lettore ci perdoni se la riferiamo con tanto ritardo. Mentre la combattevano, i russi ci tolsero il mezzo per raccontarla; e, in fondo, non ci resta che ringraziarli per averci tolto solo questo  [...] .
Si è passato poi ad altre figure importanti dell'informazione come quelle  di Oriana Fallaci che fu in Vietnam, di Lorenzo  Cremonesi  reporter del "Corriere della Sera" in Libano, Afghanistan, ex Jugoslavia, Iraq, come Francesco Battistini presente anche in Kashmir, Kosovo.
Gianni Aiello ha concluso il suo intervento parlando anche delle cifre e delle statistiche relative ai rischi che gli inviati in guerra vanno in contro durante le loro missioni atte all'informazione, andando, quindi, spesso accade, incontro alla morte.
In Vietnam durante il ventennio (1955-1975) vennero uccisi 63 giornalisti, un cifra, se paragonata alla guerra in Iraq, inferiore, dove trovarono la morte 56 tra giornalisti e tecnici, nel periodo relativo al quadriennio (1991-1995) nei territori dell'ex-Jugoslavia perirono 49 giornalisti, di contro nel  triennio (1993-1996) ne morirono 57 in Algeria.
Sono state ricordate anche le figure della giornalista RAI 3 Ilaria Alpi, uccisa in Somalia il 20 marzo 1994 insieme all'operatore Miran Hrovatin, ma anche del giornalista de "L'Ora" di Palermo Mauro De Mauro scomparso il 16 settembre 1970.
Di seguito Gianni Aiello ha illustrato ai presenti il percorso delle  precedenti manifestazioni inerenti a "Gioacchino Murat: un Re tra storia e leggenda", della presenza nella città di Reggio Calabria del discendente diretto del Re di Napoli,  illustrando ai presenti  diversi ed interessanti documenti cartacei dai quali si ricavano invece informazioni totalmente diverse da quelle che ci sono state tramandate  Sul tema "Cronache calabresi durante il decennio francese", il prof. Enzo Liberale ha relazionato sulle sue ricerche riguardanti la presenza dell'amministrazione napoleonica in Calabria.
Il secondo relatore nel corso del suo intervento ha posto l'accento su come era la situazione in Calabria dal punto di vista sociale, politico ed economico: « Nella fase involutiva della sua storia plurimillenaria, all’inizio del XIX secolo la Calabria aveva raggiunto il massimo degrado materiale e spirituale.
La prostrazione fisica dell’intera regione era la tragica conseguenza dell’immane sconvolgimento tellurico che nel 1783 aveva causato la sua definitiva rovina urbana territoriale.
La grandiosità del sisma del 1783 aveva momentaneamente richiamato sulla regione l’attenzione del mondo intero e l’interessata presenza sul suo ruolo di famosi studiosi, quali Dolomieu ed Hamilton che, soddisfatta la loro curiosità scientifica col rilevamento dei dati del fenomeno, erano poi ripartiti sempre via mare disinteressandosi della sorte dei Calabresi.
Non molti anni dopo, nel 1799, la difficile e lenta opera di recupero morale e di ricostruzione del tessuto sociale era stata bruscamente interrotta con la perdita dei migliori elementi trucidati dai sanfedisti del cardinale Ruffo o eliminati nella restaurazione borbonica che seguì il crollo della Repubblica partenopea che per un istante storico aveva fatto alitare sul Meridione la speranza delle nuove idee umanitarie propugnate dalla Rivoluzione francese.[...] ».
Partendo dall'assioma che "il passato spiega il presente" e che "volere ignorare il passato è il modo migliore per farlo rinascere in ciò che ha di peggiore", il relatore s'è opposto all'idea dominante anche di molti Calabresi che convenga dimenticare il passato, come se cancellandolo dalla propria mente lo si annullasse nel proprio intimo, e gli si impedisse di riemergere nei comportamenti individuali e nelle stesse istituzioni  che essi producono o condizionano.
L'invito, quindi, per i Calabresi, a conoscere il proprio passato, di cui "il decennio francese" (1806-1815) rappresenta un momento di vitale importanza nella loro vicenda storica.
«L'occupazione francese - ricorda il prof. Enzo Liberale - pur nel cruento rapporto instauratosi con le isolate comunità della regione, fu l'inizio della rinascita dell'intera Calabria che era pervenuta al suo massimo degrado socio-ambientale a causa della sua secolare emarginazione, caso unico 'isolamento d'un popolo nell'Europa moderna.»
Il relatore ha dapprima riferito sulle interessanti "Memorie del generale Griois", il cui capitolo sulla Calabria egli ha trasformato nella pubblicazione  "L'OCCUPAZIONE FRANCESE DELLA CALABRIA (1806)", e in seguito sull'atro suo più esaustivo lavoro dal titolo programmatico di "PRIMOMODERNO REPORTAGE SULLA CALABRIA VISTA ALL'ALBA DEL 1800 DA UN UFFICIALE NAPOLEONICO".
