U. ALBINI, “Riso alla greca”,  Garzanti ,1997
AA. VV., “I comici greci”, Bur Rizzoli, 2009
J. MORREALL, “Filosofia dell’umorismo”,Sironi Editore, 2011
A. TAGLIAPIETRA, “Non ci resta che ridere”, Il Mulino, 2013
M. BEARD,”Ridere nell’antica Roma”,Carocci Editore, 2016
Una nuova pagina va ad aggiungersi al capitolo dell'umorismo, tema al quale il Circolo Culturale “L'Agorà” presta attenzione organizzando appositi incontri su tali aspetti. Nell'incontro odierno sono stati analizzati, a cura di Nino Megali, le origini e da qui il titolo della conversazione “L'umorismo ebraico". Dopo la parte introduttiva di Gianni Aiello (presidente del sodalizio organizzatore) la parola è passata ad Nino Megali che ha analizzato nel corso del suo intervento vari aspetti su tale argomento. “Satura quidem tota nostra est” affermava Quintiliano quasi con orgoglio definendolo un genere non venuto dalla Grecia, ma ideato dai romani. La stessa etimologia è romana. Niente a che vedere pertanto con i figli di Dioniso i Satiri, raffigurati come creature grottesche, con corna, orecchie e piedi di capra con zoccoli, i cui attributi erano il tirso, il flauto e otri di vino. A usare per primo il termine satura fu Ennio per indicare poesie miste di vario genere, così come lanx satura era un piatto pieno di varie primizie offerto agli dei. Tra i greci mancava un genere “satirico” anche se sono numerose le opere d’ impronta parodistica. La satira romana è particolare già per la sua origine. Prima nell’ambiente agricolo designava scambi di facezie tra contadini; poi uno spettacolo teatrale in cui vi era danza musica e recitazione. In seguito tra gli scrittori latini si manifestò come critica dei costumi, dei comportamenti umani e dei pubblici vizi. Ma fu il filosofo greco Aristotele ad analizzare in modo sistematico il riso e a formulare due importanti principi. Il primo è che l’uomo è l’unico animale che ride, il secondo che il riso può essere un’espressione di superiorità di chi ride e di disprezzo nei confronti della persona oggetto del riso. In Grecia le prime composizioni comiche furono organizzate nel 580 a.C. e come premio vincitori ricevettero un canestro di fichi secchi e un’anfora di vino. Nei concorsi si distinsero molto poeti comici, autori di numerose commedie, ma delle quali ci restano purtroppo solo frammenti. L’unico autore del quale abbiamo commedie complete è Aristofane che con i suoi giochi di parole, le oscenità, le situazioni comiche, la satira feroce, le invenzioni spettacolari è, a ragione , considerato il maestro del comico. Caratteristica degli autori delle commedie comiche era quella di non risparmiare nessuno: politici, filosofi, mercanti, soldati, donne, bambini, indovini e perfino gli dei. Aristofane negli Uccelli mette insieme il dio del mare Poseidone e Eracle, la cui fame era forse superiore alla sua forza tanto che il commediografo siracusano Epicarmo  così la descrive:

                     A vederlo mangiare ti viene un colpo:
strepita la strozza, scricchiola la mascella,                                                                         
stride il molare, cigola il canino
le narici fischiano, le orecchie sventolano.

Un primo personaggio da citare parlando del riso greco è Democrito passato alla storia come il filosofo che rideva sempre tanto che viene chiamato dai cittadini di Abdera preoccupati per la sua salute mentale- il famoso medico Ippocrate per curarlo. Quando Ippocrate incontra Democrito scopre che non è affatto pazzo: il filosofo ride solo della follia dell’umanità. Al contrario a Roma Plinio cita- nel contesto di curiosità riguardante il corpo, Socrate che aveva sempre la stessa espressione in viso e Antonia figlia di Marco Antonio , che non aveva mai sputato- il caso di Crasso ( nonno del più famoso Marco Licinio Crasso) che non aveva mai riso in vita sua.
