"Modernità del pensiero di Jean Jacques Rousseau” è stato il titolo del tema, organizzato dal Circolo Culturale “L'Agorà”, che si è tenuto presso il Chiostro della Chiesa di San Giorgio al Corso di Reggio Calabria, ed al quale ha partecipato in qualità di relatore il prof. Enzo Liberale.
La conversazione culturale si è basata sulla figura e sull'attualità del pensatore ginevrino e nel corso dell'incontro sono stati trattati diversi aspetti inerenti il periodo storico in cui visse il filosofo, la sua produzione letteraria, ma anche altre cifre e/o curiosità, come ad esempio ha evidenziato nella parte introduttiva Gianni Aiello, presidente del Circolo Culturale “L'Agorà”, a riguardo l'intitolazione di una via a Siderno Marina (Reggio Calabria).
Il 1700 in Francia è stato un secolo di straordinaria effervescenza intellettuale – esordisce il prof. Enzo Liberale- di grandi pensatori e filosofi, per lo più borghesi, quali Diderot, Montesquieu, Voltaire e Rousseau, che proposero una rinnovata forma di pensiero basata sui valori della ragione, dello spirito critico e della circolazione democratica del sapere.
Frutto emblematico è la monumentale l'Enciclopedia o Dizionario ragionato delle scienze, delle arti e dei mestieri pubblicata dal gruppo degli intellettuali illuministi, sotto la direzione di Denis Diderot (28 volumi in solo vent’anni dal 1751 al 1772 con tavole e aggiunte completate nel 1780), la cui edizione fu subito esaurita in Francia e contraffatta all’estero. Era la prima raccolta moderna del sapere messa disposizione di tutti e a cui tutti poi si ispireranno.
Fra i più illustri Illuministi si eleva l’opera di Jean-Jacques Rousseau (28 giugno 1712 – 2 luglio 1778) e la città di Ginevra ha celebrato solennemente il terzo centenario della nascita del suo più illustre cittadino, il grande pensatore del secolo dei Lumi.
Nell’anniversario la sua opera è stata ricordata in Svizzera, in Francia, negli Stati Uniti, in Germania, in Gran Bretagna e in Italia, ma anche a Istanbul e a Tokyo.
Nella sua copiosa produzione di scritti filosofici, teatrali e di musica, primeggiano i due Discorsi, seguiti nella maturità da La Nuova Eloisa (1761), il Contratto sociale (1762), e l’Emilio (1763) scritti uno dopo l’altro nello spazio di soli due anni.
Sono due romanzi e un trattato politico che considerano tre aspetti basilari della formazione dell’uomo: la stabilità di una famiglia e di uno stato, quale fondamento di una società giusta, e l’educazione dell’individuo nel suo rapporto con gli altri.
E’ una integrata ricerca sociale, politica ed educativa proposta contro la degenerazione sociale denunciata nei due Discorsi e che, nelle sue tre dimensioni, uomo, famiglia e società, rimanda al principio dello stato di natura quale fondamento dell’essere umano.
Testi innovativi e fondamentali in campo sociale, politico, pedagogico e letterario, sui quali ci soffermeremo nel nostro ricordo. Il rapporto tra Rousseau e i filosofi illuministi, inizialmente buono e collaborativo, culminò in una pubblica rottura, con Rousseau che accusò i lumi di immobilismo.
Gli esiti filosofici generali del suo pensiero erano tuttavia molto simili ai loro. Infatti, pur rivendicando il valore dell’istinto, della natura e del sentimento, anche Rousseau affidava alla ragione la trasformazione del mondo: Rousseau è contro gli illuministi, ma non contro l’illuminismo.
Si differenzia da loro nel discorso politico che lo porta a scoprire e adottare soluzioni più radicali e rivoluzionarie cui si riferiranno poi i giacobini e i sanculotti repubblicani.
Gli illuministi che, diversamente da lui, erano ancora ancorati al potere monarchico e più fiduciosi nel progresso scientifico, si videro bruscamente superati dal pensiero innovativo di un ragazzo, il musicista, che redigeva per l’Enciclopedia articoli di musica e che con i suoi due Discorsi diventa improvvisamente famoso erigendosi a difensore della coscienza e a promotore della morale della vita futura.
