Il secondo appuntamento dei "Pomeriggi Culturali", ciclo di manifestazioni organizzati dal Circolo Culturale "L'Agorà" ed in collaborazione con la Biblioteca "De Nava" di Reggio Calabria, ha avuto come tema "Il marxismo".
C'è da evidenziare che tale argomento tiene a battezzo la nuova pagina del portale internet del sodalizio reggino, nello specifico quella relativa alla filosofia, e nel contempo tale tema rappresenta il punto di partenza per altri aspetti relativi a tutto ciò che ruota intorno alla sfera del pensiero di Karl Marx.
La giornata di studi ha riscosso una buona partecipazione di pubblico interessato ed attento al tema dell'incontro che per una serie di circostanze è di grande attualità, visti anche i risvolti economici e sociali di cui la cronaca ne riporta quotidianamente notizie e, quindi tale argomento suscita in una larga fascia della pubblica opinione.
Ritornando al tema della giornata di studi in argomento, essa è stata presieduta da Antonino Megali, socio del Circolo Culturale "L'Agorà", il quale ha aperto i lavori illustrando brevemente ai presenti tale importante figura filosofica.
A Marx - continua Megali nel corso del suo intervento- penso sia successo quello che si è verificato e succede nella letteratura, come succede a Marcel Proust nella sua opera letteraria avente come titolo "Alla ricerca del tempo perduto" (À la recherche du temps perdu) scritta tra il 1909 e il 1922, pubblicata in sette volumi tra il 1913 e il 1927: un opera citatissima, ma - continua Megali - nessuna l'ha letta. Così come avviene per Marx: l'hanno letto in pochissimi.
Ricordo che qualcuno che aveva letto "Il Capitale", se ne vantava e tra questi l'ex Presidente della Repubblica italiana (29 dicembre 1964 –29 dicembre 1971) Giuseppe Saragat (Torino, 19 settembre 1898 – Roma, 11 giugno 1988) che era socialdemocratico, infatti era il leader storico del Partito Socialista Democratico Italiano: lui si vantava di aver letto per intero "Il Capitale", cosa che veramente - continua il Megali - nessuno osa fare.
A tal proposito si racconta che l'economista italiano Piero Sraffa (Torino, 5 agosto 1898 – Cambridge, 3 settembre 1983) regalò "Il Capitale" a John Maynard Keynes che lo restituì affermando che non ci aveva capito quasi nulla.
Infatti in una corrispondenza epistolare datata 5 aprile 1932 indirizzata all'economista Piero Sraffa, Keynes dice: « Ho provato sinceramente a leggere i volumi di Marx, ma ti giuro che non sono proprio riuscito a capire cosa tu ci abbia trovato e cosa ti aspetti che ci trovi io! Non ho trovato neanche una sola frase che abbia un qualche interesse per un essere umano dotato di ragione. Per le prossime vacanze dovresti prestarmi una copia del libro sottolineata» .
Dopo i lavori introduttivi di Antonino Megali è stata la volta di Gianni Aiello, presidente del Circolo Culturale "L'Agorà" che ha relazionato sul tema "Una lettera di Marx e il '48 in Calabria".
«Prima di entrare nel dibattimento vero e proprio - esordisce Gianni Aiello - vorrei fare qualche cenno alla vasta letteratura relativa alle enormi potenzialità di internet e naturalmente del suo ampio contenitore di informazioni aperto alle più ampie categorie sia sociali che culturali. Da queste doverose premesse e dalla digitalizzazione sulla tastiera del computer di alcune "parole chiave", dovute anche alla mia curiosità culturale, i risultati delle informazioni ricavate da questa mia ricerca telematica.»
Si tratta in buona sostanza - prosegue Gianni Aiello - di un articolo ad opera del professore Nicola Siciliani De Cumis (Caltanissetta - Roma, Sciascia, 1998, pp. 188-191) e di cui vi renderò noto i contenuti dello stesso.
«Ciò che mi ha colpito favorevolmente è la dicitura che lo stesso autore ha dato firmando l'articolo e cioè: Nicola Siciliani De Cumis, di professione professore: questo ha secondo me, un senso, una giusta chiave di lettura al tema in argomento».
"Il 1 agosto 1897, Benedetto Croce riscopriva, ripubblicandolo sulla "Critica Sociale", sotto il titolo "Una lettera di Carlo Marx del 1848", quello che risulterà poi essere il primo degli scritti di Marx. Si trattava, com'è noto, della importante lettera indirizzata dal nuove direttore della Nuova Gazzetta Renana (Carlo Marx, appunto) al direttore del giornale fiorentino "L'Alba", il democrativo Giuseppe La Farina.
La corrispondenza - il che non è mai stato sottolineato abbastanza, dal punto di vista di una storia delle idee democratiche e progressiste in Calabria - fu subito ripresa il 7 luglio del 1848 (una settimana appena dopo che era apparsa su L'Alba) sul numero 7 di un giornaletto che si pubblicava a Napoli per le popolazioni calabresi, e cioè il Corriere di Calabria .
Il testo della lettera di Marx ripubblicato dal Croce, e poi tradotto eristampato variamente fino al 1935 (anno in cui fu ripresentatoper la prima volta secondo il testo originario dell'Alba , nella raccolta delle Opere complete di Marx-Engels) fu sempre quello di questo giornale calabrese: quantunque mancasse degli ultimi due periodi e sebbeneil Croce, non avendo operato alcun confronto con quello dell'Alba, apportasse al testo originario non pochi ritocchi ortografici, sintattici e di punteggiatura.Né il manoscritto autografo fu poi mai rintracciato; né alcuna copia o minuta di esso.Ma il problema non è proprio, in questa sede, di esaminare quel complesso di cagioni di ordine soggettivo ed oggettivo che hanno riguardato la fortuna dello scritto marxiano,il suo preciso significato in un contesto nazionale ed internazionale,o la effettiva incidenza dell'autore del Manifesto dello stesso '48 in Calabria,ancor prima che si compisse l'Unità di Italia ed assai prima che si mettessero in moto dei veri e propri ideali di progresso o durevoli fermenti operai nella nostra regione.Il problema è piuttosto quello di segnalare la singolarità di una circostanza, che varrà la pena di approfondire in seguito: tanto più che la lettera, riproposta varie volte dagli editori appareda ultimo nel volume VII delle Opere complete di Marx ed Engels in italiano (Editori Riuniti, 1974), senza alcun cenno alla singolare vicenda della lettera di Marx nel Corriere di Calabria .
Per restare al '48 difatti, e riflettendo ancora sullo stesso interesse per uno scritto di Marx in un tempo affatto sfavorevole ad un incontro durevole e politicamente conseguente, con il marxismo in Calabria, non sembra dubbio che il carattere ed il significato delle agitazioni quarantotteschenel Regno delle Due Sicilie non viene chiaramente alla luce quando ci si limiti a considerare i soli avvenimenti di Napoli capitale. E' proprio nelle province - ed in Calabria specialmente - che le contraddizioni e gli urti nel seno stesso della borghesia sembrano delinearsi più nettamente che altrove.Non è quindi un caso che soltanto in Calabria ai radicali riuscisse di prendere in mano la direzione degli avvenimenti . E questo perché la Calabria fu la regione del Mezzogiorno in cui più profondo era il distacco della piccola borghesia dai grandi proprietari fondiari ed in cui i democratici, svincolandosi dai moderati, tentarono con qualche successo di estendere la loro influenza su più vasti strati di popolazione (Della Peruta).
