La musica così come il cinema sono stati da sempre uno strumento di denuncia sociale nei confronti di diverse problematiche universali, come, nello specifico al tema relativo alla guerra.
Pink Floyd, Stanley Kubrick, Fabrizio De Andrè, Greta Garbo, Beatles, Mario Monicelli, George Brassens, Kirk Douglas, U2, Ermanno Olmi, sono alcuni degli acronimi che si sono susseguiti con lo scorrere del tempo lungo nel groviglio di sangue e violenze ed abusi delle belligeranze.
Esse hanno portato ovunque lutti e distruzione e tali conseguenze, come nel caso del primo conflitto mondiale, inghiottirono diversi territori in un inferno di fango e di sangue, modificandone profondamente il corso della storia contemporanea.
Dalle note dei Rolling Stones alle sequenze visive di Stanley Kubirck questi alcuni degli aspetti che sono stati trattati nel corso della giornata di studi avente come tema “Le canzoni, il cinema e la guerra”.
Tale appuntamento rientra nel programma quadriennale “1914-2014: il centenario della grande guerra” organizzato dal Circolo Culturale “L'Agorà” e che per la valenza culturale di tale percorso, il sodalizio reggino, ha ricevuto l'Alto Patrocinio dell'Ambasciata d'Austria, della Repubblica Ceca e della Repubblica Slovacca e dell'Ambasciata di Ungheria.
Il “grande massacro” del primo conflitto mondiale è stato esaminato attraverso l'analisi di quelle storie che diversi musicisti e registi ci hanno raccontato facendosi interpreti della triste eredità che le guerre con il loro carico di morte e sofferenze seminano al loro passaggio.
Quindi un argomento che da sempre è stato un mezzo di denuncia nei confronti delle atrocità scaturite dagli eventi bellici e per quanto riguarda il primo conflitto mondiale (1914-1918) esso fu la causa di circa 16milioni di vittime tra militari e civili.
Dunque, la musica ed il cinema sono stati i due argomenti narrativi al centro della giornata di studi organizzata dal Circolo Culturale “L'Agorà” sul tema della Grande Guerra.
Un percorso, quello effettuato da Gianni Aiello, che ha analizzato una serie di schede informative a riguardo alcune delle canzoni relative sia alla guerra sia nei confronti di ogni altra forma di violenze e soprusi che nel corso dello scorrere degli anni sono state realizzate da artisti di diversi generi musicali.
Il tragitto narrativo ha interessato sia l'area del cantautorato come Brassens, De Andrè, Beaz, che altri luoghi musicali come la musica rock con Led Zeppelin, U2, Pink Floyd, il country di Neil Young ad altri generi come si è passati a quella di altri territori musicali come Litfiba, Inti Illimani,Manowar.
Il percorso cronologico esaminato da Gianni Aiello ha interessato un arco di tempo dal 1861 al 2002 ed in questo periodo sono state analizzate alcune canzoni di vario genere musicale attraverso un'analisi di appropriate schede inerenti a tali tracce sonore.
Occorre però precisare che lettura a riguardo il tema affrontato da Gianni Aiello non riguarda esclusivamente quelle canzoni inerenti al tema del primo conflitto mondiale ma quella letteratura relativa alla guerra in genere e ad ogni altra forma di violenza sia fisica che psicologica.
A riguardo Gustave Naudad sono state scelte “Le soldat de Marsala “(1861) ispirata alla spedizione garibaldina e “Le Roi Boiteux“(1870) una satura politica nei confronti di Napoloene III che subì una censura del periodo e che successivamente venne interpretata da George Brassens.
E proprio al cantautorato Gianni Aiello ha rivolto uno spazio considerevole nel corso del suo intervento, mettendo in luce gli aspetti fotografie all'interno dei testi, dove si intrecciano micro e macro storie, a volte vissute dagli stessi autori.
Come ad esempio quelle relative a Mario Castelnuovo “Nina” (1984), Fabrizio De Andrè  “La guerra di Piero“(1964). A riguardo la poetica deandreiana, evidenzia Gianni Aiello, c'è da registrare un buon numero di esempi come “Girotondo” , “La ballata dell'eroe”, “Maria nella bottega del falegname”, “Il testamento di Tito”, “La collina”, “Fila la lana”, “Morire per delle idee”, “Andrea”, “Fiume Sand Creek”. 
Rimanendo sempre negli ambiti della musica dei cantautori troviamo Sergio Endrigo con “La guerra“ (1963) e successivamente con ”Canzone della libertà” (1968) e soprattutto “Francesco Baracca” (1982) che narra gli ultimi momenti di vita del famoso “asso dei cieli” deceduto il 19 giugno 1918 (Nervesa della Battaglia, Treviso) a seguito di “...un colpo basso della fanteria...”.
Anche in questa traccia – prosegue Gianni Aiello – troviamo degli aspetti simbolici ma anche una sequenza fotografica di diverse storie che sono avvertite in diversi racconti dell'excursus argomentato, così come nel colloquio tra due soldati dalla divisa di diverso colore de “La riva bianca, la riva nera” (1971) di Iva Zanicchi.
Altre narrazioni descrittive le troviamo in “Generale” (1978) di Francesco De Gregori: un “susseguirsi di fotografie narrative  inserite in un album dai chiari riferimenti di alto linguaggio poetico”, così come con “Auschwitz (Canzone del bambino nel vento)“ (1964) e la “Primavera di Praga” (1970) di Francesco Guccini, “La libertà” (1973) di Giorgio Gaber.
Oltre ai temi cari alla letteratura del cantautorato italiano sono stati analizzati gli aspetti relativi ad altri chansonnier che hanno contribuito con i loro lavori ad intensificare i contenuti ed i valori di tali messaggi di denuncia.
Come Joan Baez, Boris Vian “Le Déserteur “(1954), Pete Seeger “Where Have All The Flowers Gone“ (1956) che tra le tante interpretazioni annovera , tra le altre, quelle di Joan Baez e  Marlene Dietrich.
Ma anche i lavori di Eric Bogle "The Green Fields Of France (No Man's Land)" (1976) che dopo aver visitato i cimiteri di guerra francesi nei primi anni '70, trasformò una canzone popolare scozzese in un commovente dialogo con il soldato semplice William McBride. Forse Bogle fu ispirato da una pietra tombale che aveva visto.
