Francesco Nuti, a cura di Giovanni Nuti, Sono un bravo ragazzo. Andata,caduta e ritorno,Rizzoli,2011;
Matteo Norcini, Francesco Nuti. La vera storia di un grande talento, Ibiskos Ed. Risolo, 2009;
REGISTA
Casablanca, Casablanca (1985)
Tutta colpa del paradiso (1985)
Stregati (1986)
Caruso Pascoski di padre polacco (1988)
Willy Signori e vengo da lontano (1990)
Donne con le gonne (1991)
Occhio Pinocchio (1994)
Il Signor Quindicipalle (1998)
Io amo Andrea (2000)
Caruso, zero in condotta (2001)
SCENEGGIATORE
Madonna che silenzio c'è stasera, regia di Maurizio Ponzi (1982)
Io, Chiara e lo Scuro, regia di Maurizio Ponzi (1982)
Son contento, regia di Maurizio Ponzi (1983)
Casablanca, Casablanca, regia di Francesco Nuti (1985)
Tutta colpa del paradiso, regia di Francesco Nuti (1985)
Stregati, regia di Francesco Nuti (1986)
Caruso Pascoski di padre polacco, regia di Francesco Nuti (1988)
Willy Signori e vengo da lontano, regia di Francesco Nuti (1990)
Donne con le gonne, regia di Francesco Nuti (1991)
OcchioPinocchio, regia di Francesco Nuti (1994)
Il Signor Quindicipalle, regia di Francesco Nuti (1998)
Io amo Andrea, regia di Francesco Nuti (2000)
Caruso, zero in condotta, regia di Francesco Nuti (2001)
ATTORE
Ad ovest di Paperino, regia di Alessandro Benvenuti (1981)
Madonna che silenzio c'è stasera, regia di Maurizio Ponzi (1982)
Io, Chiara e lo Scuro, regia di Maurizio Ponzi (1982)
Son contento, regia di Maurizio Ponzi (1983)
Sogni e bisogni, regia di Sergio Citti - miniserie TV (1984)
Casablanca, Casablanca, regia di Francesco Nuti (1985)
Tutta colpa del paradiso, regia di Francesco Nuti (1985)
Stregati, regia di Francesco Nuti (1986)
Caruso Pascoski di padre polacco, regia di Francesco Nuti (1988)
Willy Signori e vengo da lontano, regia di Francesco Nuti (1990)
Donne con le gonne, regia di Francesco Nuti (1991)
OcchioPinocchio, regia di Francesco Nuti (1994)
Il Signor Quindicipalle, regia di Francesco Nuti (1998)
Io amo Andrea, regia di Francesco Nuti (2000)
Caruso, zero in condotta, regia di Francesco Nuti (2001)
Concorso di colpa, regia di Claudio Fragasso (2005)
PRODUTTORE
Maramao, regia di Giovanni Veronesi (1987)Giungono alla terza puntata gli appuntamenti dei "Pomeriggi Culturali", ciclo di manifestazioni organizzati dal Circolo Culturale "L'Agorà" ed in collaborazione con la Biblioteca "De Nava" di Reggio Calabria.
Il tema del nuovo incontro si è basato sulla presentazione del volume, edito per la Rizzoli, "Sono un bravo ragazzo" di Francesco e Giovanni Nuti".
Il volume in argomento è una sorta di album fotografico di famiglia, quindi una autobiografia chiaramente deducibile anche dal sotto titolo “Andata, caduta e ritorno”.
Il piacevole lavoro riveste un’autentica matrice di chiaro stampo nutiano – se tale termine è consentito – ed è stato curato da Giovanni, fratello di Francesco, che tra l’altro, come tutti sanno, è stato l’autore delle melodie di tutti i suoi film.
La manifestazione in argomento è stata organizzata dal sodalizio reggino che ha ricevuto il patrocinio della Provincia di Firenze che di buon grado ha riconosciuto la bontà e la valenza dell'incontro organizzato a Reggio Calabria dal Circolo Culturale "L'Agorà", così tanto da concedere il patrimonio all'iniziativa.
A tal proposito il presidente del sodalizio ha ringraziato sia a livello personale che a nome dell'intera associazione il Presidente Andrea Barducci per la sensibilità dimostrata sia nei confronti del sodalizio culturale che nei confronti dell'iniziativa.
Ma naturalmente è stata anche ringraziata la Rizzoli che ha messo a disposizione delle copie che sono state consegnate sia ai presenti che ai giornalisti presenti.
É stata portata a conoscenza dei presenti la lettera che Francesco e Giovanni Nuti hanno indirizzato allo stesso Gianni Aiello: «Grazie, cari amici grazie; vi ricordo che "Sono un mezzo sangue: passionalità calabrese, spirito fiorentino ... sfacciato come un pratese." Siamo onorati della Vostra presentazione, in terra di Calabria, del libro Sono un bravo ragazzo ... in libro racconto la mia vita, fin qui vissuta nel bene e nel male, ed è curato da mio fratello Giovanni, ma per l'occasione lo vogliamo considerare nostro, lo consideriamo la storia dei due fratelli d'Italia. Come già sapete, siamo per metà figli della vostra-nostra terra ... siamo calabresi da parte di madre, mamma Anna. E questa origine la sentiamo come una forza nei ricordi, nei sentimenti e nella fantasia dell'arte. Spero che questo libro contribuisca a conservare il ricordo di quel che di buono abbiamo fatto per il cinema italiano, e sia d'augurio per nuovi progetto. Vi abbracciamo forte.»