Di qui il prevalere dei radicali soprattutto nelle province di Cosenza e di Catanzaro, giacché quasi tutti i circoli erano da essi controllati (così il Circolo nazionale di Cosenza, ispirato da T. Ortale e B. Musolino; o la Società evangelica di Catanzaro, guidata dall'arciprete Domenico Angherà, che i moderati accusavano addirittura di comunismo ).
Di qui la straordinaria mobilitazione di strati contadini, ed in specie delle popolazioni contadine di lingua albanese, che consentirono a democratici come il Musolino, il Ricciardi, il Carucci di far evolvere la situazione in senso rivoluzionario.Di qui, infine, nonostante che non si arrivasse alla sperata rottura dei democratici con i moderati e che la reazione travolgesse da ultimo anche la Calabria, la peculiarità della partecipazione alla lotta di un giornale come il Corriere di Calabria , e lo stesso dialogo a distanza ravvicinata dei Calabresi con il Marx della Neue Rheinische Zeitung ."
La parola è poi passata al professore Giuseppe Caridi che ha relazionato sul tema "Dal marxismo ai partiti comunisti". Il docente universitario messinese, dopo aver ringraziato gli organizzatori per l'impegno profuso ha esordito dicendo che il tema del marxismo è un argomento ampio e che l'intervenuto non ha nessuna pretesa di esaurire con il suo intervento un argomento così complesso e vastissimo.
«Mi limiterò soltanto, a cercare di seguire - continua lo storico Caridi - il passaggio dalla dottrina marxista al tentativo di realizzazione concreta dei principi marxisti, quello che comunemente si chiama socialismo reale, ed alla formazione poi dei partiti politici comunisti.
Dalla fondazione del “Manifesto del Partito Comunista” scritto alla fine del 1847, pubblicato poi a Londra il 21 febbraio del 1848, sino ad arrivare – continua il prof. Caridi, riferendosi al contenuto della sua relazione- sino alla metà del secolo successivo, quello relativo al periodo della “guerra fredda».
Diciamo subito -continua l'autorevole relatore- che “Comunismo”, “Marxismo”, talvolta sono considerati come sinonimi , in realtà sicuramente dopo la pubblicazione delle opere di Carlo Marx e quindi parlando di marxismo i partiti politici che si chiamano comunisti hanno una sicura matrice marxista.
Ma il comunismo inteso come un sistema sociale che si basa sulla comunione dei beni e dei mezzi di produzione è un’idea che risale ai secoli passati, pensiamo alla “Repubblica” di Platone. (Πολιτεία, Politéia) dove si prospetta una società di tipo comunista.
Poi c’è il cosiddetto “socialismo utopistico”, che è qualcosa di assimilabile al comunismo, infatti assume tale denominazione, che si richiama all’opera dell’umanista inglese Tommaso Moro (Londra 7 febbraio 1478 – Londra, 6 luglio 1535) “Utopia” pubblicata nel 1517 e successivamente un’altra opera che si richiama in qualche modo al comunismo è che postula una società comunista è sicuramente “La città del Sole” del 1602 di Giovan Domenico, alias Tommaso Campanella (Stilo 5 settembre 1568 – Parigi 21 maggio 1639).
Si ricomincia a parlare dopo la rivoluzione industriale di socialismo e di comunismo ed in particolare di socialismo e questo termine si diffonde in Europa intorno agli anni trenta dell’ottocento ed all’inizio è un socialismo di tipo utopistico, nel senso che è difficile che possa realizzarsi e rimane più a livello dottrinale.
Un ruolo importante l’occupa sicuramente l’imprenditore Robert Owen (Newtown, 14 maggio 1771 – Newtown, 17 novembre 1858), il quale nella sua fabbrica di New Lanark cerca di dare condizioni di vita migliore agli operai e si accorge di quanto migliorano le condizioni degli operai dovute alle attenzioni rivolte nei loro confronti, come quelle rivolte ai requisiti igienici dei locali lavorativi, migliori apparecchiature, orari di lavoro più accettabili, e da queste caratteristiche migliora la produzione della fabbrica., quindi dei risultati economici interessanti sia per la mano d’opera che per la fabbrica.
Quello che avvenne in Inghilterra venne sperimentato anche negli Stati Uniti d’America nel 1826 dallo stesso Owen che realizzò nel 1826 un altro progetto comunitario a New Harmony, nello stato dell’Indiana che non assunse quei risultati ottenuti precedentemente.
Tra l’altro Owen introdusse, sempre in Inghilterra, un altro sistema che ribaltava quello adottato da altri datori di lavoro: in buona sostanza Robert Owen organizzò all’interno della fabbrica uno emporio dove gli operai potevano acquistare le merci a poco prezzo e di buona qualità ed i risparmi dell’acquisto di tali prodotti venivano trasferiti agli operati, sistema questo che vige ancora in Gran Bretagna.
Ritornando alla corrente del “socialismo utopistico”, tra gli altri esponenti di questo pensiero si annoverano nomi come Pierre-Joseph Proudhon (Besançon, 15 gennaio 1809 – Parigi, 19 gennaio 1865), Lous Blanc (Madrid, 29 ottobre 1811 – Cannes, 6 dicembre 1882), Henri de Rouvroy conte di Saint-Simon (Parigi, 17 ottobre 1760 – Parigi, 19 maggio 1825), François Marie Charles Fourier (Besançon, 7 aprile 1772 – Parigi, 10 ottobre 1837).
A riguardo quest’ultimo si evidenzia la sua teoria secondo la quale nella società vigessero le stesse leggi scoperte da Newton per la fisica: gli uomini cercano di unirsi fra di loro e lui promuove la fondazione di liberi raggruppamenti collettivistici le “falangi” o “falansteri”.
Secondo il filosofo francese ogni struttura doveva essere formata da un numero di individui varianti tra 1600 e 2200 persone che dovevano comprendere circa 450 nuclei familiari inseriti in liberi raggruppamenti collettivistici, le falangi, con delle case comuni (falansteri) dove ciascuno, secondo Fourier, avrebbe trovato il lavoro che più gli fosse comodo.
Il salto di qualità avviene con Karl Marx (Treviri, 5 maggio 1818 – Londra, 14 marzo 1883) che insieme al compagno Friedrich Engels dà vita al movimento denominato “Alleanza dei Comunisti”, conosciuto anche come “Lega dei Comunisti” che ne incarica la pubblicazione del “Manifesto del Partito Comunista”, proprio per fare vedere il loro progetto politico. Il saggio pubblicato a Londra il 21 febbraio del 1848 in apertura lancia l’idea politica: « Uno spettro si aggira per l'Europa: lo spettro del comunismo. Tutte le potenze della vecchia Europa si sono coalizzate in una sacra caccia alle streghe contro questo spettro: il papa e lo zar, Metternich e Guizot, radicali francesi e poliziotti tedeschi. […] È ormai tempo che i comunisti espongano apertamente in faccia a tutto il mondo il loro modo di vedere, i loro fini, le loro tendenze, e che contrappongano alla favola dello spettro del comunismo un manifesto del partito stesso».
Questa dottrina sarebbe poi stata ampliata ed articolata nell’altra opera di Marx “Il Capitale”, se però quest’ultimo saggio risulta di difficile lettura, invece il “Manifesto del Partito Comunista” ha una lettura più snella e facilmente comprensibile.
