Continuano gli appuntamenti inerenti al progetto “Il centenario della grande guerra” organizzato dal Circolo Culturale “L’Agorà” di Reggio Calabria, presieduto da Gianni Aiello, che per l’alto significato e la valenza di tale ciclo di manifestazioni ha ricevuto ha ricevuto l'Alto Patrocinio dell'Ambasciata d'Austria, della Repubblica Ceca, delle Repubblica Slovacca e di Ungheria.
Dopo i saluti di Antonino Megali, socio del sodalizio organizzatore, che ha illustrato nel corso del suo intervento una breve ma coincisa panoramica sul tema della giornata di studi “I filosofi e la grande guerra haa preso quindi la parola il prof. Gianfranco Cordì, Dottore di Ricerca presso l'Università degli Studi di Catania, il quale ha affermato:  “Diciamo subito che il fulcro del nostro ragionamento sarà il concetto di “Nazione”.
Le Nazioni sono entità che oggi vengono date per scontate.
Come oggi vengono date per scontate la libertà e la democrazia. Evidentemente nel passato non è stato sempre così.
C’era un periodo in cui le Nazioni non erano fatti assodati: le Nazioni (come ad esempio: Italia e Germania) non esistevano ancora all’inizio dell’Ottocento.
Ma il punto è che questo concetto fu causa e conseguenza della Prima Guerra Mondiale nel 1914 nessuno metteva in pericolo questo concetto ma era a causa di esso che le cose stano drammaticamente per cambiare.
E ancora, subito dopo la prima guerra mondiale, sarà la causa del concetto di “nazione” che le cose definitivamente cambieranno ancora una volta ed in maniera che l’intero panorama non solo europeo sarà mutato in maniera definitiva.
Questo concetto, al quale aveano lavorato i filosofi precedenti al 1914-1918, adesso divenne fin dallo scoppio del conflitto, materia di indagine da parte dei filosofi coevi  cioè che erano vissuti nel periodo del 1914 e avevano operato fino al 1918): cioè: molti filosofi quasi tutti) si occuparono di ridefinire il concetto di Nazione.
E molti, subito dopo la fine della Prima Guerra Mondiale si occuparono di riedificare su basi nuove non solo questo concetto ma anche l’Europa intera sulla base della nuova definizione di questo concetto.
Nomi come quello di Benedetto Croce, di Giovanni Gentile, di padre Agostino Gemelli bastano a testimoniare una riflessione indefessa e continua sulle basi teoriche di questo concetto di “Nazione”.
Ma a quale scopo?
E perché l’oggetto degli studi filosofici di quel periodo fu esclusiva,ente il concetto di “Nazione”?
E come mutò complessivamente la filosofia nell’arco di tempo che copre la prima Guerra Mondiale?
E come lo stesso conflitto mondiale riuscì a cambiare la speculazione dei filosofi?
Lo storico Eric Hobsbawn ha osservato che il XX secolo inizia con lo scoppio della prima guerra mondiale (1914).
Egli ha fatto notare che tutto ciò che era avvenuto negli anni del Novecento precedenti al conflitto è come se fosse appartenuto ancora al secolo passato: proprio in virtù di questo inizio "ritardato" il secolo XX si configura agli occhi di Hobsbawn come “Il Secolo Breve".
Il primo conflitto (scontro, guerra, disastro, belligerazione) mondiale - che nell'ottica hobsbawmiana segna l'avvio del nuovo secolo - è in realtà il momento culminante di processi (storici, politici e filosofici) che affondano le loro radici nell'Ottocento.
Sarebbe del resto riduttivo ravvisare la causa del primo conflitto "totale" esclusivamente nell'attentato perpetrato a Sarajevo il 28 giugno 1914 ai danni dell'arciduca asburgico Francesco Ferdinando.
Esso fu solo la causa scatenante che fece esplodere in tutta la loro tragicità quelle trasformazioni ideologiche e culturali maturate sotto la "scorza" della pacata e tranquilla "bella époque".
Molti filosofi di quel periodo sotto la prima guerra mondiale (1914-1918) interpretarono hegelianamente la storia: si può essere indotti a ritenere che nella profondità della realtà stessero già attuandosi processi di cambiamento irreversibile che, alla vigilia della prima guerra mondiale "bussavano alle porte" della realtà per prorompere all'esterno.