Ed il contenuto di questa lettera riportano alla mente tanti ricordi non solo artistici ma anche storico-culturali che si intrecciano tra di loro, così come l'articolo a firma di Fulvia Caprara, che se vogliamo si ricollega a quanto sopra riportato nella stessa.
Il titolo dell'articolo "Basta silenzio, Nuti è con noi" apparso sul quotidiano LA STAMPA in data 16 ottobre 2010 è abbastanza significativo: "Nessuno l’ha dimenticato, ma il pudore, spesso colpevole, verso la malattia e il dolore, hanno fatto calare sulla sua storia un silenzio attonito. Gli amici, i colleghi, il pubblico sanno che, dal dicembre 2006, Francesco Nuti sconta una punizione ingiusta, uno di quei castighi che nessuno merita e invece piombano, da un attimo all’altro, buttando all’aria le vite dei più sfortunati. La caduta in casa, l’emorragia cranica, il coma, l’operazione. E poi l’inizio di un’esistenza a metà. Una fatica immensa, divisa con la madre, con il fratello medico Giovanni, con pochi affetti, tra cui il regista Giovanni Veronesi che non ha mai smesso di stargli accanto, ma soprattutto con se stesso. Da quella notte l’autore non parla più: «Ho provato - confessa Giovanni - un sentimento nuovo e forte, il compito di ridare voce a mio fratello. Compito impossibile per il medico. Possibile solo se compreso sul piano generale e simbolico. Sì, perché mi sono accorto che al silenzio di Francesco corrisponde un silenzio più forte. Il silenzio del mondo del cinema e dell’editoria musicale, che forse non si è accorto davvero dell’autore che lui rappresenta, che sembra averlo dimenticato, rimosso, come dicono alcuni, con una rapidità intollerabile». Tra due settimane, con il documentario di Mario Canale Francesco Nuti... e vengo da lontano, il Festival di Roma riaccende i riflettori sulla parabola dell’artista. Nel programma della rassegna c’è scritto che all’evento parteciperà anche lui, il protagonista, per la prima volta in pubblico dopo l’incidente, anche se chi lo assiste dice che la sua presenza non sarà certa fino all’ultimo minuto. Quel giorno ad applaudirlo ci saranno tutti, magari in piedi, magari con le lacrime agli occhi, compresi i tanti che lo hanno dimenticato e pure quelli che, negli anni difficili, gli hanno sbattuto la porta in faccia. Nuti non è mai stato un personaggio facile, di quelli che semplicemente si fanno amare da tutti. Aveva i suoi fan, ma anche i suoi detrattori. C’era chi non gli aveva mai perdonato il grande salto dietro la macchina da presa, la tentazione, come scriveva l’ex critico della Stampa Stefano Reggiani nel suo Dizionario del post-divismo, di diventare «un improbabile malinconico internazionale». E poi l’aria un po’ sbruffona da ragazzo di provincia, il narcisismo dell’attore arrivato, e le donne, tante, tutte bellissime, prese, lasciate, cambiate al ritmo di un girotondo spensierato. Da Clarissa Burt ad Annamaria Malipiero, madre dell’unica figlia Ginevra, passando per le interpreti dei suoi film su cui fiorivano sempre, vere o false che fossero, voci di amori turbolenti." .
I lavori iniziano con l'intervento di Gianni Aiello, presidente del Circolo Culturale "L'Agorà" che nel corso del suo intervento fa capire a chiare lettere di essere un simpatizzante di Francesco Nuti.
A tal proposito segue il testo del suo resoconto: «Le cifre del mio intervento rappresentano un insieme di fotografie inserite in apposito album.
Tale contenitore non voglio etichettarlo come “una raccolta di ricordi” , una “targa” questa che potrebbe suonare anche come segno di tristezza, ma che definirei invece come “album vivo”, dal quale fuoriesce quel senso di “toscanità” che distingue quel modo di mostrarsi.
Quindi un insieme di quelle belle cose che rendono il senso di quell’area geografica, di quel modo d’essere culturale, di vita che Francesco Nuti ci ha raccontato attraverso le sequenze delle sue narrazioni visive.
Leggendo il libro ho la stessa sensazione quando vedevo i film di Francesco: quella voce narrante fuori campo, e caratterizzata dalla cadenza toscana (un insieme di suoni posti al bivio tra Firenze e Prato) che aveva il compito di raccontare.
Intanto “Son contento” , così si rimane in tema su ciò che andremo ad argomentare oggi
“Son contento” è il lungometraggio del 1983 diretto da Maurizio Ponzi ed interpretato da Francesco Nuti, esso chiude la trilogia cinematografica della collaborazione artistica tra Ponzi e Nuti, dopo “Madonna che silenzio c’è stasera” e “Io, Chiara e lo Scuro” dell’anno precedente.
Le prime due pellicole risalgono al 1982 e proprio in quell’anno andava in voga nelle hit-parade radiofoniche italiane la canzone di Locasciulli “Intorno a trentanni” .
E proprio chi si trova in quell’arco di tempo, o si è trovato a passare, sicuramente avrà sentito parlare di Francesco Nuti, avrà visto qualche suo film.
In quella canzone si parla di “presentimenti”, di “giorni di malinconia”, cifre queste che saranno argomento nel prossimo intervento.
