Il mondo sommerso dello Stretto di Messina è stato trattato in questo appuntamento al quale hanno relazionato Domenico Turano e Filippo Mallamaci che grazie al supporto visivo di interessanti diapositive (che in questa pagina, grazie alla loro disponibilità di Francesco Turano, possiamo ospitare) ed affascinanti filmati che hanno dato la possibilità di illustrare ed evidenziare al pubblico presente lo spettacolare habitat che la natura ci ha regalato sotto casa .
La provincia di Reggio Calabria è caratterizzata da una varietà di fondali marini del tutto insolita, una biodiversità legata soprattutto alle mitiche correnti dello Stretto, generate dall'incontro tra due mari così diversi come lo Ionio e il Tirreno.
Nella bella stagione l'acqua limpida rende le acque dello Ionio idonee all'immersione: ecco allora che il turista subacqueo avrà modo di osservare una fauna straordinaria, soprattutto durante le ore notturne, che consentono sia al biologo che al fotografo un maggior avvicinamento alle specie di giorno più diffidenti.
La luce del sole ci guiderà invece nelle immersioni sui numerosi relitti dello Ionio, soprattutto navi affondate durante l'ultima guerra e che il mare custodisce dopo averle trasformate in oasi di vita.
Il Tirreno, più colorato e con acque limpide in tutto l'arco dell'anno, è invece caratterizzato da pareti a picco con secche e grotte, montagne sommerse e franate di roccia secondo il luogo.
Il fondale si presenta in genere più colorato rispetto allo Ionio, per via di una gran quantità di invertebrati (soprattutto celenterati) che aderiscono al substrato in forte competizione, supernutriti dalle impetuose correnti che riescono ad influenzare tutta la zona a nord dello stretto, fino a Palmi e anche oltre.
Per quanto riguarda l'area dello stretto vera e propria, da Punta Pacì fino a Capo d'Armi, ha caratteristiche tutte sue, con fondali prevalentemente detritici e fortemente scoscesi verso la profondità già a pochi metri dalla linea di riva. Ogni agglomerato roccioso presente in queste zona è ricco di vita, sia esso una scogliera artificiale, un acciottolato, un masso isolato o quant'altro vi si può trovare, relitti compresi.
Ma la vita esplode senza eguali anche e soprattutto nelle zone apparentemente più desertiche, ovvero sulle distese sedimentose come la sabbia o il fango, dove si concentrano pesci ed invertebrati che, specialmente di notte, lasceranno attonito il più esperto tra i subacquei.
I fondali nei dintorni di Reggio Calabria sono dunque, da un punto di vista biologico, sicuramente i più interessanti di tutta la provincia, in considerazione del fatto che non è difficile imbattersi in specie animali solitamente di stanza a grandi profondità e qui invece reperibili anche a pochi metri.
Volendo offrire una visione generale degli itinerari subacquei della provincia di Reggio Calabria è opportuno percorrere un ideale viaggio da nord verso sud lungo la costa, osservando le caratteristiche principali dei differenti fondali e i periodi migliori per l’esplorazione degli stessi.
Il primo tratto di costa che nasconde fondali degni di nota inizia a Palmi, in località Le Tonnare, dove una splendida spiaggia lascia il posto, procedendo verso sud, ad una serie di pareti rocciose a picco sul mare, quasi ininterrotte fino a Bagnara Calabra.
Lo scoglio dell’Ulivo segna l’inizio di un mare splendido, di colore blu intenso, un mare subito profondissimo nel sottocosta, dove le pareti di roccia sovente continuano la loro corsa verso l'abisso mantenendo un andamento quasi verticale.
L'immersione in parete è un'esperienza unica, soprattutto pensando al colore che la roccia assume coperta com'è da celenterati e spugne: si va dall'arancio delle madrepore già presenti sotto il pelo dell'acqua al rosso carico delle gorgonie che formano un bosco fittissimo a partire dai -25/30m di profondità.