In sintesi Marx scrive che l’umanità ha attraversato vari stadi nella sua evoluzione dal feudalesimo medievale al capitalismo borghese e si passa da uno stadio all’altro attraverso l’evoluzione dei rapporti economici: a testimonianza di quanto detto la famosa frase “è la storia dell’economia che muove la storia”.
Ogni fase esprime una determinata situazione economica e nello stadio del capitalismo borghese si hanno quindi determinate istituzioni come quelle relative alla famiglia, giuridiche, sociali, religiose: esse sono l’estrinsecazione di tale assetto di produzione.
Se si abolisce, come Marx propone – continua il prof. Caridi – la proprietà privata risorgerà una nuova società, la società proletaria. Con la fine della borghesia finirà anche lo stato che è emanazione della borghesia e quindi ci sarà un nuovo sistema un nuovo sistema familiare, un nuovo sistema giudiziario, quindi ci saranno nuove sovrastrutture perché l’economia , i rapporti economici rappresentano un struttura della società ed il resto sono delle sovra strutture.
La società nuova sarà una società senza classi, una società libera, sicuramente più libera di quanto non lo sia la società borghese dove invece gli operai sono legati al gioco del salario.
Per raggiungere questo obiettivo è necessario però che tutti i proletari di tutto il mondo si uniscano per spezzare le catene della schiavitù al di là di quelle che erano le barriere nazionali.
A questo punto del suo intervento il professore Caridi legge all’uditorio un passo di Karl Marx relativo al “Manifesto” e nello specifico quello relativo al Capitolo I – Borghesi e Proletari: “La storia di ogni società esistita fino a questo momento, è storia di lotte di classi.
Liberi e schiavi, patrizi e plebei, baroni e servi della gleba, membri delle corporazioni e garzoni, in breve, oppressori e oppressi, furono continuamente in reciproco contrasto, e condussero una lotta ininterrotta, ora latente ora aperta; lotta che ogni volta è finita o con una trasformazione rivoluzionaria di tutta la società o con la comune rovina delle classi in lotta.
Nelle epoche passate della storia troviamo quasi dappertutto una completa articolazione della società in differenti ordini, una molteplice graduazione delle posizioni sociali. In Roma antica abbiamo patrizi, cavalieri, plebei, schiavi; nel medioevo signori feudali, vassalli, membri delle corporazioni, garzoni, servi della gleba, e, per di più, anche particolari graduazioni in quasi ognuna di queste classi.
La società civile moderna, sorta dal tramonto della società feudale, non ha eliminato gli antagonismi fra le classi. Essa ha soltanto sostituito alle antiche, nuove classi, nuove condizioni di oppressione, nuove forme di lotta.
La nostra epoca, l'epoca della borghesia, si distingue però dalle altre per aver semplificato gli antagonismi di classe. L'intera società si va scindendo sempre più in due grandi campi nemici, in due grandi classi direttamente contrapposte l'una all'altra: borghesia e proletariato.
Dai servi della gleba del medioevo sorse il popolo minuto delle prime città; da questo popolo minuto si svilupparono i primi elementi della borghesia.
La scoperta dell'America, la circumnavigazione dell'Africa crearono alla sorgente borghesia un nuovo terreno. Il mercato delle Indie orientali e della Cina, la colonizzazione dell'America, gli scambi con le colonie, l'aumento dei mezzi di scambio e delle merci in genere diedero al commercio, alla navigazione, all'industria uno slancio fino allora mai conosciuto, e con ciò impressero un rapido sviluppo all'elemento rivoluzionario entro la società feudale in disgregazione.
L'esercizio dell'industria, feudale o corporativo, in uso fino allora non bastava più al fabbisogno che aumentava con i nuovi mercati. Al suo posto subentrò la manifattura. Il medio ceto industriale soppiantò i maestri artigiani; la divisione del lavoro fra le diverse corporazioni scomparve davanti alla divisione del lavoro nella singola officina stessa.
Ma i mercati crescevano sempre, il fabbisogno saliva sempre. Neppure la manifattura era più sufficiente. Allora il vapore e le macchine rivoluzionarono la produzione industriale. All'industria manifatturiera subentrò la grande industria moderna; al ceto medio industriale subentrarono i milionari dell'industria, i capi di interi eserciti industriali, i borghesi moderni.
La grande industria ha creato quel mercato mondiale, ch'era stato preparato dalla scoperta dell'America. Il mercato mondiale ha dato uno sviluppo immenso al commercio, alla navigazione, alle comunicazioni per via di terra. Questo sviluppo ha reagito a sua volta sull'espansione dell'industria, e nella stessa misura in cui si estendevano industria, commercio, navigazione, ferrovie, si è sviluppata la borghesia, ha accresciuto i suoi capitali e ha respinto nel retroscena tutte le classi tramandate dal medioevo.
Vediamo dunque come la borghesia moderna è essa stessa il prodotto d'un lungo processo di sviluppo, d'una serie di rivolgimenti nei modi di produzione e di traffico.
Ognuno di questi stadi di sviluppo della borghesia era accompagnato da un corrispondente progresso politico. Ceto oppresso sotto il dominio dei signori feudali, insieme di associazioni armate ed autonome nel Comune, talvolta sotto la forma di repubblica municipale indipendente, talvolta di terzo stato tributario della monarchia, poi all'epoca dell'industria manifatturiera, nella monarchia controllata dagli stati come in quella assoluta, contrappeso alla nobiltà, e fondamento principale delle grandi monarchie in genere, la borghesia, infine, dopo la creazione della grande industria e del mercato mondiale, si è conquistata il dominio politico esclusivo dello Stato rappresentativo moderno. Il potere statale moderno non è che un comitato che amministra gli affari comuni di tutta la classe borghese.
La borghesia ha avuto nella storia una parte sommamente rivoluzionaria.
Dove ha raggiunto il dominio, la borghesia ha distrutto tutte le condizioni di vita feudali, patriarcali, idilliche. Ha lacerato spietatamente tutti i variopinti vincoli feudali che legavano l'uomo al suo superiore naturale, e non ha lasciato fra uomo e uomo altro vincolo che il nudo interesse, il freddo «pagamento in contanti». Ha affogato nell'acqua gelida del calcolo egoistico i sacri brividi dell'esaltazione devota, dell'entusiasmo cavalleresco, della malinconia filistea. Ha disciolto la dignità personale nel valore di scambio e al posto delle innumerevoli libertà patentate e onestamente conquistate, ha messo, unica, la libertà di commercio priva di scrupoli. In una parola: ha messo lo sfruttamento aperto, spudorato, diretto e arido al posto dello sfruttamento mascherato d'illusioni religiose e politiche. [...]”.
