La manifestazione ha avuto il merito di posizionare nuovi tasselli conoscitivi atti ad  arricchire la storia del territorio le cui gesta culturali sono cadute nell'oblio, ormai, da lungo tempo.
E per conoscere meglio il nostro passato è necessario che la nostra memoria e la nostra  storia divenga il patrimonio culturale di tutti come fonte di ricchezza del  territorio.
I resti archeologici rappresentano importanti e preziosi documenti atti a  ricostruire le vicende trascorse e costituiscono quel patrimonio conosciuto come fonti mute.
Essi hanno il merito di costituire  la memoria collettiva che è una sorta di archivio non  cartaceo  che rappresenta il retroterra storico culturale del territorio.  
Nel corso di migliaia di anni il Mediterraneo ha costituito uno spazio di interna circolazione di idee, religioni, culture veicolate dalle più grandi menti che l'umanità abbia mai conosciuto.
Tutto questo va ricondotto, in ogni caso, al mito, il quale ha un valore universale e non individuale e particolare.
"Il mito - secondo Plutarco - è un'immagine spezzata della verità come l'arcobaleno è il riflesso della luce del sole, i cui raggi si rifrangono nelle nuvole".
«La Calabria fu la prima Regione abitata dell'Italia - afferma nel corso del suo intervento del Zangari - da principio fu detta Conia, cioè Saturnia, e Italia.
I Barbari la chiamarono Brettia.
Questa è la terra che dai Greci fu chiamata  "Esperia", "terra del tramonto". »
Il Giardino delle Esperidi, le custodi dei "pomi  d'oro" della mitologia classica, era stato localizzato anche nell'estrema punta della Calabria.
Reggio non fu solamente un crocevia commerciale di uomini di ogni razza, credo religioso e cultura, ma fu anche e soprattutto sedi di antiche Scuole, dalle Orfiche alle Pitagoriche.
Reggio, secondo il mito, è stata la prima città d'Europa, fondata dal pronipote di Noè, Aschenez.
E in forza, del valore universale del "mito", Aschenez richiama Ascanio, figlio di Enea, e Ausonio, capostipite degli Ausoni che regnarono in questo mare, in questa "Ausonia" che vuol dire appunto "Terra del Sole".
Secondo alcuni studiosi, la mitica Ararat non si riferirebbe al sito attuale nel Caucaso, ma alla solare Terra degli Dei, degli Aurunci - Ausoni.
Sembra, secondo il Mazzocchi, uno studioso del XVIII secolo - che probabilmente si rifece agli studi di Strabone e di Diodoro Siculo - che il primo insediamento celtico (il nome ha lo stesso significato di "latino", cioè nascosto) fu tra Sant'Eufemia e Squillace.
I primi Celti, che provenivano da Oriente, probabilmente dalla Tracia o dalla Mesopotamia, attraversarono il Mediterraneo per stabilirsi in Calabria e da qui poi verso i luoghi più interni d'Italia, particolarmente nel Lazio, e quindi verso.
Il nome "latino" non nacque nelle vicinanze di Roma, come comunemente si crede, bensì nella Calabria fra il golfo di Squillace e quello di ant'Eufemia.
Così il Mazzocchi nello "Spicilegio" afferma che da qui partì una colonia che approdò sul fiume che poi fu chiamato Tevere. Nacque Alba, poi Ati, da  Ati, Capi, da Capi, Capeto, da Capeto, Tiberino.
Il Tevere, prima fu chiamato Albula.
Il nome  "latino", che come abbiamo detto significa nascosto, è lo stesso di "celtico" : "CHETIM EST OCCULTUS, LATENS".
I Celti quindi sarebbero i primi abitatori d'Italia, nome allora riferito al tratto estremo della Penisola.
Reggio è la città dove regnò Italus; qui dei giovani guerrieri, gli Itali appunto, annunciarono una "primavera sacra" , iniziando con ciò la fortuna di un nome che poi la Roma Augusta estese a tutta la Penisola.
Il nome "Italia" deriverebbe da "Vitalia" che significa "Terra della Vita".
In forza di ciò si può ipotizzare che i coloni del Palatino siano stati di origine celtico - italiota. 
E se Italus ha veramente avuto una figlia chiamata Roma, si può ulteriormente ipotizzare una discendenza reggina della "Gens romana" . 
Si spiegherebbe così il perché Cesare Augusto estese a tutta la penisola il nome "Italia" .
Che attinenza c’è con ciò che stato scoperto in località Sambuco di Nardodipace (VV) e quelli trovati nel territorio di Stilo (RC) ed altri ammassi rocciosi di incerta origine, ormai caduti nell’oblio, ma ubicati a pochi passi dal centro di Reggio?
