
La statistica murattiana si poneva due scopi:
Essa rappresenta quindi una lente d'ingrandimento sulle  varie realtà e qualità della vita economica e sociale non elevate del Regno di  Napoli e per la sua valenza verrà adottato, insieme ad altre riforme del  decennio dai rientrati Borbone.
    Quindi la statistica murattiana può considerarsi a pieno  merito uno strumento valido con il quale si è potuto monitorare la realtà del  Regno di Napoli e nel contempoconoscere le condizioni e  le esigenze della popolazione.    Tra le fonti a riguardo tale tema risulta doveroso citare  la monumentale opera editoriale di Giuseppe Brasacchio che dedica l'intero V  volume a “Il decennio francese (1806-1815)” .
    […] L'agricoltura fu duramente colpita delle  requisizioni, dalle devastazioni delle truppe a massa e successivamente dai  briganti: frutti pendenti e bestiame da lavoro e da reddito erano i bersagli  preferiti […] e nonostante tale anomali […] vi fu un incremento della  coltura del cotone, lino e della patata; ma la tradizionale coltura del riso,  praticato nel Vallo di Cosenza e nella piana di Sibari, subì una graduale  ristrezione, per effetto di decreti (17-8-1811 e 3-9-1812) che abolivano la  coltura per motivi igienici. […] Da queste situazioni, non incoraggianti […] il  Governo cercò di promuovere il progresso dell'agricoltura, rivedendo i canoni  del riformismo illuministico e istituendo il 10-8-1812 il Consiglio di  Agricoltura presso il Ministero dell'Interno;parimenti, nel 1810, furono  istituite in ogni capoluogo di provincia, le Società di agricoltura, dette poi  Società Economiche con 12 soci residenti ed altri corrispondenti. […] . 
    Rimanendo in tali ambiti […] anche la pastorizia subì  pesanti perdite per le requisizioni e le razzie operate dai briganti.  L'Intendente di Cosenza, il 22.09.1806, riferiva al Ministro dell'Interno, che «gran  quantità de' quali (bestiami) fu dagli inglesi imbarcato, e passata nella  Sicilia»; le razzie continuarono fino al 1810 e veri e propri commandos  rastellavano bestiame e l'imbarcavano verso la Sicilia […] così come quando  […] nel 1812 , il depauperamento del bestiame da soma era arrivato al punto  che l'Intendente di Calabria Citra non era in grado di requisire muli e cavalli  per l'esercito, a causa delle razzie sperate dai briganti […].
    Tutto questo stato di cose tra i quali le vie di  comunicazioni terrestri (non dimentichiamoci che la strada che collegava la  Capitale alle Calabria terminava a Lagonegro (questo anche per l'incuria ed i  devastamenti 'tremuoti), l'insicurezza delle vie marittime (pirateria, navi  inglesi che uscivano dai porti siciliani) non permettevano al commercio  calabrese di poter decollare e che ne frenavano[…] la circolazione dei beni […]  e questo stato di cose alimentarono l'area del contrabbando e del mercato nero.
    Infatti […] il commercio illegale per protagonisti non  solo i proprietari delle piccole imbarcazioni, ma anche grandi speculatori e  personalità del mondo politico, alti ufficiali ed esponenti della burocrazia  statale […] .
    A riguardo le […] le   attività manifatturiere ed estrattive, anch'esse furono influenzate  dalla turbolenza dei tempi e dalla necessità di reperire le materie prime e  rarefatte a causa del blocco continentale. Il Commissario Reynier e la Regia  Società d'Incoraggiamento, in una iniziale atmosfere di euforia, avevano  creduto di trovare in Calabria molti minerali (carbone, piombo,argento,  oro,ferro,ecc) anche per le numerose segnalazioni di cittadini; ma una indagine  più approfondita rilevò ben presto che trattavasi di giacimenti modesti, il cui  sfruttamento si palesava antieconomico per i notevoli impegni finanziari  necessari […] .
