Continuano gli appuntamenti organizzati dal sodalizio reggino in collaborazione con il Comune di Reggio Calabria, la Biblioteca Comunale “Pietro De Nava” ed i laboratori di ricerca del sodalizio reggino, tali gruppo di ricerca Mnemos, centro studi “Gioacchino e Napoleone” e Centro Studi italo-ungherese “Árpàd”.
La manifestazione ha suscitato vivo interesse e curiosità, visto anche il folto pubblico presente, alquanto interessato e partecipativo alla manifestazione.
L’introduzione di Gianni Aiello ha evidenziato la chiara provocazione culturale atta a suscitare ulteriore interesse ed approfondimenti sulla tematica che nel corso degli anni ha suscitato numerose leggende che hanno affascinato i popoli della terra in ogni tempo, stimolando la fantasia di numerosi scrittori, storici, letterati.
La parola poi è passata ai relatori Daniele Zangari e Daniele Laganà.
Prima di entrare nel vivo della sua relazione il Zangari ha letto ai presenti un’antica “Preghiera del Santo Graal” . Il simbolo del Graal ha occupato un posto nell’immaginazione sin dal suo primo apparire della coscienza dell’uomo medievale in Europa.
E continua ancora oggi ad affascinare quanti s’interessano in vari modi alla sua sfera d’esistenza. Il Graal non ha a che fare né con divagazioni mistiche, né con le fantasiose ipotesi dei moderni esegeti.
Il Graal ha un contenuto iniziatici e regale e si lega ad una tradizione anteriore e preesistente al cristianesimo. Il simbolo della coppa quale oggetto di potenza
e quale causa di eventi miracolosi è antico quanto la stessa umanità.
Il Santo Graal (in latino Gradalis, cioè catino, vaso) è il richiamo di qualcosa di ancestrale, di archetipale legato alla necessità che ha sempre avuto l’uomo di raccogliere e trattare l’acqua della vita che – per la sua liquidità sfugge alla presa: dal primitivo corno ai crateri d’argilla cotta, ai calici di cristallo, così come al cranio umano o alle mani riunite a coppa, fino alla coppa d’oro tempestata di gemme preziose.
Nella filosofia greca il concetto di coppa è presente sotto forma del krater (cratere), la matrice della creazione.
Per le popolazioni celtiche la coppa era il calderone (della rinascita, della ispirazione, della pienezza). Lo stesso Re Artù ne andò alla ricerca.
Il Graal, il calderone di Ceidwen del gallese, il krater, il kernos dei misteri orfici ed eleusini non erano altro che porte del paradiso cristiano o pagano.
Nel Parzival il Graal è descritto non come una coppa, ma come una pietra, chiamata “lapsit exillis”. La pietra è una gemma, uno smeraldo caduto dalla corona dell’Arcangelo Luce (divenuto poi Lucifero) durante la lotta fra il “bene”, rappresentato dall’Arcangelo Michele e il “male”.
Privato dello smeraldo, Lucifero è condannato ad abitare nella terra come manifestazione del male, mentre la pietra stessa simboleggia la “caduta” che può essere “risollevata” solamente con la ricerca del Graal.
«Andando al titolo di questo convegno, “Il Santo Graal: tra mito e leggenda” -prosegue il relatore - dobbiamo fare cenno, sia pure di passata alle varie leggende che ci sono state tramandate. Dopo la morte di Gesù, il Santo Graal fu, secondo la leggenda, trasformato a Glastermbory, in Gran Bretagna, da Giuseppe D’Arimatea e da Nicodemo; comincia allora a svolgersi la storia dei cavalieri della tavola rotonda e delle loro imprese.
La tavola rotonda era destinata a ricevere il Graal quando uno dei cavalieri fosse riuscito a conquistarlo e l’avesse portato; e questa tavola è anch’essa un simbolo verosimilmente antichissimo, uno di quelli che furono associati all’idea dei centri spirituali».
La forma circolare della tavola è d’altronde legata al “cielo zodiacale” per la presenza attorno ad essa di dodici cavalieri, similmente ai dodici apostoli. Secondo il “Romanzo della storia del Santo Graal” di Robert De Boron, la famiglia di Giuseppe D’Arimatea, dopo la crocifissione, divenne custode del Graal.
Galaad viene presentato come il figlio di Giuseppe D’Arimatea, e il Graal passa al cognato di Giuseppe, Brons, il quale lo porta in Inghilterra e diviene il “Re pescatore”, Anfortas. Secondo un altro autore, Wolfram Von Eschembach, il maggiore dei cronisti del Graal, la famiglia del Graal apparterebbe alla casa d’Angiò e lo stesso Parzival sarebbe di sangue angioino.
La casa d’Angiò infatti aveva stretti legami con i templari e la Terra Santa nel 1331, dove, nel 1131, Fulco d’Angiò sposò la nipote di Goffredo di Buglione, la leggendaria Melusina e divenne Re di Gerusalemme.
A questo punto ci soffermeremo, anche se riteniamo divagazioni fantasiose, sui cosiddetti “documenti segreti” del priorato di Sion ed annessa genealogia del Graal. Partiamo da alcune premesse, che riteniamo abbastanza attendibili e plausibili.