Ma le pareti a volte si fermano su fondali tra i 10 e i 20 metri di quota, e qui si aprono delle grotte la cui esplorazione riserva incredibili sorprese (la più famosa è la grotta delle Sirene).
La roccia a picco continua fino a Bagnara, dove il fondale scende meno rapidamente (raggiunge i -50m a circa 200 metri dalla costa anziché subito) ed è caratterizzato dalla presenza di alcune montagne sommerse con la vetta a 30/35 metri dalla superficie e la base sulla batimetrica compresa tra i -50 e i -60.
Non lasciamoci impressionare da queste profondità anche perché è possibile fare splendide immersioni a soli 10 metri tra cavità e passaggi nella roccia molto articolati.
Tra Bagnara e Scilla il litorale si presenta sabbioso e le uniche immersioni interessanti si possono fare sulle secche situate al largo di Favazzina.
Giunti a Scilla, il fondale circostante la rupe sormontata dal castello dei Ruffo è costellato da guglie di roccia, vere e proprie montagne che dal fondo si ergono imponenti verso la superficie. Sono le ormai famose secche di Scilla, lambite dalle correnti dello Stretto in modo deciso e ricche di una fauna bentonica unica nel Mediterraneo.
Le immersioni sono abbastanza impegnative e quasi tutte fattibili entrando in acqua da una barca appoggio. Superato il promontorio di Scilla incontriamo la spiaggia di Marina Grande e, subito dopo, Punta Pacì, un promontorio che segna l'inizio di un tratto di litorale franoso con fondali molto accidentati e vivi.
Correnti sempre più forti consentono l'immersione in periodi molto limitati nell'arco di un mese, solo nel periodo a cavallo del quarto di luna.
Oltrepassata l'area di Villa San Giovanni, dove sia le correnti sia la zona interessata da un intenso traffico marittimo non consentono di praticare l'immersione sportiva, entriamo nel tratto centrale dello stretto, in quelle zone circostanti la città di Reggio, regno delle immersioni notturne su fondali sabbiosi o su scogliere artificiali molto particolari.
Fondali subito in forte discesa a pochi passi da riva, con sedimenti di diversa natura man mano che si procede da Archi, a nord,verso San Gregorio, a sud; fondali ricchi di invertebrati altrove rari, che col buio escono allo scoperto per la gioia del turista subacqueo.
Da Pellaro in poi iniziano quelle caratteristiche tipiche dei fondali meridionali della provincia reggina, con rocce sparse sulla sabbia, orlate e qualche grotta situata a grandi profondità.
Dopo la relazione di Francesco Turano si è passati a quella di Filippo Mallamaci che ha esordito ricordando che nel 1958 venne effettuato il primo Congresso Internazionale di Archeologia Sottomarina.
Nella stessa conferenza ha preso corpo la discussione sulle differenze con quella terrestre, modalità di scavo e accordo sulla dizione Subacquea.
Bisogna precisare che gli scopi e le finalità perseguiti sono gli stessi, mentre le tecniche operative , di scavo o recupero sono diverse.
Daremo dei cenni su quello che il nostro mare ha donato a molti ricercatori e su quello che ancora oggi nasconde, approfondendo i metodi dell’archeologia subacquea.
Bisogna puntualizzare che esiste un ufficio nell’ambito del Ministero dei beni culturali, chiamato STAS, creato appositamente per questo genere di ricerche.
Infatti è importante ricordare che l’archeologia subacquea, prima della creazione dello STAS era opera di pochi, i quali per lo più esercitavano tali ricerche solo ed esclusivamente per fini personali.
L’attività subacquea era a quel tempo considerata un’attività altamente pericolosa, ricordiamo che il periodo citato è quello degli anni 70, 80 , grazie alle didattiche americane si è dato incremento a questo sport il quale ha permesso un evoluzione settoriale e nel nostro caso della ricerca subacquea.