Prendendo spunto dal titolo della canzone, posso dirvi che ho avuto il piacere di seguire Francesco Nuti sin dalle sue prime apparizioni televisive con il gruppo cabarettistico dei GIANCATTIVI che era formato da Alessandro Benvenuti ed Athina Cenci, poi i tanti film che ho visto quasi tutti.
Ritornando alla trasmissione, che andava in onda settimanalmente sulla RAI, essa era un varietà televisivo dal titolo “NON STOP”: una vetrina di giovani artisti che ebbero il modo di esibirsi e farsi conoscere al grande pubblico tra il 1977 ed il 1979.
Da quella fucina di talenti piace ricordare i GATTI DI VICOLO MIRACOLI, ZUZZURRO e GASPARE, ENRICO BERUSCHI, CARLO VERDONE, ma anche LA SMORFIA.
Nel gruppo cabarettisco di San Giorgio a Cremano vi era Massimo Troisi del quale Francesco Nuti riferisce:«Invidiavo Massimo Troisi, comico di razza che piaceva alle donne. Mi fregò Clarissa».
Quando nel giugno del 1994 Massimo Troisi muore, in questo libro che presentiamo oggi, Francesco riporta a tal proposito [... Vado da lui. Gli do un bacio sulla fronte e gli sussurro: t'ho invidiato tanto ... ] .
Avevo fatto cenno alla trasmissione “NON STOP” che faceva parte di quel palinsesto televisivo, se vogliamo “culturale” , ben diverso da quello “spazzatura” e/o di “sciacallaggio mediatico” così come viene definito.
A tal proposito cito ciò che è stato pubblicato su internet da Gianluca Testa in data 7 gennaio 2011 (riferimento internet: loschermo.it), dove parla di “deriva etica e culturale” che “è perfino capace di indignare a tal punto da far provare un disgusto irreversibile per la razza umana. Pardon, televisiva”
Ritornando al tema del mio intervento concludo con la trilogia collaborativa tra Francesco Nuti e Maurizio Ponzi e nello specifico al film che chiudeva tale rapporto professionale.
La trama di “Son contento” narra la storia di un cabarettista, interpretato dallo stesso Nuti, e della sua decadenza artistica dovuta a questioni sentimentali.
Dopo un periodo poco felice dal punto di vista professionale l’artista risale la china e ritorna al successo: quel film ha un qualcosa di profetico e ci si augura di vedere al più presto Francesco, quel Francesco Nuti che non abbiamo dimenticato.»
La parola è passata ad Antonino Megali (socio del Circolo Culturale "L'Agorà", il quale ha esordito dicendo che «È difficile oggi immaginare Francesco Nuti dopo la lunga assenza- probabilmente non conclusa- dal piccolo e grande schermo».
Lo ricordiamo - prosegue Megali - come un comico garbato, con una singolare fossetta sul mento, attore regista, presente in numerosi spettacoli di cabaret e show televisivi. Non a caso i suoi film furono definiti “commedie malinconiche”. Il suo umorismo era infatti un po’ surreale, sentimentale, quasi crepuscolare. La sua comicità timida stralunata, ma condita anche dalla derisione e dallo sberleffo nonché indulgente al nonsense. Geniale e narcisista piaceva quando faceva l’introverso, lo sfortunato in amore, il vagabondo amante della musica; attraeva di meno quando si spogliava dei panni del perdente e indossava quelli del duro e del conquistatore.
È lo stesso Nuti, in questo suo libro, a non stabilire tempi per una sua rentrée.
Egli è guarito dall’alcool, dalla depressione, dal coma, ma, scrive:” Non sono ancora forte come vorrei, la parola stenta a scivolare via e dopo che ho camminato per cento passi devo riposarmi. Negli ultimi due anni sono migliorato, lentamente, ma molto migliorato. Sono sereno e ho ricominciato a pensare al mio lavoro, passato e futuro”.
Nell’attesa Francesco ha creduto bene di tornare fra di noi con questa autobiografia dove si racconta “a braccio, anzi a bracciate, improvvisando con la memoria, ché a me piace così”.
È un libro nato da appunti scritti in vari periodi della vita, poi messi insieme e integrati con l’aiuto del fratello Giovanni. In esso vengono rivissuti amori, passioni e successi dell’attore, però sorvolando su tanti avvenimenti e lasciando tante domande in sospeso.
Cercheremo ora - prosegue Megali - di riassumere la sua vita come viene raccontata dalle pagine del libro, integrando qua e là con qualche notizia sui successi del comico toscano. Nasce a Firenze da padre fiorentino, barbiere e da madre calabrese.
La bottega del padre, recluso durante la guerra in un campo di concentramento in Germania, era il classico negozio di barbiere di una volta: un rifugio per tanta gente dove si discuteva di politica, di donne e dove circolavano le storie più strane sui clienti. Francesco,prima di diventare artista, lavora da operaio.
È infatti un perito chimico tintore. Smette dopo due anni. Nelle tintorie di Prato- scrive- le macchine andavano a centoquaranta gradi di pressione, un calore esterno di settanta gradi, il tasso di umidità raggiungeva il cento per cento e i colori erano talmente volatili che ti si appiccicavano sulla pelle e l’ingoiavi così facilmente che ti tingevano la faccia, il corpo, i polmoni.
Quando tornavo a casa sembravo Arlecchino, per quanti colori avevo in faccia e sulle mani. Non bastavano tre docce per tornare di un colore umano.