Dalla prima pubblicazione, grazie ad un amico  belga del prof. Liberale,  si può evincere la situazione in cui ebbero a trovarsi i graduati  francesi durante le fasi del loro ingresso, i primi mesi dell'occupazione della Calabria, con la discesa sino a Reggio dell'esercito francese, questo quanto si evince dall'interessante  capitolo IX, riguardante il territorio calabrese e che ha visto il protagonista il generale Griois presente per alcuni mesi, in due riprese, fra il 1806 ed il 1807, percorrere il litorale tirrenico ed ionico.
Non è purtroppo difficile immaginare, nel tragico silenzio che avvolse allora l’intera regione, l’indicibile miseria che nell’isolamento l’imbruttì cancellando, specie nelle campagne e nelle comunità montane, ogni retaggio di quella luminosa civiltà che l’aveva distinta e accompagnata sino agli albori dell’età moderna.
Per chi voleva avventurarsi in Calabria, all’inizio dell’800, scomparsa la romana via Popilia, la strada carrozzabile finiva a Lagonegro. Per chi voleva avventurarsi oltre non c’era che  il cavallo o il dorso del mulo, sempre che le condizioni atmosferiche, e soprattutto i torrenti, privi di ponti, lo consentissero.
Ma anche superando tali ostacoli naturali, restavano da affrontare le popolazioni dell’interno che, convertitesi al brigantaggio, avevano non solo allontanato ogni incauto viaggiatore, ma anche interrotto qualsiasi comunicazione fra gli stessi villaggi, e fra  questi ed i centri abitati più numerosi, a meno che non fossero vicinissimi o raggiungibili via mare, specie sulla costa tirrenica.
Del resto, anche nelle città la viabilità percorribile dalle carrozze era limitata  alla cerchia urbana.
L’unico fiume di cui era offerto un superamento non a guado era il Crati dove le testimonianze riporteranno fin quasi la fine del secolo la curiosità di un carro con alte ruote e trainato da buoi che, richiamati dal loro pascolo, accorrevano ad aggiogarsi per traghettare i rari  viandanti.  
La costruzione della strada Lagonegro – Reggio Calabria per Castrovillari e Cosenza (il tracciato ripetuto dall’autostrada) fu disposta con decreto di Murat l’11 marzo 1810. Per le altre strade l’amministrazione francese obbligò i Comuni a partecipare alle spese ed impiegare gratuitamente la manodopera locale.
Ed è proprio subito dopo Lagonegro, da Campo Tenese il 6  marzo 1806, dopo lo scontro con le truppe borboniche sotto una bufera di neve, che iniziò la conquista della Calabria da parte dell’esercito francese.
Nella loro discesa verso Reggio i Francesi, nonostante i morti per assideramento, scelsero  la via delle montagne lungo stretti e scoscesi sentieri, ove esistevano, serpeggianti lungo i   costoni con difficoltà anche per i muli delle salmerie, evitando i fondo valle, percorsi da impetuosi torrenti, e le pianure invase dalle acque.
Le eviteranno anche nella stagione calda quando paludi ed acquitrini rappresentavano un pericolo per la salute in quanto notoriamente malsani.
Bloccati nella marcia da impetuosi e gelidi torrenti, aspettavano il defluire delle acque per guadarli nonostante il freddo ed il rischio  di altri morti.  
Di contro, la seconda riguarda il carteggio col padre che un'altro ufficiale francese ha tenuto  in modo costante nei tre anni di guarnigione in Calabria.
In modo sobrio ed obiettivo, oltre alla documentazione degli eventi storici, entrambe le testimonianze aiutano a ricostruire lo stato socio-politico e fisico-ambientale della regione rimasta a lungo isolata dopo che due terribili eventi, assommandosi alla lunga serie d'avversità, le avevano fato toccare il fondo della sua plurisecolare tragedia: il "tremuoto" del 5 febbraio 1783 e "l'armata cristianissima" del Cardinale Ruffo.
Infatti questi dati informativi di notevole spessore culturale sono giunti sino a noi grazie, sia al lavoro di ricerca del prof. Enzo Liberale ma anche grazie alla meticolosità del giovane ed aitante ufficiale che giorno dopo giorno, persino in condizioni disperate, e sempre con ammirevole lucidità ed acutezza, riporta fedelmente i movimenti e le operazioni dell'armata di Reynier nei primi mesi dell'occupazione, oltre ad un parziale resoconto dell'assedio di Amantea.
