Punto di partenza è la constatazione, ovvia ma mai segnalata, dell’assenza della ‘ndrangheta nella società della Grecia del passato e contemporanea.
'Ndrangheta verrebbe fatto risalire al greco Andragathìa, che significa coraggio, virtù, né più né meno quello intendono i mafiosi quando si dicono uomini d'onore concetto ribadito anche in una canzone popolare siciliana che recita: “ ... Mafia leggi d'unuri, mafia leggi du sangu; leggi che spacca lu cori, senza virtù, senza pietà ...”.
Già questo fatto, da solo, dovrebbe stimolare più di una riflessione sul perché due società etnicamente e culturalmente affini abbiano avuto due esiti così diversi.
L'incontro ha percorso un iter storico - antropologico su una storia antica e di estremo interesse e che oggi rappresenta una delle organizzazioni criminali più potenti al mondo con ramificazioni in tutti gli ambienti produttivi .
Una delle più efficaci definizioni sulla ‘ndrangheta è stata fornita da Julie Tingwall, sostituto procuratore dello Stato della Florida a Tampa, : “È invisibile, come l'altra faccia della luna”. 
Radici antichissime di un orologio le cui lancette iniziano a scoccare il tempo  dal periodo medievale, quando, intorno all'anno 1185, vi fu una sorta di emigrazione, forse cospicua, di appartenenti all'organizzazione dei Beati Paoli che  « ... attecchì eziandio oltre il Faro, segnatamente nelle Calabrie, e qui prima che altrove fu scoperta e crudelmente repressa e punita dai feudatari che da esse si vedevano pigliar la mano nell'ambito ministerio di fare alta e bassa giustizia ...» : così esordisce Gianni Aiello, nella parte introduttiva, tratta da una pubblicazione di De Castro.
Tutto inizia con il feudalesimo e con l'avvento dei Normanni in Calabria.
La 'ndrangheta, o meglio la “cultura” mafiosa parte proprio da lì, da quel periodo in cui si attua l'esproprio delle terre ai contadini calabresi per trasformarli da proprietari in coloni. 
È una provocazione culturale, questa, di Daniele Castrizio che spiega le ragioni della tesi durante l'incontro, affrontando questo tema dal versante storico, ricostruendo la società reggina e calabrese del periodo bizantino, prima della perdita di libertà culturale e religiosa per colpa dell’arrivo dei Normanni.  
Proprio l’avvento del sistema feudale avrebbe originato, in una società culturalmente allo sbando e in un ottica di dominazione, la cultura mafiosa, che sembra nascere non come uno Stato nello Stato, ma come un “feudalesimo parallelo”, contrapposto a quello dei feudatari occupanti e degli ecclesiastici stranieri.
Il modello della mafia sembra proprio speculare rispetto a quello feudale: l’organizzazione verticistica (vassalli, valvassini e valvassori), la “cupola” (l’assemblea dei baroni del regno), la divisione  del territorio per famiglie (i feudi), il “pizzo” (le tasse baronali), le angherie (lo ius primae noctis) e la disamina potrebbe continuare, con sempre nuove scoperte.
L’identificazione del modello, secondo lo studioso, è molto importante, perché permette di comprenderlo appieno e, di più, di trovare gli anticorpi per sconfiggerlo sul terreno culturale, che è quello in cui l’attuale società appare completamente inerte.
«Proprio l'avvento del sistema feudale, – spiega Castrizio – avrebbe originato, in una società culturalmente allo sbando e in un ottica di dominazione, la cultura mafiosa, che sembra nascere non come uno Stato nello Stato, ma come  un “feudalesimo parallelo” contrapposto a quello dei feudatari occupanti e degli ecclesiastici stranieri. 
Si passa all'analisi dei documenti storici commentati da Gianni Aiello: «Nelle campagne, – spiega il relatore –  i grossi latifondisti  demandavano il controllo effettivo delle proprietà, sia per difendersi dal brigantaggio,  sia per resistere alle nascenti pretese delle classi contadine, ad alcuni personaggi che  presero il nome di “campieri” (perché controllavano i campi) o “gabelloti”, in quanto riscuotevano, per conto del padrone, le “gabelle”.
Sorretta da patti di sangue e da regole segrete, la picciotteria presto cominciò a dilagare per tutta la provincia di Reggio Calabria, toccando anche il lametino ed il vibonese che già nel 1792 era stato infestato dagli “spanzati” combattuti prima e poi arruolati durante i fatti del 1799».
Il presidente del sodalizio organizzatore ha commentato atti relativi al decennio francese e riguardanti, altre forme malavitose compreso il brigantaggio, caratterizzato da una letteratura legislativa è alquanto corposa che per quanto riguarda il Regno di Napoli e delle Due Sicilie ha inizio con la Legge del 3 agosto 1791 “circa  lo spiegamento con la forza delle armi contro gli attruppamenti sediziosi”, proprio quegli stessi personaggi che fecero parte della spedizione sanfedista guidata dal Cardinale Ruffo e che si ritroveranno anche tra coloro che aderiranno al redatto da Francesco I, redatto il 27 febbraio 1806 con il quale incitava alle armi i Calabresi contro l'esercito napoleonico .
Interessante risulta la sentenza emessa dalla Corte di Assise di Reggio Calabria, tratta dalla  pubblicazione dello stesso relatore “IL MASSIMO DELLA PENA, le condanne a morte nel territorio di Reggio Calabria dal 1808 al 1888”, avente come imputazione « ... associazione di malfattori, in numero non minimo di cinque, riuniti ad oggetto a delinquere contro la persona e la proprietà, sequestro ed omicidio». (1)
I reati vennero effettuati in varie epoche e precisamente tra il 1862 ed il  1866 ed il documento riveste notevole importanza, in quanto nello stesso viene indicato, anche un sequestro di persona, il raggio d'azione alquanto vasto, nel quale agivano i malfattori che erano originari di diverse aree geografiche  della regione e che forse alcuni di loro erano ex militari dell'esercito borbonico.
«Bisogna arrivare, – afferma Aiello – alla fine del 1800 il tribunale di Palmi sentenziò contro la picciotteria che accerta l'esistenza in Calabria di una organizzazione criminale, i cui rapporti interni erano regolati da una serie di “normative” facenti parte di un codice». 
Altri documenti trattati dal ricercatore reggino riguardano nell'ordine: (2)

