Le trenta piste o tracciati del volume presentato da Gianfranco Cordì, nel corso della prima giornata delle “Serate al Chiostro”, rappresenta una miscellanea organizzata dallo stesso autore che lo ha visto impegnato dal marzo 2005 al gennaio del 2007.
La scelta del titolo, afferma il relatore, è dovuta al fatto che esse conducono da qualche parte: «Una recensione – continua Gianfranco Cordì – viene effettuata per “trasportare” il lettore all’acquisto o meno di una pubblicazione, quindi esse rappresentano un preciso indirizzo a tale scopo».
Ma lo scopo che Gianfranco Cordì è anche quello per evidenziare ed approfondirne i giudizi dei luoghi facenti parte di questo interessante percorso filosofico.
Si parte dai classici per arrivare ai più moderni esponenti del tema trattato, quindi le recensioni metafisiche, le stroncature, quindi trenta indirizzi nel cuore della filosofia, come il Cordì afferma nel corso del suo intervento.
A riguardo i classici Gianfranco Cordì pone la sua attenzione su Epicuro (III secolo a.C.) il quale afferma: «abituati a pensare che nulla è per noi la morte: in quanto la morte è privazione di senso».
Si parla poi della “Metafisica” di Aristotele quando nel IV secolo la filosofia poteva ancora definirsi «Metafisica», del tempo di Seneca, Hobbes, Erasmo da Rotterdam, Rosseau, Nietsche, Carl Schmitt, Corey Robin, Norberto Bobbio.
Il percorso di Gianfranco Cordì spazia nel tempo parlando di Kant “L’illuminismo è l’uscita degli uomini da una minorità e loro stessi dovuta”, Adolf Fisher “Tutto quel che è anarchico è socialista”, di Romeo Bodei il quale disegna una «“geometria” degli affetti umani che va storicamente a coprire cento anni della storia dell’uomo: dal XVII secolo di Spinoza alla morte di Robespierre».
In questo arco di tempo Gianfranco Cordì evidenzia come il filosofo sardo realizza degli interessanti riferimenti come si può chiaramente evincere nella “Geometria delle passioni” dove l’autore cagliaritano dice che “ragione e passioni sono ... termini pre-giudicati, che occorre abituarsi a considerare come nozioni correlate e non ovvie, che di definiscono a vicenda solo all’interno di determinati orizzonti”.
Quindi all’interno del tracciato bodeiano, come lo definisce Cordì, vi sono delle coppie come quelle relative a Spinoza/Hobbes, Pascal/Descartes e Rivoluzione francese/Giacobinismo, quindi “molti riferimenti, finestre, fuochi” questi i termini usati dal relatore.
Ma l’argomento centrale della serata è stato quello sulla democrazia e sulla figura di Alexis De Toqueville: Gianfranco Cordì fa un altro paragone, quello tra l’esploratore inglese David Livingstone e il sopra citato Alexis De Toqueville.
«Nell’anno di grazia 1871 – continua Gianfranco Cordì - John Rowlans Stanley venne incaricato dal New Jork Herald di partire alla ricerca dell’esploratore inglese David Livingstone, di cui non si avevano più notizie da più di due anni.
Quando lo incontrò, finalmente, a Ugigi (nel cuore dell’Africa nera), Stanley con perfetto stile british gli disse le celebri parole: “ Dr. Livingstone, I suppose “.
Oltre che giornalista, Stanley a sua volta era un esploratore anch’egli.
Ovvero: si spendeva a percorrere, visitare, una zona od un luogo per dei motivi di studio.
Alexis- Charles- Henri Clérel de Tocqueville (Parigi, 29 luglio 1805 – Cannes, 16 aprile 1859) con il suo amico nonché collega Gustave De Beaumont sbarcò in quel di New York, per la prima volta, quarant’anni prima che avvenisse il viaggio di Livingstone: il 10 maggio del 1831.
Per parte di Tocqueville il risultato di tale viaggio fu l’opera La democrazia in America, che venne pubblicata, in parti diverse, a Parigi fra il 1835 ed il 1840 e che adesso viene ripresentata per i tipi della Bur nel nostro paese (Bur, quarta edizione 2004).
Il libro non è altro che il resoconto, documentato quanto più possibile, di ciò che Tocqueville ha avuto modo di vedere nei paesi che stanno al di là dell’Atlantico.
Proprio come un esploratore, Alexis de Tocqueville si addentra nei territori dell’Unione, vi scopre quanto vi è da scoprire, analizza con metodo ogni singola cosa, cura l’edizione delle sue ricerche, fa conoscere la realtà dell’America al mondo intero.