Le sue passioni degli anni giovanili? Il calcio anzitutto. Dopo aver visto giocare il grande Omar Sivori nel Napoli inizia a giocare cercando di imitare la sua eleganza e, come il calciatore argentino tenendo i calzettoni abbassati. Arriva perfino a essere titolare in una partita di Coppa Italia semi-professionista. Il suo talento attirò l’attenzione di alcuni osservatori torinesi che andarono dai genitori per chiedere il consenso a portarlo su, ricevendone in cambio un assoluto diniego.
Poi, naturalmente, il biliardo. I pomeriggi li passava in un Circolo, una “Casa del Popolo” giocando in “una sala, buia, nebbiosa, tagliata dalla luce forte delle lampade basse”. Gli fu maestro il padre. Fu lui a insegnargli tutti i trucchi per diventare un campione. Tre saranno i film dedicati a questo gioco: Io Chiara e lo Scuro; Casablanca Casablanca; Il Signor Quindicipalle .
Il nostro attore scopre anche la passione per la pittura. Il fratello gli regala un cavalletto, tele e colori ad olio: Ma la pittura a olio è lenta e sceglie la tempera acrilica. Il primo dipinto, dopo tanti tentativi, che lo soddisfa è quello avente per soggetto una Pinocchia rosa.
Diamo la parola all’aspirante artista. È un dipinto terribile. Bello e terribile. Segnato dal colore, un rosa saturo, steso con un pennello largo, carico nervoso. Un corpo massiccio, dalle spalle larghe braccia tozze e corte.
Il petto maschile se non fosse per i capezzoli prominenti, l’addome e le gambe più chiare, quasi bianche, con al centro un sesso di donna enorme, prepotente, impenetrabile. Non ebbe grande successo come pittore, essendo la pittura per lui solo un modo per scaricare la tensione e l’inquietudine. Neanche la carriera di cantante gli dà grosse soddisfazioni.
Nel 1988 si presenta al Festival di Sanremo con la canzone Sarà per te, ma la sua partecipazione non solleva grande entusiasmo.
Lunga la lista delle donne amate da Francesco, ma nel libro si sofferma solo su una storia, quella avuto con Clarissa, la protagonista di Caruso Pascoski.
Lo fa perché a rubargliela fu un altro attore, quello da lui invidiato: Massimo Troisi. La vicenda, dice lo steso Nuti, gli procurò dolore, rabbia, orgoglio,gelosia e soprattutto invidia. Delle altre donne amate tutte, dalla prima all’ultima, solo un breve elenco di nomi che occupano cinque righe: Fabiana,Enrica, Athina, Ornella, Sabrina e le altre. Nell’elenco figura anche Moana Pozzi.
Veniamo per ultimo alla carriera nel mondo del teatro-cabaret e televisiva che, oltre quella cinematografica, gli diede la notorietà.
A metà degli anni Settanta entra a far parte della compagnia del Teatro Guido Monaco, chiamata Gam e partecipa con successo, a delle parodie: La merenda delle beffe, Pio de’Tolomei e Ucci ucci sento odor di cristianucci. Segue il cabaret Pollo d’allevamento in giro per i paesini d’Italia.
Poi il salto di qualità dopo l’incontro con I Giancattivi. Su questo gruppo vale la pena spendere qualche parola. Il trio inizialmente è costituito da Alessandro Benvenuti, da Athina Cenci e da Paolo Nativi. Quest’ultimo abbandona il gruppo ed è sostituito da Franco Di Francescantonio.
In questa periodo, è il 1976, nasce un teatro-cabaret di qualità dove si fanno conoscere I Gatti di Vicolo Miracoli, La Smorfia e Roberto Benigni.
Ancora nel trio Tonino Catalano sostituisce Franco di Francescantonio, sostituito poi da Francesco Nuti. Alessandro Benvenuti afferma che “con l’arrivo di Nuti il gruppo subisce un ulteriore cambiamento.
Capendo che Francesco non poteva recitare in italiano, non sarebbe stato credibile, cominciai a scrivere in toscano.
E fu la mossa vincente perché il gruppo, che era sempre stato collocato in una sorta di aristocrazia della comicità, diventò in quel modo più accessibile e quindi più popolare”.
Sul piccolo schermo arrivano con la seconda serie di Non Stop varietà di Enzo Trapani.
Il programma è costruito come un cabaret, senza un conduttore e nel quale si alternano monologhi, canzoni balletti. Nella seconda serie oltre I Giancattivi, ci sono personaggi allora poco conosciuti, ma che poi diventeranno famosi: Carlo Verdone, Stefania Rotolo, Zuzzurro e Gaspare. Proprio questi ultimi erano i più amati da Francesco Nuti. Li definisce metafisici stralunati, poetici. Li ricordiamo tutti,Zuzzurro con capelli e barba in disordine, l’aria di scienziato pazzo e Gaspare col suo gilet e capelli perfettamente lisciati all’indietro.
Dopo Non Stop I Giancattivi entrano nel cinema con Ad Ovest di Paperino. Dopo il film Nuti lascerà il trio.
In questa autobiografia c’è , come abbiamo cercato di riassumere, il ricordo del tempo felice, della notorietà, degli amori, dei soldi guadagnati facilmente, delle macchine di lusso, dei premi ricevuti e delle copertine sui giornali.
Poi, dopo la caduta e la scomparsa dalle scene, il bilancio di una vita costellata di successi. Francesco Nuti, nella pagina più toccante del libro, prende atto di essere rimasto solo e si lascia prendere dall’amarezza: “Io sono il tema dell’abbandono, l’asprezza dell’abbandono.