Il professore Caridi conclude il suo excursus a riguardo "Il Manifesto" con ciò che ne rappresenta il marchio di tale programma un vero e proprio o slogan che chiude il [...PROLETARI DI TUTTI I PAESI, UNITEVI!], siamo nella parte finale del IV capitolo relativo a Posizione dei comunisti di fronte ai diversi partiti di opposizione“
QUINDI tale progetto si riassume in dieci punti e nello specifico:
Espropriazione della proprietà fondiaria ed impiego della rendita fondiaria per le spese dello Stato;
Imposta fortemente progressiva;
Abolizione del diritto di successione;
Confisca della proprietà di tutti gli emigrati e ribelli;
Accentramento del credito in mano dello Stato mediante una banca nazionale con capitale dello Stato e monopolio esclusivo;
Accentramento di tutti i mezzi di trasporto in mano allo Stato;
Moltiplicazione delle fabbriche nazionali, degli strumenti di produzione, dissodamento e miglioramento dei terreni secondo un piano collettivo;
Eguale obbligo di lavoro per tutti, costituzione di eserciti industriali, specialmente per l'agricoltura;
Unificazione dell'esercizio dell'agricoltura e dell'industria, misure atte ad eliminare gradualmente l'antagonismo fra città e campagna;
Istruzione pubblica e gratuita di tutti i fanciulli. Eliminazione del lavoro dei fanciulli nelle fabbriche nella sua forma attuale. Combinazione dell'istruzione con la produzione materiale e così via.
Proprio in questo periodo, siamo nel 1848, hanno inizio i moti rivoluzionari che Marx segue ovviamente con grande attenzione: tutto parte dall’insurrezione operaia di Parigi, senza naturalmente dimenticare ciò che avvenne anche in Calabria ed in Sicilia nello stesso periodo storico.
La “Primavera dei Popoli” , gergo che identifica il filo conduttore dei moti rivoluzionari che interessarono l’intera Europa, ad esclusione dell’Inghilterra (dove nel 1832 si attuarono delle riforme) e della Russia (dove era assente ima classe borghese e di conseguenza quella proletaria), ha inizio nella capitale francese tra il 22 ed il 24 febbraio, quando avviene l’abdicazione del sovrano.
Dalla Francia la rivoluzione si diffonde anche negli imperi centrali, e nel resto della penisola italiana, ma di conseguenza tali motivi vennero repressi nel sasngue ed a tal proposito il filosofo francese Pierre Joseph Proudhon (Besançon, 15 gennaio 1809 - Parigi, 19 gennaio 1865) ebbe a dire che "il destino della democrazia ci è sfuggito di mano".
Nel giugno del 1848 viene represso il movimento operaio parigino ed a tal proposito Marx scrisse che “ l'effimero trionfo della forza bruta ha dissipato tutte le illusioni della rivoluzione di febbraio, ha dimostrato la disgregazione di tutto il vecchio partito repubblicano e la divisione della nazione francese in due parti: quella dei proprietari e quella degli operai.”
Successivamente Marx, promuove poi, insieme ad Engels, l’Associazione internazionale dei lavoratori, (A.I.L.), conosciuta anche come Prima Internazionale, fondata nel 1864 nella capitale londinese, a seguito di un incontro avvenuto due anni prima sempre a Londra tra delegazioni di operari transalpini e britannici.
All’interno di questo progetto convivevano diverse scuole di pensiero come anarchici, socialisti francesi, repubblicani italiani ed anche personaggi di rilievo come Michail Bakunin.
I Congressi della Prima Internazionale si snodarono lungo l’arco di tempo che và dal 4 ottobre del 1864 a Londra a quello del 15 luglio del 1876 a Filadelfia, dove ufficialmente avviene lo scioglimento dell’A.I.L.
In tale periodo storico riveste la sua importa il governo democratico di Parigi (18 marzo – 28 maggio 1871), conosciuto anche come “La Comune di Parigi”, dove venne svolto in data del 18 marzo dello stesso anno il Congresso della Prima Internazionale.
Le motivazioni relative alla creazione di quella amministrazione sono derivanti dalla rovinosa sconfitta della Francia a Sedan contro la Prussia il 4 settembre del 1870 e nella stessa data la popolazione parigina impose la proclamazione di un governo repubblicano indirizzato ad una politica di riforme sociali, istruzione gratuita e laica, elezione dei magistrati, e nel contempo, venne adottata come simbolo la bandiera rossa.
Tale percorso sociale venne troncato dalla repressione dell’Assemblea Nazionale che ebbe il suo culmine il 21 maggio, quando vennero massacrati circa 20.000 parigini e di questo viene condannato Marx per le sue idee estremiste.
Da questa situazione si distaccano dalla Prima Internazionale personaggi di notevole rilievo come Giuseppe Mazzini che da quel momento prende nettamente le distanza da Karl Marx, in quanto lo stesso Mazzini crede che per indurre il popolo alla rivoluzione sia primario e fondamentale spiegargli il programma indirizzato ai principi dell’unità, della repubblica e della democrazia.
Se Giuseppe Mazzini critica in senso negativo la Comune di Parigi, Karl Marx invece da parte sua la indica come “la manifestazione della carica rivoluzionaria che il popolo ha in se” , parlando anche di "Guerra civile in Francia" , esaltando nel contempo l’operato del governo provvisorio parigino come primo esperimento di "governo proletario" e grande bandiera del comunismo rivoluzionario.
Negli ultimi decenni dell’ottocento cominciano a nascere i primi partiti che si richiamano a Marx, i partiti socialisti, come i socialisti francesi che nel luglio del 1889 danno luogo alla Seconda Internazionale a Parigi , promossa insieme ai sindacati da due dirigenti del Partito operaio francese, Jules Bazile , conosciuto anche come Jules Guesde e Paul Lafargue.
In questo contesto storico nasce anche il Partito Socialista Italiano dei Lavoratori a Genova nel 1892, anche se bisogna ricordare che nel 1881 Andrea Costa progetta il Partito Socialista Rivoluzionario di Romagna ed alle elezioni del 1882 assume la denominazione di Partito Operaio Italiano.
La Seconda Internazionale cessa la sua attività con lo scoppio del primo conflitto mondiale dove prevalgono gli aspetti patriottici su quelli internazionalisti, attitudini queste proprie di alcuni componenti eccellenti della Seconda Internazionale come Gustave Hervé, Rosa Luxemburg e Lenin che erano contrari a ciò che sosteneva l’area moderata dei socialdemocratici tedeschi August Bebel e Georg von Vollmar .
E nel corso del conflitto della prima guerra mondiale (1914-1918) il comunismo ed il marxismo passa da una fase di elaborazione ideologica ad una fase di realizzazione pratica e questa avviene, come è noto in Russia ad opera di Nikolai. Lenin, soprannome di Vladimir Il'ič Ul'janov (Simbirsk, 22 aprile 1870 – Gorki Leninskie, 21 gennaio 1924).
Per Lenin i proletari devono trasformare la guerra tra nazioni (guerra imperialista) in una guerra rivoluzionaria ed a tal proposito si riportano nel contesto di questo resoconto due aspetti relativamente al capitolo II del saggio “Il socialismo e la guerra” dello stesso Lenin pubblicato nel 1915.
LA CLASSE OPERARIA E LA GUERRA: L'unica classe in Russia alla quale non si sia riusciti ad inoculare i germi dello sciovinismo è il proletariato. Gli eccessi isolati, all'inizio della guerra, devono attribuirsi esclusivamente agli strati operai più arretrati. La partecipazione degli operai alle infamie moscovite contro i tedeschi è stata molto esagerata. In complesso, la classe operaia russa si è mostrata immune dallo sciovinismo. Ciò si spiega con la situazione rivoluzionaria nel paese e con le condizioni generali di vita del proletariato russo.
Gli anni 1912-1914 hanno segnato l'inizio di un nuovo grande slancio rivoluzionario in Russia. Siamo stati nuovamente testimoni di un grande movimento di scioperi, quali il mondo non aveva ancora visto. Gli scioperi rivoluzionari di massa, nell'anno 1913, ebbero, secondo i calcoli più prudenti, un milione e mezzo di partecipanti; superarono i due milioni nel 1914, avvicinandosi al livello del 1905. Alla vigilia della guerra, a Pietroburgo, si era giunti fino alle prime lotte sulle barricate.