Ricordiamo che nel mondo antico Sparta fu l’unica città del mondo in cui esistevano una statua e un santuario per il culto del dio Riso accanto a quelli del terrore e della morte. La statua fu voluta dal legislatore Licurgo. Una delle più antiche testimonianze del riso in letteratura è un verso dell’Iliade:” E tutti risero nonostante la loro pena “. Il riferimento è all’episodio di Odisseo che bastona sulla gobba Tersite che non finisce di ingiuriare Agamennone . Ricordavamo sopra le centinaia di frammenti in lingua greca di autori comici giunti a noi . Ne citiamo di seguito qualcuno. Un frammento di Ferecrate ricorda l’ambivalenza sessuale di Alcibiade:” A me pare che Alcibiade, pur non essendo un uomo, ora sia l’uomo di tutte le donne.”.Di lui si diceva che “quando era un ragazzino portava via i mariti alle mogli, mentre, divenuto adulto, porta via le mogli ai mariti”. E non viene nemmeno risparmiato da Archippo il figlio di Alcibiade accusato di imitare il padre :Cammina tutto ben vestito, col mantello che gli arriva fino ai piedi per rassomigliare ancora di più al padre, si muove con i tipici gesti di un effeminato e parla come se fosse bleso. In questo frammento di Eupoli non viene risparmiato il padre degli dei : O caro Zeus, il tuo naso è come un vaso per versare acqua nel bagno. Qui  il naso è paragonato ad un vaso che sgocciola in continuazione, probabilmente da un personaggio che si lamenta per le piogge eccessive riversate sulla terra dal dio. Un altro frammento di Aristofane sostiene che un uomo anziano è una vergogna per una donna giovane; e un altro di Cratino ricorda un detto giunto fino a noi: Allora era vero il proverbio che dice che il vecchio è due volte bambino. E non manca in un frammento di Platone una frecciata contro le donne : Se la punisci sempre, una donna è più utile di tutti gli oggetti; ma se la perdoni, è un essere insolente e sfrenato. Sulla vecchiaia citiamo un frammento di Diocle: Nessuno di voi o uomini, desideri mai diventare vecchio, e se, da giovane, è riuscito a provare qualche gioia, pensi più tosto a morire subito, nel fiore dell’età, per non passare tutto il resto della vita senza denti.
E a proposito del bere e mangiare Cratino sostiene:Se bevi acqua non potrai creare nulla di saggio. E il poeta Anfide: Che le lattughe vadano alla malora! Se uno che ha meno di sessant’anni le mangiasse, tutte le volte che va con una donna si girerebbe nel letto per l’intera notte senza combinare nulla. E si racconta infine che Aristippo fondatore di una scuola filosofica a Cirene, praticava, con i suoi discepoli, una vita dedita ai piaceri un giorno incontrò un mercante arricchito che chiese al filosofo di occuparsi dell’educazione del figlio. Per farlo Aristippo pretese cinquecento dracme, somma che all’altro sembrò esagerata.” Per la stessa cifra potrei comprarmi un bell’asino” gli disse. E Aristippo ribatté: ”Fallo e ti ritroverai due asini in casa”.
Ѐ meglio, per l’uomo, farsi una risata della vita piuttosto che piangerne. Con questa massima di Seneca passiamo ad occuparci del riso nell’antica Roma. In Grecia come abbiamo visto per provocare il riso si usavano motti spiritosi attribuiti a filosofi o a personaggi famosi o talvolta usati da individui che volevano scroccare  la cena facendo ridere. A Roma era consuetudine scambiarsi storielle molto simili a quelle che noi oggi chiamiamo barzellette, che poi venivano tramandate, studiate e inserite in tutto quello che i romani facevano e furono loro a creare il concetto di umorismo come “ sale” del colloquio . Una risata fuor di luogo poteva anche costare la vita. Esaminando il rapporto degli imperatori con il riso, molti accettavano sì di essere presi in giro, ma solo da gente umile e non dai nobili. Racconta lo storico Cassio Dione che, seduto tra i senatori in prima fila in uno spettacolo al Colosseo, quando l’imperatore Commodo nell’arena, ridendo, si mosse verso di loro con una testa mozzata di struzzo nella mano sinistra e una spada insanguinata nella destra, non disse niente ma ghignando si capiva che poteva fare lo stesso con loro. Ridere sarebbe stato pericoloso, per cui Dione strappò le foglie d’alloro della sua corona e si mise a masticarle per nascondere la risata che stava per manifestarsi. Infatti Commodo non tollerava gli scherzi. Si dice che ordinasse ai suoi soldati di uccidere le persone del pubblico sospettati di prenderlo in giro. Un’altra volta aveva posto un uccello sulla testa di un uomo che aveva alcuni capelli bianchi. Il volatile aveva scambiato i capelli bianchi per vermi e si era messo a beccarli provocandone la morte. Piuttosto deboli le battute dell’imperatore Claudio. Quando la folla una volta invocava a gran voce il nome di un gladiatore, Palumbus, letteralmente “colombaccio” promise di portaglielo se si fosse riusciti ad acchiapparlo.