    Ben diversa fu la situazione di […] due manifatture che  conobbero una fioritura, per le particolari vicende belliche, furono quelle del  salnitro e del ferro. Il salnitro era necessario per la fabbricazione della  polvere da sparo, di cui si faceva uso da parte dei Calabresi non meno che dei  Francesi […] , ed i punti di riferimento furono Cosenza (anche se l'idea  progettuale non ebbe seguito) e l'area di San Domenico di Soriano dove […]molti  giovani furono impiegati proficuamente nella nuova fabbrica con un modesto  salario di apprendisti, di appena 20 grana giornaliere […]
    Prosegue l'indagine di Giuseppe Brasacchio dalla quale  emerge che […] agli inizi del 1812 vi erano otto fabbriche in Calabria Citra  ed una in Calabria Ultra: ad Umbriatico […] e […] la produzione, che nel luglio 1812 era di 400 cantaia per la  Calabria CItra e di 200 per la Calabria Ultra, salì nel gennaio 1814 a cantaia  670 nella sola Calabria Citra […]
    L'analisi prosegue evidenziando che […] anche lo  sfruttamento delle miniere di ferro subì, durante il decennio, un notevole  impulso per le impellenti necessità belliche. Le ferriere di Stilo e della  Mongiana, per decreto del 1808, passarono in amministrazione dal Ministero  delle Finanze a quello di Guerra […]
    Si evidenzia che in merito alle condizioni dell'attività e  della sicurezza lavorativa […] gli amministratori francesi fecero di tutto  per realizzare un più civile habitat per i lavoratori: esenzione fiscale,  miglioramenti salariali,assistenza medica e farmaceutica, cassa di previdenza  per i vecchi e gli orfani, esenzione dal servizio di leva […]
    I risultati di tali accorgimenti si ebbero, con dati alla  mano […] due alla fine del 1810, dopo tre anni di sforzi, i risultati erano  tutt'altro che deludenti, si produceva un buon ferro e nel triennio la Mongiana  aveva dato un gettito di 10.371,21 ducati superiori agli investimenti  effettuati; il costo del ferro era di ducati 8,75 e si vendeva nei magazzini  della Mongiana a ducati 21,50 per cantaio, con un utile di ducati 12,74. Si  tento di riattivare le vecchie ferriere di Stilo (Piano della Chiesa), anche in  previsione di una minore incidenza degli oneri di trasporto, ma alla  progettazione non seguì la realizzazione per carenza di capitali necessari. Dai  dati progettuali del 1814 e comparativi - tra le ferriere della Mongiana e  quelle di Stilo - emerge il potenziale produttivo della Mongiana ed il  sostanziale successo degli amministratori […].
    Da questi risultati inerenti al progetto produttivo e dai  dati propositivi delle ferriere in argomento […] il Caracosca si proponeva di  riattare le ferriere di Stilo e di realizzare la manifattura di canne da  munizioni nella stessa Mongiana, onde evitare gli oneri dei trasporti della  materia prima dalla Mongiana a Gioacchinopoli (Torre Annunziata): l'analisi del  Caracosca evidenziava i grandi vantaggi per lo Stato, ma il precipitare delle  vicende internazionali e la carenza di capitali impedirono l'avvio di  un'attività che sembrava destinata al decollo anche dal di sopra di un contesto  locale.[…].
    Altre testimonianze inerenti alla realtà industriale  calabrese del periodo riguardano la cartiera di Soriano, la vetreria di  Monteleone (l'attuale Vibo Valentia), l'industria ittica di Pizzo e di Bivona,  senza dimenticare quella serica che […] costituiva ancora una dei cespito  principali per l'economia regionale: essa coinvolgeva, con un'attività diffusa,  le campagne per la gelsicoltura e l'allevamento dei bachi, e i centri con  l'industria a domicilio e gli opifici di un certo rilievo, ubicati a  Villa,Catanzaro,Reggio,Paola,Monteleone,Cosenza […], da non dimenticare  anche la coltura e la manifattura del cotone, la lana,il lino ed anche la  creazione di infrastrutture per la miglior commercializzazione dei prodotti,  come l'attenzionamento all'esiguo numero dei punti portuali ed alla  risistemazione della rete viaria. (5) 
    Dopo la breve esperienza del "decennio  francese", anche se ricco di iniziative legislative, riforme,  miglioramento delle condizione della vita sociale, svolgiamo uno sguardo alla  seconda restaurazione borbonica dove […] Le caratteristiche  e  le condizioni dell’industria  partenopea durante il decennio 1849-1860 presentavano gravi problemi e  deficienze: concentrata intorno a Napoli e Salerno l’industria meridionale si  era formata attraverso due canali: l’iniziativa statale, (indirizzata verso il  settore metallurgico, che si sorreggeva specialmente sulle forniture al  governo), e l’apporto di capitali stranieri, che, specialmente nella zona  intorno a Salerno, aveva creato alcune grosse fabbriche di tessuti [...]