L'illegale Partito operaio socialdemocratico della Russia ha fatto il suo dovere di fronte all'Internazionale. La bandiera dell'internazionalismo non ha tremato nelle sue mani. Da lungo tempo il nostro partito era giunto alla rottura organizzativa con i gruppi e gli elementi opportunisti. La palla di piombo dell'opportunismo e del "legalismo ad ogni costo" non pesava ai piedi del nostro partito. E questa circostanza l'ha aiutato ad assolvere il suo compito rivoluzionario, così come la separazione dal partito opportunista di Bissolati ha aiutato i compagni italiani .
La situazione generale del nostro paese è sfavorevole al fiorire dell'opportunismo "socialista" fra le masse operaie. Abbiamo in Russia tutta una serie di sfumature dell'opportunismo e del riformismo fra gli intellettuali, fra la piccola borghesia, ecc. Ma l'opportunismo ha una minoranza. insignificante negli strati operai politicamente attivi. Lo strato degli operai e degli impiegati privilegiati è da noi molto debole. Il feticismo della legalità non ha potuto sorgere da noi. I liquidatori (il partito degli opportunisti diretto da Axelrod, da Potresov, da Cerevanin, da Maslov e da altri) non hanno trovato fino alla guerra nessun serio appoggio nelle masse operaie. Tutti e sei i deputati operai eletti, alla IV Duma sono avversari del liquidatorismo. La tiratura e le sottoscrizioni per la stampa operaia legale a Pietrogrado e a Mosca hanno dimostrato, in modo inconfutabile, che i quattro quinti degli operai coscienti sono contrari all'opportunismo e al liquidatorismo.
All'inizio della guerra, il governo zarista ha arrestato ed esiliato migliaia e migliaia di operai avanzati, membri del nostro POSDR illegale. Questa circostanza, e la proclamazione dello stato d'assedio nel paese, la soppressione dei nostri giornali, ecc., hanno ostacolato il movimento. Ma, ciò nonostante, il lavoro illegale rivoluzionario del nostro partito procede ugualmente. A Pietrogrado, il comitato del nostro partito fa uscire un giornale illegale: il Proletarski Golos .
Gli articoli dell'organo centrale Sozial-Demokrat, che si pubblica all'estero, sono riprodotti a Pietrogrado e diffusi nella provincia. Si stampano volantini illegali che vengono distribuiti nelle caserme. Nei dintorni della città, in varie località isolate, si tengono riunioni illegali di operai. In questi ultimi tempi, a Pietrogrado, sono incominciati grandiosi scioperi di operai metallurgici. In rapporto a questi scioperi, il nostro Comitato di Pietrogrado ha diffuso alcuni manifestini fra gli operai.
IL GRUPPO OPERAIO SOCIALDEMOCRATICO ALLA DUMA E LA GUERRA: Nel 1913 è avvenuta una scissione fra i deputati socialdemocratic alla Duma. Da una pare, sette partigiani dell'opportunismo, guidati da Ckheidze, che erano stati eletti in sette governatorati non proletari, dove gli operai erano, secondo i calcoli, 214.000. Dall'altra, sei deputati tutti della curia operaia, eletti nei centri più industrializzati della Russia, nei quali si contavano 1.008.000 operai.
La causa principale del dissenso consisteva in questo dilemma: tattica del marxismo rivoluzionario oppure tattica del riformismo opportunista. Il dissenso si esprimeva praticamente più che altro nel campo del lavoro extraparlamentare fra le masse. Questo lavoro doveva svolgersi illegalmente in Russia, se coloro che lo conducevano volevano rimanere su un terreno rivoluzionario. La frazione di Ckheidze era rimasta la più fedele alleata dei liquidatori, che avevano respinto il lavoro illegale, e li aveva difesi in tutte le discussioni con gli operai e in tutte le riunioni. Da ciò la scissione. Sei deputati formarono il gruppo operaio socialdemocratico. Un anno di lavoro dimostra irrefutabilmente che esso ha dalla sua parte la schiacciante maggioranza degli operai russi.
All'inizio della guerra, le divergenze hanno assunto una straordinaria evidenza. La frazione di Ckheidze si è limitata al lavoro parlamentare. Essa non ha votato i crediti di guerra, perché altrimenti avrebbe provocato contro di sé la tempesta dell'indignazione operaia (abbiamo visto che in Russia persino i piccolo-borghesi trudovikí non hanno votato i crediti di guerra), ma non ha protestato contro il socialsciovinismo.
Ma il gruppo operaio socialdemocratico, che esprimeva la linea politica del nostro partito, ha proceduto diversamente. Esso ha elevato la sua protesta contro la guerra fra le grandi masse della classe operaia, ha fatto propaganda contro l'imperialismo fra le grandi masse dei proletari russi.
Ed esso ha suscitato un'eco di viva simpatia fra gli operai. Questo ha spaventato il governo, inducendolo ad arrestare ed a condannare all'esilio a vita in Siberia i nostri compagni deputati, in aperta violazione delle proprie leggi. Nella prima comunicazione ufficiale sull'arresto dei nostri compagni, il governo zarista scriveva:
"Una posizione del tutto speciale in questo senso è stata assunta da alcuni membri delle associazioni socialdemocratiche, i quali hanno dato alla loro attività l'obiettivo di scuotere la forza militare della Russia per mezzo della agitazione contro la guerra, per mezzo di appelli clandestini e di propaganda orale".
Al noto invito di Vandervelde, di cessare "temporaneamente" la lotta contro lo zarismo (oggi, per dichiarazione del principe Kudascev, ambasciatore dello zar nel Belgio, sappiamo che Vandervelde ha elaborato questo appello non da solo ma in collaborazione con questo ambasciatore dello zar), soltanto il nostro partito, pel tramite del suo Comitato centrale, ha dato una risposta negativa. Il centro dirigente dei liquidatori sì è messo d'accordo con Vandervelde ed ha ufficialmente dichiarato alla stampa che "nella propria attività non agisce contro la guerra".
Il governo zarista ha anzitutto incolpato i nostri compagni deputati di aver fatto propaganda fra gli operai di questa risposta negativa a Vandervelde.
Il procuratore dello zar, signor Nenarokomov, al processo dei nostri compagni, ha citato come esempio i socialisti tedeschi e francesi: "I socialdemocratici tedeschi" egli ha detto "hanno votato i crediti di guerra e si sono dimostrati amici del governo. Così hanno agito i socialdemocratici tedeschi, ma non così hanno agito i tristi cavalieri della socialdemocrazia russa... I socialisti del Belgio e della Francia hanno unanimemente dimenticato le loro discordie con le altre classi, i loro dissensi di partito e, senza esitazione, si sono schierati sotto le bandiere della patria". Ma i membri del gruppo operaio socialdemocratico, sottomettendosi alle direttive del Comitato centrale del partito, non hanno agito così...
Il processo ha messo in luce il quadro imponente della vasta agitazione illegale contro la guerra, condotta dal nostro partito fra le masse del proletariato. Il tribunale zarista, s'intende, era ben lungi dall'essere riuscito a "scoprire" tutta l'attività dei nostri compagni in questo campo. Ma anche ciò che è stato scoperto ha dimostrato quanto si è fatto nel breve spazio di qualche mese.