Rousseau, incompreso, ma anche certamente invidiato per il successo, venne così allontanato, poi censurato, perseguitato, cacciato anche dalla sua Svizzera, trovando infine ospitalità presso il marchese De Girardin a Ermenonville (paesino francese dell’Oise 900 abitanti) dove morì e fu sepolto in mezzo al parco, nell’isola dei Pioppi, come lui stesso aveva desiderato.
Saranno poi i Rivoluzionari a trasportare nel 1794 i suoi resti al Panthéon trasformato allora da chiesa a luogo dove riposano gli eroi della Francia.
Il suo primo testo filosofico è il Discorso sulle scienze e le arti che nel 1750 vinse il premio dell'Accademia di Digione e segnò l'inizio della sua notorietà. Nelle sue Confessioni, su quel bando dell’Accademia Rousseau scrive: «Al momento di questa lettura vedo un altro universo e divento un altro uomo». Il tema proposto poneva l’interrogativo: “La rinascita della scienza e delle arti ha contribuito a corrompere o a purificare i costumi?”.
Lo scritto che Rousseau si affrettò a redigere nella sua confessata ispirazione, e che ottenne il primo premio, rivelò una personalità originale, determinata ad andare al cuore dei problemi, desiderosa di rinnovamento e di una rigenerazione radicale della società.
Era una requisitoria vibrante contro la Storia, che nel suo corso implacabile respinge il mondo della povertà e nasconde i privilegi scandalosi dei potenti sotto la maschera delle arti e delle scienze. Prese così avvio la sua polemica antintellettualistica e anticulturale.
Affermava: «Popoli, sappiate dunque una buona volta che la natura ci ha voluto preservare dalla scienza, come una madre strappa un'arma pericolosa dalle mani del suo figliolo; che tutti i segreti che essa ci nasconde sono altrettanti mali da cui la natura ci garantisce, e che la pena che voi incontrate nell'istruirvi non è il minore dei suoi benefici. Gli uomini sono perversi, ma sarebbero peggiori, se avessero avuto la disgrazia di nascere sapienti».
Rousseau era stato lungimirante, aveva capito che la «scienza senza coscienza», avrebbe invertito il rapporto tra mezzi e fini, e che l’essere umano sarebbe stato trasformato in una specie di oggetto subalterno.
Nel suo scritto Rousseau rispose quindi negativamente al quesito dell'Accademia, mettendo in discussione il valore che gli Illuministi attribuivano al progresso e sostenendo invece l'aumento della degradazione morale in connessione con l'evoluzione della civilizzazione. In apparenza, l’assunto del giovane Rousseau sembrava sostenere che le scienze e le arti non hanno contribuito al progresso bensì al regresso della civiltà, fiaccando gli animi e distogliendoli dal perseguimento delle più autentiche virtù civili e sociali. In realtà
Il Discorso non criticava né la cultura né il sapere in sé. Li criticava solo nella misura in cui, tradendo la loro più vera missione, essi non avevano operato per il miglioramento dell’umanità, rendendosi persino complici del decadimento dei costumi. Oggi più che di decadimento possiamo dire di degradazione delittuosa per il depauperamento delle risorse, l’inquinamento atmosferico e dei mari, la sofisticazione degli armamenti, la corruzione e per tutti i fatti scandalosi e cruenti di cui è satura la cronaca giornaliera a livello planetario.
Tutto il pensiero di Rousseau si riassume nella lapidaria affermazione, di triste attualità: “la natura ha fatto l’uomo felice e buono, la società lo corrompe e lo rende miserabile”. Quale rimedio Rousseau vagheggia la polis dell’antichità, cioè è convinto che la mirabile armonia tra individuo e comunità, tra cultura e politica che fu un tempo di Atene e Sparta, dovrebbe essere il traguardo ambito delle nazioni moderne.
Così, mentre l’analisi della realtà degli Illuministi si limitava a una critica negativa, quella di Rousseau era una sintesi poetica e costruttiva: al loro odio oppose il suo entusiasmo per una rinascita umana.
