Il Circolo Culturale “L’Agorà” ha organizzato una nuova conversazione da remoto sul tema “Dino Buzzati nel cinquantesimo della morte”. Per la valenza dell’argomento trattato il sodalizio culturale reggino, presieduto da Gianni Aiello, ha ricevuto un’attestazione di apprezzamento e riconoscimento morale da parte dell’Amministrazione Provinciale di Belluno che ha concesso di buon grado, come evidenziato nei saluti istituzionali da parte del Presidente Roberto Pedrin, il patrocinio dell’Ente. Dopo i saluti del Presidente del Presidente del Circolo Culturale “L’Agorà” Gianni Aiello, è stata la volta di quelli istituzionali da parte del Presidente dell’Amministrazione Provinciale di Belluno Roberto Pedrin. La parola è passata al relatore Antonino Megali (Vice presidente del Circolo Culturale “L’Agorà”), che ne ha ricordato la figura sia dell’uomo che dell’artista. Dino Buzzati Traverso (San Pellegrino di Belluno, 16 ottobre 1906 – Milano, 28 gennaio 1972), autore del famosissimo romanzo “Il deserto dei Tartari”, è stato uno scrittore, giornalista, pittore, drammaturgo, librettista, scenografo, costumista e poeta italiano del ‘900. La sua famiglia è agiata: terzo di quattro fratelli, Buzzati ha per padre un celebre giurista e docente universitario di remote origini ungheresi, mentre la madre, veneziana, è figlia di una nobildonna. Nella villa di Belluno la famiglia passa le estati, mentre trascorre il resto dell’anno a Milano. Le estati a Belluno e la biblioteca della villa sono fondamentali per la formazione di Buzzati, che fin da bambino dimostra una grande sensibilità per il disegno e la musica e una passione per la montagna che lo accompagnerà per tutta la vita. A quattordici anni, dopo la morte del padre, Buzzati si iscrive al liceo Parini di Milano e, successivamente, si laurea in Giurisprudenza. Nel 1928 entra come praticante al Corriere della Sera, per cui sarà poi redattore e inviato. Tra il 1935 e il 1936 si occupa del supplemento mensile “La Lettura” e inizia a dedicarsi alla scrittura di racconti brevi. Il suo contributo alla letteratura italiana è stato davvero considerevole ed è considerato uno dei maggiori scrittori fantastici della sua epoca, al punto tale di essere definito il “Kafka italiano”. Questo titolo lo si deve ai suoi romanzi e racconti, caratterizzati da uno stile surreale e realistico-magico. Figura di spicco nello scenario italiano, dalla critica viene considerato come il vertice della narrativa esistenzialista. Fin da studente collaborò al Corriere della Sera come cronista, redattore e inviato speciale. Autore di un grande numero di romanzi e racconti surreali, viene considerato, insieme ad Italo Calvino, Tommaso Landolfi e Juan Rodolfo Wilcock, uno dei più grandi scrittori fantastici del Novecento italiano. Nel gennaio del 1939 consegna il manoscritto del suo capolavoro, del suo libro più amato e conosciuto, quel "Il deserto dei Tartari" che diverrà un emblema della letteratura del Novecento. Il romanzo è la storia di un giovane militare, Giovanni Drogo, che inizia la propria carriera nella fortezza Bastiani, che sorge isolata ai confini di un immaginario regno e in un'epoca non precisata. Se inizialmente, per Drogo, quella fortezza è un luogo chiuso, inospitale e che non gli offre alcun futuro, col passare del tempo vi si abitua, fino a non volerla (e non poterla) più lasciare, sia a causa della perdita di contatti col resto del mondo, sia per la continua speranza che un giorno i Tartari, dal deserto, attacchino la fortezza. E' chiaro dunque che in tale romanzo è fondamentale l'allegoria che vi è sviluppata, sebbene non siano mai abbandonate la verosimiglianza delle situazioni e l'attenta descrizione di personaggi che diventano quasi dei tipi. La vita di Drogo simboleggia la vita umana, che è incalzata dal passare del tempo e dalla solitudine, in un mondo, rappresentato dalla fortezza, fatto di leggi assurde e speranze inutili. Altro punto messo in rilievo da Buzzati è come gli uomini continuino ad ingannarsi: Drogo si ripete in continuazione che "l'importante è ancora da cominciare", e continua ad alimentare le sue speranze sebbene nulla le suffraghi. Buzzati sembra dirci, con questo romanzo, che per l'uomo è meglio desiderare poco, che si sappia accontentare, poiché il mondo, il gioco della vita, concedono poco e sono pronti a disilludere le più spericolate o nobili ambizioni. “Il deserto dei Tartari” (1940), è considerato dalla critica il vertice della narrativa esistenzialista italiana, insieme alle opere di Alberto Moravia (che tuttavia estrinsecano il genere in tutt'altra direzione). Per molto tempo “Il deserto dei Tartari” è considerato un capolavoro di umanità e speranza. Il titolo originale di questo romanzo doveva essere “La Fortezza”, cambiato poi in quello attuale su suggerimento di Leo Longanesi che lo pubblicò da “Rizzoli”. Nel 1976 Valerio Zurlini ne realizzerà un film. Moltissimi autori in ogni campo sono stati ispirati da questo romanzo. Nella musica italiana, anche Franco Battiato con “Fortezza Bastiani” e i Litfiba con “Prima Guardia” hanno reso omaggio all'opera di Dino Buzzati. Il cinquantesimo anniversario della scomparsa di Dino Buzzati (1972-2022) può essere l’occasione per la riscoperta e una doverosa valorizzazione, specie se consideriamo che si tratta di un autore i cui libri sono tradotti in molte lingue, conosciuti e apprezzati in tutto il mondo. Tenuto conto dei protocolli di sicurezza anti-contagio e dei risultati altalenanti della pandemia di COVID 19 e nel rispetto delle norme del DPCM del 24 ottobre 2020 la conversazione sarà disponibile, sulle varie piattaforme dei Social Network presenti nella rete, a far data dal 15 aprile.