Giunge alla XXVIII edizione la giornata di studi, organizzata dal Circolo Culturale “L’Agorà” e dal Centro studi “Gioacchino e Napoleone”, denominata “Gioacchino Murat: un Re tra storia e leggenda”. Le conversazioni culturali, articolate in giornate di studi, si rinnovano annualmente a far data dal 1995.   Nel corso della nuova edizione è stata trattata la figura di un ex agente murattiano al servizio della causa nazionale. Dopo i saluti ed alcune considerazioni di Gianni Aiello (Presidente delle due co-Associazioni reggine, è stata la volta della ricercatrice toscana Elena Pierotti che nel corso del suo intervento ha analizzato le vicende di Giuseppe Binda trattando il tema “Confutando il diario di una spia”.  Giuseppe Binda nacque nella mia città, - esordisce la gradita ospite Elena Pierotti -  Lucca, a fine Settecento e cavalcò il XIX secolo, sempre in bilico tra i suoi personali interessi e gli interessi più generali della Penisola. Divenne avvocato ma con ogni evidenza, considerata la sua «carriera diplomatica», non esercitò a lungo la professione. Sappiamo che Lord Bentick a Genova, nel 1815, fu raggiunto non dall’agente murattiano Giuseppe Binda, scoperto dagli austriaci, bensì dall’agente napoletano dell’allora Re di Napoli Gioacchino Murat, il Macirone, che appunto sostituì nel compito affidato precedentemente al Binda. Lord Bentick non prese in considerazione alcuna possibilità per Re Gioacchino, di alcuna forma di mediazione. Volle farsi personalmente consegnare dall’agente Macirone le preziose lettere del Marchese del Gallo, che Macirone possedeva. Il Marchese non era una persona irrilevante per i prestigiosi ruoli ricoperti, preziosa dunque la documentazione che le Sue lettere contenevano. Il Marchese del Gallo nel 1801 aveva trattato con Napoleone anche per lo Stato dei Presidi in Toscana, realtà politica ormai desueta, abolita definitivamente da Napoleone in quel frangente. Napoleone dette per l’occasione garanzia alla dinastia collaterale dei Borbone Parma di ricevere lo Stato d’Etruria. Possedeva una villa a Segromigno di Lucca, ed ho conosciuto il personaggio grazie al dottor Roberto Pizzi, che di lui ha parlato in una sua pubblicazione sul Risorgimento Lucchese. Ciò perché nel 1831 nella villa lucchese appartenuta a Giuseppe Binda vennero intercettati il padre di Giosuè Carducci, Michele, il conte Bichi e Ghilardi Angiolini, genero del diplomatico Luigi Angiolini, tutti patrioti e uomini vicini alle sette segrete del tempo. Luigi Angiolini, suocero di Ghilardi Angiolini, era stato amico personale di Giuseppe Bonaparte, fratello maggiore di Napoleone I; il cavaliere di Pietrasanta tanta parte ebbe nelle trame politiche della Penisola a partire dal Settecento. Luigi Angiolini infatti era un diplomatico e fu al servizio degli Asburgo Lorena, poi dei Borboni di Napoli. Si trasferì successivamente in Inghilterra, da qui in Francia, dove ebbe la figlia Enrichetta, che legittimò e portò con sé in Italia. Il loro salotto a Seravezza fu, nel corso di tutto il XIX secolo, un punto di raccordo ed incontro di letterati e politici di spessore. I patrioti individuati a Segromigno nel 1831 ed arrestati poi a Pietrasanta vennero sospettati di appartenere alla setta segreta degli Apofasimeni, fondata in Piemonte dal conte di Saint Jorioz, con tendenze mazziniane. A Segromigno in quel periodo l’avvocato Binda non c’era, aveva solo concesso la sua casa ai tre amici congiurati. Lui, che diverrà console statunitense a Livorno, si trovava ancora a New York. Giuseppe Binda come Napoleone e lo stesso Gioacchino Murat non erano dei senza Dio, semplicemente avevano una visione più laica e diverse posizioni relativamente al potere temporale dei Papi, che altre frange cattoliche, vedi i Gesuiti più ortodossi, contrastavano. Ma tali cambiamenti in quel periodo e nel corso di tutto il Primo Risorgimento non furono solo auspicabili, come la storiografia parzialmente riporta, ma anche ampiamente realizzabili. Se le vicende politiche generali avessero preso una piega un tantino diversa.

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13 ottobre 2023
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