Al processo sono stati resi pubblici gli appelli illegali dei nostri gruppi e comitati contro la guerra e per una tattica internazionale. Gli operai coscienti di tutta la Russia erano in collegamento con i membri del gruppo operaio socialdemocratico che, nei limiti delle sue forze, cercava di aiutarli a giudicare la guerra da un punto di vista marxista.
Il compagno Muranov, deputato degli operai della provincia di Kharkov, ha detto al processo:
"Sapendo che il popolo mi ha inviato alla Duma non soltanto per occuparvi un seggio, sono andato sul posto per conoscere lo stato d'animo della classe operaia". Egli ha ammesso al processo di aver assunto le funzioni di agitatore illegale del nostro partito, di aver organizzato negli Urali un comitato operaio nello stabilimento di Verkhnieiset ed in altre località. Il processo ha dimostrato che i membri del gruppo operaio socialdemocratico alla Duma, dopo l'inizio della guerra, hanno percorso, a scopo di propaganda, quasi tutta la Russia; che Muranov, Petrovski, Badaiev ed altri hanno organizzato numerose riunioni di operai, nelle quali si sono votate risoluzioni contro la guerra, ecc. Il governo zarista ha minacciato agli imputati la pena di morte. A questo proposito, non tutti in quel processo si sono comportati coraggiosamente come il compagno Muranov. Qualcuno si è sforzato di rendere difficile ai procuratori dello zar la propria condanna. Di ciò si valgono ora, in modo indegno, i socialsciovinisti russi per confondere la sostanza del problema: quale parlamentarismo occorre alla classe operaia?
Da Südekum a Heine, da Sembat a Vaillant, da Bissolati a Mussolini, da Ckheidze a Plekhanov, tutti ammettono il parlamentarismo. Il parlamentarismo è ammesso dai nostri compagni del gruppo operaio socialdemocratico, dai compagni bulgari, italiani, che hanno rotto con gli sciovinisti. Ma c'è parlamentarismo e parlamentarismo. Gli uni si servono dell'arena parlamentare per rendersi grati ai propri governi oppure, nel migliore dei casi, per lavarsene le mani, come la frazione di Ckheidze. Altri si servono del parlamentarismo per rimanere rivoluzionari fino alla fine per adempiere il loro dovere di socialisti ed internazionalisti anche nelle circostanze più difficili. L'attività parlamentare degli uni li conduce al seggio ministeriale, quella degli altri li conduce in prigione, in esilio, ai lavori forzati. Gli uni servono la borghesia, gli altri il proletariato. Gli uni sono socialimperialisti. Gli altri marxisti rivoluzionari.
Dopo questo passaggio ritorniamo alla relazione del prof. Giuseppe Caridi che nel corso del suo intervento continua il suo percorso relativo al periodo della rivoluzione di ottobre e dei suoi risvolti sul territorio russo, quando il partito bolscevico prende il potere.
La rivoluzione – continua il professore Caridi – scoppia la sera del 6 novembre (24 ottobre secondo il calendario giuliano in vigore nella Russia zarista) anche se – evidenzia il docente universitario – già nel marzo del 1917 c’è da registrare una seduta comune del soviet dei deputati operai e soldati di Pietrogrado nella quale si portò all’ordine del giorno gli indirizzi relativi all’organizzazione politica-amministrativa del Paese. Il 29 marzo venne formato un governo di coalizione socialdemocratica rappresentata da Aleksandr Fëdorovič Kerenskij.
Lenin ritorna dalla Svizzera, dove era esiliato, e dirige il partito bolscevico che era un partito minoritario ma con l’energia e la capacità organizzativa di Lenin assume un ruolo importante e di seguito in Russia, in modo da organizzare al meglio la rivoluzione anti zarista che si trasformerà in rivoluzione socialista dei soviet (consiglio dei contadini, degli operai e dei soldati) che trionferà nel novembre dello stesso anno.
Nel maggio del 1918 il partito bolscevico diventa partito comunista russo e il 30 dicembre del 1922, a seguito della formazione dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche e successivamente il partito assunse la denominazione di PCUS (Partito Comunista dell'Unione Sovietica/Коммунистическая партия Советского Союза).
Ritornando a Lenin - prosegue Cardi - c'è da dire che egli vuole promuovere l’estensione della rivoluzione al resto del mondo e per questo che a Mosca nel 1919 (2-6 marzo si tiene un congresso al quale partecipano gli esponenti di sinistra dei partiti socialisti e per questo si costituisce la Terza Internazionale, conosciuta anche come Comintern o Komintern, (Kommunistische Internationale, il tedesco era la lingua ufficiale della III Internazionale) ed il cui percorso si snodò sino al VII congresso che si svolse a Mosca tra il 25 luglio ed il 20 agosto del 1935 data del suo scioglimento.
Quindi il compito della Terza Internazionale era quella di promuovere la rivoluzione nel resto del mondo e movimenti rivoluzionari si hanno anche negli Imperi Centrali, così come avvenne in Austria con la fondazione del Partito comunista austriaco (Kommunistische Partei Österreichs) che avvenne il 3 novembre 1918 ad opera di Ruth Fisher che tentò una rivoluzione nel novembre dello stesso anno ma che non ebbe gli esiti sperati.
In Germania si forma la Lega di Spartaco (Spartakusbund) , da cui poi sarebbe derivato nel 1918 il KPD (Kommunistische Partei Deutschlands, Partito Comunista tedesco), e tra gli esponenti principali dell’organizzazione marxista Rosa Luxemburg, Karl Liebknecht che promossero la rivoluzione del novembre dello stesso anno che venne repressa subito dopo, anche se – evidenzia il relatore- la Repubblica dei Soviet in Baviera, conosciuta anche come “Repubblica dei Consigli di Baviera” (Bayerische Räterepublik) o di Monaco (Münchner Räterepublik) ebbe un periodo di attività relativamente più lungo (7 aprile – 2 maggio 1919) anche se questa venne repressa duramente.
In Ungheria c’è l’esperienza politica di Béla Kun che fondò a Budapest il Partito Comunista Ungherese a Budapest il 4 novembre 1918 e la Repubblica sovietica ungherese svolse il suo operato dal 21 marzo del 1919, tra l’altro secondo governo in Europa dopo quello della Russia, sino al 1° agosto.
Il fallimento di tutti questi tentativi pone ai partiti comunisti dei problemi di tattica per la presa del potere e quindi la necessità di organizzarsi meglio. Dopo la fondazione del partito comunista tedesco nel 1918, si ha una proliferazione tra il 1919 ed il 1921 di altre fondazione partitiche in tale biennio alquanto fecondo.
Infatti in Europa sorgono altri partiti comunisti: nel 1920 è la volta di quello francese (Parti communiste français, PCF), nel 1921 quello italiano il 21 gennaio a Livorno (PCI) a seguito della scissione dal Partito Socialista Italiano. Il 15 luglio 1922 è la volta del Partito Comunista Giapponese, mentre nello stesso periodo è la volta del Partito Comunista Cinese (PCC) fondato a Shangai.
Nel 1923 si assiste alla fondazione del Partito della Sinistra Socialista (Sosialistisk Venstreparti, SV).