Ora che ho più di cinquanta anni conosco ancora il dolore dell’abbandono (…).
Ho fatto finta per anni di essere un Don Giovanni e sono ancora qui a leccarmi le ferite. È vero: ho avuto tante donne, tante macchine, tanti soldi, ma tutto si è bruciato in un baleno e tutto ciò che mi è rimasto addosso è quella malinconia che qualcuno dice”. Forse quella malinconia- aggiungiamo noi- di chi non ha più la voglia di capire il mondo.
Anche il fratello Giovanni, nella postfazione, riprende il tema per arrivare alle stesse conclusioni e lancia una stoccata al:” silenzio dei mondi del cinema, e dell’editoria musicale e dei giornali, che forse non si sono accorti davvero dell’autore che lui rappresenta, che sembrano averlo dimenticato-rimosso, come dicono alcuni- con una rapidità intollerabile”.
Tutto vero ma nessuno meglio di loro dovrebbe sapere che questa è la dura legge che tocca agli uomini di spettacolo quando, per un qualunque motivo, cessano di essere osannati e diventano, appunto, solo bravi ragazzi.
Ha concluso Tonino De Pace (Presidente del Circolo del Cinema "Zavattini") che nel suo intervento ripercorre le varie fasi artistiche.
L’esordio di Francesco Nuti nello spettacolo - esordisce Tonino De Pace - risale alla metà degli anni settanta quando faceva le prime apparizioni nei teatri di provincia con i suoi personaggi presi un po’ dalla realtà e un po’ dalla sua immaginazione accompagnata dalla surrealismo che gli è congeniale.
Successivamente Alessandro Benvenuti e Athina Cenci lo notano e il loro duo dei Giancattivi diventa un trio. Esponenti di quella comicità toscana, acida e solitaria, ruvida e malinconica che lontana dalle asimmetrie verbali di Troisi, o dalla popolana comicità della scuola romana, i Giancattivi praticavano una comicità lunare, fondata su una forte mimica che sostitutiva spesso e volentieri la parola.
Non vi è dubbio che l’innesto Nuti, ancorché per un breve periodo di tempo, ha giovato ai Giancattivi che in questa formazione parteciparono allo storico spettacolo di Rai2 con la regia di Enzo Trapani, "Non Stop".
Il cinema di Francesco Nuti, in qualche modo nasce da quell’esperienza. Ma anche sicuramente dal suo appartenere al popolo. Lui, figlio di barbiere e di una casalinga, la madre è calabrese di Crotone, dopo la sua esperienza di operaio tessile, si dedica allo spettacolo come attore dilettante e scrive da se stesso i monologhi prima di unirsi a Benvenuti e alla Cenci.
Porterà sempre discretamente nel suo cinema questa sua popolarità, unita ad una corrispondente passione politica.
Arriva il primo film: "Ad ovest di Paperino" nel quale i tre comici ripropongono il loro repertorio cabarettistico all’interno di una esile struttura che poggia le sue fondamenta su una impostazione poetica e surreale, una specie di mondo incantato dedicato ai tre poveri squattrinati e ingenui protagonisti.
Un film che non indulge mai alla volgarità, ma che riafferma la capacità di una sintesi dei tempi e di un’onda crescente di una certa comicità che si stava affrancando dal passato.
L’esperienza cinematografica però non porta bene al trio. Infatti Francesco Nuti dopo questo film, originale, ma non gratificante, abbandonerà il gruppo per dedicarsi ai propri progetti.
"Madonna che silenzio che c’è stasera" è dello stesso anno, il 1982, ma la regia è di Maurizio Ponzi con il quale dopo le prime diffidenze si creò un rapporto positivo e proficuo. Il film sfrutta molto la consistenza comica di Nuti, le sue ossessioni e il suo carattere.
Ma è già il canto del cigno di una comicità che sta per finire. Ma già forse non si può neppure parlare di comicità, tanto è malinconico il suo personaggio, una specie di eterno perdente. Questa caratteristica è un ingrediente che Nuti porterà sempre con se anche nel suo cinema, quello che egli stesso ha diretto e interpretato.
Ancora dello stesso anno, un magico 1982 per il nostro attore e regista toscano, è "Io Chiara e lo Scuro", ancora una volta per la regia di Maurizio Ponzi.
Entra in scena il biliardo, una scuola di vita per Nuti, un magico modo per raccontare la vita, una sua metafora e una grande passione per il tappeto verde.
Con l’interpretazione di questo film ottiene il suo primo riconoscimento come attore, vincendo il David di Donatello.
È un film fortunato "Io, Chiara e lo Scuro" perché unisce la grande perizia del suo regista alla straordinaria maschera di Nuti e all’esperienza della De Sio. Siamo, ancora una volta, dalle parti di un cinema che mostrava i suoi ultimi bagliori di disincanto contro il futuro del cinema che da quegli anni in poi avrebbe utilizzato la cinica dissoluzione di una volgarità specchio di un paese che si stava trasformando e che il cinema non poteva non cogliere, amplificando i suoi aspetti peggiori.
Con "Son contento" si chiude la collaborazione con Maurizio Ponzi. Il film, che conserva quel solito garbo delle opere precedenti, resta organico al registro della commedia. Visto con gli occhi di oggi il film sembra costituire una sorta di premonizione. Nuti e Ponzi costruiscono un film che è una riflessione sul mestiere dell’attore comico che deve mettere in gioco la propria vita per costruire la propria fama e hanno il coraggio di girare un epilogo che non concilia e rassicura.