Ma oltre ai resoconti delle operazioni militari, nel suo continuo girovagare a cavallo s’incanta per le incomparabili bellezze  naturali e deplora lo stato dei borghi semideserti dal terremoto, quali Mileto ,  Nicotera, Seminara, e lo stato “delle pianure che si trovano in riva al mare o alla foce dei corso d’acqua” che, riferisce, “Sono di una tale insalubrità che basterebbe bivaccare una sola notte d’estate o d’autunno per prendere subito una febbre mortale”.
Infatti non si conosceva allora la causa della malaria (il cui parassita ematofago verrà solo scoperto da Laveran nel 1880) ma si rifuggivano i suoi effetti evitando o abbandonando nella stagione calda la pianura.
Durante l’occupazione della Calabria i francesi hanno “pagato un luttuoso contributo a questo clima pernicioso”, ci fa sapere il nostro ufficiale che elenca tutti i sintomi [...] le malattie causate dall'aria insalubre che sin dal mese di luglio alita sul golfo di Gioia, dove le nostre compagnie stavano svolgendo un servizio ingrato, hanno provocato la nostra immediata partenza per Rogliano.
Il caldo è eccessivo in quest'estate, la prima che passiamo in Calabria , e i nostri soldato, come tutti i Francesi che li hanno preceduti, stanno pagando un luttuoso tributo quindici giorni abbiamo perduto una sessantina d’uomini e duecento ammalati sono stati ricoverati all’ospedale di Monteleone, città che il battaglione ha lasciato il 30 giugno [...] .
Il relatore a tal proposito informa i presenti che da una successiva lettera si apprende  che in quella stessa estate del 1807 a Cosenza la guarnigione ebbe ben 800 morti per febbri.
Le lettere, raccolte in volume pubblicato e tradotto in tutta Europa nel 1820, coprirono per prime il totale vuoto di notizie e pubblicazioni sulla Calabria.
Non per ordine d'importanza, infine,  il relatore ha posto all'attenzione dei presenti su di una raccolta di lettere di un capitano francese, di cui si conosce solo il nome, Duret De Tavel, la cui lettura è  molto gratificante, e no solo per  un Calabrese. 
È una testimonianza che al valore del documento storico unisce, fra le altre cose, la suspense per le oscure trame e ferocia dei briganti, imprendibili per astuzia e tranelli che, unicamente ai Francesi, il lettore insegue nell’oscurità dei boschi e nelle voragini delle montagne. 
Una lotta costellata d’insuccessi dei francesi le cui continue perdite d’uomini nelle imboscate avevano fatto gridare a Napoleone di adottare contro i briganti calabresi le più estreme misure.
È una testimonianza in live, secondo la terminologia giornalistica attuale, e consta di trentasette lettere in ordine cronologico dal 27 novembre 1807 al 19 ottobre 1810. 
Sono prive dell’organicità propria di un libri, oltre che scevre d’ogni preoccupazione letteraria, elementi che talvolta condizionano la stessa autenticità degli eventi narrati, in quanto la ricerca del bello altera il vero.
Le lettere del De Tavel si offrono alla lettura quali susseguirsi d’articoli di uno straordinario reportage di moderna guerriglia, scritto sul filo vivo dell’azione con un linguaggio ancora vibrante d’emozione per il fatto vissuto, anche solo poche ore prima, con acuta intelligenza ed estrema obiettività persino quando la stessa vita del relatore è stata in gioco, fatto molto frequente che, incredibilmente e diversamente dagli altri scrittori francesi, non viene mai né personalizzato né drammatizzato.
La corrispondenza mantiene fede all’impegno, preso nella prima missiva, scritta la genitore da Napoli, di considerare la  permanenza nella regione di destinazione, la Calabria, come un vero viaggio d’esplorazione carico di tutto il fascino dell’ignoto.
L’idea, cui l’autore non verrà mai meno e che anzi lo sosterrà nelle più dure peripezie, gli era sorta a Napoli dove invano aveva cercato nelle librerie una pubblicazione sulla Calabria.
La lacuna, emblematica dell’emarginazione della regione, avvalora, per mancanza di dati e riferimenti, l’autenticità delle descrizioni e riflessioni che nel giovane ufficiale rivelano il pensiero illuministico che aveva nutrito la gioventù francese, laica e liberale, che allora  si riservava in tutte le contrade d’Europa diffondendo una filosofia rivoluzionaria trasformata in pratiche regole di vita dal Codice Civile voluto da Napoleone.
Il suo impatto con la realtà calabrese fu talmente violento da indurlo ad usare molte iperboli per renderne sia l’orrore sia la meraviglia. Non riuscì a sottrarsi a descriverne i vari aspetti se non  con aggettivi sempre al superlativo assoluto.
Ad eccezione del civile tenore di vita nei maggiori centri costieri che, grazie ai commerci marittimi, mantenevano un certo contatto col resto del mondo, ed all’unico caso idilliaco della minoranza albanese,il completo isolamento dei villaggi interni contraddiceva il mito rousseauniano della bontà dello stato di natura opposto alla corruzione della società civile.
