Il Circolo Culturale L’AGORA’ ha organizzato un convegno su questo tema per ben evidenziare la "totale indifferenza delle istituzioni sull’argomento.
Dimostrazione di ciò ne è la destinazione di Longhi-Bovetto, che invece di essere tutelato, in quanto «tempio fossile» , con un’ordinanza comunale tale area è stata requisita ed adibita a discarica.
Durante il convegno si è sottolineato l’assoluta necessità di istituire a Reggio Calabria un museo di paleontologia per evitare che importanti "pezzi" emigrino, come in passato, verso altri lidi e per disporre l’immediato ritorno di reperti di pregevole e inestimabile valore .
Orlando Sorgonà, ha ricordato che già nel 1600 il naturalista Agostino Scilla descrisse ritrovamenti di reperti fossili e che nell’800 numerosi studiosi provenienti da ogni parte del mondo giunsero nel territorio reggino per le loro ricerche .
«Su tutte le colline - ha detto Sorgonà - basta scavare un po' per trovare grosse quantità di fossili» .
Le zone di particolare interesse sono Mosorrofa, Longhi Bovetto, Ortì, Vinco, la Collina di Pentimele, Prado di Cataforio,Sant’Apollinare, di Terreti, contrada Limbone di Vito, aree queste che insieme ad altre innumerevoli zone della provincia rappresentano un patrimonio di inestimabile valore .
Così come i rinvenimenti, ricordati da Gianni Aiello, presidente del sodalizio reggino, riguardanti quattro molari, alcuni frammenti di vertebre ed ossa del cranio di un elefante scoperto nel 1869 presso Reggio Calabria, sulla strada rotabile di Terreti; o la scoperta relativa a frammenti di molari e canini, frantumi di ossa d'elefante rinvenuti insieme a Rhynoceros Merki e a Cervus del periodo quaternario in contrada Corvo presso Reggio Calabria .
Si è parlato poi dell'interessante scoperta avvenuta verso la fine di Aprile, durante le ricerche di campagna condotte nell'ambito di un progetto educativo, lo studente Filippo Sorgonà del Liceo Scientifico "Leonardo da Vinci" di Reggio Calabria, segnalò al suo insegnante di Scienze Naturali, la presenza di ossa lungo un tratturo che si snoda sulle pendici settentrionali di Monte Chiarello a Ortì Superiore.
Dalla letteratura esistente in materia risultava che, in quella zona, eventuali ossami, pure non infrequenti nei dintorni del reggino, rivestivano comunque carattere d'eccezione e potevano riferirsi a scheletri di cetacei.
Già nel 1879 infatti, nelle colline presso Terreti, l'insigne studioso messinese Giuseppe Sequenza raccolse i resti di una balenottera fossile -che attribuì al gen. Heterocetus.
Lo stesso riporta anche che analoghi resti, sia pure appartenenti a diverso periodo geologico, erano stati rinvenuti a Briatico, presso Tropea e nella contrada Falcò nel territorio di Gerace, molto vicino a Siderno superiore.
E più avanti continua: "... altri ossami spettanti ad una balenottera conservansi all'Università di Napoli e furono raccolti a Briatico e a Pizzo...", per poi proseguire: "... altri ancora si rinvennero ad Ambutì sopra Condojanni, che poco dista da Portigliola e nella contrada Malochia presso Agnana ...".
Fin dai primi saggi di scavo, dal sedimento sabbioso di color grigio-bruno, è di finissima granulometrìa, (compresa fra 1/16 e 1/250 di mm e definita silt) emersero grandi ossa, ancora in buono stato di conservazione.
Il breve sopralluogo e l'esame di quei resti assicurarono che trattavasi di un cetaceo, per la chiara origine marina della formazione, per le dimensioni gigantesche del fossile e, non ultima, per la natura spugnosa delle ossa.
Esami successivi e più accurati, misero in evidenza che:
- lo scheletro si presentava esposto di fianco, lungo un fronte di circa 12 metri, allineato in senso E-W; - lo stesso si presentava privo dell'emitorace di sx, le cui ossa costali erano state frantumate (e ridotte in numerosissimi minuti frammenti, sparsi per ogni dove), presumibilmente da una ruspa o da un altro mezzo meccanico, usati per l'apertura del sentiero;
- qualche segmento gigantesco della colonna vertebrale si presentava con le sue parti ancora in connessione anatomica;
- pure disarticolati, i vari pezzi dello scheletro si succedevano, lungo la linea di scavo, nella loro posizione di vita;
- sui resti del cetaceo e/o mescolati con essi, si trovavano numerosi denti di selacei (squali) appartenenti almeno a tre specie differenti.