Francesco Nuti è uomo di spettacolo irrequieto, vivace, la sua maschera è “impagabile” come nota Nuccio Lodato su Cineforum n. 225 del giugno 1983.
La sua inquietudine lo porta a sentirsi pronto a girare il suo primo film come regista. "Casablanca Casablanca" si attesta come l’ideale seguito di "Io, Chiara e lo Scuro".
È un film girato con la semplicità del neofita, con la sincerità dell’appassionato, con l’ingenuità del cineasta rispettoso del passato.
Le evidenti citazioni, la Casablanca curtiziana si ridefinisce come luogo mitico dove tutte le storie d’amore sembrano convergere e se a Casablanca è stato possibile rendere eterna la storia d’amore tra Bogart e la Bergman, lo stesso non potrà accadere per Francesco e Chiara, ma di certo la faticosa e struggente storia d’amore tra il cameriere geloso e la bella sassofonista fa la sua parte nell’album dei ricordi del nostro cinema, nonostante le ingenuità narrative (la citazione della scena all’aeroporto, già rifatta da Allen… o il risveglio nel deserto).
Ma Nuti è alla prima prova e la cifra che segna il film è l’abbandono da parte del suo regista/attore di qualsiasi velleità comica.
Nonostante in qualche residuo il film poggi ancora sulla battuta, non crediamo si possa più parlare di comicità, quanto, piuttosto, di ironica e sardonica consapevolezza di una drammaticità incombente. La reiterazione delle gag funziona, perché annulla l’effetto comico, accentuando, per contro, quello drammatico.
L’atonalità utilizzata da Nuti nella recitazione di alcune battute indirizza, piuttosto, alla follia, al disturbo mentale che è sinonimo di tragico evento, più che alla risata liberatoria.
In ogni caso Francesco Nuti con questo film riesce ad ottenere il premio al Festival del Cinema di San Sebastian quale migliore regista esordiente.
Diventerà una costante del cinema nutiano lo studio di personaggi che più che marginali, hanno la necessità di
(ri)costruirsi una vita. In questo senso il cinema di Nuti ha sempre raccontato il disagio esistenziale, con uno straordinaria anticipazione che diventa drammatico presagio di quella parte della sua vita che purtroppo dura anche oggi.
È il caso di Romeo Casamonica, il personaggio protagonista di Tutta colpa del paradiso, suo secondo film del 1985. Francesco Nuti, abbandona il biliardo, le atmosfere malinconiche e cupe di un amore da rimettere in piedi, per aprirsi alla solarità di un racconto come questo dove nell’ultima parola del titolo echeggiano anche le location del film tutto girato tra Champolluc e Val d’Ayas all’interno delle emozionanti vette del Parco del Gran Paradiso.
Romeo, uscito di prigione vuole rivedere Lorenzo, il figlio che nel frattempo è stato adottato da una famiglia che vive in quei luoghi.
La ricerca di Lorenzo farà vivere a Romeo una breve, ma intensa storia d’amore con Celeste, madre adottiva del figlio Lorenzo, interpretata da Ornella Muti.
Troviamo qui il Nuti ormai lontano da qualsiasi cliché di comicità, ma lo rivediamo, invece, in una strana e inusuale veste di protagonista esistenzialista.
Il suo è un esistenzialismo quotidiano, un pessimismo consapevole e radicato; non un capriccioso remare controcorrente per fare torto al destino, quanto piuttosto, adattarsi ad una corrente eternamente contraria.
La sua storia d’amore con Celeste è il percorso attraverso il quale deve passare la conversione di Romeo, lasciare il figlio nelle mani della coppia, se da un lato conferma una lunga tradizione di gesti “eroicamente tragici” di un cinema classico in cui il “continuate senza di me” diventa sacrificio supremo in nome, di volta in volta, dell’amicizia, della libertà, dell’ideale, dell’amore e di tanto altro ancora, in questo caso Nuti, pur adattandosi a questa linea che ripercorre il cinema da cima a fondo, ci mette qualcosa di proprio, un’invenzione finale, un piccolo gesto come il saltare sull’erba quasi a smorzare la tensione del racconto. In questo piccolo gesto la firma dell’autore, un rimando al suo passato da attore comico e all’eleganza che l’ha sempre distinto.
L’accoppiata Nuti/Muti è continua anche con il film successivo "Stregati".
Se il precedente aveva per scenario una natura incontaminata, nella ricerca di una purezza di sentimenti da ritrovare per l’ex galeotto Romeo, qui ci troviamo dentro ad un Genova eternamente notturna, una Genova piovosa e misteriosa.
E nella notte genovese proliferano gli strani personaggi come quello del disk jockey di radio Strega che si innamora della bella sconosciuta.
Tra Lorenzo ed Anna si imbastirà un lungo ed estenuante batti e ribatti amoroso. Ma lui l’indomani dovrà sposarsi.
L’atteso lieto fine permetterà di riconoscere alcuni tratti di un cinema che va, via via, riaffermando le proprie credenziali, quelle cioè di un cinema positivo, ma mai completamente pacificato e soprattutto sottilmente inquietante.
Le storie d’amore di Nuti non sono mai serene, ma combattono insieme ai propri protagonisti i dolori dell’amore.