I temi trattati si ritrovano nel Discorso sull'origine e i fondamenti della diseguaglianza tra gli uomini, il successivo quesito del 1754 proposto anch'esso dall'Accademia di Digione. La risposta che ne diede Rousseau apparve così ardita e dirompente che gli Accademici non osarono premiarlo. Nel Discorso sull’origine della diseguaglianza c’è tutto se stesso e nella sua opera non c’è lavoro, salvo il Contratto sociale, che abbia esercitato un’influenza più rivoluzionaria. Contiene le affermazioni più audaci del socialismo e del comunismo moderni: “la proprietà è un furto; i ricchi sono gli sfruttatori del popolo; sopprimere un tiranno è un diritto; l’ordine sociale contemporaneo è una iniquità”.
In una società ancora ancorata in parte a strutture sociali pseudo feudali con monarchie assolute, gli argomenti erano talmente innovativi che subito attrassero la curiosità universale anche per il tono fremente con cui erano espressi. Erano per l’opinione d’allora dei paradossi che lo resero celebre da un giorno all’altro.
Rousseau teorizza come agli albori della civiltà umana gli uomini abbiano stipulato un primo Contratto sociale; tale contratto, però, era un patto leonino, iniquo, perché basato sulla forza e non sul diritto. Non esisteva uno Stato garante con le sue leggi dei diritti naturali di ciascuno, poiché l'unica legge allora vigente era quella del più forte.
Per Rousseau tuttavia l’ineguaglianza non ha avuto origine nello stato di natura, bensì è stata generata con la formazione della società che è al contempo illegittima e dannosa per la moralità e per il benessere dell'umanità. Allo stato di natura l'uomo, autosufficiente e isolato rispetto ai suoi simili, è buono e in armonia con sé stesso e l'ambiente circostante. Rousseau contrappone tale felice stato naturale ad uno stato civile dominato dalla competizione, dalla falsità, dall'oppressione e dai bisogni superflui, ai quali l'individuo si adatta acquisendoli quali vitali fattori sociali.
Per Rousseau è la proprietà privata che produce una disuguaglianza economica che tende rapidamente a coincidere con una disuguaglianza sociale e politica. Inoltre la diseguaglianza crea una spirale perversa per cui chi detiene il potere genera altro potere. Per lui l’élite dei proprietari è quella stessa che costituì il sistema giuridico: un sistema iniquo perché finalizzato alla autoconservazione della forza e dell’autorità e alla perpetuazione della disuguaglianza.
Per Rousseau la diseguaglianza non ha quindi origine nello stato di natura, ma è sorta con la formazione della società, ed è illegittima e dannosa per la moralità e per il benessere dell'umanità.
A conclusione auspica che, senza dover necessariamente tornareallo stato di natura (anche perché non ne saremmo più capaci), si debba costruire uno stato civile giusto che corregga i danni morali e materiali in cui l'uomo si dibatte: un progetto concretamente analizzato, esposto e proposto poi nel Contratto sociale.
Le tesi di Rousseau suscitarono immediate e furiose reazioni nell’opinione intellettuale. Esponendo che il male dell’ineguaglianza è un fatto della società e del suo peggiore elemento costitutivo, la proprietà, Rousseau prese una posizione avventurosa e coraggiosa che sconvolse gli Accademici che non osarono premiarlo. Egli condannava infatti anche ciò che gli intellettuali amano e servono: le lettere, le attività degli artisti, le scienze che creano il lusso e corrompono l’uomo. Inoltre affermava che l’uomo, vittima della società, nasce buono per essere felice, negando così le tesi cristiane del peccato originale con sommo gradimento, ma solo per questo, degli enciclopedisti.
Tuttavia – continua il prof. Enzo Liberale - per tutti i suoi cari «amici-nemici» filosofi si era spinto oltre i limiti nell’indicare nella proprietà privata la fonte dei guai dell’umanità. Nessuno rima di lui, tranne forse Gesù, era stato così radicale nel denunciare la proprietà privata come causa di tutte le grandi ingiustizie del mondo. La denuncia della proprietà risultò insopportabile anche per il grande Voltaire che, pur denunciando superstizioni e ingiustizie, era un ricco proprietario terriero. Alla pubblicazione del Discorso in una lettera allo stesso Rousseau Voltaire definì iltesto un "libro contro il genere umano".
Nemmeno i rivoluzionari come Robespierre osarono in seguito mettere in discussione il principio della proprietà privata; la sfida fu raccolta solo da Babeuf autentico discepolo di Rousseau, che pagò con la vita la sua denuncia del dominio dell’uomo .
