Nel nuovo appuntamento organizzato in riva allo Stretto si è trattato del periodo delle riforme, relative al campo culturale, quindi il mondo della scuola e come ha indirizzato il docente universitario prof. Pasquale Amato nel titolo del suo intervento “[…] emancipazione sociale[…]”.
Il periodo storico trattato dal sodalizio reggino, che rappresenta ormai un appuntamento culturale di un certo interesse sul territorio, rappresenta una fase storica di profondo rinnovamento e di trasformazioni in campo sociale, economico, politico e culturale, una sorta di spartiacque con mondo medioevale cui parte dell’Europa ed il Mezzogiorno coabitavano, dando inizio a propositi di riforme atti a sradicare quei legami feudali che favorivano l'aristocrazia ed il mondo ecclesiale, ostili, di conseguenza all’amministrazione napoleonica.
A testimonianza di quanto sopra detto nel 1804 viene pubblicato il Codice civile che ratifica la soppressione dei privilegi sociali, l'uguaglianza davanti alla legge e la libertà personale, rimarcando la tutela della proprietà privata e la libertà di iniziativa.
Ma tali disposizioni non riguardano soltanto l’aspetto prettamente culturale ma anche quello sociale, come le disposizioni relative all’infanzia abbandonata, questo aspetto deve far pensare – sottolinea nel suo intervento Gianni Aiello - «Napoleone Bonaparte era quindi il “tiranno” che una certa storiografia ha tramandato?».
Con tale strumento «viene data “dignità” ai piccoli abbandonati, quindi indifesi» ed i neonati vengono affidate alle cure delle strutture pubbliche e successivamente affidate a quei coniugi che possedevano requisiti atti a poter accogliere quelle creature che in precedenza erano state abbandonate.
L’epopea napoleonica non è solo quella delle strategie militari ma anche quella delle riforme, e nella fattispecie quella relativa alla tutela delle fasce più deboli, l’attenzione verso di loro attraverso l’operato dei commissari di polizia o dei sindaci che svolgevano un compito di vigilanza sul territorio di competenza, segnalando quindi casi di abbandono di neonati, minori, di infanticidi, ma anche della loro cura come l’alimentazione e l’istruzione.
Nel corso del suo intervento Gianni Aiello ha espresso viva soddisfazione per il percorso culturale intrapreso dal suo sodalizio, per i tanti convegni fino al momento realizzati, i quali hanno avuto il merito di dare una lettura diversa sui personaggi e fatti che hanno caratterizzato quindi l'evolversi del Mezzogiorno, quindi c’è stata da parte dell’associazione reggina una sorta di revisionismo, grazie al ritrovamento di preziosi ed interessanti documenti storici che sono, da sempre, oggetto e strumento di discussione durante le giornate di studio.
«Parlare del periodo napoleonico - evidenzia Gianni Aiello - è come assistere all’impeto di una lunga onda d’urto che possiamo collocare cronologicamente oltre la data fatidica del 5 maggio del 1821: di tale periodo ancora si parla e se ne parlerà, visto il ruolo che ha avuto nella storia non solo europea », e a tal proposito ha sottolineato anche alcune cifre:
«Quindi lo spirito rivoluzionario prendeva forma anche nel periodo napoleonico, quello stesso comportamento attitudinale i cui echi – prosegue Gianni Aiello – si prolungarono fino al 1850, l’epoca delle “rivoluzioni romantiche” in cui i principi di libertà, uguaglianza e fraternità si svilupparono anche nelle lande del centro-europa dove quelle popolazioni combatterono assiduamente contro ciò che era stato rimesso in piedi dal Congresso di Vienna e che in precedenza era stato spazzato dall’onda d’urto rivoluzionaria in una prima fase del 1789 e successivamente dal periodo napoleonico».
Sulla stessa lunghezza d’onda è il docente universitario Pasquale Amato, il quale afferma che: «le origini sociali della maggior parte dei personaggi del periodo storico in questione, come l’imperatore Bonaparte, lo stesso Murat e di molti altri validi personaggi facente parte sia della vita amministrativa che militare, non sarebbero mai state accettate anche in quell’Europa restaurata dopo la sconfitta “dell’usurpatore borghese Napoleone” ».
Quindi il 1806 rappresenta una data di notevole valenza storica per il Mezzogiorno d'Italia, essendo esso lo strumento, l’amministrazione napoleonica, cronologico destinato a modificare e quindi ad attualizzarne la macchina politica, amministrativa ed economico-sociale del Regno di Napoli, quindi, con il “decennio francese” la caduta dell’ancien régime anche nel Mezzogiorno e la creazione dello Stato moderno.
La relazione del professore Pasquale Amato ha avuto come tema "La diffusione dell'Istruzione pubblica e il primato della Cultura pilastri della politica di emancipazione sociale nel Regno napoleonico del Sud" ed ha tratteggiato il ruolo che ebbe l’istruzione pubblica di ogni ordine e grado in un territorio arretrato come quello meridionale.
Si è paralato dell’istituzione delle scuole elementari in tutti i comuni più importanti e dei Licei nei capoluoghi delle province, così come quello istituzionalizzato a Reggio Calabria.
Ma l’azione riformatrice non si ferma soltanto a quanto messo in rilievo ma indirizzò i suoi obiettivi alla “nazionalizzazione” di due autorevoli Atenei come quelli di Pavia e Bologna, alla creazione dei primi Conservatori di Musica e venne favorita la costruzione dei Teatri.
Si creò una sinergia anche con gli alti esponenti della scienza e della letteratura e questa azione propositiva si rivelò in modo determinante anche nel Regno di Napoli sia nel 1806 con Giuseppe Bonaparte che nel 1808 con Gioacchino Murat.
Il relatore ha concluso il suo intervento ribadendo quanto pubblicato nel suo saggio e cioè che «il ritorno dei francesi costituì quindi una svolta decisiva per il Mezzogiorno.
La riottosità della vecchia nobiltà a qualsiasi riforma che potesse intaccare i suoi secolari privilegi fu finalmente domata. Questo felice esito venne raggiunto grazie alla concomitante presenza di tre elementi: un vertice politico fortemente motivato nel perseguire una politica di cambiamento; un’organizzazione burocratica efficiente e animata dalle stesse intenzioni; un esercito forte non soltanto militarmente ma trascinato dalla convinzione diffusa tra i suoi “cittadini in armi” di essere investiti di una missione storica rivoluzionaria.
Furono difatti varati provvedimenti rilevanti, tra cui quelli già impostati ma non attuati da Carlo III di Borbone e quelli preparati dal Governo Rivoluzionario del ’99 ma liquidati dalla reazione sanfedista: l’eversione della feudalità, l’istituzione del Catasto, la creazione di una Dogana unificata. Partendo da questi basilari cambiamenti nella struttura economica e sociale l’azione riformatrice coinvolse altri aspetti della vita collettiva.
Venne rivoluzionata la struttura amministrativa dello Stato secondo il modello francese e fu attuata una politica di ampio respiro a favore della cultura, della ricerca e dell’istruzione pubblica». (1)
(1) Pasquale Amato, “Il Risorgimento oltre i miti e i revisionismi - da Napoleone a Porta Pia– (1796/1870) Messina, Città del Sole , 2005, pp. 22-25