Presso la saletta convegni della Chiesa di San Giorgio al Corso di Reggio Calabria il Circolo Culturale "L'Agorà" si è reso promotore di un incontro dal titolo “Raccontando Italo Falcomatà” e nel corso della manifestazione è stato presentato il libro della giornalista Patrizia Labate “Sindaco …grazie! Italo Falcomatà raccontato dai suoi cittadini”.
L’incontro è stato moderato ed introdotto dal presidente dell’associazione, Gianni Aiello, mentre la presentazione del volume è stata curata da Gianfranco Cordì, responsabile della sezione cinema dell’associazione.
Nel corso della serata è poi intervenuto Pietro Casile, ispettore della Digos ma anche uno dei protagonisti del libro, che è stato uno dei “ragazzi della scorta” affiancata a Falcomatà dopo le intimidazione subite.
L’incontro è stato introdotto da Gianni Aiello il quale ha evidenziato come il particolare rapporto, non sempre in sintonia, costruito con il sindaco mentre era ancora in vita non ha impedito di organizzare un’iniziativa per ricordarlo, Aiello ha poi dato lettura di una poesia dialettale scritta in occasione della scomparsa di Falcomatà, dal titolo “Tririci Dicembri”.
Ha poi preso la parola Gianfranco Cordì che ha commentato il libro: «Perché spendere dodici euro e cinquanta per acquistare questo volume? Ne vale la pena? – ha esordito Cordì – Io direi di sì, sia nel libro ritroviamo tanti episodi inediti di Falcomatà, ma anche perché direi che l’autrice ha usato nel scriverlo uno stile “impersonale”, e questo è molto raro… in poche parole l’autrice non ci dice mai come la pensa, appare e scompare tra le pagine del libro, ti sta per dire come la pensa, ma non te lo dice… insomma uno stile formidabile, scritto anche in un buon italiano. L’unico aspetto che vorrei criticare è la presenza, nella seconda parte del testo, delle poesie dialettali scritte da autori reggini: troppi sentimentalismi!».
Infine ha preso la parola l’autrice, sottolineando che la presenza nel libro delle poesie è stata una scelta ben precisa: «Al di là dello stile sembrava bello che per una volta la città si sia lasciata trascinare dall’emotività!».
Patrizia Labate ha poi sintetizzato il senso del proprio volume: «Sindaco Grazie! È il titolo del libro, un ringraziamento un po’ speciale, perché non viene dalle istituzioni, dai politici o dalle alte cariche dello stato ma in questo lavoro che ho portato avanti il ringraziamento arriva a Italo dal popolo reggino, dalla gente comune, da chi è abituato a lavorare nella strada a servizio del prossimo e che ha trovato sempre in Italo Falcomatà un punto di riferimento sicuro, una persona fedele al suo mandato di Uomo prima che di sindaco.
Anche se poi il suo essere uomo e il suo essere amministratore diventano un’unica cosa. - il suo essere uomo ed il suo essere amministratore man mano sono diventate un’unica cosa, e anzi devo dire che in lui l’azione amministrativa e l’amore verso la città, ed i suoi cittadini, diventano un’unica cosa perché è il suo amore verso la città che, in un certo senso, sospinge ogni sua azione.
Il sindaco uomo, dunque, nella sua alta carica umana che ha saputo sempre esprimere.
Quella che la gente ha colto, ecco perché sindaco, puntini sospensivi … grazie, in quei puntini sospensivi c’è una storia dietro, quella che Italo ha costruito con ogni singolo cittadino di Reggio, una storia che in questo libro, in maniera diretta o indiretta, si conclude sempre con un grazie!
Il libro si apre con la lettera ai reggini, quella in cui lui comunica della malattia, lui sceglie di comunicare ancora una volta in modo diretto con la città, gli viene spontaneo per il rapporto familiare che ha sempre costruito con tutti e allora non si poteva non partire da lì, la lettera è la conseguenza si quel modo di rapportarsi alle persone che aveva costruito anche in precedenza.
I cittadini sono in questo libro una sorta di testimoni di chi lui fosse.
Un’intuizione non casuale, - ho poi riscontrato subito dopo- perché confermata dalle stesse storie di vita che sono riuscita a raccogliere.
Non è un libro dove si commenta chi è il sindaco, perché la vita che lui ha condotto parla da sé, proprio perché è vita non ha bisogno di parole che la corredino ulteriormente, come è per coloro che possiedono un carisma e che sono maestri di vita prima di tutto con l’esempio concreto, col sacrificio e la sofferenza personale.
Credo che Falcomatà si sia messo alla guida di una città che non aveva dignità, né un orgoglio di appartenenza, né identità, e abbia creduto, non con il pessimismo dell’intelligenza ma con l’ottimismo della volontà (una delle frasi gramsciane che più preferiva) di poterla trasformare.