ShinyStat
27 febbraio 2003

 «Cittadino Prefetto! Se nel suo comune, essendo semplice Cittadino Onesto, avesse scoverto una setta di malfattori-camorristi- detti picciotti che giornalmente demoralizza il pubblico, Lei Onesto Cittadino che avrebbe fatto ?» …

La provenienza di personaggi malavitosi isolani denota la consistenza e le ramificazioni che  tale organizzazione aveva e come la stessa fosse strutturata: infatti dallo stesso documento si evince che : «... di accordo perciò le due Società maggiore e minore dei camorristi decisero disfarsene, stabilendo che la esecuzione dovesse farsi dai membri di questa ultima. ... ebbe luogo un convegno  ... tra camorristi della società minore ... Ivi al gioco delle dita si sorteggiò l'esecutore materiale ...», siamo in data 8 ottobre 1889, il documento prosegue descrivendo le modalità dell'esecuzione,

Negli stessi Stati Uniti ebbe a formarsi, intorno al 1904, la manonera, un'organizzazione criminale, costituita principalmente da meridionali.

Dei 109 arrestati per l'associazione a delinquere di S.Stefano la camera di consiglio oggi ha leggittimato l'arresto per 31, e per gli altri 68 ha ordinato l'escarcerazione provvisoria, che viene eseguita oggi stesso 27agosto. (3)

Nel corso dell'incontro sono stati trattati anche gli aspetti antropologici relativi al tema come si evince da una  sentenza del  7 giugno  1890, pronunciata dal tribunale di Palmi, a carico di 66 persone originarie della provincia reggina (Iatrinoli,Radicena, Molochio, Melicuccà, San Martino,Bagnara, Messignadi e Polistena) e di Tropea.
L'atto suscita interesse, non soltanto per l'aspetto giuridico ma come i giudici descrivono il modo di vestire e le acconciature degli inquisiti: «I distintivi adottati da tutti per  riconoscersi erano i capelli tagliati a farfalla, il berretto con lunghi nastri, in alcuni paesi un neo al volto; e per i capi un anello ad uno degli orecchi», modelli che ritroviamo anche nel periodo del brigantaggio del 1806-1815:  i briganti ornavano i loro indumenti con elementi religiosi, quali crocefissi, rosari, immagini sacre.
Attraverso gli atti della Camera, nel periodo post-unitario, il sociologo Giuseppe Putortì analizza quanto accaduto in Calabria. «La  'ndrangheta – secondo Putortì – nasce e si sviluppo nella nostra regione nella seconda metà dell'Ottocento, ad opera di clan di picciotti, da cui il nome  Picciotteria,  segnalati nel circondario di Palmi (Maropati, Gioia Tauro, Sinopoli, Iatrinoli, Radicena, Molochio, Polistena, Melicuccà, San Martino di Taurianova, la stessa Palmi), nella Locride (SanLuca, Africo, Staiti, Casalnuovo) e nella cintura di Reggio Calabria (Fiumara, Villa San Giovanni, la stessa Reggio Calabria).
Ed uno dei primi interventi contro tale organizzazione malavitosa, risale al presidente del Consiglio Ricasoli ma dalla lettura degli atti della Camera si evince che non fu possibile applicare tale volontà per le conformazioni del territorio dell'Aspromonte: risultava difficile trovare i picciotti per la folta vegetezione.
Ma è attraverso la lettura della legislazione sul sistema elettorale che si può evincere come l'allargamento del suffragio coincideva con un maggiore potere della mafia, fino ad arrivare ai tempi di Giolitti».
«L'onore, – conclude Putortì – secondo la concezione mafiosa deriva dal potere e dalla ricchezza e tutto ciò diventa poi nell'individuo la sua personale identità.
Ed allora solo sconfiggendo questa mentalità si può distruggere una delle organizzazioni criminali più potenti al mondo».
L'incontro si è concluso ricordando la figura di Leonardo Sciascia, il quale riteneva che i dibattiti ed i cortei avevano solo una funzione marginale, quindi, secondo il letterato siciliano, l'unico mezzo lecito di lotta era quello di  "lasciare i ragazzi a scuola, che bene o male serve ancora".

(1) G. AIELLO, "IL MASSIMO DELLA PENA, le condanne a morte nel territorio di Reggio Calabria dal 1808 al 1888", 1996;
(2) ASRC: denuncia anonima contro una società di malfattori;
(3) ASRC: associazione a delinquere in S.Stefano d'Aspromonte.