Ma su questi è stata costruita una montagna. Esistevano ad Orval, nelle Ardenne, dei monaci di origine calabrese, arrivati nel 1070 nella terra dominio di Goffredo di Buglione.
Nel 1108 questi monaci scomparvero improvvisamente. Essi sarebbero tornati in Calabria, ma molto più probabilmente si sarebbero stabiliti a Gerusalemme, pare nell’Abbazia di Nostra Signora di Sion. Sembra che Pietro l’Eremita fosse uno di questi monaci e questi fosse stato il precettore di Goffredo di Buglione.
Nel 1099 Goffredo viene incoronato Re di Gerusalemme da un consesso il cui capo era di origine calabrese. Per volontà di Goffredo vienecostruito sul monte Sion un’abbazia, che ospita un ordine dedicato alla Signora di Sion.
Sembra inoltre che uno dei fondatori dell’ordine del tempio sia di origine calabrese, Ugo di Pagani (la famiglia era originaria di Rossano, provincia di Cosenza, ed era imparentata con gli Amarelli).
Appare pertanto, secondo questa logica che l’ordine di Sion possa aver dato vita all’Ordine del Tempio. Nel 1188, l’Ordine di Sion avrebbe modificato il suo nome in Priorato di Sion.
RIEPILOGANDO possiamo dire che le fonti del Graal sono le seguenti:
CICLO DI ROBERT DE BORON:
a) Giuseppe d’Arimatea;
b) Merlino;
c) Perlesvax.
Le Conte du Graal di Cretine de Troyes;
Il Perceval;
La quest del Sant Graal di Lacellotto;
Il Parzival di Wolfram Von Echenbach;
La morte di Arthur di Tomas Malory.
Il Graal ha anche un evidente legame con l’Islam, quando Mohddin Ibn’Arabi parla di una pietra preziosa recante inciso il sigillo divino, è la pietra di colui che è conosciuto in Islam come il “sigillo della Santità degli inviati e dei Profeti”, e che è Seydnâ Aissa, ossia Gesù.
Si può quindi supporre che sia questa la pietra di cui l’arabo Flegetanis aveva «chiaramente letto il nome delle stelle», uno dei quattro pilastri del mondo.
Sono state poi riassunte le virtù principali del Graal e cioè nella virtù di luce – dal Graal promana una luce sovrannaturale, che esso da vita, quindi nutrimento. Ma anche che il dono di vita del Graal si manifesta anche nella virtù di guarire ferite mortali, di rinnovare e prolungare soprannaturalmente la vita, il Graal induce una forza di vittoria e di dominazione; se il Graal da un lato ha una virtù vivificabile dall’altro ha una virtù terribile, distruttrice.
La forza del Graal distrugge tutti coloro che cercano d’impugnarla senza avere la qualificazione necessaria.
In definitiva il vero significato del Graal è quello della ricerca interiore che attraverso un’ascesi (graduale) porta ad una conquista spirituale, stimolata ed innescata da una iscrizione divina (la “parola sacra” tracciata sul calice, la pietra nera, la “pietra del destino” dei thvata De Danan, un oggetto non umano.
Il senso del Graal non si riduce tuttavia alle sue tradizionali rappresentazioni. La considerazione dei simboli che gli sono generalmente associati (la lancia sanguinante, la rosa, il triangolo con la punta rivolta verso il basso, il calice di Gesù) ne fanno un emblema del sacrificio, del dono divino.
Il Graal, inoltre, che abbiamo visto, non è solo un vaso (grasale) , è anche un libro (gradale, graduale), una pietra (lapsit excillis), o un cuore, come testimonia la trascrizione geroglifica del cuore mediante un vaso, o la sostituzione nelle carte da gioco del cuore alla coppa, nei tarocchi.
Concludendo, la leggenda del Graal vuole insegnarci che la vera iniziazione è regale e sacerdotale ad un tempo; che occorre essere predestinati per divenire cavalieri e poi Re del Graal; che i due principi – solare e lunare – sono entrambi necessari, ognuno nella funzione che gli è propria; che la vittoria si raggiunge con cuore puro, superando prove e lotte terribili;che il segreto è per sua natura incomunicabile ed è riservato a pochi.
La parola è poi passata a Daniele Laganà, esperto di tale tematica che è sceso appositamente da Napoli per tale manifestazione.Le argomentazioni trattate, durante l'intervento del relatore partenopeo, hanno soddisfatto la platea presente alla manifestazione organizzata dal sodalizio culturale reggino.
Per comprendere il significato del Graal, così come di ogni altro mito,dobbiamo imparare a leggerlo con la stessa purezza di un bambino che non vuole capire ciò che sta leggendo, ma, piuttosto, viverlo.
La vera conoscenza, infatti, non sta nella ragione, ma nella capacità di divenire una cosa sola con ciò che vogliamo conoscere, d'infrangere l'illusoria barriera che separa il soggetto conoscente dall'oggetto conosciuto.
