Giunge alla quattordicesima edizione la giornata di studi sul decennio francese che rappresenta un momento di riflessione e di ricerca sull’amministrazione dei napoleonidi non solo  sul territorio ma sull’intera area del  Mezzogiorno e che rievoca la figura di Gioacchino Murat nel giorno della sua scomparsa, caratterizzato dalla presenza di autorevoli studiosi.  
La storiografia ufficiale ha  oscurato la sua azione democratica, tesa al  liberalismo ed alla costituzione di una nazione, un Regno unito, indipendente, secondo i modelli illuministici.
Il periodo, comunemente indicato come “decennio francese”, ha inizio il 14 gennaio 1806,  giorno dell’entrata in Napoli di Giuseppe Bonaparte, fino all'amministrazione di Gioacchino Murat, che rimase a governare il Regno fino al marzo 1815. 
Le giornate di studio poggiano le loro basi  sull’analisi di variegati documenti, facenti parte di un periodo storico che ebbe il merito di portare in Italia le esperienze e le conseguenze della rivoluzione francese, tramutando il quadro politico e sociale del  nostro territorio, ancora ancorato ad un sistema feudale.
Il 2008 è un anno importante per le celebrazioni del periodo murattiano e napoleonico:

In sostanza, vi è da evidenziare alcune delle circostanze relative all’attenzione del sovrano francese indirizzate al territorio quali le  azioni di bonifica nell’area della Piana dovute al disastro del “tremuoto del 1783”, riorganizzazione amministrativa, miglioramento dello stato sociale, eguaglianza dei cittadini davanti alla legge, la prima guerra d’Indipendenza italiana intrapresa da Re Murat.
In buona sostanza da queste cifre di notevole spessore storico e culturale il sodalizio reggino ha inteso inserire nel palinsesto della quattordicesima edizione della giornata di studi su "Gioacchino Murat: un Re tra storia e leggenda" anche  una mostra con i gioielli appartenuti allo scomparso Re di Napoli.
Infatti i preziosi cimeli storici appartenevano a Gioacchino Murat fino al momento dello sbarco di domenica 8 ottobre del 1815 sulla spiaggia di Pizzo Calabro.
Gli importanti reperti esposti per la prima volta nella provincia di Reggio Calabria facevano parte di un insieme di valori che Murat  portava con se.
A tal proposito narrano le cronache che " [... il Re era vestito di un abito blu. Bordato d’oro al colletto, sul petto e alle tasche; aveva un  pantalone rosso, stivali speronati, una cintura  alla quale erano infilate un paio di pistole, un cappello guarnito di piume, il cui cordone era  formato da 22 diamanti che potevano valere ciascuno mille scudi; infine sul braccio sinistro portava arrotolata la sua antica  bandiera reale...].
C'è anche da evidenziare che a bordo della piccola flotta capitanata dal maltese Vincenzo Barbara, nominato Ammiraglio da Gioacchino Murat, vi era un consistente tesoro di guerra del valore di tre milioni del periodo ma anche quanto viene citato da Domenico Pisani: [... Fu in queste drammatiche circostanze che Murat, aperta una borsa colma d'oro e di preziosi, lanciò numerosi gioielli verso la popolazione inferocita...]. (1)
A seguito del tradimento da parte del Barbara, che fece vela verso il largo facendo rotta verso l'isola di malta, del consistente tesoro non si seppe più nulla, così come dei ventidue brillanti che ornavano il cappello che indossava Gioacchino Murat al momento dello sbarco.
Gli stessi vennero strappati da un certo  Fortunato Sardanelli che li consegnò successivamente al capitano della  guarnigione borbonica Trentacapilli: poi il nulla fino a  quando, nel 1968, lo studioso Aldo Peronaci poté  esaminare quei gioielli di persona, anche se le prime notizie a riguardo tali reperti si hanno grazie ad un resoconto da parte di Colonna d'Ornano pubblicato in data 21 maggio 1816.
Da queste cifre storiche e cronologiche è necessario anche sottolineare che la data odierna, quella del 13 ottobre 2008, rappresenta  il 193° anniversario della morte di Gioacchino Murat, altro elemento di lettura che il Circolo Culturale "L'Agorà" di Reggio Calabria ha voluto inserire nel palinsesto della odierna edizione.
La manifestazione è stata presentata con apposita conferenza stampa nei locali istituzionali di Palazzo Foti, sede storica dell'Amministrazione Provinciale di Reggio Calabria.