Quale differenza c’è tra le strutture coniche di Nardodipace, quelle di Stilo e quelle ubicate nelle zone collinari della città dello Stretto ?
I circondari di queste costruzioni da chi erano abitati?
Che funzionalità avevano e quali elementi in comune vi sono con quelli presenti in altre regioni del bacino del Mediterraneo e di quelli di Er-Lanic in Francia e di Stonehenge in Inghilterra?
E da questa serie di quesiti si è passati alla suggestiva ed interessante relazione del giornalista Rai Franco Votano.
Sullo Stretto l'epopea eroica risale al 1260 a.C:, un periodo in cui abbiamo una confluenza sufficiente di interscambi tra popolazioni mediterranee, orientali e indoeuropee (Itali, Morgeti, Sikuli, Liparioti) che hanno permesso di tramandare orlamente e su incisioni il Grande Ciclo eroico (Eracle, Oreste, Orfeo, Proserpina) che ha costituito la koinè mediterranea del millenio successivo.
In questo periodo la sfida alla Storia nasce dalla costruzione di giganteschi Menhir, sepolture monumentali che segnano il passaggio di una porta trilitica (tre grandi massi a forma di T).
È il periodo del boom dell'ossidania che da Lipari veniva portata attraverso gli Istmi e gli  Stretti da Ovest a Est.
Da qui la potenza economica e la superiorità tecnologica dei liparioti.
L'ultimo principe delle Lipari, Giocasto giunse a Pallante d'Arcadia, un agglomerato di capanne e grotte tra lo Scaccioti e il Calopinace e pose la sua sede sulle alture di Pentimele, su un pianoro (il cui nome trapassò nella distorsione fonetica da Liparini a Luparini a Lupardini).
Su queste alture visse e regnò ai tempi dell'attraversamento dello Stretto di Eracle, il principe Giocasto e nella rada sottostante controllò il traffico navale est-ovest.
Un periodo splendido ricordato come memorabile ai tempi del tiranno Anassilao di Reggio (498 a.C:), l'unico che rinverdì il potere di Giocasto. Ed ancora a quei tempi si parlava di questo straordinario Menhir, eretto per ricordare il più regale e potente signore della costa reggina.
Il Menhir fu eretto alla sua morte sulle attuali alture di Lupardini (zona archeologica ricchissima) in modo che tutti i naviganti e potessero rendere omaggio al grande principe.
La struttura del Menhir si richiama certamente al mistero della potenza e del passaggio, ai riti  orfici che in Calabria ebbero grande accoglienza e non solo con la scuola krotonese ma anche con quella italica (il mondo italiota si estendeva  dalla punta di Reggio fino a Maratea alleata calcidese, da Locri a Taranto doriche, fino ai confini della Japigia e infine con le achee Sibari e Crotone fino a Posidonia, poi Paestum e comprendente Elea poi Velia centro della filosofia italica).
Le figure orfiche tornano nella piana di Pentimele e sotto Lupardini con Oreste e i sette fiumi sacri che vorticosi scendevano a valle fino al tempio di Posidone (promontorio del Torbido).
La sacralità nel mondo delle immagini e non ella scrittura fu vissuta con ritmi ascendenti che portavano direttamente all'eu- (portare-fuori), una sorta di riunione del  corpus di spettatori in un'unica voce e un'unica immagine, di carattere orgiastico e sessuale, come momento decisivo del "passaggio" da un mondo all'altro.
A Lupardini o Pentimele abbiamo dunque la pietra come segno-base (Menhir di Giocasto e Tempio di   Poseidone) e quello dell'acqua (sette fiumi e baia marina) che sintetizzano le radici della comunità reggina, a queste si aggiunge il canto del vento e il bosco della collina, il luogo dei riti orfici.
Probabilmente a lungo la collina di Pentimele fu tabù tanto che i romani ne usarono le pendici per costruirvi una torre prigione (I a.C.).
Il fuoco rappresenta in questo momento di passaggio, l'arma fondamentale per il passaggio nella notte e nell'altro mondo, elemento purificatore e costruttore, stiamo vivendo l'atmosfera dell'età dei primi metalli.
Il fuoco è l'elemento unificatore e decisivo dello spirito e un segnale di comunicazione tra una sponda e l'altra dello Stretto.

ShinyStat
15 marzo 2003

Francesco Votano, "Le arti italiote";
Francesco Votano, "Storia dello spettacolo in Calabria";
Gino Votano, "Storia di Archi"