Le indicazioni che permettono le attività archeologiche subacque sono due:
O il ritrovamento fortuito, o la ricerca sistematica determinata da ricerche storiche.
Prevalentemente verranno effettuate le ricerche in quelle zone che storicamente furono sedi di porti o scali ,verificando se tra di loro vi erano piccoli cabotaggi e in quel caso produrre delle ricerche al fine di ritrovare relitti o merci, nei pressi di secche o punte, luoghi pericolosi alla navigazione .
Altre località da esplorare sono quelle che per fenomeni naturali vari, risultano oggi sommerse, facendo si che l'opera dell'uomo non intaccasse le strutture adagiate sul fondo.
Non bisogna considerare gli antichi porti, i quali oggi a causa dei mutamenti della linea di costa trovano locazione nell'entroterra, saranno oggetto di ricerca da parte di chi opera nelle zone terrene.
Ad esempio Locri famoso scalo della Magna Grecia risulta essere interrato.
È un argomento strettamente archeologico, ma bisogna considerare che l’operatore subacqueo intento nelle ricerche o nella perlustrazione, deve quantomeno avere un’idea almeno approssimativa di cosa può trovare e di come si presenta.
Infatti è accaduto che scorgendo un cumulo di detriti e sabbia dal quale sporgeva un grosso maniglione, ci si assicuri una sagola per l’ormeggio.
Molte sono le varianti che intervengono sulla conservazione dei reperti in seno alle acquee, infatti vi è da fare una grande distinzione tra mare, acque dolci, laghi e fiumi.
In mare intervengono vari organismi che tendono ad aggredire il reperto, rendendolo irriconoscibile nel tempo, in alcuni casi portano alla totale distruzione delle parti lignee.
In acqua dolce soprattutto dove avviene un naturale ristagno, la conservazione e maggiore ,considerato che le stesse sono povere d’ossigeno, determinando nel tempo la fossilizzazione.
I metalli vedi il bronzo e il rame, in mare hanno una conservazione discreta in particolar modo se incrostati da organismi.
In mancanza di questo il rame, pur mantenendo le forme, può trasformarsi radicalmente, assumendo una colorazione scura , diventando rigido e fragile.
Il ferro viene completamente distrutto lasciando una leggerissima traccia difficilmente riconoscibile.
Nelle acque dolci, tutti i metalli si conservano abbastanza bene, il bronzo in maniera particolare.
Importanza fondamentale riveste la natura del sedimento, il quale rende la conservazione più o meno ottima.
Infatti difficilmente riusciremo a trovare tracce tangibili di una presenza storica in ambienti rocciosi, vuoi per la struttura solida del fondo, che unita all’azione del mare e delle correnti in brevissimo tempo determinano la totale dissoluzione del reperto, anche se ricoprendosi di ciottoli o detriti può nel tempo rimanere in risalto.
In ambienti sabbiosi o melmosi, vi è una naturale protezione del sito archeologico, quali relitti, strutture abitative o commerciali, le quali col tempo subiranno un processo di livellamento, che non permetterà un facile ritrovamento dello stesso.
Nell’ambito dello Stretto di Messina, un altro fattore che determina in alcuni siti la cattiva identificazione dei reperti è la conformazione del fondo, il quale già a pochi metri dalla battigia scende vertiginosamente verso alte profondità.
Ciò ha determinato nel tempo l’inabissamento dei reperti, che in origine erano depositati a poca distanza dalla battigia.
La sommaria descrizione fornita, da un’idea su quanto sia complessa e articolata la programmazione di una ricerca subacquea.
A questi fattori basilari dobbiamo sommare una meticolosa conoscenza dei luoghi da perlustrare, evidenziando che una ricerca sul campo otterrebbe dei risultati migliori di una programmazione a tavolino.
AMBITI DELLA RICERCA SUBACQUEA
NATURA E CLASSIFICAZIONE
DEI REPERTI