E lo ha fatto seguendo il “metodo” forse più arduo, tanto da sembrare a tratti utopistico, e cioè amando i reggini personalmente, ad uno ad uno e li ha conquistati ad uno ad uno.
Iniziando dagli ultimi, dagli umili, dai poveri.
Tanto da diventare, con questo lavoro certosino, quello che è diventato, cioè il simbolo “del” sindaco, non di “un” sindaco.
In questo giro di raccolta delle testimonianze ho potuto anch’io conoscere il sindaco, non solo per l’età anagrafica ma anche per il suo stile di vita mi sono accostata a lui come fosse un padre del quale non dovevo far disperdere gli insegnamenti o dilapidare il patrimonio di vita.
Ho dialogato con tanti reggini, soprattutto quelli ai quali Italo non sapeva resistere: gli umili, i bisognosi, i suoi studenti, gli operai.
Non sapeva resistere, un sacerdote, non a caso, lo definisce “Debole con i poveri”.
Per il primo cittadino tutti erano suoi collaboratori in questa opera di rendere la città migliore, perfino il suo autista, il vigile urbano Rocco Toscano, è rimasto coinvolto più volte nella pulizia, insieme al sindaco, dei tombini della città, o in altre occasioni che ha accompagnato il sindaco in luoghi dove i cittadini erano veramente arrabbiati con lui.
Ma lui non si sottraeva al confronto, e dopo l’incontro tutti ne uscivano cambiati perché lui andava a rendere conto della sua gestione con le “carte in mano”, i progetti che aveva per la città.
Ho raccolto l’emozione, con i fazzoletti in mano, degli operai delle Omeca e del direttore del personale della fabbrica: nessuno di loro aveva più parlato di Falcomatà dopo la sua morte, perché era troppo doloroso, e ringrazio per averlo fatto con me.
Tra gli altri i ragazzi della scorta: con loro è stato possibile ricostruire la giornata “tipo” del primo cittadino: un impegno quotidiano di circa 20 ore lavorative, in contatto con la gente, in giro per i cantieri aperti a controllare che tutto andasse bene, nelle passeggiate notturne sul suo lungomare a sognare ad occhi aperti… e costruire la città futura.
“La società misura la grandezza di un uomo dal numero di persone che lo servono. Il metro del cielo misura un uomo dal numero di persone che sono state servite da lui”. Scrivevano nei manifesti murali l’indomani della sua scomparsa…
Ma per lui la lampadina fulminata dei nuovi lampioni fatti costruire a Podargoni, estrema periferia della città e la ringhiera artistica della via Marina avevano la stessa importanza, nessuno si doveva sentire trascurato in quest’opera di ricostruzione, ed era lui ad andare a vigilare perché la lampadina fulminata fosse sostituita…per lui avere a che fare con grandi personalità era lo stesso che avere a che fare con Ciccio Gatto, l’artigiano di Sbarre, ormai deceduto, cui, se Italo non fosse scomparso, avrebbe fatto intitolare la strada adiacente la sua officina di biciclette e a cui non ha disdegnato di dedicare un manifesto murale per la scomparsa di uno che, per dirla con Italo, “aggiustava” biciclette.
Prima di cimentarsi nel suo nuovo incarico di sindaco nel ’93 si è recato dal vescovo, mons. Vittorio Mondello, per chiedere se sia fosse opportuno o meno accettare in quella situazione.
Il presule, anche lui uno dei protagonisti di questo libro, si stupisce dell’umiltà del professore, e senza guardare al colore politico gli conferma come sia opportuno, dopo gli anni bui di Reggio, che la città abbia un governo.
Alla fine del primo anno di amministrazione del sindaco, cioè nel dicembre ’94 scrive un messaggio ai cittadini, un messaggio che sintetizza l’anima e il senso della sua attività amministrativa, lo vorrei leggere perché credo che sintetizzi non solo i propositi che Italo aveva esternato ma di fatto quello che lui ha poi realizzato e che è proprio la sintesi di quello che della sua vita traspare dalle pagine del libro:
«Alla città abbiamo dato le energie più fresche di ogni giornata, che non pensavamo mai tanto lunga;
Alla gente, la nostra disponibilità, che è diventata mentalità artigiana nel superare il divario esistente tra le sue necessità e le risorse e i mezzi del comune;
Ai dipendenti di ogni grado, la certezza di una guida evoluta, orientata alla fruizione di servizi pubblici sinora solo costosi;
Alle istituzioni periferiche civili e religiose, la prova di una pensosa umiltà, propria di chi conosce la nobiltà del “fare” più che la fatica;
A quest’ultima generazione, che subisce le conseguenze e il torto di antiche licenze amministrative, una tecnica di lavoro sul presente tenendo lo sguardo “in faccia all’avvenir”;
A chi aspira all’occupazione, la nostra sensibilità e l’impegno determinato di chi confina nel lavoro l’insieme delle qualità che rendono un uomo virtuoso, utile alla famiglia e gradito alla società».