Interessante è stato anche lo sguardo dato al cantautore argentino León Gieco autore di “Sólo le pido a Dios” (1978), una canzone che in primo momento subì la censura da parte dal governo dittatoriale di Jorge Rafael Videla e quattro anni dopo (1982), sempre dallo stesso regime venne dichiarata come “canzone d'interesse nazionale per la pace”.
Rimanendo nella stessa area geografica non potevano mancare i manifesti relativi a“El pueblo unido jamás será vencido“ (1970) degli Inti Illimani, una delle più note canzoni legate al movimento Unidad Popular ed alla presidenza del Cile da parte di Salvador Allende, morto nel tragico golpe cileno del 1973. La canzone venne composta nel 1970 da Sergio Ortega, musicista cileno facente parte del gruppo musicale Quilapayun.
Mentre “Guantanamera”, nata prima come poemetto a cura di di José Martí Pérez (eroe nazionale cubano) che venne ispirato dall'arresto del suo insegnante. Il testo venne musicato nel 1949 da Julián Orbón che adattò alla musica il testo della poesia di apertura dei "Versos Sencillos" ("Versi Semplici"). Successivamente venne interpretata da diversi autori come Pete Seeger, Josè Feliciano,Joan Beaz, Zucchero Fornaciari, Buena Vista Social Forum.
Altro capitolo importante in questa letteratura – prosegue Gianni Aiello, spetta ad un altro poemetto intitolato "La canzone di una giovane sentinella", che venne scritto nel 1915 da Hans Leip, poco prima di recarsi al fronte nei Carpazi, sempre nello stesso anno ed il testo venne musicato nel 1937 da Norbert Schultze e passato ai posteri come “Lili Marleen“.
Tale canzone venne mandata in onda il 18 agosto del 1941 andò in diffusione sulle frequenze di Radio Belgrado nel programma "Soldatensender Belgrad".
Captata anche dagli eserciti avversari,“Lili Marleen” divenne la canzone più nota e preferita dei soldati di entrambi gli schieramenti, che la cantavano in tedesco o nella propria lingua.
Una canzone, insomma, che riuscì a unire migliaia di persone che stavano combattendosi accanitamente. una canzone universale di fratellanza di soldati che condividevano lo stesso terribile destino.
Il simbolismo in tale percorso musicale ha avuto una fettarilevante che non ha interessato – continua Gianni Aiello-solamente il mondo del cantaurorato, ad esempio il significato dei fiori come il papavero (De Andrè) o la rosa bianca (Sergio Endrigo o nel testo di “Guantanamera”) ma anche altri aspetti come quelli riferiti a “Proposta (Mettete dei fiori nei vostri cannoni)“ (1964) del complesso milanese dei Giganti.
Una canzone contenuti simbolici “mettete dei fiori nei vostri cannoni” i cui contenuti si vedranno in altre situazioni storiche, come ad esempio la “Rivoluzione dei garofani“che pose fine alla dittatura di Salazar in Portogallo il 25 aprile del 1974.
A tal proposito di ricorda che l'acronimo dato alla “Rivoluzione dei garofani” derivò da un'azione di una fioraia che nella capitale lusitana regalò dei garofani ai militari che a loro volta l'inserirono nelle canne dei loro fucili.
La guerra del Vietnam ha una letteratura musicale di un certo livello creativo come ne sono testimonianza diverse stesure sonore che si sono succedute con il trascorrere del tempo come “Masters of War“(1963) di Bob Dylan, “C'era un ragazzo che come me amava i Beatles e i Rolling Stones” (1966) di Gianni Morandi, “Street Fighting Man” (1968) dei Rolling Stones, “War Pigs“  (1970) dei Black Sabbath, e successivamente (1971) il gruppo di Birmingham incideva “Children of the Grave”, oppure “Violence and Bloodshed” (1987) dei newyorkesi Manowar: queste, naturalmente, alcune delle stesure sonore che riguardano il capitolo Vietnam.
Alla rivoluzione dei sopra citati Stones di ”Street Fighting Man” (1968) fa eco, sempre nello stesso anno “Revolution” dei Beatles, una canzone dagli intenti diversi dove: « Dici di volere una rivoluzione,ebbene, sappi,che tutti vogliamo cambiare il mondo. Ma quando parli di distruzione,ebbene, sappi che non puoi contare su di me »
Gli anni dei '60's si chiudono con un altro manifesto di non violenza e nello specifico “Gimme  Shelter” (1969) dei Rolling Stones.
Gli anni settanta registrano altre icone come “Imagine” (1971) di John Lennon che poggia sull'asse letteraria della fratellanza universale ma anche le speranze di una intera generazione rivolte ad un mondo senza guerre.
In quegli anni - prosegue Gianni Aiello – viene analizzata la questione irlandese da parte di Paul Mc Cartney che insieme al suo nuovo progetto musicale con i Wings, realizza nel 1972 “Give Ireland Back to the Irish” (1972), rifacendosi alla drammatica “domenica di sangue” di Derry (Irlanda del Nord) del 30 gennaio dello stesso anno, dove a seguito di una pacifica manifestazione vengono uccise quattordici persone e diversi civili furono feriti da parte dell'esercito britannico.
Sempre a tal proposito, John Lennon nello stesso anno incide a New York “Sunday Bloody Sunday” e nel 1983 gli U2 incisero un'altra canzone sempre con lo stesso titolo, anche se con situazioni musicali completamente diverse.
I '70's registrano “Cortez the Killer” (1975) di Neil Young, canzone che venne censurata in Spagna durante la dittatura di Francisco Franco,"Bohemian Rhapsody" (1975) dei Queen, la vittoria delle forze del bene su quelle del male da parte dei Led Zeppelini in “The Battle Of Evermore“ (1971)con chiari riferimenti alla letteratura di tolkieniana memoria, di cui Robert Plant è un grande estimatore.
Nel corso della relazione a cura di Gianni Aiello è stato ricordata  la figura di Francesco Di Giacomo, cantate del gruppo prog del Banco del Mutuo Soccorso che nel 1972 incideve “R.I.P” (musica: Vittorio Nocenzi / testo: Francesco Di Giacomo, Vittorio Nocenzi).