Durante la quale ne è stato reso noto il programma e nel contempo è stato redatto anche un bilancio relativo alle precedenti giornate di studio sul "decennio francese".
Si giunge quindi alla data dell'inaugurazione della mostra e nel contempo si dà il via alla quattordicesima edizione della giornata di studi su "Gioacchino Murat: un Re tra storia e leggenda".
La location dell'Archivio di Stato di Reggio Calabria non è stata unascelta dovuta al  caso ma una  valutazione ben ragionata: esso è il luogo della memoria caratterizzato da documenti che dalla loro lettura si trarranno informazioni per ricostruire una storia, per capire un avvenimento, un personaggio.
Quindi non solo documenti cartacei ma anche altri documenti di altra fattura, come i preziosi pezzi di oreficeria, esposti per la prima volta nella provincia di Reggio Calabria, che dalla loro lettura si traggono altre informazioni sul periodo storico in questione come ad esempio le tecniche di lavorazione.
C'è da evidenziare che i gioielli sono custoditi ancora nei loro involucri originali, così come nella [... tabacchiera d'oro, cesellata  e smaltata, è ancora oggi, contenuto il tabacco da fiuto ripostovi da Murat nel 1815.
Così come, conservata nell'astuccio originale, è ancora la parure composta dagli orecchini sui quali sono scolpiti i profili di Marte e Venere, e da un collier con due pendenti su uno dei quali risaltano, sovrapposti e riconoscibili, i profili di Gioacchino e Carolina e sull'altro la testa di Giove.
L'orologio guarnito di brillanti, reca sul verso il ritratto di Carolina Bonaparte e sul quadrante la firma dell'orafo Abraham Colomby.
Poteva essere caricato solo per mezzo della minuscola chiave legata al sigillo provato della regina che è composto da due grossi topazi montati in un castone d'oro lavorato a granulazione,  sui quali sono incise le scritte «Sans epine» e  «Mon bien aimè», quest'ultima sormontata dalla lettera maiuscola «C» , iniziale di Carolina ...] . (2)
Ritornando all'orologio risulta dopo  attente ricerche storiche risulta che lo stesso sia stato realizzato dall'orafo sopra menzionato, tale Abraham Colomby che aveva il proprio laboratorio artigianale ubicato proprio nella capitale parigina in rue de la Paix.
A tal proposito c'è da evidenziare che [...nella stessa strada ha sede oggi l'antica oreficeria Meller, che in una pagina del libro dei clienti dell'anno 1806, annovera diversi acquisti in gioielli di «S.A.I. et R. la princesse Murat», tra cui «un collier et boucles d'oreilles» e «2 cachet anglais»...] . (3)
L'orologio da tasca in oro, risalente all'ultimo decennio del XVIII secolo, è caratterizzato da una serie di applicazioni di brillanti e smalto ed ha un diametro di 4 cm.
Sul quadrante dell’orologio è raffigurato il volto della regina di Napoli Carolina che indossa un  cappello del periodo.
 L’orologio era contornato da diamanti (ora in parte saltati).
L'altro pezzo esposto riguarda la tabacchiera, di manifattura parigina, dalla forma rotonda e smaltata e caratterizzata da una corona circolare di arabeschi.
La stessa è [... decorata lungo le cornici di smalto turchese, azzurro e bianco a formare foglioline lanceolate che si pongono a zig zag, intercalate a palmette.
Gli stessi smalti ornano il centro del coperchio formando una sorta di grande motivo elaborato con mezze rosette all'interno di ogni lobo.
Questi decori e, particolarmente, queste tonalità di smalti sono tipici del repertorio neoclassico ...]. (4)
Da notare che all'interno della stessa tabacchiera vi è ancora conservato la polvere di tabacco usata da Gioacchino Murat.
Il collier [... con le effigi dei due sposi intagliati a forma di cammeo unitamente ad un altro girocollo con un cammeo raffigurante  ad un altro girocollo con un cammeo raffigurante una testa di dio romano ... ] . (5)
La tipologia della lavorazione riflette quella del periodo e, come afferma il Pisani che  [ ... l'abitudine di Carolina di rifornirsi di gioielli in Francia e l'aggiornamento sulle mode contemporanee indurrebbero a pensare che il collier sia stato eseguito a Parigi.