Nuti collabora con la sua piccola factory toscana, dal suo produttore quel Francesco Piccioli omaggiato dallo stesso Nuti attraverso il nome del giocatore di biliardo di "Casablanca Casablanca"; Alex Partexano che compare in Stregati, ma che era già comparso in Tutta colpa del paradiso e l’inseparabile Novello Novelli che compare in tutti (o quasi) i suoi film, costituendo con il regista/attore, un sodalizio quasi filiale, paterno e tenero, si pensi al lungo e divertente oltre che surreale duetto in "Caruso Pascoski".
È proprio con "Caruso Pascoski di padre polacco" del 1988 che il cinema di Nuti assume un’altra fisionomia, un altro volto.
Si fa più introspettivo, le storie acquisiscono un maggiore spessore e il personaggi, persa l’aurea innocente, sono diventati più adulti e cattivi.
Le storie d’amore, l’eterno rovello del cinema di Nuti, si fanno più complesse e i sentimenti più difficili all’interno di meccanismi amorosi sempre più complessi.
In Willy Signori e vengo da lontano, del 1990 è Alessandro Haber il vero cattivo del film.
In un crescendo di rocambolesche avventure per mascherare un amore, davanti a quello ufficiale si svolge la vicenda di Willy giornalista di provincia.
È forse questo il film più sentito di Nuti, quello in cui i meccanismi della commedia amara sembrano funzionare al meglio.
Un film giustamente ambizioso, ma non più di tanto, un film che nella solita fragilità del cinema di Nuti e sia detto in senso positivo, si distingue per una “maggiore” fragilità, quella che consente allo spettatore di permeare la materia del film, proprio perché si tratta di un’opera attraversata da una profonda sincerità e nella quale ogni attore (Haber, Galiena e Ferrari), trascinato da Nuti, dà il meglio.
Nel 1991 esce "Donne con le gonne", uno straordinario successo al botteghino, i più alti incassi per il cinema del regista attore toscano.
Si tratta di un tentativo di esplorare ancora una volta, dopo Willy Signori, le vicende della coppia, il rapporto difficile e irrisolto all’interno di una società che ormai aveva fatto i suoi mutamenti.
Nuti parte da lontano, dall’Italia degli anni di piombo, l’Italia dell’autonomia operaia e del terrorismo, per approdare, alla fine del film, ad un ipotetico 2035 dopo una vita di coppia tra Renzo e Margherita, difficile, lunga e durante la quale i problemi non sembrano essersi risolti nonostante i due abbiano trascorso insieme la vita intera.
Un film che risente di alcune debolezze, di alcune incertezze narrative e ingenuità eccessive che sembrano non coincidere con la crescita del suo cinema dimostrato con il film precedente.
Nel 1994 arriva "Occhiopinocchio" l’opera che ha segnato la vita artistica e non soltanto, di Francesco Nuti.
Una favola moderna, il racconto definitivo di un ingenuo, di uno sprovveduto e intelligente personaggio alle prese con un padre ricchissimo e malvagio, un Lucignolo rappresentato da una delinquente che lo inizia ai piaceri dell’amore.
Ma il Pinocchio di Nuti è ingenuo e vive in un proprio mondo che non sembra avere rapporti solidi con quello reale.
Le disgrazie produttive del film causate da una lite tra Cecchi Gori e la Penta di Berlusconi, ne ritardarono le riprese e ne dilatarono i costi per gli impegni dei teatri di posa, e ritardandone anche l’uscita nelle sale.
Il film ne risente e non possiede purtroppo la compattezza che gli sarebbe stata necessaria. S
i tratta di un film diseguale, con alcune pregevoli sequenze diluite all’interno di una storia macchinosa e a tratti poco avvincente.
Dopo questo film si accentuano i problemi depressivi di Nuti iniziati, incredibilmente, dopo l’inatteso successo di Donne con le gonne.
"Il signor quindicipalle" è del 1998.
Segna il ritorno di Nuti sulle scene dopo la lunga assenza.
Un film travagliato anche questo le cui riprese, tra sequestri di set e altri problemi produttivi, sono durate oltre un anno.
Un lavoro che dovrebbe chiudere la trilogia del “biliardo” avviata con "Io, Chiara e lo Scuro" e proseguita con "Casablanca Casablanca".
Ma in effetti Francesco Nuti ha sempre smentito che sia mai esistita una trilogia del genere.
Il suo grande amore per il biliardo lo deve avere fatto tornare su questo argomento dopo i problemi di "Occhiopinocchio". Una specie di rifugio, di ritorno a casa.
Questo profilo ci pare possa essere avvalorato dall’ambientazione: il suo paese di nascita Narnali, da il nome e cognome del protagonista: Francesco da Narnali; dall’attività del padre del protagonista, barbiere come suo padre e con lo stesso nome Renzo.
Non possono, tutti questi elementi, costituire solo coincidenze.
Il protagonista si innamora di una prostituta (Sabrina Ferilli) e l’amore riuscirà ad avere la meglio su ogni altra vicenda umana, in un finale assai simile a quello di Casablanca Casablanca.
Due anni dopo, nel 2000, arriva "Io amo Andrea" riflessione, ancora una volta tra le pieghe di un amore eterossessuale, dell’amore tra donne.
Una straordinaria e convincente Francesca Neri affianca Francesco Nuti.
Per il film lo stesso Nuti ha creato una sua casa di produzione la FrancescAndrea.
Il film vive di momenti di surreale consistenza, sul filo delle commedia sentimentale – brillante.