Nei Discorsi sono già presenti tutti tratti salienti della sua filosofia, dell'uomo e dello stato di natura, dell’origine della proprietà, della società e dello Stato, temi che sviluppa nella sua opera maggiore: Il Contratto sociale.
Nonostante i contrasti e l’emarginazione da parte dei filosofi e ovviamente del potere costituito, il pensiero di Rousseau trovò in tutte le sue espressioni un’immediata, universale diffusione, avviando una profonda riflessione politica, sociologica, morale, psicologica e pedagogica sino ai nostri giorni.
Rousseau è stato notoriamente un pensatore decisivo per le origini della sinistra. Egli vide in anticipo le alienazioni della società di massa e ha l’immenso merito d’avere inventato la sovranità popolare che dopo tre secoli continua ad apparire fondamentale nella dottrina politica.
Nell’economia del nostro ricordo vogliamo pertanto mettere in rilievo l’apporto che Rousseau ha dato, col suo pensiero di rigoroso studioso dei fondamenti della convivenza sociale, alla scienza politica e come pedagogista ai problemi della formazione dell’uomo e ciò senza trascurare il valore letterario della sua opera espresso in un linguaggio altamente poetico.
Rousseau, da autodidatta divoratore di libri (sin dall’infanzia spendeva tutti i suoi risparmi nell’affitto di volumi che poi trovava anche nelle biblioteche dei ricchi ospiti) conosceva tutti i lavori citati. La sua riflessione ha preso concreto avvio, come per Campanella e Moro, dall’origine della disuguaglianza causata dall’oppressione politica, dal sistema repressivo delle convenzioni sociali e dalla rigidità della cultura. A tale sistema Rousseau oppone il mondo del sentimento e l’ideale di un felice e libero stato di natura. Questo lo porta a riflettere sui fondamenti di una giusta società e, insieme, sul modello di uomo adatto per essa. Offre una soluzione ne Il Contratto sociale (1762) opera iniziata a ventisette anni a Venezia, dov’era segretario dell’ambasciatore di Francia. Una costruzione puramente teorica per una società più giusta che inizia col triste, emblematico incipit : « L'uomo è nato libero e ovunque si trova in catene.”
E dichiara che "Il primo che, avendo recintato un terreno, pensò di dire questo è mio e trovò delle persone abbastanza stupide da credergli fu il vero fondatore della società civile. Quanti delitti, quanti assassinii, quante miserie ed errori avrebbe risparmiato al genere umano chi, strappando i pioli o colmando il fossato, avesse gridato ai suoi simili: guardate dal dare ascolto a questo impostore! Se dimenticate che i frutti sono di tutti e la terra è di nessuno, siete perduti!" .
Riprendendo in seguito il tema della proprietà non la nega, ma ritiene necessario darle una giusta misura, imporre un freno che la contenga: tema politico-economico di grande attualità per le astronomiche sperequazioni presenti e denunciate nella nostra insensibile società capitalistica.
Rousseau rievoca sempre lo stato di natura in cui l'uomo, autosufficiente e isolato dai suoi simili, è buono, in armonia con sé stesso e con l'ambiente circostante, e lo contrappone allo stato civile dominato dalla competizione, dalla falsità, dall'oppressione e dai bisogni superflui, ai quali l'individuo si adatta acquisendoli come fattori sociali ed auspica quindi una trasformazione della realtà creando una società libera ed egualitaria che rigeneri l’umanità. Il problema è mediare tra due realtà: l’uomo e la società. L’uomo che deve restare libero e la società che implica un ordine e quindi delle rinunce.
Egli ritiene possibile trovare una soluzione ripensando alla genesi della società auspicata. Parla di cessione totale, di ciascun associato, con tutti i suoi diritti, alla comunità. Per Rousseau l’uomo è persona e la società è un corpo vivente; la salute della società dipende dall’essere dei singoli cittadini; si deve perciò puntare ad una integrazione cooperante tra uomini e società.
Alla società corrotta Rousseau oppone un Contratto sociale per "..trovare un modulo d'associazione che difenda e protegga con tutta la forza possibile la persona ed i beni di ogni socio, e per la quale ciascuno unendosi a tutti non obbedisca tuttavia che solo a se stesso e resti così libero come prima".
Con il contratto sociale l'uomo perde così la sua libertà naturale e un diritto illimitato a tutto ciò che lo tenta e che può ottenere, ma in cambio guadagna la libertà civile e la proprietà di ciò che possiede.