Il linguaggio fantastico del mito consente di identificarci a tal punto col suo contenuto da intuirne l'insegnamento nascosto. Questo non consiste in una conoscenza astratta, ma in una profonda esperienza interiore.
La verità del mito, dunque, è dentro di noi, non fuori. Nel mito del Santo Graal, intuiamo la raffigurazione del principio femminile dell'anima, che, come una coppa, accoglie in sè lo spirito per riversarlo nel corpo così da ricomporre l'unità originaria tra il trascendente e l'immanente.
Come ci ricorda la liturgia eucaristica, infatti, il Graal è il calice che raccolse il sangue versato dal Cristo per la nuova ed eterna alleanza tra Dio e l'uomo, tra il cielo e la terra.
Il senso della ricerca del Graal è che l'anima deve divenire la coppa vuota che si rende disponibile alla rivelazione dello spirito. Ordinariamente la nostra anima è riempita dalle mille vicissitudini quotidiane che la rendono caotica e chiusa ad ogni influenza superiore.
E' questa la condizione in cui l'uomo sente l'inquietudine di essere solo nel mondo e può avvertire il bisogno di riscoprire una dimensione più profonda della vita. Allo stesso modo, come ci narra la letteratura medievale, i cavalieri della Tavola Rotonda partono alla ricerca del Graal quando il regno di Artù precipita nel caos poiché è stato perduto ogni contatto col sacro.
L'anima ritrova lo Spirito quando realizza uno stato di equilibrio, separandosi da ogni contenuto interiore e spogliandosi da ogni forma senza, però, perdere coscienza di sè. Il livello più alto della realizzazione spirituale, infatti, consiste nella capacità di divenire consapevoli della vita impersonale dello spirito che scorre in noi.
Per usare un'immagine, la coscienza dev'essere come il letto di un fiume che ne direziona le acque senza impedir loro di scorrere. Le avventure connesse alla ricerca del Graal sono la trasposizione, in forma simbolica, delle varie tappe del cammino attraverso cui il cercatore può giungere al proprio risveglio interiore.
A tal proposito gli alchimisti parlavano di "solve et coagula", cioè di saper separare il puro dall'impuro e di riunire in un solo centro gli elementi purificati.
Rendere chiaro il pensiero, padroneggiare la volontà, stabilizzare il sentire e riunire queste tre facoltà attorno all'unico asse della consapevolezza; per questa via l'anima, poco alla volta, si svincola dai dinamismi corporei e, divenuta libera, si fa strumento dello Spirito.
La vera libertà, infatti, sta nel riconoscere e nel seguire la propria essenza. La virtù principale che il cavaliere deve sviluppare, simboleggiata dal personaggio di Perceval "il puro e semplice", è quella della dedizione assoluta, il restare fedele allo Spirito anche quando tutto intorno a noi sembra negarlo.
Sorretto da questa virtù, Perceval riuscirà a giungere al castello del Graal dove l'attende l'ultima prova, la più grande.
E' la prova del vero Amore, quello di cui cantava Dante che "move il Sol e l'altre
stelle", cioè la capacità di essere uno con chi si ama.
Se l'anima si è veramente risvegliata superando i vincoli dell'egoismo non può non incontrare REALMENTE l'anima dell'altro.
Quando il cavaliere giunge al castello misterioso incontra Amfortas, il vecchio re del Graal, che giace in uno stato a metà tra la vita e la morte, ferito dal "colpo doloroso".
Di fronte alla sofferenza del vecchio re, Perceval deve mettere da parte la brama di afferrare subito "il prezioso Calice" e porre la questione "che rivendica e che risana, che restaura e che consola".
Egli, cioè, deve sentire il dolore di Amfortas; solo così l'eroe può comprendere che la coppa graalica si è risvegliata dentro di lui e che la sua anima trabocca di un Amore infinito che conferisce ogni saggezza ed ogni bene.
Quest' Amore è il dono che offerto, guarisce ogni male ed attraverso il quale Perceval cura il re sofferente. E' scritto, infatti, che il Graal lo si trova per servire e non per servirsene.
Un'ultima riflessione, prima di concludere, va fatta in merito ai cavalieri Templari, cioè a coloro che la Tradizione designa come i veri custodi del Calice dell'ultima cena.
Dal discorso fin qui fatto, si comprenderà come il tesoro dei cavalieri del Tempio, su cui si è tanto favoleggiato, non consiste in una ricchezza materiale, ma nella conoscenza delle chiavi interpretative della Sapienza primordiale che, tramandata attraverso i miti di tutti i popoli, insegna all'uomo la via per giungere a Dio.
I templari avevano ben compreso l'insegnamento contenuto in queste parole del Vangelo di San Giovanni : "ciò che viene dalla carne è carne, ma ciò che nasce dallo spirito è spirito: come può dal meno venire il più?".
Quindi, sapevano che, per riuscire a percepire nelle forme materiali l'essenza nascosta dello Spirito, bisogna aver prima imparato a conoscere lo Spirito dentro di sè e che la vera nobiltà sta nel far si che l'Intelligenza sia guida dell'agire materiale e non viceversa.