  Tale distanza [...] era ancora più evidente in Calabria e nella provincia reggina, dove le  uniche espressioni di tipo industriale risultavano essere quelle estrattive,  quelle relative all’essenza del bergamotto, sprazzi di agricoltura rurale e gli  esempi tessili di Reggio e Villa S.Giovanni, relativi alle filande in seguito  devastate dagli effetti della malattia del baco da seta, la cosiddetta “atrofia  parassitaria” o “mal delle petecchie”, conosciuta anche come “pebrina” . Quindi  la malattia del baco, ed il conseguente annullamento dei contratti tra  imprenditori e contadini, determinarono la chiusura  graduale delle filande e la disoccupazione  soprattutto nel settore femminile. [...]
    In  Calabria [...] le poche industrie  borboniche vennero sacrificate alle esigenze della nuova politica di mercato  nazionale. Così fu il caso delle ferriere di Mongiana e di Ferdinandea, che  vennero amministrate in economia dallo Stato, per insufficienza di materie  prime, di viabilità e di maestranze e avevano vita difficile e dei setifici  catanzaresi, il cui mercato si estendeva ben oltre i confini della regione. Per ciò che riguarda  lo stabilimento della Mongiana bisogna dire  che lo stesso aveva visto la luce come industria statale ed il suo sviluppo,  dopo le innovazioni introdotte dal regime napoleonico cominciò a subire un  lento decadimento a partire dal “restaurato” regime borbonico, vista l’incuria  del governo di Napoli. Si trattava di un centro gravitazionale di una vasta  area economica comprendente le Serre, la costa ionica attorno a Monasterace e quella  tirrenica attorno a Pizzo.[...] 
    A  riguardo [...] l'entourage lavorativo di  Ferdinandea ruotava intorno a mille addetti, di cui una parte veniva utilizzata  nella miniera e nelle foreste, fonderie e armeria, e la restante nella  produzione e nel trasporto del carbone e del minerale. Il comprensorio  lavorativo, nel quale operavano anche tecnici e operai specializzati, garantiva  beneficio e potenzialità di sviluppo economico al  territorio di nove paesi. Ma tale aspetto  economico non “garbava” alla sede centrale dove il Barraco ed il Morelli al  momento della stesura del programma economico dell’«Industria  italiana», sostennero la tesi   che  « il popolo  calabrese è agricolo, nè può essere altro che agricolo: farsi manifatturiero  non può, perché tutto riceve da Napoli; e anche a dargli mille fabbriche non  saprebbe che farne, vivendo in parte dove non potrebbe vendere i suoi prodotti». 
    Nonostante  tali intendimenti programmatici [...] la  politica-economica attuata dal nuovo apparato centrale provocò alla regione gravi  danni, di tipo occupazionale: si diminuì   infatti  l’attività produttiva,  riducendo notevolmente le risorse agricole, soprattutto nelle zone del  Marchesato, con l’unica eccezione della cultura agrumicola ed olivicola nelle  zone pianeggianti del reggino, che verranno successivamente ridotte, in diverse  riprese, fino a giungere alla situazione attuale [...] (6)  
    In conclusione, ritorniamo all'opera  di Giuseppe Brasacchio ricordando alcuni passaggi riportato dall'autore nella  "Storia economica della Calabria", dove [...] anche se i protagonisti di questa felice stagione si fanno sostegno  della potenza straniera, la Francia, per dare un nuovo volto alla società, ciò  non sminuisce i meriti degli uomini del decennio, ma anzi sottolinea l'ansia di  debellare la lunga notte feudale e di edificare, sulle rovine del passato, una  nuova società; e questa tensione morale non pervade soltanto l'élite della  borghesia calabrese che serve lo Stato nei rami della pubblica amministrazione  o nell'esercito, ma anche i non calabresi - basti accennare allo Zurlo, al  Winspeare, al Colletta, al Galdi, al Briot, al Manhés - che affrontano la  problematica della regione attraverso un'ottica nuova ed un'azione vigorosa. E  mai come nel decennio si verifica un'armonica aggregazione tra i fautori del  rinnovamento, della periferia delle province, al vertice dello Stato [...].