Rousseau conclude il suo lavoro suggerendo una garanzia suprema: stabilire un Credo filosofico di cui lo Stato renda obbligatori articoli che siano la semplice affermazione di certi sentimenti di stabilità senza i quali è impossibile essere buoni cittadini. In tal modo nella sua vasta visione politica non fa che auspicare le moderne Costituzioni.
Diversamente dai Discorsi sembra che i contemporanei di Rousseau non abbiano prestato grande attenzione al Contratto considerandolo una costruzione puramente teorica. Rousseau stesso lo considerava inapplicabile e quando scrisse, su richiesta, le costituzioni della Corsica e della Polonia, non vi attinse nulla. Ma ventisette anni dopo quel piccolo libro diventava il Corano dei rivoluzionari, ispirava la famosa Dichiarazione dell’uomo e del cittadino del 26 agosto 1789 che cita all’Art. 1 – Gli uomini nascono e rimangono liberi e uguali nei diritti. Le distinzioni sociali non possono essere fondate che sull’utilità comune.
Art. 2 – Il fine di ogni associazione politica è la conservazione dei diritti naturali ed imprescrittibili dell’uomo. Questi diritti sono la libertà, la proprietà, la sicurezza e la resistenza all’oppressione.
Art. 3 – Il principio di ogni sovranità risiede essenzialmente nella Nazione
Sono articoli che sembrano usciti dalla penna di Rousseau, sul cui pensiero però si riferirono anche i giacobini per giustificare le loro violenze. Ancora oggi la sua critica della proprietà è alla base delle dottrine socialiste e comuniste.
Nella sua ampia lungimirante proposta Il Contratto sociale risulta la strada storicamente aperta alla moderna democrazia quale rifondazione della società sulla base di un patto equo – costitutivo del popolo come corpo sovrano, il solo detentore del potere legislativo e suddito di sé stesso.Il patto sociale resta così il momento fondante e fondamentale per la società; senza di esso vi può essere una moltitudine di associati ma non una vera società né un popolo. Nel Contratto Rousseau considera quindi possibile trovare nell’ordine civile una regola di amministrazione legittima, “prendendo gli uomini come sono e le leggi come possono essere”, e questa regola è la volontà generale.
Il contratto sostituisce così eguaglianza morale e legittima a quanto la natura aveva potuto mettere d’ineguaglianza fisica tra gli uomini che diventano tutti uguali e quegli obiettivi risultano di profonda attualità soprattutto in un’epoca dove la politica mostra l’impossibilità di mantenere le promesse della democrazia, specie dove rimane resta irrisolto il dilemma fra ciò che è privato e ciò che è pubblico. A trecento anni dalla nascita di Rousseau il suo pensiero resta così profondamente e drammaticamente presente nella nostra società.
Il Contratto non tardò a riscuotere un enorme successo in tutta Europa e, dopo solo vent’anni dalla sua morte, le sue tesi egualitarie e anti-assolutistiche ispirarono non solo i principi di Liberté, égalité, fratenité, alla base della Rivoluzione francese del 1789, ma influenzarono, dopo cent’anni, nel 1887, anche la Costituzione degli Stati Uniti d'America.
Nello stesso anno 1782 col Contratto Sociale Rousseau pubblicò l’altra importante opera: L‘Émilio, o dell'educazione. Pur avendo un certo successo di lettori L’Emilio diventa subito oggetto di una forte reazione intellettuale e dalla sua pubblicazione per Rousseau inizia il lungo calvario di peregrinazioni, incomprensioni, critiche e persecuzioni che lo rattristarono sino alla sua morte senza però mai reagire né lamentarsi.
La violenza delle sue opinioni, soprattutto quelle religiose intimorì i suoi protettori ed amici che si allontanarono rapidamente. La corte e le istituzioni religiose tuonarono, il Parlamento condannò a maggioranza L’Emilio “ad essere lacerato e bruciato dall’Esecutore dell’Alta Giustizia” decretando l’ordine d’arresto dell’autore con l’accusa di difendere la religione naturale, di sottometterla all’esame della ragione, di tendere “ a distruggere il principio dell’obbedienza e a indebolire il rispetto e l’amore dei popoli verso i loro re”.