Questa consuetudine è confermata anche dagli altri gioielli del gruppo come l'orologio che reca la firma del gioielliere Abraham Colomby...] . (6)
Completano la parure due orecchini che raffigurano un volto femminile finemente circondato da perle.
Sia gli orecchini che il collier sono custoditi alla data odierna nell'astuccio originale, anch'esso esposto durante la mostra.
Per quanto riguarda le dimensioni il collier ha una lunghezza di centimetri 59, gli orecchini centimetri 3.
La descrizione degli importanti cimeli storici, esposti per la prima volta a Reggio Calabria, grazie alla tenacia di Gianni Aiello, presidente del Circolo Culturale "L'Agorà" si chiude con una piccola chiave che veniva usata per caricare lo stesso orologio sopra descritto.
La stessa è [... attaccata al sigillo della principessa. Sia l'una che l'altro sono formati da topazi di taglio diverso (ovale l'uno, rettangolare l'altro), con una montatura decorata da foglioline di vite alternate a rosette formate da minuscole emisfere di metallo, che sembrano imitare la granulazione.
Sul topazio della chiave è inciso "Mon bien aimé", su quello del sigillo invece viene riportato la dicitura "Sans épine" insieme a una piccola rosa.
Il sigillo e l'orologio venivano probabilmente tenuti appesi, almeno al momento in cui erano stati fatti, ad una "chateleine", cioè una piastra di metallo, più o meno lavorata o preziosa, che veniva tenuta di abitudine alla cintura per appenderci, oltre l'orologio, altri strumenti di utilità...]. (7)
Il sigillo privato di Carolina Bonaparte risale al  primo decennio del XIX secolo ed ha una lunghezza di undici centimetri.
Gianni Aiello presidente del Circolo Culturale  “L’Agorà” ha esordito esprimendo vivi ringraziamenti alle istituzioni, ai ricercatori, ai docenti universitari, ai discendenti della famiglia Bonaparte e della famiglia Murat per aver permesso il prosegui della manifestazione, giunta alla quattordicesima edizione.
É stato da parte del relatore un susseguirsi di fatti, personaggi, documenti ritrovati che hanno  arricchito il percorso della giornata di studi in questione, partendo dai primi articoli apparsi nel 1995 che testimoniano l’andamentodella prima edizione, dei suoi buoni intenti e, naturalmente, - precisa Gianni Aiello - , gli obiettivi che si sono raggiunti, come quelli della continuità, della scoperta di nuovi ed importanti documenti, delle autorevoli presenze in tali appuntamenti.
«Oggi – prosegue Gianni Aiello – andiamo idealmente a sfogliare questo album fotografico dal quale si evincono diverse cifre ricavate da pazienti e continue ricerche archivistiche, ma voglio sottolineare anche l’ideale romantico di quel periodo storico, dei suoi esponenti ed anche quell’”Ulisse” che fuoriusciva dagli
stessi: quindi il senso della sfida, il mettersi in discussione con se stessi e con gli altri».
Una competizione quindi verso l’ignoto e nel contempo un chiedersi “chi ero”, “chi sono”, “cosa ancora posso essere” e questi quesiti li troviamo presenti in diversi fatti come l’isola d’Elba, i famosi “100 giorni”, la battaglia di Mont S.Jean, volgarmente conosciuta come Waterloo, i funerali descritti da Victor Hugo che tramandano ai posteri l’accoglienza dellasalma dell’imperatore Napoleone Bonaparte, la riconquista di un regno da parte di Gioacchino Murat: in tutte queste fasi ritroviamo l’Ulisse che si confronta, che sfida l’ignoto ma anche se stesso!
Il governo di Murat fu benemerito dell’istruzione pubblica, nel 1806 Giuseppe Bonaparte aveva disposto che in ogni università “i comuni attuali, ndA” venissero nominati un maestro e una maestra per dare ai fanciulli l’istruzione elementare; e nel 1807 vennero interpellati i vari intendenti del Regno al fine di relazionare sullo status dell’istruzionepubblica sul territorio al fine di avere un quadro generale della situazione indirizzata ad una più ampia riforma.
Infatti il 24 settembre del 1808 venne attuata una «generale istruzione del Ministero dell’Interno» al fine di avere un quadro generale “delle scuole, dei progressi e della decadenza dell’istruzione del Regno, dell’influenza degli Istruttori”.