Anche in questo caso – evidenzia Gianni Aiello – ci troviamo di fronte ad una serie di fotografie narrative che riportano alla mente quella letteratura classica che Omero e Virgilio ci hanno tramandato:lance rotte, polvere, carri, cavalli, rumore delle armi, il silenzio: tutti elementi cari alla narrativa epica. Il testo è il racconto della guerra e delle sue fasi più cruente della stessa: tali situazioni vengono narrate dagli occhi di un soldato deceduto su un campo di battaglia.
“R.I.P.” è un manifesto contro le violenze e gli abusi della guerra che  non fa vincitori ma solo vinti.

Una menzione particolare è stata rivolta da parte di Gianni Aiello ai Pink Floyd ed ad alcune delle sue canzoni che narrano le vicende belliche e  nel contempo raccontano le vicende personali della famiglia Waters: infatti il padre di Roger (bassista e cantante dei Pink Floyd) Eric Fletcher (ufficiale britannico) morì durante le operazioni militari di Aprilia (Roma) del 18 febbraio del 1944 ed il cui corpo non venne mai ritrovato.
Questa tragedia familiare è stata tributata in diverse trasposizioni musicali dei Pink Floyd come in “Free Four”,(Obscured by Clouds 1972); “Us and Them”, (The Dark Side of the Moon,1973);”Another Brick in the Wall”, (The Wall ,1979); “When the Tigers Broke Free”, (The Wall,1982), “The Final Cut” (1983) ed anche in”The Ballad of Bill Hubbard”, (Amused to Death,1992), album solista di Roger Waters.

Sempre a riguardo la letteratura pinkfloydiana a riguardo il tema della guerra sono state analizzate anche “Bring The Boys Back Home”, “Goodbye Blue Sky”, entrambi facenti parte del doppio album “The Wall” del 1979, “Get Your Filthy Hands Off My Desert” , (The Final Cut ,1983)

Dopo i Pink Floyd, Gianni Aiello ha riportato altre cifre a riguardo la produzione discografica degli '80's come “Enola Gay”,(Organisation, 1980) degli OMD (Orchestral Manoeuvres in the Dark); “For Whom The Bell Tolls”, (Ride the Lightining, 1984) dei Metallica che prende spunto dal romanzo omonimo Ernest Hemingway.
Nel 1985 il gruppo fiorentino dei Litfiba realizza l'album “Desaparecido” con l'omonima traccia che narra una delle pagine più drammatiche del novecento causate dal regime militare di Jorge Rafael Videla Redondo.
Sempre nello stesso lavoro è inserita “Eroi nel vento” […guerre di eroi, tradite senza pietà, e svanite nei secoli...]
Nel 1992 è la volta dei Ramones che in “Censorshit” narrano di altre forme di violenze e nello specifico quelle relative alla libertà di espressione, ma anche del difficile ritorno alla vita normale dei reduci di guerra, prigionieri dei loro incubi in “Fortunes Of War” (The X Factor,1995) degli Iron Maiden e sempre la stessa band che narra della doppia realtà del soldato di ventura in “The Mercenary” (Brave New World,2000) […pagato per uccidere, muori per aver perso ...cacciato e cacciatore quale tu sei...]
La panoramica a cura di Gianni Aiello sul tema argomentato nella giornata di studi ha riguardato “Self Evident” (So Much Shouting, So Much Laughter, 2002) di Ani Di Franco , canzone scaturita a seguito della tragedia dell'11 settembre del 2001.
A tal proposito la cantautrice di Buffalo, nota anche per il suo impegno nel sociale, ebbe delle ripercussioni a riguardo quella “carica di vergogna” che ella manifestò in quell'occasione nei confronti del suo Paese con chiari riferimenti al presidente statunitense George W Bush e tali intendimenti fungono da anello di congiunzione con la successiva stesura sonora “The War On Errorism”dei californiani NO FX.
Un album composto da quattordici tracce caratterizzate da un forte manifesto comune di denuncia nei confronti della politica governativa del presidente Bush.
Il percorso effettuato da Gianni Aiello, rappresenta la classifica punta dell'iceberg – come lo stesso ha evidenziato nelle sue conclusioni- di canzoni che se pur scritte in momenti storici differenti, rappresentano una testimonianza sempre attuale a riguardo la guerra ed a ogni tipo di violenza, quindi un momento di riflessione a tal riguardo.
Nella seconda parte della giornata di studi sono stati trattati alcuni degli acronimi appartenenti al mondo del cinema a cura di Tonino De Pace come Stanley Kubrick, Mario Monicelli, Kirk Douglas, Greta Garbo, Ermanno Olmi, Charlie Chaplin: questi sono state alcune delle figure artistiche che hanno dedicato al primo conflitto mondiale uno spazio indelebile sia sul grande schermo che su quello televisivo. 
A riguardo la produzione filmica solo negli Stati Uniti vennero realizzati circa 2.500 pellicole nel triennio 1915-1918, di contro l'Europa ne produsse, secondo le statistiche cinematografiche circa 400.
Durante il periodo bellico tale produzione aveva dei fini chiaramente propagandistici ed in   Italia il primo film con preciso scopo propagandistico fu Maciste alpino del 1916 di Giovanni Pastrone, che in realtà si chiamava Pietro Fosco e che aveva già realizzato il colossal Cabiria. Il film è semplice e la funzione del forzuto dal cuore d’oro, inventata da Gabriele D’Annunzio, è quella di fare da giustiziere degli austriaci.
Parallelamente, negli Stati Uniti, il genio di Charlie Chaplin realizzava nel 1918 Charlot soldatoun sogno ad occhi aperti in cui il piccolo e debole Charlot catturava il Kaiser.
Negli USA, nel 1925, viene prodotto La grande parata, di King Vidor, film che ebbe un notevole successo, un melodramma centrato sulla figura di un ricco che si arruola per la guerra, ferito in Francia si innamora e sposa la donna che lo ha salvato. Forse c’era in quel film un antimilitarismo puerile, ma era solo l’inizio.
La brezza antibellica e pacifista, stava per diventare un vento sostenuto e nel 1930 sarebbe uscito il pimo film europeo di netto stampo pacifista. Si tratta di Westfrontdel tedesco Georg Wilhem Pabst.
La storia è quello di un giovane soldato che giunge in prima linea sul finire della guerra e viene accolto e protetto da tre veterani. In verità il film vive più di accumulo di immagini che di una vera e propria storia. Ma il suo potenziale pacifista e soprattutto l’orrore che suscitava per la guerra con i corpi dei soldati ammassati e seppelliti vivi nelle trincee ne fece un film proibito in Germania per molto tempo.