Più pericolosi gli scherzi di Caligola. Svetonio racconta che durante un banchetto si mise a ridere fragorosamente. I consoli sdraiati accanto a lui gli chiesero di che cosa stesse ridendo. “Solo all’idea che a un mio cenno potrei farvi sgozzare all’istante”. Una volta sola sopportò la presa in giro di un calzolaio. Dione racconta che c’era un Gallo che vide l’imperatore seduto in tribuna che dava responsi vestito da Giove. L’uomo si mise a ridere. Caligola lo chiamò e gli chiese: Come ti sembro? E l’uomo rispose : Come un vero idiota.
Eliogabalo era solito ridere talmente forte a teatro da coprire la voce degli attori. E nei convivi faceva sedere i suoi amici meno importanti su alcune sacche piene di aria e le faceva sgonfiare mentre quelli cenavano, così che spesso si ritrovavano all’improvviso sotto il tavolo nel bel mezzo del pasto. Gli scherzi piacevano anche all’imperatore Adriano. Entrando un giorno nelle terme notò un anziano che si strofinava la schiena nuda contro una parete. Alla domanda di Adriano su quel comportamento, rispose che non aveva uno schiavo che lo strofinasse.  Adriano allora gli regalò uno schiavo e del denaro. La voce si sparse e quando l’imperatore tornò alle terme vide tanti uomini che si strofinavano la schiena contro le pareti. Adriano- buono ma non stupido- ordinò che ciascuno strofinasse la schiena dell’altro. Ma anche a lui capitò di essere messo in riga da una donna del popolo. Questa cerca insistentemente di fermarlo per fargli una richiesta, ma è cacciata via con la scusa della mancanza di tempo. La donna indispettita gli dice: Allora non fare l’imperatore. Il più tollerante fra gli imperatori romani fu Augusto, tanto da essere ammirato più per le battute subite che per quelle pronunciate. Celebre la storiella di un provinciale venuto a Roma che era molto somigliante all’imperatore. Augusto ordinò che fosse condotto da lui e dopo averlo osservato gli chiese : “ Dimmi giovanotto, tua madre è mai stata a Roma?”. No, disse il giovane, per poi aggiungere :” Però mio padre sì, spesso”. Questa barzelletta passa per essere, cambiati i nomi dei protagonisti, quella preferita da Sigmund Freud. Poche le battute tramandateci dette da donne. Della figlia di Augusto, Giulia, viene citata la risposta a chi si meravigliava della somiglianza dei suoi figli al marito Agrippa, nonostante si concedesse a tutti :”Non prendo mai a bordo un passeggero se non quando la stiva è piena”. I funerali degli imperatori erano seguiti da imitatori e buffoni che ricordavano le debolezze del defunto. A quello di Vespasiano, noto per la sua avarizia, Favor, la star dei mimi, che indossava la maschera dell’imperatore, domandò a gran voce ai procuratori quanto costasse il funerale e la processione. Appreso che costavano dieci milioni di sesterzi, gridò :”Datemene centomila e gettatemi nel Tevere”.