Nuti vive già i suoi momenti di depressione ed è preda dell’alcolismo.
Nel film vi sono evidenti tracce di questa condizione e il film sembra costituire anche una riflessione ulteriore e completa sul suo rapporto con le donne."Caruso zero in condotta" è del 2001 e per adesso è l’ultimo film da regista del nostro autore toscano. In verità, con la modestia che in questi casi è d’obbligo, dissentiamo da quella critica sicuramente autorevole che vuole questo film come poco ispirato e irrisolto. "Caruso zero in condotta" ci pare una degna conclusione in un tragitto come quello fin qui percorso da un autore disilluso, in primis nel suo rapporto con le donne e quindi con la figlia, quel “pezzettino di donna” che è l’appellativo con cui chiama la sua vera figlia Ginevra, avuta con al modella e attrice Annamaria Malipiero, e che qui è il nomignolo di Giulia la figlia Lorenzo, vedovo, che di mestiere fa lo psicologo. Giulia frequenta cattive compagnie e ruba nei centri commerciali e nei supermercati. La frattura tra padre e figlia si ricomporrà dopo che il padre si sarà assunto una colpa non sua per difendere Giulia, ma verrà scagionato grazie alla cameriera nera sua confidente. Quante cose della vita di Nuti in questo film! Per la prima volta è solo, non vi è una figura femminile dominante. Cecilia Dazzi, Olga che lo tampina e lo seduce non fa parte della sua vita. I fantasmi delle altre donne, quelle che avrebbero voluto sposarlo dopo la vedovanza, gli ricompaiono rinfacciandogli i torti e le indecisioni. Tra queste la vera moglie Annamaria Malipiero. Ma Lorenzo ne rifiuta la compagnia, la sua solitudine sembra definitiva. Vale la pena a questo punto, dopo questo sintetico sguardo alla produzione cinematografica di Nuti valutare i tratti principali di questa sua filmografia tentando di tracciare un suo profilo.
Va innanzi tutto detto che il cinema di Nuti ha una propria originale fattura e varrebbe la pena, solo per questo di recuperarlo.
Un cinema che lavorando costantemente sul canovaccio della commedia ne traccia caratteristiche diversificate e singolari.
Non è commedia all’italiana, è commedia sentimentale con tratti di surrealismo mai esagerata, sempre tenuta all’interno di un confine di più che accettabile tolleranza. Nessun autore italiano ha affrontato con questo sguardo, così costantemente innamorato, il tema dell’amore.
È questo il tratto comune e sicuramente il principale che ha legato Nuti al suo cinema: il tema dell’amore.
Matteo Norcini nel suo ricco e completo volume interamente dedicato all’attore-regista toscano, lo definisce giustamente: l’uomo che amava le donne.
Una carrellata di attrici hanno costellato i suoi film, la caratteristica è comune a molti altri autori, ma è vero che in questi casi, o in molti di essi, Nuti ci portava la propria vita dentro quel film.
Giuliana De Sio, Ornella Muti, Clarissa Burt, Isabella Ferrari, Carol Bouquet, Chiara Caselli, Sabrina Ferilli, Francesca Neri, sono le attrici che hanno lavorato con Nuti regista e molte di loro hanno avuto lunghi legami sentimentali con il regista. Un altro modo questo di confondere il cinema e la vita, il suo corpo d’attore e regista con il suo corpo della vita reale.
Per non parlare delle innumerevoli attribuzioni di nomi della propria vita reale ai propri personaggi, così come l’avere sempre trovato un ruolo piccolo grande per gli amici del cuore Novello Novelli su tutti, già agente dei Giancattivi e poi fidato amico di Nuti dopo la sua rottura con il gruppo. Novelli non compare in Donne con le gonne e in Caruso zero in condotta, ma solo per mancanza di ruoli.
C’è sempre dentro il cinema di Nuti il tema della ricostruzione. Una specie di presagio.
È il tratto che rende il suo cinema malinconico. In Tutta colpa del paradiso Romeo è un ex galeotto. Metafora più che evidente del domani da ricostruire.
In "Caruso Paskoski" la sua vita deve essere ricostruita dopo una separazione con la donna che ama.
In "Willy Signori" la sua vita va cambiata, l’amore con Anna Galiena non è quello definitivo e sarà l’incontro con Lucia (Isabella Ferrari) a segnare il suo futuro e il ritorno in Africa a completarlo.
Di ricostruzione in ricostruzione Renzo Calabrese in "Donne con le gonne" modella la propria esistenza in relazione alle intemperie dell’amore con Margherita. "Occhiopinocchio" è, per contrappasso il film della decostruzione, formale e di contenuto.
Il film anomalo e “maledetto”. Anche i successivi personaggi di Cecco da Narnali (Il signor Quindicipalle) e di Dado Valente (Io amo Andrea) sono personaggi la cui vita è trasformata e in questo senso ricostruita in virtù dell’amore e della sua forza trascinatrice e, infine "Caruso zero in condott"a ci appare oggi come il film in cui la ricostruzione è arrivata al capolinea, il racconto all’interno del quale i tentativi sembrano essere falliti, così come sembra essere fallito il rapporto con la figlia.
Ma questa è solo la cattiveria toscana e sappiamo che Francesco Nuti ha saputo, davvero ricominciare e proprio da dove era più difficile e siamo certi che quando tornerà al suo cinema, il suo pubblico starà in fila ad aspettarlo.