Nello stesso anno, ma negli Stati Uniti un altro film avrebbe segnato un altro punto contro l’idea bellica come risolutrice dei contrasti tra paesi. Lewis Milestone avrebbe infatti realizzato in quell’anno All’ovest niente di nuovotratto dal romanzo antimilitarista di Erich Maria Remarque. È la storia di un gruppo di giovani studenti che, istigati dal loro professore, si arruolano per la guerra. Presto scopriranno che gli eventi bellici sono differenti dagli ideali per i quali sono partiti e nessuno di loro tornerà.
L’altoatesino Luis Trenker fu un regista, scrittore, guida alpina, innamoratissimo delle sue montagne e autore e realizzatore di molti film che hanno come sfondo e protagonista proprio la montagna. La sua esperienza di soldato proprio durante la prima guerra mondiale fu in parte riversata in un romanzo che nel 1931 diventò un film con lo stesso titolo del libro: Montagne in fiamme. Una storia di eroismi che vede la montagna come simbolo universale di fratellanza. Il film è interessante perché la cultura del suo autore è vissuta a cavallo tra le due parti contrapposte e il suo film, come molti altri di cui stiamo ricordando i temi, non rinuncia ad una idea di solidarietà senza barriere e confini fondando queste riflessioni sulla propria diretta esperienza personale.
Mentre Westfront di Pabst costituisce un pamplhet contro gli orrori della guerra e il conflitto resta centrale e protagonista assoluto della vicenda, capita che a volte la guerra, nel cinema, diventi solo lo sfondo delle storie private e magari il corso di quegli avvenimenti modifichi le vicende personali o ne condizioni il loro evolversi. è ciò che accade ai due amanti di Addio alle armi, nella riduzione del famoso romanzo di Hemingway che Frank Borzage realizzò nel 1932. La melodrammatica storia dei due amanti sul fronte italo – austriaco è quella che conosciamo dal racconto del grande scrittore americano e l’impegno profuso diede i suoi risultati anche se il finale dovette essere adattato per esigenze di censura e scomparve, ad esempio, la disfatta di Caporetto. Nel 1957 sarebbe stata fatta un’altra versione del romanzo girata da Charles Vidor interamente in Italia. 
La grande illusione, 1934, di Jean Renoir era il film che ci si aspettava perché facesse da capostipite al cinema antimilitarista e pacifista. Un film che sconta il suo essere avanti rispetto ai tempi e che tra le sue righe cancella ogni inimicizia tra i popoli a vantaggio di una solidarietà autentica. Tanto autentica che Renoir non dimentica che sono le differenze di classe a condizionare gli eventi o comunque a dargli un volto preciso. La storia è quella di due soldati dell’aeronautica francese che abbattuti su territorio tedesco troveranno due modi diversi di essere trattati a seguito delle loro appartenenza all’aristocrazia o meno. Troveranno entrambi il modo di salvarsi per un ultimo gesto di solidarietà “nemica”, ma Renoir non usa la facile retorica di un pacifismo universale che non tenga conto delle differenze sociali. Il film non piacque al regime fascista e alla Mostra del Cinema di Venezia il Leone d’Oro quell’anno andò a Carnet da ballo, ma il film di Renoir resta una delle pietre miliari del cinema mondiale e non manca in nessuna storia del cinema che voglia attraversare e raccontare il tempo passato guardando il mondo com’è l’ha guardato il cinema.
Sempre dalla Francia, in quegli stessi anni, era il 1938, arrivava per la regia di Abel Gance J’accuseuna sorta di seguito di un film precedente che lo stesso regista aveva girato anni prima. In Italia avrebbe avuto il titolo di Per la patria. Un film che si divide tra fantascienza e fantapolitica ante litteram, ma che ha il pregio di essere “sincero e carico di un lirismo barocco e apocalittico” come ebbe a dire lo storico del cinema e sceneggiatore francese Jacques Lourcelles.
In Italia nel 1936 Goffredo Alessandrini aveva girato Cavalleriacon una giovanissima Anna Magnani e con quello che sarebbe divenuto il divo di quegli anni Amedeo Nazzari qui alla sua seconda interpretazione. Un film elegante e che fa della sobrietà uno dei tratti distintivi, ma siamo ancora al racconto di una storia d’amore impossibile con la guerra sullo sfondo.
Capita che certi film, pur pregevoli, quanto meno per la storia che raccontano, siano dimenticati e questo è accaduto per La storia d’Edith Cawell diretto dal regista e soprattutto produttore irlandese Herbert Wilcox. Il film narra la vera storia di una infermiera che in Belgio, durante il conflitto mondiale, aiutò molti soldati, di entrambi le parti in guerra, a fuggire. Per questo venne giustiziata dai tedeschi e oggi è venerata dalla Chiesa Anglicana.
Del 1941 è Il sergente Yorkdiretto da Howard Hawks un regista che conosceva il cinema, i suoi meccanismi spettacolari e che ha sempre realizzato un cinema autenticamente spettacolare, lavorando intensamente sui generi e rivolgendosi alla scrittura come mezzo essenziale di costruzione della messa in scena. Il film ebbe dieci candidature all’Oscar, ma ne vinse due soltanto e una andò al suo interprete che era Gary Cooper. La storia è quella del giovane contadino con una mira eccezionale, eroe controvoglia in una guerra di cui non riconosce i principi per le sue convinzioni religiose.
Girato nel 1946, ma uscito sugli schermi nel 1951, è il film Senza bandiera  dell’avellinese Lionello De Felice, un dignitoso artigiano del cinema e della televisione dedicatosi ai generi popolari e questo film segna il suo esordio alla regia. La storia è quella di uno scassinatore provetto assoldato dall’esercito italiano per sottrarre documenti agli austriaci. Un film per il quale si apprezza il mestiere dell’esordiente regista e che vive sui principi di un patriottismo che non è mai fuori registro o sensazionalistico.
Riccardo Freda è stato un altro dignitosissimo artigiano del cinema la cui prolificità si è manifestata in numerosi generi che hanno fatto popolare il nostro cinema. Nel 1952 si è cimentato nel melodramma ambientato durante gli anni di quella prima guerra mondiale. Con La leggenda del Piave, storia di una coppia con lei fervente patriota e lui che va in guerra per i suoi affari illeciti, il regista avrebbe dato il suo contributo ai temi sviluppati attorno a quegli eventi, ma Freda avrebbe firmato migliori produzioni e il film va ricordato perché la guerra resta in qualche misura protagonista per le influenze che ha sulle relazioni tra i personaggi.