Passiamo ora a un autore che abbiamo conosciuto pe le sue orazioni :Marco Tullio Cicerone. Da molti giudicato noioso e ampolloso, fu in realtà autore di battute di giochi di parole di facezie. Quando nella difesa di Milone viene chiesto all’oratore di specificare quando era morto Clodio, rispose con una sola parola :”Sero”. Giuocava sul doppio significato della parola da tradurre  tardi/troppo tardi. Clodio era infatti morto nel tardo pomeriggio, ma sarebbe stato meglio eliminarlo prima. Secondo Quintiliano questa è una delle più belle battute dell’oratore. Contro un uomo che aveva figlie brutte, citò il verso di una tragedia :Fu contro il volere di Febo Apollo che egli generò figli ; al figlio del dittatore Silla che aveva reso noto la lista dei suoi beni messi all’asta, disse di preferire le liste del figlio a quelle del padre che aveva pubblicato i nomi di coloro che dovevano essere giustiziati. E rivolgendosi ad un censore  alcolizzato:” Temo che l’uomo mi condannerà perché bevo acqua. Quando il console Vatinio stava male e si lamentava che Cicerone non fosse andato a trovarlo gli rispose :Sarei voluto venire durante il tuo consolato, ma mi sorprese la notte, con ciò riferendosi alla breve durata della sua carica.Una volta un aristocratico, Metello Nepote, che lo disprezzava per le sue origini plebee, durante un litigio gli chiese ripetutamente: Ma chi crede di essere? Chi era tuo padre ? Al che Cicerone replicò:” Quanto a te, tua madre ti ha reso la risposta alquanto difficile”.  Anticipando le teorie moderne , Cicerone si pone il problema di come l’oratore possa sfruttare il riso, che cosa e perché lo provochi. Il principale, se non l’unico stimolo al riso, dice, è costituito da quei detti che sottolineano e prendono di mira qualcosa di inappropriato in modo del tutto appropriato. Ed è sempre lui a sostenere che niente è meno divertente dello spiegare una barzelletta, concetto che è giunto fino a noi. Inoltre sostiene che il riso “Sgorga così inaspettatamente che per quanto si tenti non si riesce a trattenerlo e spiega che una risata interessi le seguenti parti del corpo: Fianchi, polmoni, bocca, voce, viso e vasi sanguigni. Un altro che ci da lezioni sul riso e su come ridere è il poeta Ovidio. Ma il modo con cui lo fa è a limite tra il serio e lo scherzo. Consiglia per esempio a non ridere se si hanno denti neri, troppo grandi o storti. E nel caso di giovani donne la bocca si apra di poco e le fossette su ogni lato siano contenute. Ancora più complicato il principio per cui  “Devono far sì che il fondo delle labbra copra la cima dei denti e non devono squassare i fianchi ridendo continuamente, ma emettere un lieve suono femminile.
Veniamo ora a una raccolta di duecentosessanta cinque storielle conosciute sotto il titolo di Amante del riso, scritta in lingua greca ma risalente al IV o V secolo d.C., contenete facezie, doppi sensi, battute, barzellette trovate comiche. (La sai quella del vecchio avaro che aveva fatto testamento a favore di se stesso?). (Come fa uno con l’alito cattivo a suicidarsi? Si mette una sacca in testa e muore asfissiato). Non tutto il contenuto resiste all’usura del tempo, ma non mancano storielle che ancora oggi possono strappare un sorriso. Ad esempio quella dell’intellettuale che durante la festa che ebbe luogo a Roma per il millennio ( 21 aprile 248 d.C.) vide un atleta sconfitto che piangeva e volle risollevarne il morale. Non essere turbato, disse, ai giochi del prossimo millennio vincerai tu. O quella del barbiere chiacchierone. Un barbiere domandò a un cliente: Come vuoi che ti tagli i capelli?. In silenzio, fu la risposta. Vi è anche qualche riferimento a famosi personaggi, citati in forma anonima. Come quello che dopo aver distrutto Corinto portava via alcuni antichi dipinti e nel caricarli sulle barche disse ai capitani:” Se li perdete, li rivoglio nuovi”. Non