Il nuovo appuntamento organizzato dal sodalizio  reggino ha visto la presenza dello storico  calabrese Mario Spizzirri, esplicante mansioni presso l’Università degli Studi della Calabria e tra gli altri socio del Centro nazionale di Studi Napoleonici e di Storia dell’Elba.
 Lo storico calabrese ha trattato gli aspetti aventi come tema "Il brigantaggio e forze di  repressione in Calabria" dal quale si potuto evincere aspetti pochi conosciuti della  terribile guerra tra le parti in questione .
Quando a Napoli venne proclamata la Repubblica Partenopea, in tutti i  centri  del Regno venne innalzato nelle piazze "l’albero della libertà", come simbolo di tale importante momento storico,  successivamente, con l’avanzata delle truppe  Sanfediste, quasi tutti vennero abbattuti dalla  prima Restaurazione, ma le loro fondamenta rimasero ben piantate nei sentimenti di coloro che credevano nei principi dell’eguaglianza sociale.
Si è fatto cenno alle truppe Sanfediste: erano costituite per la maggior parte dei casi da soggetti che in precedenza erano stati  combattuti dai fuori usciti borboni, ma, per l’occasione vennero fatti usciti dalle galere del Regno, nominati dal sovrano “figli miei” ed assoldati dal Cardinale Ruffo per combattere gli  “invasori”, così come venivano e vengono denominati.
A distanza di qualche anno il brigantaggio  antifrancese ritorna a riempire le cronache del periodo (dispacci, sentenze dei tribunali speciali, organi d’informazione) e nel contempo, sempre per questioni di opportunità ben visto   dai sovrani borbonici, spodestati per la seconda  volta, e dai loro sostenitori e/o “protettori”.
Se nella prima fase si hanno motivazione religiose, nella seconda, quella relativa al   “decennio francese”, tra le cause si possono anche annoverare la coscrizione obbligatoria del 1806, la propaganda fatta dal clero nei confronti dei napoleonici, l’ignoranza e la superstizione che  regnava sul territorio: elementi questi che  permisero di aumentare le fila del brigantaggio, guidate da popolani i “capi-massa”, ma anche  religiosi, graduati borbonici: esse erano costituite ancora una volta dai personaggi del 1799 quali idealisti ma anche da malviventi.
Il termine “brigantaggio” ha origini antiche, infatti tale termine lo troviamo nella lingua francese a far data dal 1400 “brigandage” e successivamente tale gergo lo troviamo, sempre in Francia durante la Rivoluzione francese, quando nella Vandea,  mentre in Italia era usato durante il periodo delle insorgenze contro l’esercito napoleonico.
Altro momento culturale da tenere in considerazione è la reazione all’eversione delle  feudalità che toccò vaste aree di proprietà del mondo ecclesiastico, che a sua volta reagì con la presenza di sacerdoti che sollecitavano durante le loro omelie il ceto basso della popolazione, come i contadini: ecco perché sono presenti diversi prelati a sostenere la causa anti-napoleonica.
Il presidente del sodalizio reggino, Gianni Aiello, ha trattato "Condanne a morte nel territorio di Reggio Calabria durante il decennio" , i cui aspetti sono stati estrapolati dalla sua recente pubblicazione. (1)
Nel saggio storico "Il massimo della pena: le condanne a morte nel territorio di Reggio Calabria dal 1808 al 1888"), a riguardo il  "decennio francese" sono trattati i fatti di Cinquefrondi, dove tra il 13 luglio ed il 12 agosto 1809, vennero passati per le armi ben ventinove cittadini del luogo per motivi di brigantaggio .
Ha concluso l’appuntamento Orlando Sorgonà  che nel corso del suo intervento ha parlato di un’antica ballata popolare calabrese  dell’800 rievocante gli ultimi momenti di Gioacchino Murat nella città napitina.

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13 ottobre 1997

(1) Gianni Aiello, "Il massimo della pena, le condanne a morte nel territorio di Reggio Calabria dal 1808 al 1888", Reggio Calabria, 1996;

(2) "BLOC NOTES" di Telespazio Calabria del 15.10.1998

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