Ma cos’è questa democrazia, dunque ? E che cos’è quest’ America ? A questo punto occorre subito dire che Tocqueville non tende affatto a nasconderci che “ l’America è il paese più democratico della Terra “ e che lui stesso, con il suo viaggio ed il suo libro, ha voluto in verità vedere nell’America “qualcosa più dell’America; vi ho cercato un’immagine della democrazia, del suo carattere, dei suoi pregiudizi, delle sue passioni e ho voluto studiarla per sapere quello che noi dobbiamo sperare o temere da essa “.
Immettersi dentro l’America di Tocqueville, dunque, vuole dire, nello stesso tempo, immettersi dentro ai meccanismi della democrazia tout court e vuole dire provare questa democrazia in ogni sua circostanza e potenzialità.
Il percorso effettuato da Alexis de Tocqueville si compie, allora, dall’individuazione dell’uguaglianza delle condizioni vista come stigma della democrazia americana del suo tempo – oltre che, fermo restando quel che dice Giorgio Candeloro nella Prefazione apposta al volume, di quel “ cammino dell’umanità “ che si stava proprio allora intraprendendo, il quale è ed in se sarà celere, grandioso, instancabile ed irresistibile – all’isolamento che egli fa dei vantaggi e dei pericoli di tale stigma.
Il pericolo maggiore che vi è, parrà perciò a lui quello della cosiddetta tirannia della maggioranza; il vantaggio più grosso: quello dell’inedita libertà politica.
All’interno di un prisma fatto in modo tale che la democrazia possa riflettere e riflettersi in se stessa attraverso ogni suo più infimo particolare, Tocqueville arriva così a riuscire in quello che era stato il suo primario intento di esploratore.
Ovvero nel fare scoprire ad ogni suo contemporaneo l’esistenza di un topos che egli dimostra essere non solo politico ma anche e principalmente economico, sociale, culturale oltre che morale.
E la grandezza di Tocqueville starà proprio nella circostanza esatta che egli questo topos riesce a portarlo alla luce con ben 17 anni di anticipo rispetto allo scoppio di quel quarantotto che farà, prepotentemente, conoscere ad ogni paese dell’Europa della Restaurazione e del mondo intero tutta una costellazione di nuove esigenze, nuovi stimoli, un codice interpretativo della realtà del tutto nuovo.
Ecco allora che Tocqueville diventa davvero profeta: questo topos saprà rivelarsi di certo straordinario per i popoli del vecchio continente anche se i prodromi erano già tutti lì, negli Stati Uniti d’America, se è vero come è vero che “solo il nome degli attori è diverso, il dramma è sempre quello“.
Gli americani, a cui è stato concesso il più grande privilegio, quello “ di poter fare degli errori riparabili “, sono anche quelli per cui “ l’interesse individuale [ è diventato ] più che mai il principale, se non l’unico, motore delle azioni umane “. La democrazia in America non potrà dunque che svolgersi ed avvolgersi tutta quanta attorno a questa forbice.
Giungendo così a percorrere un cerchio esatto fatto solamente di osservazioni e di elencazioni che non sarà altrimenti eguagliabile né per gli anni in cui il libro di Tocqueville fu scritto ne per quelli a venire.
In modo che, ancora una volta anche oggi, quando ognuno si porta nelle vicinanze delle tematiche comunque democratiche, anche costui, come Stanley, non potrà che fare a meno di esclamare: “ Dr. Tocqueville, I suppose “».
Quindi da queste cifre, esperienze, Toqueville diventa profeta della democrazia Gianfranco Cordì parla anche di Immanuel Kant e della sua idea di federazione repubblicana, una sorta di federalismo controverso – come afferma il relatore – ma sempre secondo Gianfranco Cordì in Kant si ricorda anche la globalizzazione, infatti nella sua pubblicazione del 1795 “Per la pace Perpetua – “Zum Ewigen Frieden –Einphilosophischer Entwurf won I. Kant”, dove si parla proprio di “progetto globale” da dover porre in atto ai fini del conseguimento, da parte degli stati in modo da poter realizzare tutte quelle disposizioni indirizzate a quella «idea della ragione» che rappresenta lo strumento necessario della pace.
Nella parte finale della serata si parla del federalismo e di Immanuel Kant e della sua idea di federazione repubblicana, una sorta di federalismo controverso ma anche del “Manifesto di Ventotene”, pubblicato clandestinamente nel gennaio del 1944 da Altiero Spinelli ed Ernesto che con la stesura di questo documento propongono la crescita di uno stato federale europeo, il quale deve disporre di una forza armata europea che sostituisca gli eserciti nazionali.
Il federalismo da essi proposto riuscirà ad avere un definita collocazione, cioè l’Unione europea varata a Maastricht nel febbraio del 1992 che, come dice Lucio Levi, “costituisce l’embrione di un potere federale europeo”.