Due film avrebbero segnato il 1957 e sono Addio alle armi di Charles Vidor e Orizzonti di gloria di Stanley Kubrick. Sul primo non c’è molto da dire non solo perché fu un fiasco al botteghino, il che nella storia del cinema non ha particolare significato, ma soprattutto perché il film, girato in Italia tra il Friuli e il Lago Maggiore e cioè sul teatro di guerra descritto dal romanzo, non restituisce il respiro della storia di Hemingway. I due attori italiani, Sordi e De Sica superarono in bravura i loro colleghi americani nella resa recitativa nonostante i due si chiamassero Rock Hudson e Jennifer Jones, quest’ultima moglie del produttore Selznick e va detto che carriera di quest’ultimo si chiuse proprio con questo film. Tutto trova conferma se si pensa che De Sica per questo film ebbe la candidatura all’Oscar per il migliore attore non protagonista.
Sul secondo, invece va spesa qualche parola. Non solo perché fu realizzato dal regista americano considerato a ragione un genio assoluto del cinema, ma perché pur essendo ambientato nel grande scenario della prima guerra mondiale, come già per La grande illusione e, in genere tutti i film con grandi qualità, la sua efficacia travalica la storia e i tempi per diventare un’opera dal respiro universale e sempre attuale. Per Kubrick i temi della guerra costituivano una ciclica riflessione. Il suo esordio fu Paura e desiderio nel 1953 da poco tornato nelle sale; poi arrivò questo film, nel 1957; nel 1963 fu la volta di Il dottor Stranamore e nel 1987 di Full metal jacket. Un discorso ininterrotto quello di Kubrick sugli eventi bellici. Il suo cinema sempre composto e ultimativo, anche su questo argomento ha scandagliato ogni profilo e Orizzonti di gloria dimostra i suoi principi che con un’atmosfera più metafisica e in forma di parabola umanitaria, erano stati espressi in Paura e desiderio.
Quando nella tarda primavera del 1959 Mario Monicelli girava nel Friuli La grande guerra non avrebbe immaginato che quel film sarebbe diventato uno dei più importanti del cinema italiano e che non solo avrebbe vinto il Leone d’oro in quello stesso anno a Venezia in ex aequo con Il generale Della Rovere di Roberto Rossellinie sarebbe stato candidato all’Oscar per il miglior film straniero. Forse il segreto del film di Monicelli risiede nella capacità, unica e straordinaria di mescolare con saggio equilibrio tragedia e comicità, satira e dramma e di fare un ritratto autentico della vita e di un’Italia popolare prendendo due figure tipiche ma non abbozzate o macchiettiscamente caratterizzate e che poi questa vita in particolare sia una vita di guerra costituisce un profilo particolare che merita qualche parola.
I suoi due protagonisti Alberto Sordi e Vittorio Gassman rappresentano i volti degli italiani, le loro debolezze che sono anche le nostre. Soldati spaesati in un terra non loro, spaventati e forse anche un po’ codardi. Portare a casa la pelle era il loro unico scopo, eppure mostrano alla fine il loro disinteressato eroismo, orgogliosi, ad un passo dalla soluzione, ma anche dal necessario riscatto. Avremo per sempre nella memoria Oreste Jacovacci e Giovanni Busacca, come i soldatini di piombo che difendono le loro vite, ma pronti a morire quando l’offesa non è più sopportabile. Il capolavoro di Monicelli è anche una lezione di etica, sfrondata da ogni propaganda, un film profondamente onesto e profondamente italiano.
Va ricordato, ma solo perché l’autore della storia da cui è tratto il film è Ernest Hemingway, Le avventure di un giovanedi Martin Ritt del 1962. La storia di un giovane giornalista che si ritrova in guerra e si innamora dell’infermiera che lo cura. Lei morirà durante un bombardamento e al suo ritorno lui apprenderà del suicidio del padre. Un film che è forse il peggiore del talentuso e progressista regista americano e che vede la guerra come sfondo scenografico di un dramma tutto personale.
L’americano e comunista Joseph Losey resta uno degli autori più anomali del panorama mondiale. Originale e sensibile, il suo cinema, un po’ come quello di Kubrick è molto vicino alla cultura europea, anglosassone in particolare, piuttosto che a quella americana, dalla quale, in verità si sentì sempre molto lontano. Nel 1964 il suo spirito pacifista, dopo l’allegoria di Il ragazzo dai capelli verdi, tornava sui temi della solidarietà e lo faceva guardando ai fatti della prima guerra mondiale. Per il re e per la patriadel 1964 è da molti critici paragonato a Orizzonti di gloria, proprio per la sua forma asciutta, un po’ brechtiana che fa trasparire la violenza insita nelle situazioni senza che vi sia alcuna sequenza particolarmente violenta. Un film per la gran parte girato in studio che opprime ancora di più la visione e la cui cupezza è accresciuta dai sordi colpi di artiglieria che si sentono in lontananza. Dentro questi ambienti angusti si consuma la vicenda del soldato Hamp disertore per errore e fucilato per davvero dai suoi stessi commilitoni destinati anch’essi a finire i loro giorni molto presto. Un film sulla irragionevolezza delle regole militari applicate con cinismo nella folle gloria del comando.
Di tutt’altra fattura è La caduta delle aquiledi John Guillermin, 1965, un film biografico su un eroe dell’aviazione della prima guerra mondiale. La caratteristica di Bruno Stachel, è lui l’eroe, è che era di estrazione popolare contrariamente agli altri tutti appartenenti all’aristocrazia. Il suo arrivismo gli farà però perdere la vita.
È del 1969 uno tra i film più ignorati della cinematografia italiana che abbia ad argomento i temi della prima guerra mondiale e nel contempo i principi antibellici e antimilitaristi. Fräulein Doktordi Alberto Lattuada racconta le vicende di Elisabeth Schragmuller la spia tedesca che tanto filo da torcere diede agli eserciti alleati. Un film dimenticato e a torto, costituendo, invece, una delle opere migliori che siano state girate in Italia e che abbiano ad ambientazione il primo conflitto mondiale.