Da questa situazione nasce da parte degli oppositori di bloccare questo proliferare di partiti comunisti e si assiste ad iniziative di carattere militare da parte delle potenze dell’Intesa (Francia ed Inghilterra in particolare) inviano i loro eserciti in Unione Sovietica in appoggio delle truppe dei “russi bianchi”, svolgendo quindi un’azione controrivoluzionaria contro i bolscevichi.
Da queste situazioni si verificano lo scioglimento dei partiti comunisti, come avviene ad esempio per quello jugoslavo (KPJ) nel 1921quello finlandese (SKP) ed anni dopo nella Bulgaria (BKP).
Negli anni successivi nei paesi dove la democrazia aveva radici meno forti, come ad esempio l’Italia, la minaccia comunista, anche a causa degli errori, delle divisioni, della debolezza del movimento operaio, viene sfruttata da forze reazionarie per sviluppi dittatoriali in nome dell’anti-comunismo.
L’antagonismo, spesse volte aspro, tra comunisti da una parte e socialisti e socialdemocratici dall’altra, favorisce la vittoria di forze nazionaliste ed antidemocratiche in varie parti dell’Europa.
Allo scoppio del secondo conflitto mondiale si assiste ad alcuni passaggi come ad esempio l’entrata dell’Unione Sovietica prima della guerra nella “Società delle Nazioni” nel 1934 per uscirne qualche anno dopo .
Successivamente i Partiti Comunisti si rendono fautori della creazione dei Fronti Popolari cercando l’alleanza non soltanto con i Partiti Socialisti e di quelli SocialDemocratici ma anche con quelli Democratici sempre in funzione anti-fascista ed anti-nazista.
Quello francese venne fondato nel 1936 ed in Cina Mao Tse-tung propone a Chiang Kai-shek un fronte nazionale anti-giapponese, in Spagna i comunisti entrano nella maggioranza frontista e fanno parte del governo, ma queste collaborazioni sono di breve durata per l’evolversi della situazione internazionale che come è noto avrebbe portato nel 1939 allo scoppio della seconda guerra mondiale, dove vi è l’alleanza dell’Unione Sovietica con le Democrazie Occidentali.
La resistenza contribuisce all’espansione del comunismo – continua il professore Caridi nel suo interessante intervento – sia durante la guerra che dopo la fine delle ostilità.
Nel settembre del 1947, due anni dopo la fine della guerra, venne istituito il COMINFORM (Communist Information Bureau) avente lo scopo di organizzare l’area d’influenza sovietica e nel contempo di replicare al blocco della NATO relativamente agli indirizzi del “Piano Marshall” e la “Dottrina Truman”. Esso era composto da nove partiti comunisti (7 al potere, Unione Sovietica e paesi satelliti) e 2 partiti comunisti occidentali (partito comunista francese e partito comunista italiano).
Il suo scioglimento avvenne nel 1956 (14-26 febbraio) in occasione del XX Congresso del PCUS.
Ritornando alla fine delle ostilità si assiste alla ripresa dei partiti comunisti la tattica delle alleanze simile a quelle dei fronti popolari: “fronti nazionali” , come allora venivano definiti, si formano in tutta l’Europa orientale, dove la presenza dell’Armata Rossa permette tra il 1945 ed il 1948 il sorgere di regimi detti di “democrazie popolari”, realtà egemonizzate dai comunisti che eliminano ben presto le altre realtà politiche come i partiti socialisti, i partiti dei contadini, i partiti degli operai che in precedenza erano loro alleati.
Fu allora che le potenze occidentali intrapresero una politica tendente ad arginare l'ampliamento dell'espansione comunista ed isolare sia politicamente che economicamente il nuovo blocco di forze.
Winston Churchill durante una conferenza tenuta in data 5 marzo 1946 a Fulton (Missouri) coniò il termine “cortina di ferro” : « Diamo il benvenuto alla Russia nel suo giusto posto tra le più grandi Nazioni del mondo. Siamo lieti di vederne la bandiera sui mari. Soprattutto, siamo lieti che abbiano luogo frequenti e sempre più intensi contatti tra il popolo russo e i nostri popoli. È tuttavia mio dovere prospettarvi determinate realtà dell'attuale situazione in Europa. Da Stettino nel Baltico a Trieste nell'Adriatico una cortina di ferro è scesa attraverso il continente. Dietro quella linea giacciono tutte le capitali dei vecchi stati dell'Europa Centrale ed Orientale. Varsavia, Berlino, Praga, Vienna, Budapest, Belgrado, Bucarest e Sofia; tutte queste famose città e le popolazioni attorno ad esse, giacciono in quella che devo chiamare sfera Sovietica, e sono tutte soggette, in un modo o nell'altro, non solo all'influenza Sovietica ma anche a una altissima e in alcuni casi crescente forma di controllo da Mosca. »
Il termine adottato dallo statista inglese significava la netta separazione tra il mondo occidentale democratico ed il mondo comunista: si sviluppò allora la politica dei due blocchi contrapposti, quello relativo al “Patto Atlantico” (Washington, 4 aprile 1949) e quello relativo al “Patto di Varsavia” (Varsavia, 14 maggio 1955) e ciò diede inizio a quella che viene definita la “guerra fredda”.
La “guerra fredda” ha dei riflessi nelle situazioni nazionali, infatti segna la fine, ad esempio, dei “governi di unità nazionale” come in Francia ed in Italia, dove nel 1947 i comunisti vengono espulsi dal governo.
La scissione di questi “fronti nazionali” porta però ad esiti diversi o contrapposti in alcuni stati, come ad esempio in Grecia dove si assiste alla guerra civile e la conseguente sconfitta dei comunisti greci e ciò rappresentò una disfatta totale per il partito comunista ellenico, mentre in Cina si verificò il caso opposto con il trionfo dei comunisti, vedi la “grande marcia” di Mao Tse-tung che riesce a conquistare il potere nel 1949.
L’intervento del docente universitario Giuseppe Caridi si è concluso con alcuni cenni relativi dell’arco di tempo argomentato ai leader del partito comunista sovietico che dopo la morte di Lenin venne diretto da Stalin. In questo periodo il КПСС (Коммунистическая партия Советского Союза) abbandonò la sua configurazione unitaria, dovuta anche alla rimozione , prima dalla scena politica di Trockij, Zinov'ev Bucharin e Kamenev e successivamente processati: fu l’inizio delle purghe staliniane che colpirono sia i vertici del partito di quelli dell’Armata Rossa ma anche del mondo culturale.
Alla morte di Stalin, avvenuta nel 1953 le cose cambiarono con l’elezione del nuovo leader Nikita Chruščëv che avviò il famoso processo di “destalinizzazione” nel 1956 durante lo svolgimento del XX Congresso del PCUS (14 – 26 febbraio) dove vennero denunciati tali crimini.
A riguardo il Partito Comunista Italiano il relatore ha ricordato il primo leader Amadeo Bordiga che strutturò il partito su base tipicamente operaia e quindi privo di una scala gerarchica all’interno dello stesso.
Il partito venne soppresso il 5 novembre del 1926 e nello stesso anno Amedeo Bordiga venne arrestato e confinato ad Ustica, dove insieme ad Antonio Gramsci concorse a predisporre la vita dei prigionieri.
Amedeo Bordiga venne espulso dal partito il 20 marzo del 1930 per la sua posizione nei confronti di Leone Trockij, nonostante le divergenze tra i due, venne accusato di « trotskismo».