Rousseau, rinunciando al primo pensiero di lasciarsi arrestare per diventare un martire della verità, si decise a fuggire in Svizzera. Ma anche in Svizzera le sue opere vennero condannate con copie del Contratto sociale e dell'Emilio bruciate pubblicamente a Ginevra: il filosofo, preso a sassate, fu costretto a fuggire.
La visione della "religione naturale" espressa nel capitolo della Professione di fede del vicario savoiardo contenuta nell'Emilio ebbe anche la pubblica condanna dell'arcivescovo di Parigi che in una pastorale mise il libro all’Indice in quanto “opera volta a distruggere i fondamenti della religione cristiana. tendente a turbare la pace degli Stati, a far ribellare i sudditi contro l’autorità dei loro sovrani”, anatemaseguito da Papa Clemente XIII che a sua volta condannò l’Emilio. Rousseau vi affermava che lareligione naturale s’indirizza soprattutto alla ragione (lume interiore) che può chiarire ciò che l’istinto e il sentimento oscuramente testimoniano. Per lui i dogmi della religione naturale sono l’esistenza di Dio e la spiritualità.
Nel programma d’educazione quale immaginario precettore di L’Emilio Rousseau nel romanzo prevede l’insegnamento religioso da iniziare solo in età adolescenziale e sempre basato sull’ “istinto divino” che sorge naturale nell’intimo della coscienza del giovane. Per contro la ragione, che si fonda sul “sentimento del cuore”, per lui porta alla critica delle autorità religiose e delle religioni positive con tutte le loro imposizioni culturali.
Per Rousseau la religione naturale non implica quindi verità rivelate da Dio, miracoli e santi.
Sempre sulla religione, nel Contratto sociale Rousseau propone che, per il benessere e la coesione di tutto il corpo sociale dello Stato, sia necessaria una religione che preveda la fede in un unico Dio, e nella sua concezione della religione naturale, Rousseau si distingue per la grande attenzione riservata a Gesù.
Rousseau è un cristiano particolare, che non crede nell’Incarnazione e nella Resurrezione, ma che non si stanca di ripetere: “sono cristiano, un cristiano autentico e sincero”». «Gesù è al di sopra di tutti gli uomini mai esistiti.” Confrontando Gesù e Socrate nell’Emilio scrive: “Se la vita e la morte di Socrate sono di un saggio, la vita e la morte di Gesù sono di un Dio”. Egli non dice “di Dio”, ma “di un Dio”.
Se nel "Contratto sociale", Rousseau sostiene la necessità di rinnovare politicamente la società, col romanzo "L'Emilio" afferma che soltanto agendo sulle nuove generazioni si può sperare di far rivivere l’uomo naturale nell’ordine sociale. Scrive il romanzo con amore, pensando al bambino che avrebbe voluto essere e nel precettore l’insegnante che avrebbe voluto avere. Così mentre Il Contratto Sociale, nella critica della società, riguarda la “formazione del cittadino”, L’Emilio tratta la “formazione dell’uomo”. E’ un’opera pedagogico-educativa, che contiene una meditazione psicologica e sociale mai espressa prima.
L’originale narrazione romanzesca che Rousseau propone ai lettori è una riflessione basata sempre sul principio che “l’uomo è naturalmente buono” e occorre fin dall'infanzia proteggerlo dalla degenerazione e dalla corruzione che regna nel mondo della cultura.
Il valore e il successo del romanzo consistono nella singolarità di idee e consigli di straordinaria modernità che ne fanno un vero trattato pedagogico anche se allora la pedagogia non esisteva ancora come campo del sapere. Secondo Rousseau una società migliore aiuterà l’uomo a realizzare la sua potenziale bontà.
Ma ciò non può significare, che l’educazione dei fanciulli debba avvenire fuori dalla società, completamente isolata e fine a sé stessa. Al contrario, l’autore dell’Emilio sa bene che il suo allievo ideale dovrà essere, un giorno, un cittadino, membro di una comunità sociale, ma questo però non porta Rousseau a perseguire un obiettivo esclusivamente di carattere sociale.
Il messaggio che Rousseau vuole lasciare è che poiché l'uomo è buono per natura, occorre fin dall'infanzia proteggerlo dalla degenerazione e dalla corruzione che regna nel mondo della cultura e nelle strutture sociali . Si tratta insomma di difendere, evitando un'educazione autoritaria, l'uomo che sarà.