Sul tema del pacifismo e soprattutto dell’antimilitarismo non poteva mancare una commedia musicale. Ci pensò nel 1969, in pieni anni di contestazione giovanile, un po’ come accadde per Hair di Milos Forman, l’inglese Richard Attenborough con Oh che bella guerra!Una beffarda satira antimilitarista che si avvaleva di un cast eccezionale e tra loro Lawrence Olivier, Dirk Bogarde e Maggie Smith.
Di ben altra fattura drammatica è invece un film del 1970 scritto e diretto da Dalton Trumbo il cui vero mestiere era lo sceneggiatore, ma inseguì il progetto di portare sullo schermo questo film per trent’anni e finalmente a 65 anni realizzò il suo desiderio. Il film si intitola E Johnny prese il fucile. È forse il film più dolente e doloroso girato sulla guerra e nel quale il pacifismo e l’antimilitarismo sono rappresentati dalla figura inerte di Johnny il cui corpo smembrato sembra urlare a gran voce contro ogni guerra. La storia, infatti è quella di Johnny che a causa di una cannonata perde gli arti superiori e inferiori, è ridotto senza la parola ad un troncone in un letto e può comunicare solo attraverso gli occhi. Il senso di impotenza e di costrizione di questo film è assoluto anche per gli spettatori ed è accentuato dalla costruzione su due livelli: il presente di Johnny (in bianco e nero) e il suo passato (a colori) tutto il dolore nostro e di Johnny sembra solo lievemente alleggerito dal rapporto che naturalmente si instaura tra il soldato e un’infermiera che lo assiste. Film efficacissimo sotto il profilo del suo effetto sulle coscienze e altrettanto invisibile agli occhi degli spettatori del nostro secolo.
Anche l’Italia in quegli anni, era il 1971, avrebbe dato il suo contributo alla causa pacifista e l’avrebbe fatto attraverso il film di Francesco Rosi Uomini contro, nel cui cast sarebbe stato chiamato Gian Maria Volontè, forse l’attore più simbolico di una certa cultura antimilitarista di quegli anni. Film liberamente ispirato al libro di Emilio Lussu Un anno sull’altipiano è la storia di uno studente interventista che scopre la follia della guerra e soprattutto l’insensatezza di alcuni ordini che vengono impartiti dagli alti ufficiali. Un film indubbiamente polemico che fa del pacifismo e dell’antiautoritarismo una bandiera. Sceneggiato da Tonino Guerra e Raffaele La Capria, il film non ebbe vita facile e come Orizzonti di gloria, al quale anche per il suo contenuto viene spesso accomunato, fu visto in sala solo qualche anno dopo la sua realizzazione.
Negli anni 70 oltre al film di Rosi vanno citati Il barone rosso di Roger Corman, 1971, maestro dell’horror che si cimenta in un dignitoso film di guerra sulla figura del famoso e imbattibile aviatore austriaco. Un film malinconico e semplice nella sua messa in scena secondo l’estetica del maestro americano e che fu girato utilizzando i veri aerei dell’epoca. Va citato doverosamente anche La battaglia delle aquile di Jack Gold del 1976. Un film altrettanto onesto e sincero, ambientato anche questo sui cieli, ma qui la protagonista è l’aviazione inglese. Un’opera fortemente critica nei confronti dei valori militari che confuta ogni comune opinione sull’eroismo. Chiude il decennio degli anni settanta un film che costituisce una nuova messa in scena del romanzo di Remarque e il cui titolo ricalca ovviamente quello dell’opera letteraria. Niente di nuovo sul fronte occidentale del 1979 per la regia di Delbert Mann. È una trasposizione dignitosa e diligente del racconto, ma in fondo nulla di più.
Gli anni spezzati – Gallipoli, del 1981 è un film dell’allora trentasettenne regista australiano Peter Weir. Un racconto picaresco di amicizia spezzata dalla guerra. L’episodio rievocato è quello dell’assedio del porto turco di Gallipoli nel 1915 dove centinaia di soldati australiani furono massacrati dall’esercito turco.
Nel 1982, con il registro da commedia che è più congeniale ai registi italiani esce Porca vacca, per la regia di Pasquale Festa Campanile. Il film vive sulla comicità delle situazioni e Renato Pozzetto, che ne è il protagonista tira fuori il mestiere. Ma la guerra resta sullo sfondo e insieme a lei molte altre cose.
Sempre dall’Australia, per la regia di Simon Wincer nel 1987 arriva Lighthorsemen: attacco nel desertoche ricorda un avvenimento accaduto nel deserto durante la guerra ’14 – ’18 e che ha visto l’esercito australiano impegnato contro quello tedesco nel nord Africa. L’ennesimo ripudio della guerra qui è impersonato da una recluta che si rifiuta di uccidere altri uomini anche a costo di soccombere.
Cè un film davvero anomalo nel raccontare la prima guerra mondiale. L’autore è il grande regista francese Bertrand Tavernier, il titolo La vita e niente altro del 1989. Un’acuta e quanto mai indiretta riflessione sulla guerra compiuta da un ufficiale che cerca un disperso in guerra e dalla moglie di quest’ultimo. Da questa ricerca nascerà il loro amore, ma il film resta un’invettiva per nulla banale o superficiale contro l’inutilità di tutte le guerre. Dell’inglese Richard Attenborough, già autore di Oh che bella guerra è Amare per sempredel 1996 tratto dal libro di Henry S. Villard dal titolo lunghissimo: In amore e in guerra. Il diario perduto di Agnes von Kurowsky, le sue lettere e le lettere di Ernest Hemingway. Il film insiste sul binomio amore e guerra e quanto quest’ultima possa impedire e ostacolare le storie d’amore, privando molti giovani dell’emozione dell’innamoramento.
Bertrand Tavernier avrebbe rivisitato qualche anno dopo La vita e niente altro i temi della guerra guardando ancora al primo conflitto mondiale con un un film del 1996 dal titolo Capitan Conan. Ambientato sul fronte balcanico sul finire degli eventi, dopo la resa della Bulgaria il Capitano Conan porterà le sue truppe d’assalto in Romania contro i bolscevichi. Un altro film che guarda alla guerra in modo trasversale, ma per questo addirittura più originale e che ha lo scopo di denunciare gli orrori attraverso i suoi devastanti effetti che incidono irreparabilmente sulle vite dei suoi protagonisti.