Le attitudini a tale indirizzo da parte del Re di Napoli Gioacchino Murat confermano una precisa “impronta nazionale”, come testimoniato nel suo indirizzo politico atto all’adozione di un libro unico di Stato che “contenesse il catalogo dei doveri religiosi, morali e civili, ed i principi elementari della scienza”.
Con la legge del 15 settembre 1809 si incentivò il sostegno alle scuole parrocchiali ed nel contempo sollecitando parroci ad invogliare i genitori “a mandar i figli a scuola”.
I risultati relativi all’istruzione sono evidenti nella relazione inoltrata nel 1814 dal ministro Zurlo al sovrano Gioacchino Murat.
La stessa politica ebbe a riguardare gli istituti di livello superiore come ebbe ad attuare il precedente sovrano Giuseppe Bonaparte, fratello maggiore dell’imperatore Napoleone, che provvide all’istituzione di un liceo in ciascuna provincia, come avvenne il 7 dicembre del 1814 per Cosenza, Catanzaro con l’insegnamento di giurisprudenza (5 marzo 1812), Monteleone (25 giugno 1812), di Reggio Calabria (18 febbraio 1813) e nella stessa città precedentemente venne istituito in data 9 luglio1810 una scuola secondaria per le fanciulle.
Altri provvedimenti di grande interesse da parte dell’amministrazione murattiana riguardarono l’Università di Napoli, la Scuola ed il Collegio militare, mentre durante l’esercizio burocratico guidato da Giuseppe Bonaparte c’è da mettere in evidenza la Società reale voluta dallo stesso sovrano che “volle che i soci avessero nell’etichetta lo stesso rango dei membri dell’Istituto di Francia”.
Altre cifre di notevole interesse riguardano l’istruzione tecnica, le accademie o società provinciali, “le cattedre ambulanti di agricoltura, i premi ai parroci propagandistici, ai coltivatori che adoperassero metodi progrediti e razionali e strumenti moderni, a pastori che eccellessero nell’industria casearia”, questi indirizzi stanno a dimostrare la politica innovativa dell’amministrazione in questione.
Nel contempo vennero anche concesse borse di studio e premi di incoraggiamento a botanici, veterinari, chimici, venne istituita la cattedra di agraria presso l’Università di Napoli con decreto 10 dicembre 1809.
Altri premi vennero istituiti per le arti, istituzionalizzato l’Archivio musicale Paisiello, arricchita la biblioteca musicale, il Conservatorio di musica di Napoli, vennero attuati scambi culturali con altri stati vennero incoraggiate le campagne di scavi archeologici ma anche lo studio delle lingue antiche e con decreto del 4 gennaio del 1810 si provvide all’erezione di un monumento a Bernardino Telesio a Cosenza. (8)
Il direttore dell'Archivio di Stato di Reggio Calabria Lia Domenica Baldissarro   ha sottolineato l'importanza del momento storico trattato con particolare impegno da parte del Circolo Culturale "L'Agorà" di Reggio Calabria.
Evidenziandone anche l'impegno nella ricerca di nuovi documenti e nel contempo ha voluto ringraziare il presidente del sodalizio reggino Gianni Aiello per aver fatto giungere a Reggio Calabria importanti documenti sul decennio francese.
Infatti si tratta di una serie di faldoni pervenuti in copia direttamente da Parigi,
grazie alla sensibilità che il discente del discendente del Re di Napoli, Gioacchino Murat ha avuto, ma, soprattutto, grazie anche alla fiducia ha risposto nei confronti del sodalizio culturale reggino con il quale collabora da diverso tempo.
La parola è passata all'avvocato FrancescoCiricaco che nel corso del suo intervento ha ricordato la figura di Giuseppe Farao, alto graduato sotto l'amministrazione murattiana, nato il 22 dicembre del 1773 da Gregorio  e da Caterina Rodio.
Il relatore nel contempo ha esteso la sua relazione facendo qualche cenno di riferimento all'albero genealogico della famiglia Farao, dei Duchi di Rofrano, era giunta a Maida nei primi decenni del 1600.
«Risale al 1635 - proseguendo nella sua interessante e dettagliata conferenza - la costruzione della cappella di famiglia, tuttora esistente (una delle poche costruzioni che ha  resistito al terremoto del 1783), di Santa Maria  delle Grazie e di San Giuseppe (comunemente detta di San Giuseppe) ad opera di Pietro Antonio Farao, figlio del Duca Francesco Antonio.