L'omicidio di Francesco Ferdinando fu ciò che aprì i battenti e consentì alla nuova situazione di “affiorare” in superficie: questa fu l’interpretazione hegeliana anche dell’idealista benedetto croce che operava quegli anni in Italia.
Quindi: i filosofi fin da subito analizzarono quello che stava accadendo e cercarono di rinvenirne le cause..
Indubbiamente, uno dei principali fattori - storici ed ideologici - che causarono lo scoppio del conflitto fu il radicale mutamento di significato cui fu soggetto il concetto di “Nazione”.
Se al principio dell'Ottocento la Nazione era intesa come un'entità meramente culturale (Alessandro Manzoni aveva scritto, in “Marzo 1821”: “Una d’arme, di memoria, d’altare”) come comunità di genti accomunate dalla stessa cultura, dalla stessa religione e dalla stessa lingua: nella seconda metà del secolo essa si connotò di nuovi significati, fino ad allora pressochè sconosciuti.
La Nazione divenne allora lo strumento di dominio dei popoli sugli altri popoli e perse il significato culturale rivestito in precedenza.
La più fulgida espressione della parabola del concetto di “Nazione” è rappresentata dalla figura di Francesco Crispi.
Il quale, dopo aver esordito come fervente garibaldino e come difensore appunto della "Nazione" mutò rapidamente atteggiamento nella seconda metà dell'Ottocento e finì per aderire al nazionalismo aggressivo di matrice bismarckiana.
Proprio Bismarck può essere la chiave di lettura del nuovo significato rivestito dal concetto di “Nazione”: egli portò l'esercito e l'imperialismo alle stelle e, con la Conferenza di Berlino, diede il via, legittimandolo,alla conquista selvaggia di altre terre in cui si avventurarono gli europei nella seconda metà dell'Ottocento.
Questo provvedimento, con cui si dichiaravano conquistabili gli stati extra-europei, non fece altro che dilazionare nel tempo le tensioni accumulatesi tra le varie nazioni europee: infatti, se momentaneamente esse venivano scaricate all'esterno, una volta occupati tutti i territori colonizzabili, le tensioni sarebbero nuovamente affiorate e lo scontro che ne sarebbe scoppiato avrebbe assunto carattere mondiale, coinvolgendo inevitabilmente anche i nuovi stati occupati.
É poi opportuno annoverare tra le cause che portarono allo scoppio della prima guerra mondiale anche quello che è passato alla storia col nome di "revanscismo" francese: a desiderare ardentemente la guerra come strumento di dominio non furono soltanto i tedeschi, ma anche i Francesi.
É la tesi di un altro dei filosofi che operò e visse in quel periodo: Jean Paul Sartre.
Se i Tedeschi vollero a tutti i costi la guerra poiché si sentivano “ingabbiati” in un territorio che, per la sua scarsa estensione, non corrispondeva al primato economico della Germania, i francesi, dal canto loro, erano assetati di vendetta e aspiravano fortemente ad una rivalsa sulla Prussia e, più in generale, sulla Germania che, guidata da Bismarck, aveva inflitto loro una pesante sconfitta con la guerra franco-prussiana.
E tuttavia Bismarck, una volta edificata la Germania, cercò in ogni modo di garantire la pace e la tranquillità in Europa, lui che pochi anni prima l'aveva messa a ferro e fuoco con tre guerre (contro Danimarca, Austria e Francia) per assicurarsi una posizione di primato.
E per garantire la tranquillità sul territorio europeo non potè far altro che scaricare nei territori extra-europei gli appetiti espansionistici delle varie potenze, dando il via alla caccia coloniale.
Ciò che più temeva il cancelliere tedesco era un'alleanza tra inglesi, francesi e russi: alleanza che si realizzò quando, nella conquista coloniale dell'Africa, i francesi che procedevano da Ovest a Est si incontrarono a Fashoda  con gli Inglesi che invece si muovevano da Nord a Sud.
Vi furono grandi tensioni tra i due contingenti militari, tanto che si temette una guerra: alla fine ebbe la meglio la diplomazia e si arrivò addirittura a stipulare un'alleanza tra i due stati, alleanza che fu poi estesa anche alla Russia, da poco sconfitta dalla nuova potenza giapponese.

ShinyStat
25 aprile 2014
la manifestazione