Regeneration è un film del 1997 dell’inglese Gillie MacKinnon. L’opera mette al centro della storia due poeti ricoverati in un’ospedale per traumi neurologici causati dai combattimenti. Un film composto, molto inglese, ma tutto sommato efficace nel suo effetto finale non dissimile dagli altri sull’argomento.
La battaglia della Somme del 1° luglio 1916 è ricordata dagli storici della prima guerra come la battaglia più sanguinosa combattuta dall’esercito britannico e da quello francese contro i tedeschi. Un battaglia con un fronte di 40 chilometri che provocò circa un milione tra morti, feriti e dispersi. Il sanguinoso evento è al centro del film La trinceadel 2000 realizzato da William Boyd ghanese di nascita, ma britannico per le sue origini. Un film pervaso dall’angoscia e dalla paura dei soldati che vanno incontro alla loro fine su quello sterminato campo di battaglia. 
È del 2001 Il battaglione perdutoper la regia dell’australiano Russel Mulcahy. Ambientato nelle Argonne sul finire del conflitto, narra la storia di un battaglione americano che finito dietro le linee nemiche resta intrappolato senza viveri e medicinali. Dei 600 soldati che lo componevano, torneranno meno di 200. Un film un po’ visionario e molto originale che sceglie di mettere al centro la necessaria umanità dei soldati protagonisti della vicenda realmente accaduta.
Un altro originale racconto della prima guerra mondiale è il film sempre del 2001 del francese François Dupeyron La chambre des officiers. Tratto dal romanzo di Marc Dugain è la storia di un giovane ufficiale costretto a ”guardare” la vita dalla sua stanza nella quale trascorre i cinque anni della guerra a causa di una ferita subita durante i primi giorni delle ostilità. Il protagonista si prepara alla vita mentre infuria la guerra.
Il cinema a volte ha bisogno di scenari veri per mettere in scena le proprie finzioni e anche la prima guerra mondiale diventa un set, uno scenario. Accade per Deathwatch – La trincea del maledel 2002. La guerra è un orrore in se e qui l’inglese Michael J. Bassett, attratto dal genere horror, ha realizzato un film in cui le paure vere della guerra e quelle costruite del genere cinematografico si accavallano. Non è propriamente un film su quella guerra, ma una metafora, come spesso accade nel cinema dell’orrore, che in questa occasione riguarda ogni conflitto.
Pieno di buoni sentimenti e non scevro da una sottile retorica, benchè complessivamente efficace è il film di Christian Carion Joyeux Noël – Una verità dimenticata dalla storia, del 2005 ispirato ad un avvenimento realmente accaduto. Sul fronte di guerra, durante la notte di Natale, quando una cantante lirica intonerà le note di una canzone per allietare le truppe tedesche, vedrà rispondersi in accompagnamento dal suo collega scozzese al suono della cornamusa. Sarà l’occasione per i soldati di incontrarsi e scoprire la propria umanità al di là di ogni frontiera. I soldati francesi si uniranno e tra champagne e canti il sorriso allieterà il loro Natale di guerra.
L’americano Tony Bill nel 2005 realizza Giovani aquile che narra la storia di un gruppo di giovani aviatori americani entrati in guerra come volontari al fianco dei francesi prima ancora che gli USA si interessassero al conflitto. Tony Bill è un cultore di quella guerra e anche collezionista di cimeli e con questo suo lavoro ha voluto rendere omaggio a quei giovani e al loro senso d’onore che li ha portati ad annullare ogni differenza sociale ed etnica nei voli di guerra che hanno compiuto. Tutto questo ne fa uno dei migliori film degli ultimi anni.
Passchendaele del canadese Paul Gross è un film del 2008, ma racconta un famoso evento bellico del 1917. Al centro della vicenda vi è una massiccia offensiva delle truppe alleate canadesi e britanniche contro i tedeschi per occupare il paesino di Passchendaele. Morirono 300.000 uomini stroncati anche dai gas tossici dei tedeschi e la presa del paese si rivelò in fondo inutile.
Nel 2011 Steven Spelberg realizza War horse , una storia di un’amicizia profonda tra un ragazzino e un cavallo. Il cavallo venduto per sanare i debiti familiari finirà sulle prime linee della prima guerra mondiale. Anche il ragazzo partirà per il fronte e uno dei suoi scopi sua sarà la ricerca affannosa del suo cavallo ormai eterno amico. Un film dalla struttura semplice che tradisce la voglia di favole anche dello Spielberg più adulto e che fa ritrovare, grazie ad un cavallo, un poco di umanità nei luoghi in cui le vite di giovani uomini si consumano inesorabilemente.
Un ultimo film, in ordine cronologico, uscito di recente in sala e che abbia come tema quello della guerra ’14 – ’18, si intitola La montagna silenziosa, di Ernst Gossner. La storia è quella di due giovani innamorati, lei italiana, lui sud-tirolese che si conoscono e si innamorano alla vigilia del conflitto. Lui dovrà partire per il fronte, ma le loro origini li contrapporranno e da innamorati si ritroveranno nemici. Il film, girato sui luoghi altoatesini è anche un’analisi di quegli effetti terribili che la guerra ebbe sulle popolazioni dei luoghi dolomitici dell’Alto Adige a causa di ciò famiglie che prime erano amiche e solidali si trovarono su fronti opposti e separati nei loro stessi villaggi.
A questi film che sono stati prodotti per il cinema si aggiungono anche i molti documentari di guerra che hanno tramandato, con le loro immagini tremolanti e accelerate i visi dei soldati, i cannoni, le cime innevate e le fatiche delle truppe. Ma ci sono anche gli sceneggiati realizzati per la TV che hanno raccontato, usando termini più popolari, la guerra e le vicende di quegli anni. Tra questi ricordiamo L’amore e la guerra di Giacomo Campiotti del 2007 miniserie televisiva con Martina Stella e Daniele Liotti, Mino sceneggiato del 1989 realizzato da Gianfranco Albano tratto dal libro di Salvator Gotta e soprattutto La sciantosa del 1971 per la regia di Alfonso Giannetti e con due interpreti di prim’ordine Anna Magnani e Massimo Ranieri.