manca quella del medico. “Dottore dice il paziente, quando mi sveglio per mezz’ora mi gira la testa, poi sto bene”. E il dottore risponde:” Si alzi mezzora dopo. Spesso sono presi di mira gli abitanti di città dell’Impero situate nel Mediterraneo orientale come Abdera, Sidone, Cuma. Un uomo di Cuma stava nuotando quando cominciò a piovere, allora per non bagnarsi si tuffò in profondità. Oppure un uomo: di Abdera, vedendo un eunuco chiacchierare con una donna, chiese a un tizio se quella fosse sua moglie. Quando l’altro osservò che un eunuco non può avere moglie, disse: Allora deve essere la figlia. Ai sidoniti è dedicata la battuta : Prestami un coltello fino a Smirne . Risposta: Non ho un coltello che arrivi fino a Smirne. Vi sono anche storielle sui sogni. Qualcuno incontrò un intellettuale e disse : Mio dotto signore, vi ho visto in sogno. Buon dio, quello replicò ero così indaffarato che non vi ho neppure notato. A proposito di morte. Un uomo incontra per caso un amico e dice :Mi hanno detto che eri morto. L’altro replica : Ma come vedi sono vivo. E il primo risponde : Ma la persona che me l’ha detto è molto più attendibile di te. Sei tu che sei morto o il tuo gemello? Chiede un intellettuale incontrando per strada il superstite. Infine una barzelletta classica che può essere ritenuta valida anche oggi.
Un intellettuale, un pelato e un barbiere erano in viaggio e si erano accampati in un posto solitario. Decisero che sarebbero stati svegli a turni di quattro ore per fare la guardia ai bagagli. Quando fu il turno del barbiere, volendo passare il tempo, rase la testa dell’intellettuale e quando finì il turno, lo svegliò. Non appena sveglio, l’intellettuale si sfregò la testa e scoprì di non avere più capelli. Il barbiere è un vero idiota, disse. Ha sbagliato tutto e al posto mio ha svegliato il pelato.
Molti modi di dire, riguardanti il riso giunti fino a noi, dal mondo classico. Ve ne sono notissimi come “Morire dal ridere, o cosa vieta ridendo di dire la verità”, e qualcuno meno conosciuto come la cosiddetta “Risata omerica”. L’origine è nell’Odissea. Zeus aveva fatto unire Efesto ad Afrodite, ma questa divenne l’amante di Ares. Un giorno Elio, il sole che vede tutto li sorprese insieme e andò a raccontarlo al marito. Efesto preparò allora una rete invisibile che dispose intorno al letto . Quando i due amanti si coricarono la rete si chiuse e li immobilizzò. Poi chiamò tutti gli dei per godersi lo spettacolo. Questi dopo aver visto Ares e Afrodite intrappolati e la successiva scenetta di Apollo che domanda a Ermes se non gli piacerebbe andare a letto con Afrodite e quello risponde : Anche legato da catene ben più pesanti e più numerose; scoppiarono in una risata fragorosa e irrefrenabile. Così nacque la cosiddetta risata omerica.
Il fatto che dopo duemila anni si rida di alcune battute e di altre storielle di cui ridevano i romani, dimostra che anche da loro abbiamo imparato come ridere e di che cosa ridere è la prova secondo la studiosa inglese Mary Beard che furono proprio i romani gli inventori della barzelletta senza dimenticare che l’umorismo contemporaneo è il risultato di diverse contaminazioni avvenute nel corso dei secoli (citiamo per tutte quella dell’umorismo ebraico). Dalla Grecia invece c’è pervenuto quel principio aristotelico, ma fatto proprio anche da Tommaso d’Aquino, chiamato il “ Volgere al bene “. Bisogna sempre assumere un atteggiamento giocoso di fronte ad avvenimenti che ci coinvolgono. Secondo questo principio le cattive notizie vanno rese divertenti anziché tragiche.  Consiglio che Oscar Wilde seguì in punto di morte quando guardando le pareti della stanza in cui si trovava disse :”Questa carta sa parati è atroce. Uno di noi due se ne deve andare”.

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19 gennaio 2018
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