Si è già detto del riconoscimento dei resti come spettanti ad un cetaceo, sulla base soprattutto, del carattere spugnoso delle ossa e delle loro dimensioni, cui vi è da aggiungere un carattere generale del cranio, affatto speciale per l'ordine, ovvero, la sua telescopìa.
É una condizione per cui lo scheletro della faccia (splancnocranio) ha subìto un abnorme processo di sviluppo per il quale le ossa mascellari, premascellari e vomere, si presentano molto estese in lunghezza (mentre, in proporzione, il neurocranio -peraltro andato disperso- appare raccorciato e più sviluppato in altezza e larghezza).
Del nostro è stato recuperato l'emimascellare dx di 140 cm di lunghezza.
Il fenomeno della telescopìa è interpretabile come una risposta adattativa alla vita in acqua, per le esigenze idrodinamiche del nuoto e per l'assunzione del cibo che richiede un forte sviluppo delle mascelle.
Inoltre, poiché lo scheletro osseo costituisce un ottimo conduttore del suono, secondo alcuni, invece, il cranio telescopico svolgerebbe anche la funzione di cassa di risonanza per meglio « captare » le onde sonore emesse nell'acqua.
Anche la colonna vertebrale mostra l'adattamento all'ambiente acquatico.
In quasi tutti i mammiferi sono gli arti ad essere organi di locomozione, mentre nei cetacei è la coda ad avere acquisito funzioni propulsive: gli arti anteriori sono organi direzionali e quelli posteriori, sono del tutto regrediti.
Questa evoluzione ha provocato una così drastica riduzione del cinto pelvico, da farlo quasi completamente scomparire !
Ne consegue che la colonna vertebrale riflette questa capacità di spinta da parte della coda che, per essere efficace e possente, richiede inserzioni adeguate alla potenza muscolare.
Le balene perciò, contrariamente agli altri mammiferi, hanno le vertebre più massicce verso la parte terminale della colonna vertebrale e non ben differenziate in lombari, sacrali e caudali, a causa dell'atrofia del bacino.
Per la mancanza di zigapofisi esse non si articolano fra loro, ma restano unite tramite i dischi intervertebrali, che non si mantengono allo stato fossile (il che giustifica l'aspetto alquanto disarticolato del nostro).
Sono stati infatti ritrovati numerosi corpi vertebrali, privi però dei processi spinosi, più fragili e delicati.
La colonna vertebrale, in origine piuttosto diritta e senza sensibili curvature, comprendeva un numero di vertebre, molto variabile pure nell'ambito della stessa specie.
Oltre le solite sette cervicali, esisteva un numero imprecisato di vertebre toraco-lombari e caudali, non tutte però recuperate.
I vari resti, comprese le costole, si presentavano ricoperti da una spessa e densa patina di materiale ocraceo, di consistenza grassa, in quanto impregnata dai liquami originati dalla putrefazione, in ciò agevolati dal tessuto spugnoso scheletrico che, nei cetacei attuali, è saturo di grasso anche fluido.
La distruzione completa è stata inibita dal pH acido del terreno e dalla presenza di ioni ferro (cui si deve il colore rossiccio) che hanno rallentato la decomposizione della parte organica dell'osso. (Sarebbe interessante appurare quali altri componenti organici, come il collagene e i vari amminoacidi, sono ancora presenti e in che misura).
Si potrebbe ora pensare ad un tentativo di classificazione che richiede pure un certo impegno tassonomico.
L'ordine dei Cetacei comprende:
- Il sottordine degli Archeoceti = le balene primitive, vissute dall'Eocene al Miocene, che si sono estinte completamente, senza lasciare discendenti attuali, per cui si conoscono solo allo stato fossile, come il Basilosaurus, evolutosi forse dai grandi rettili marini dell'era precedente;
- Il sottordine degli Odontoceti = quali i delfini, le Orche e i Capodogli attuali, che appaiono nell'Eocene superiore e che ebbero grande diffusione e sviluppo nell'Oligocene e nel Miocene inferiore, con gli Squalodonti, genere oggi estinto;
- Il sottordine dei Misticeti = comprendenti balene e balenottere di origine assai più incerta; sebbene si ritenga che siano derivati direttamente dagli Archeoceti primitivi, durante l'Eocene inferiore. La loro storia sicura inizia solo nell'Oligocene, con la comparsa dei primi Cetoteri.