Dopo l’arresto del segretario Antonio Gramsci la guida del partito passo a Palmiro Togliatti che dall’estero organizzò la resistenza italiana. Alla caduta del regime fascista avvenuta il 25 luglio 1943 il PCI uscì dalla fase della clandestinità organizzando tra l’altro diversi nuclei di formazioni partigiane Palmiro Togliatti fa il suo ingresso nel governo italiano, prima nel CLN, poi nel secondo governo Badoglio e successivamente e dopo la liberazione di Roma nel giugno del 1944 come ministro senza portafoglio ed in seguito eletto per le prime quattro legislature della Repubblica italiana.
Ha preso infine la parola Gianfranco Cordì, Dottore di Ricerca in “Pensiero politico e istituzioni nelle società mediterranee” presso l’Università degli Studi di Catania.
Cordì è partito dall’assunto, ontologico, della socialità insita in ogni essere umano (secondo la dottrina di Marx).
Considerando l’intera teoria del padre del materialismo storico come un tutt’uno, e facendo astrazione dai singoli aggiustamenti e dalle particolari modifiche che si sono succedute nel corso degli anni, Cordì ha calibrato il concetto di socialità in quello di storia.
Gli uomini non solo sono intrinsecamente sociali, ma attraverso la loro attività, producono la storia. Come si estrinseca questa attività dell’uomo? Attraverso il lavoro, ha risposto Cordì.
Dunque esiste, nella società, una relazione fra le forse produttive e i rapporti di produzione. Da una parte la forza-lavoro e dall’altra le relazioni che intercorrono tra i singoli uomini (durante il processo della produzione): Naturalmente l’uomo entra nel ciclo economico solamente perché esso stesso è un insieme di bisogni, che egli tende a dover soddisfare.
E’ questa la considerazione antropologica di partenza di Marx. Dal rapporto tra forze produttive e dei rapporti di produzione emergono le varie epoche della storia, ognuna caratterizzata da un modo di produzione diverso.
La prima epoca è quella asiatica, poi la antica, la feudale e infine, quella attuale, la borghese. Naturalmente l’epoca borghese è caratterizzata dal modo di produzione capitalistico.
Ma non solo, in ogni epoca la società si divide in classi. Da una parte i dominanti e dall’altra i dominati.
E queste classi non sono pacificamente messe a assieme e raccolte ma si producono in una costante lotta di classe.
Mutuando il concetto dalla dialettica hegeliana (per la quale era l’idea che nel corso della storia attraverso vari momenti raggiungeva lo spirito assoluto), Marx prefigura una società in continuo conflitto.
Ogni epoca della storia si conclude con la risoluzione di questo conflitto e con il dissolvimento della contraddizione in cui questa particolare epoca ( a causa del rapporto sbilanciato tra forze produttive e rapporti di produzione) era caduta.
Non c’è in questo caso un elemento di sintesi che risolva la contraddizione. Semplicemente: i due opposti entrano in lotta e questa lotta viene risolta con la vittoria finale dell’elemento più sofferente: Marx nega, in maniera deterministica, la sofferenza di una particolare classe sociale al desiderio di emancipazione.
Ma non è finita, ha detto Cordì. Durante l’evoluzione dei rapporti tra forze produttive e rapporti di produzione si producono alcune condizioni particolari.
Si ha il feticismo delle merci: secondo il quale i beni si reificano e diventano essi stessi fonte di valore.
Poi si produce l’alienazione per la quale l’uomo risulta scisso in due parti. Egli non è infatti proprietario dei beni che produce.
E poi si ha il plusvalore che determina un essere umano inserito nel processo della produzione ma che non viene remunerato per tutto il lavoro che produce.
Esiste un pluslavoro che l’uomo espleta e per il quale il capitalista non gli somministra il plusvalore adeguato (sotto forma di salario).
Insomma, ha detto Cordì: questi tre meccanismo e la considerazione di una storia che da una base sociale si produce attraverso lotte di classe con sbocco rivoluzionario finale nell’economia capitalistica diventa contrapposizione tra borghesi da una parte e proletari dall’altra.
Solo quando il capitalismo ha portato le proprie forze interne a tutte le loro estreme conseguenze si ha la frattura rivoluzionaria che verrà messa in scena dalla classe più sofferente.
Il proletariato, attraverso il partito comunista (che ne incarna le rivendicazioni) risolverà la contraddizione della storia borghese. In favore di cosa? Nell’instaurazione, ha dichiarato ancora Cordì, di una società senza classi e quindi senza conflitti.
Di una società collettiva nella quale ogni essere umano può espletare le proprie funzioni nella più piena liberta.
E all’interno della quale: ognuno lavora e produce in rapporto all’altro non più con la fatica (come voleva la tradizione biblica) ma con gioia.
La gioia di stare assieme ad un altro uomo che condivide un universo in cui da ognuno viene richiesto in funzione delle proprie capacità ed in cui a ognuno viene dato in funzione dei propri bisogni.
Ma tutto questo, ha concluso Cordì, è sotto condizione.
Esiste una condizione che rappresenta il punto in cui Marx può essere veramente “A venire” oppure può essere relegato nella “pattume ria della storia”.
La condizione è che davvero: la sofferenza di una determinata classe sociale produca immediatamente il desiderio di emancipazione.
Sappiamo dalla psicologia, ha detto Cordì, che l’uomo anche nelle condizioni più inique non necessariamente si ribella.
Ed inoltre che esistono interessi, contingenze, desideri, tutta una sfera di motivi che guidano l’uomo durante una fase di sofferenza e che non hanno nulla a che vedere con la ribellione.
Se, invece, questa condizione (sofferenza implica emancipazione) fosse vera automaticamente allora in maniera determinata tutto il pensiero di Marx sarebbe vero e realizzato.
E sarebbe davvero “a venire”, anche perché la Rivoluzione Russa del 1917 si è verificata in un paese che propriamente non possedeva le condizioni capitalistiche dell’economia.
La Russia degli zar infatti aveva ancora un economia di tipo feudale e quindi strettamente parlando non si potevano applicare ad essa le categorie del pensiero marxiano.
Quindi Marx potrebbe essere “a venire”: ancora buono per questo pluriverso scomposto e frattale della globalizzazione. Un contesto, il nostro, caratterizzato ancora dal capitalismo come modo di produzione (sia pure esteso a tutto il pianeta) e caratterizzato da forze-lavoro che hanno a che fare con l’immateriale, il simbolico e l’affettivo ma che rimangono pur sempre nella logica di una prestazione per la quale si riceve un salario sottoposto alle leggi del plusvalore, del feticismo delle merci e dell’alienazione).
Certo il lavoro è cambiato, oggi è mobile, flessibile e precario, anche il capitalismo è cambiato (si parla di turbo capitalismo o capitalismo accelerato: un sistema economico che tiene il brand in un luogo, produce in un altro – tipicamente in Cina dove il costo del lavoro è abbattuto – distribuisce in tutto il mondo e vende al dettaglio nei singoli paesi, e naturalmente paga le tasse nei paradisi off-shore).
Certo tutto questo è cambiato e anche borghesia e proletariato oggi faticheremmo a individuarle con certezza (specie dopo la cosiddetta fine del ceto medio).
Ma le condizioni indagate da Marx fondamentalmente sono rimaste le stesse. Lotta di classe, predominio, alienazione, sfruttamento… Marx sarà veramente “a venire” se automaticamente sofferenza vorrà dire rivoluzione. Ma questo è un problema aperto, ha concluso Cordì.