Tutte queste opere offrono innegabilmente un panorama ricco e variegato, un cinema che si è eticamente schierato dalla parte di un pacifismo consapevole e ci si augura che tale percorso descrittivo, che tale lunga scia di sangue descritta sia nella sfera musicale che in quella cinematografica possa favorire a non ritenere la guerra come qualcosa di inevitabile.

ShinyStat
3 aprile 2014
la manifestazione

Charlot in trincea, regia di Charlie Chaplin, (1918), Gran Bretagna;
Heart of the world (Il cuore della Terra), regia di David W. Griffith, (1918),USA;
J'accuse, regia di Abel Gance, (1919),Francia;
I quattro cavalieri dell'Apocalisse, regia di Rex Ingram , (1921),USA;
La suora bianca,regia di Henry King (1923),USA;
La grande parata, regia di King Vidor, (1925), USA;
Ali, regia di William Wellman, (1928), USA;
Verdun,visioni di storia,regia di Léon Poirier, (1928),Francia;
Arsenale, regia di Alexandre Dovjenko,(1929),URSS;
Somme Germania, regia di Heinz Paul, (1930),Germania;
Westfront Germania, regia di Georg Wilhelm Pabst, (1930),Germania;
Gli angeli dell'inferno,regia di Howard Hughs, (1930),USA;
All'Ovest niente di nuovo (All Quiet on the Western Front),regia di Lewis Millestone, (1930),USA;
Journey's End, regia di James Whale,(1930),USA;
Mata Hari,regia di George Fitzmaurice,(1931),USA;
Berge in flammen (Montagne in fiamme),regia di Hartl – L.Trenker,(1931),Germania;
Il compagno B (Pack Up Your Troubles),regia di George Marshall,Raymond McCarey ,(1932),USA;
Terra di nessuno, regia di Victor Travis,(1932),USA;
Addio alle armi (A farewell to arms),regia di Frank Borzage,(1930),USA;
Ero una spia, regia di Victor Saville,(1933),Gran Bretagna;
La guerra lampo dei Fratelli Marx (Duck Soup ), regia di Leo McCarey,(1933),USA;
Stosstrupp 1917 Stati Uniti regia di Ludwig Schmid-Wildye Hans Zöberlein,(1934),USA;
L'angelo delle tenebre Stati Uniti regia di Sidney Franklin,(1935),USA;
Le scarpe al sole, regia di Marco Elter,(1935),Italia;
Le vie della Gloria Stati Uniti regia di Howard Hawks,(1936),USA;
Cavalleria , regia di Goffredo Alessandrini,(1936),Italia;
La grande Illusione (La grande illusion),regia di Jean Renoir, (1937),Francia;
J'accuse, regia di Abel Gance (remake), (1937),Francia;
La storia d'Edith Cavell, regia di Herbert Wilcox, (1939),Gran Bretagna;
Il sergente York Stati Uniti regia di Howard Hawks, (1941),USA;
Senza bandiera,regia di Lionello De Felice,(1951),Italia;
La leggenda del Piave,regia di Riccardo Freda, (1952),Italia;
Orrizonti di gloria (Paths of Glory),regia di Stanley Kubrick,(1957),USA;
Addio alle armi (A farewell to arms), regia di Charles Vidor,(1957),USA;
La grande guerra, regia di Mario Monicelli,(1959),Italia;
Le avventure di un giovaneregia di Martin Ritt,(1962),USA;
Lawrence d'Arabia, regia di David Lean,(1962),Gran Bretagna;
Per il re e per la patria,regia di Joseph Losey,(1964),Gran Bretagna;
La caduta delle aquile (The Blue Max),regia di John Guillermine,(1966),USA;
Oh che bella guerra!,regia di Richard Attenboroug,(1969),Gran Bretagna;
I recuperanti,regia di Ermanno Olmi,(1969),Italia;
E Johnny prese il fucile,regia di Dalton Trumbo,(1970),USA;
I recuperanti,regia di Ermanno Olmi,(1970),Italia;
Uomini Contro,regia di Francesco Rosi,(1970),Italia;
Von Richthofen and Brown (Il barone rosso),regia di Roger Corman,USA,(1971);
La sciantosa, regia  di Alfonso Giannetti,Italia, (1971);
La Battaglia delle Aquile,regia di Jack Gold ,(1977),Gran Bretagna;
All'Ovest niente di nuovo (remake),regia di Delbert Mann ,(1979),USA;
Fraulein doctor,regia di Alberto Lattuada,(1979),Italia;
Gli anni spezzati (Gallipoli),regia di Peter Wair,(1981),Australia;
Porca vacca,regia di Pasquale Festa Campanile,(1982),Italia;
Mata Hari (un corpo da spiare), regia di Curtis Harrimgton,(1985),USA;
Light Horsemen (Attacco nel deserto),regia di Simon Wincer,(1987),Australia;
La vita e niente altro,regia di Bertrand Tavernier,(1989),Francia;
Mino (sceneggiato per la TV),regia di Gianfranco Albano,(1989),Italia;
Amare per sempre,regia di Richard Attenborough,(1996),USA-UK;
Capitan Conan (Capitaine Conan),regia di Bertrand Tavernier,(1996),Francia;
Regeneration,regia di Gillies MacKinnon,(1997),UK,Canada;
La Trincea (The Trench),regia di William Boyd,(1999),Francia-Regno Unito;
Il Battaglione perduto Stati Uniti regia di Russel Mulcahy,(2001),USA;
La chambre des officiers,regia di François Dupeyron, (2001),Francia;
Deathwatch - La trincea del male, Michael J.Basset,, (2002),Francia,Italia;
Una lunga domenica di passioni (Un long dimanche de fiançailles),di Jean-Pierre Jeunet (2004),Francia;
Joeux Noel (La tregua di Natale) regia di Christian Carion, (2005),Francia;
Giovani Aquile (Flyboys)  regia di Tony Bill ,(2006),Usa-Francia;
L'amore e la guerra (sceneggiato per la TV), regia di Giacomo Campiotti,(2007), Italia;
Passchendaele ,regia di Paul Gross,(2008),Canada;
The Somme from defeat to Victory,regia di Detlef Siebert,(2009),Inghilterra;
War Horse, Stati Uniti regia di Stephen Spielberg,(2011),USA;
La Montagna Silenziosa (Der Stille Berg), (2013) regia di Erns Gossner,Austria;
Torneranno i prati, (2014), regia di Ermanno Olmi, Italia.