    Conclude il Brasacchio accostando le  due regie figure napoletane [...]  se Ferdinando IV a Palermo, nel suo arido «Giornale» , annota con meticolosa cura le partite di caccia e i  capi di selvaggina uccisi e dedica alla cosa pubblica, «i cosiddetti affarucci» che lo impegnano  per breve tempo della giornata, appena un cenno, Gioacchino Murat a Napoli  segue con apprensione e diligenza tutti gli affari che riguardano il regno,,  legge le relazioni degli Intendenti, dei Ministri, si consulta con gli  esponenti della Commissione Feudale, dirime i ricorsi, annota di suo pugno le  carte che ogni giorno si ammucchiano sul suo scrittorio, cerca disperatamente  di difendere il suo regno dagli intrighi imperialistici del  potente cognati. In questa atmosfera di concordia e collaborazione, nella quale  il senso dello Stato e del bene pubblico prendono consistenza, Gioacchino  diventa  un Re nazionale, amato e stimato  dai Calabresi, che con il vigore della presenza fisica, l'eleganza del  portamento e la carica di umanità affascina il popolo che vede in lui  l'eroe delle saghe popolari; e Gioacchino  ricambia l'amore verso i Calabresi con una sollecitudine che non è formale  paternalismo, strumentalizzato alla ragione di Stato, ma è un sincero  sentimento verso un popolo che - generoso, impulsivo, coraggioso fino alla  temerarietà e un tantino ingenuo - tanto gli somiglia; ed è sintomatico il  fatto che il sovrano che ha regnato appena sette anni abbia lasciato un ricordo  indelebile nella coscienza popolare, onde ancora oggi il suono di una musica  lugubre richiama alla memoria dei Calabresi l'immagine del loro sfortunato eroe  fucilato a Pizzo. [...] (7) 

 
  



1 R. DE LORENZO, “Proprietà  fondiaria e fisco nel Mezzogiorno: La riforma della tassazione nel Decennio  francese (1806-1815)”, Centro studi per il Cilento ed il Vallo di Diano, 1984,  p.32;
    2 A. DI BIASIO, “L’Agricoltura  nel Regno di Napoli nella prima metà del XIX secolo: produzione e tecniche  agronomiche, in “Annuario Storico Italiano per l’età Moderna e Contemporanea”,  vol. XXXII, Istituto storico per l’età moderna e contemporanea, 1982, p.298;
    3 P.BEVILACQUA, “Breve storia  dell’Italia Meridionale dall’Ottocento ad oggi”, Donzelli Editore, 1993, pp.  20-27;
    4 G.BRASACCHIO, “Storia  economica della Calabria, il decennio francese (1806-1815)”, v.V, Vincenzo  Ursini Editore, pp.117 e successive;
    5. G.AIELLO, “Il massimo della  pena: le condanne a morte nel territorio di Reggio Calabria dal 1808 al 1888”, Reggio Calabria, 1997,  pp.2,3;
    6. G.BRASACCHIO, citato,  pp.140,141.

A.VALENTE, “Gioacchino Murat e l’Italia  meridionale”, Einaudi, 1965;
    U.CALDORA, “Calabria Napoleonica  (1806-1815)”, Brenner, 1965;
    P.VILLANI, “Feudalità, riforme,  capitalismo agrario: Panorama di storia sociale italiana tra Sette e Ottocento”,  Lateza, 1968;
    G.BRASACCHIO, “Storia economica  della Calabria”, Vincenso Ursini Editore, 1977;
    S.MARTUSCELLI, “La popolazione  del Mezzogiorno nella Statistica di re Murat”, Guida Editori,1979.