Le descrizioni sull’abbrutimento delle comunità isolate, violate dalle truppe francesi a causa del loro coinvolgimento con i briganti, delle cui presenza è ricca la narrazione, portano sempre l’immaginazione a rivivere le disumane condizioni socio-economiche ed a riflettere sull’ingrato destino d’una terra che dopo tali e tante sofferenze, no ha ancora trovato pace.
Il regresso e le condizioni di vita primordiale delle comunità più sperdute, spiegano in parte le selvagge reazioni davanti ad una presenza straniera la quale, dal canto suo, non riuscì a scindere nell’atteggiamento della popolazione l’affermazione di una fiera indipendenza dal diverso spirito che animava il brigantaggio.
Era certamente una società rurale che si differenziava nettamente dal pauperismo allora regnante in altre contrade europee, quali recenti studi hanno ben evidenziato.
Sfortunatamente un’analoga analisi del nostro Meridione è stata impedita dalla mancanza quasi totale d’atti amministrativi e religiosi, altrove documentati da ospedali, anagrafi municipali, registri parrocchiali o d’istituti elemosinieri che, anche dove esistevano, erano destinati a disperdersi o distruggersi nei vari cataclismi che hanno imperversato in Calabria.
La ricostruzione quotidiana può ricevere una certa animazione dalle favole, tramandate oralmente, che illuminano sulle abitudini, mentre la morale è un messaggio sull’ordine sociale in atto che essa accetta o rifiuta. 
Assieme alle credenze ed ai proverbi polari, cioè ad ogni aspetto folcloristico assurto oggi a documento storico, lo spirito che c’è stato tramandato e che sentiamo presente nel popolo calabrese, s’inquadra perfettamente nel fatalismo che emana dalle osservazioni del nostro ufficiale francese: l’indicibile miseria, con la rassegnazione, aveva annullato nelle coscienze la verità che ogni popolo è artefice delle condizioni della propria esistenza.
Le integrazioni storiche nulla tolgono all’esauriente quadro del nostro autore di cui colpisce l’appassionata veridicità, anche quando non si condividono appieno affermazioni troppo drastiche. 
Al di là della gelosia, delle facili denunce, che nascondono odi inveterati, dello spirito vendicativo, nelle sue prime valutazioni l’ufficiale si sofferma sul gioco psicologico dei Calabresi verso le autorità cui ricorrono: “I Calabresi – afferma – s’impegnano a sondarne o la disponibilità, abilissimi ad approfittare dell’eventuale condiscendenza per soddisfare i propri interessi e le proprie passioni cariche  d’odio.
Ma, se si scopre il loro segreto pensiero, diventano subito vendicativi e una denuncia anonima, ben avvelenata e formulata con odiosa verosimiglianza, è indirizzata al comandante della provincia e, in copia al generale di divisione”.
Due anni più tardi, l’intelligente approfondita comprensione della realtà calabrese gli fa affermare che: “Malgrado  tutti i vizi, l’ignoranza e l’attuale barbarie, i Calabresi tuttavia possiedono una finezza, un’arguzia stupefacente, dovuta al  clima ma forse avuta in retaggio anche dai Greci.
La loro lingua, un italiano corrotto, più inintelligibile di quello delle altre province, è molto espressivo ed originale. La classe un po’ incivilita si esprime con una facilità, una vivacità ed un calore di sentimenti che denota genio. Seguendo l’abitudine degli Italiani, i loro discorsi sono accompagnati da una santimonia fra le più efficaci.
Un segno, un gesto, una parola, un’esclamazione basta perché si capiscano perfettamente”. Ecco una stupenda immagine dei Calabresi divulgata dall’autore che, però in merito alla convivenza sociale dice che “A causa degli odi inveterati che dividono le famiglie, non escono mai di casa senza essere armati […]
 Sempre pronti ad attaccare ed a difendersi, passano accanto ai loro nemici, cioè dei quali spiano ogni istante favorevole per attentare alla loro vita. Si barricano in casa al calar della notte, e solo motivi molto urgenti possono indurli ad uscire”. Ed inoltre: “La sete di vendetta, che si perpetua nelle famiglie, e l’accentuata propensione per i processi ed i cavilli, fanno di questo bel paese un reale inferno”.
L'interesse suscitato verso questa terra, prima misteriosa, fu immenso, seppur prevalentemente morboso, in quanto, soprattutto da allora, considerata covo di briganti, un'attribuzione destinata a legarsi ai Calabresi ed a perpetuasi nell'immaginario collettivo, seppur con nomi diversi, sino ai nostri giorni.
Fu, in ogni modo, un momento storico di svolta che segnò l'inizio di una rivincita tuttora in  corso.

ShinyStat
14 ottobre 2006