In sostanza Rousseau, che ha un altissimo concetto della dignità umana ci dice: “Vivere è il mestiere che gli voglio insegnare. Uscendo dalle mie mani, egli Emilio non sarà, ne convengo, né magistrato, né soldato, né prete; sarà prima di tutto uomo: tutto quello che un uomo deve essere, egli saprà esserlo, all’occorrenza, al pari di chiunque e, per quanto la fortuna possa fargli cambiare condizione, egli si troverà sempre nella sua”.
L’educazione che Rousseau suggerisce non è quindi il risultato di una libertà disordinata e capricciosa bensì di una libertà ben guidata.
L’influenza dell’Emilio fu immediata. Già nel decennio 1760-1780 sulla sua traccia iniziarono e si moltiplicarono studi in pedagogia in diversi paesi europei. Entusiasti discepoli iniziarono persino l’educazione dei figli secondo gli schemi fissati per l’Emilio con spavento di Rousseau che intendeva solo suggerire linee generali da applicare secondo i casi.
Quelle linee del suo tentativo di rivoluzionare e creare una nuova metodologia dell’insegnamento e dell’educazione, hanno invece il grande merito di avere avviato lo studio di una nuova materia oggi d’incidenza e di livello universitario che vide subito emergere numerosi pedagogisti. Citiamo Kant, Pestalozzi e la Montessori, quali rappresentati dei numerosi studiosi che si sono susseguiti nei tre secoli
Nella sua vasta gamma innovativa, in letteratura Rousseau anticipò temi e aspetti che, tra la fine del XVIII e l'inizio del XIX secolo, avrebbero caratterizzato l’avvento del Romanticismo che egli precorse, oltre che con la Nuova Eloisa, soprattutto col romanzo autobiografico Le Confessioni (1764-1770), il suo capolavoro letterario che in 12 libri racconta i primi 53 anni di vita dell'autore.
Le Confessioni sono considerate più di un'autobiografia e più di un affresco storico un vero e proprio poema, un capolavoro di sconcertante modernità nel quale l'autore si è abbandonato al ricordo e al sentimento, rievocando una infanzia incantata e i tormenti dell'immaginazione nella ricerca di sé stesso Con le Confessioni Rousseau non solo anticipò la sensibilità romantica ma la sua visione superò quella dei suoi futuri imitatori: per la critica letteraria nessuno infatti in seguito si è confessato con una più totale sincerità.
Penso – conclude il relatore– che da una riflessione sull’opera di Rousseau emerga non solo l’eccezionale merito storico d’avere proposto la democrazia quale insuperabile forma di convivenza sociale, ma, oltre alla sua modernità letteraria nonostante i tre secoli trascorsi, d’avere analizzato soprattutto i mali latenti e presenti nella società umana indicando l’unico rimedio nella rigenerazione di uomini e cittadini capaci di vivere, anzi di con-vivere, in questo nostro Terzo Millennio, in una società planetaria meno sperequata e meno afflitta da continue crisi, riscoprendo una convivenza naturale secondo i dettami di una giustizia naturale retta dalla ragione.
La sua coscienza morale è la capacità libera dell’uomo di scegliere tra il bene e il male; per bene intendeva la giustizia, il rispetto dell’uguaglianza nei rapporti umani, la pratica delle virtù umane nella vita quotidiana, la pietà per chi soffre, la passione per il bello e il giusto. Per lui è la coscienza morale che spinge ogni persona a misurarsi con il bene pubblico, con la «felicità pubblica» impossibile nelle situazioni di diseguaglianza e oppressione.
E la nostra società italiana, sempre più sperequata, socialmente impoverita, afflitta e prostrata da crisi politiche, economiche, sociali e soprattutto morali, ha estremo bisogno di una coscienza morale che animi uomini e cittadini nuovi, tolleranti, autonomi, culturalmente ed eticamente responsabili. Uomini in grado di lottare contro l’imperante corruzione e il tipo di fruizione acritica e passiva indotta in modo subliminale dai media col loro continuo flusso di immagini prive di nesso con la vita reale, che inducono ad adottare e a considerare come naturali sistemi di vita irrazionali, assistendo inoltre impotenti a comportamenti aberranti che neanche Rousseau poteva immaginare.
29 agosto 2015
la manifestazione