Questi primitivi Misticeti ebbero grande diffusione nel Miocene e nel Pliocene e si rinvengono allo stato fossile in molti giacimenti di quest'età.
Ciò che distingue i Misticeti dai due precedenti sottordini, è la completa assenza dei denti (che solo nei feti si possono riscontrare allo stato di abbozzi, per poi comunque regredire).
Esclusivi di questi mammiferi sono i fanoni, formazioni cornee laminari, a crescita continua, disposte in serie e sospese alla mascella superiore, su ambo i lati della bocca.
Nel nostro caso è stata recuperata solo una metà dello scheletro facciale che non ha consentito, ad un esame superficiale, di discriminare formazioni dentarie; solo dopo il restauro in laboratorio, sarà possibile accertare la presenza o l'assenza di denti che distinguono i Misticeti dagli altri.
In questi ultimi inoltre, le branche mandibolari sono lassamente unite da tessuto connettivo (che nel processo di fossilizzazione va completamente distrutto), mentre negli Odontoceti, le arcate sono saldate lungo la sinfisi.
La decomposizione del tessuto elastico avrebbe facilitato il distacco delle due parti, giustificando così il ritrovamento di una sola emiarcata.
Non è azzardato perciò ipotizzare la presenza di un misticeto, ulteriormente distinguibile in una balenottera per il profilo piatto del mascellare superiore.
I Misticeti comprendono sia i Balenidi che i Balenotteridi e, mentre le balene propriamente dette, presentano la parte superiore delle mascelle, fortemente arcuata e convessa, le seconde e la nostra, hanno il profilo superiore più slanciato, con una linea snella,idrodinamicamente più agile.
Vi sono però, molti altri parametri delle ossa del cranio da considerare e, per una sicura attribuzione del reperto a livello generico e specifico, bisognerà attendere l'esito degli studi specifici in corso.
Qualche osso si presenta infatti finemente crivellato dall'azione di organismi, quali Anellidi Sedentari (Arenicola ?) e Spugne Clionidi, che aggrediscono con secrezioni acide, i materiali solubili come il carbonato di calcio.
Le superfici mostrano poi alcune perforazioni filiformi dovute a microscopiche alghe azzurre.
Sono organismi che prosperano appoggiandosi ad un supporto; niente di meglio quindi, che aderire a questo occasionale substrato duro, dove hanno scavato buchi e gallerie, per pasto e bitazione (pascichnìa e domichnìa).
Vivono in un intervallo di profondità molto ridotto, essenzialmente limitato nella zona intertidale.
Sono quindi indicatori di tale ambiente e testimoniano come lo scheletro abbia dimorato per un tempo più o meno lungo sulla costa, rimanendo abbastanza esposto all'azione dell'alta e della bassa marea, prima di essere seppellito.
La zona è però inadatta per la vita di molti organismi, tranne per quelli forniti di speciali adattamenti; da qui l'assenza di fossili di altro tipo e l'indicazione di un biotopo dalle caratteristiche ecologiche piuttosto omogenee e solo periodicamente variabili e, in ogni caso, incapace di disperdere i resti.
Restano ora da chiarire le cause della morte del cetaceo, forse dovute all'ingresso fortuito e accidentale, in un ambiente estraneo e ostile, come avviene attualmente per le balene di grandi dimensioni, il cui habitat è l'oceano, ma che vanno incontro ad una fine quasi sicura se penetrano nel Mare del Nord.
Secondo alcuni sarebbe la scarsità di plancton la causa della morìa di cetacei che vengono così ad arenarsi sulle spiagge.
Le particolari caratteristiche di questi mammiferi, come la presenza di spessi strati di tessuto adiposo e la loro posizione ai vertici della catena alimentare, li rende particolarmente vulnerabili ai cambiamenti ambientali.
Molti scienziati li considerano perciò, indicatori sensibilissimi dello stato di salute del mare.
Interessante e suggestiva è risultata la relazione tenuta dal professore Renato Crucitti, che avvalendosi del supporto di diapositive ha descritto i vari passaggi delle varie epoche e, parallelamente, i resti di animali che a quei periodi appartengono .
Reggio Calabria ha la fortuna di aver ereditato un patrimonio fossilifero risalente all’era glaciale, e di animali esotici, risalenti al periodo caldo.
«E per notare la bellezza di tale eredità - ha aggiunto il professore Crucitti - è sufficiente soffermarsi su alcune pietre che ricoprono il corso Garibaldi della nostra città » .
«In Calabria - ha concluso Crucitti - si trascurano molti aspetti importanti della cultura che potrebbero essere un elemento positivo per la nostra economia » .