Sulla facciata della chiesa si trova ancora lo stemma di famiglia, che riproduce un faro a foggia di torre merlata sormontata da un fuoco.
Nello stesso periodo si stabilì a Maida, chiamato dallo zio Pietro Antonio, un nipote, Francesco Antonio Farao, chiede vita  al ramo maidese della famiglia Farao.
Alla stessa epoca (1637/1638) risalgono alcuni manoscritti, che trattano materie giuridiche, circostanza   che fa supporre che il Farao fosse un giurisperito o un consulente giuridico».
I Farao furono tradizionalmente agenti della famiglia Ruffo, in pratica trasmettendosi l’incarico di padre in figlio, e per conto di questa amministrarono per circa un secolo il feudo di Maida, che, ceduto dai Caracciolo a Marcantonio Loffredo nel 1607, venne acquistato nel 1690 dal cardinale Fabrizio Ruffo.
Giuseppe Farao, pur appartenendo a famiglia molto legata ai Ruffo di Calabria, duchi di Bagnara, manifestò un atteggiamento  spiccatamente filofrancese, e fu un fervente sostenitore del regno murattiano.
Il nonno Vincenzo Farao (1713/1789) nel giugno 1778 era stato nominato Agente Generale dal Duca di Bagnara con incarico per l’intero Stato di Maida e di Bagnara.
Il padre Gregorio Farao fu dottore in legge, Uditore Generale,e poi consultore della casa di Bagnara.
Partecipò ai moti delle giornate napoletane del 1799,e grazie all’amicizia con i Ruffo riottenne la libertà in Napoli facendo rientro a Maida.
Con il ritorno dell’esercito francese in Calabria ottenne dal generale Verdier il comando della Guardia Nazionale di Maida, e poi dal generale Reynier l’incarico di “controllore” della Brigata Doganale della Marina di Ponente.
Il Maresciallo Massena lo nominò Ispettore e Guardiacoste della Marina di Ponente.
Il generale Delonne Franceschi lo promosse Capo Battaglione, e il Ministro delle Finanze lo nominò Controllore di Brigata nella Direzione di Catanzaro.
Si attivò a capo della Milizia nella repressione del brigantaggio nella piana di Sant’Eufemia Lamezia sotto le direttive del generale Manhès, che in data 7 dicembre 1814 gli aveva affidato il Comando del Golfo di Sant’Eufemia “con tutti i poteri dell’Alta Polizia”, e nella lotta contro il traffico di contrabbando militare inglese nel golfo di Sant’Eufemia tendente a rifornire i ribelli calabresi.
Presiedette numerosi processi della Commissione Militare Straordinaria riunitasi in Nicastro, che giudicava i rei di turbamenti dell’ordine pubblico (ribelli,briganti), e che pronunciò anche condanne capitali.
Venne decorato con l’Ordine Reale delle Due Sicilie,e promosso dal generale Manhès Comandante di tutto il Distretto di Catanzaro.
Dopo l’esecuzione di Murat a Pizzo, si premurò di raccogliere i gioielli che erano stati sottratti al Murat probabilmente nel corso della cattura e durante la prigionia.
La famiglia Farao si è estinta con la scomparsa dell’ultimo discendente, Francesco Farao, nato nel 1856 e deceduto il il 4 novembre del 1945.
Le conclusioni della giornata di studi sono state effettuate dell'Assessore alla Cultura Santo Gioffrè che espresso vivo compiacimento per tale tipologia di manifestazione che nel contempo riveste un alto momento culturale.
Infatti  l'intervenuto ha ribadito l'importanza del periodo storico in questione, soprattutto nel campo sociale e culturale e dei notevoli benefici che il territorio ha usufruito da tali attenzioni.

ShinyStat
13 ottobre 2008

(1) D. PISANI, “Storia dei gioielli di Murat in Calabria", in "Gioielli per una Regina - Lo sbarco di Gioacchino Murat a Pizzo",  Napoli, Electa, 1996, pagina 13;
(2) D. PISANI, opera citata, pagine 16-17;
(3) D. PISANI, opera citata, pagina 17;
(4) D. PISANI, opera citata, pagina 23;
(5) D. PISANI, opera citata, pagina 19;
(6) D. PISANI, opera citata, pagina 21;
(7) D. PISANI, opera citata, pagina 22;
(8) G. VALENTE, “Gioacchino Murat e l'Italia meridionale",  Messina, Giulio Einaudi Editore, 1965, pp. 318-325 .