È trascorso quasi un secolo dallo scoppio del primo conflitto mondiale, evento che s’abbatté sull’intera Europa e che coinvolse anche Nazioni extraeuropee trascinandole in un dramma di sangue, di distruzioni e di lacerazioni di dimensioni epocali, che mutarono radicalmente il corso della storia contemporanea.
Si avvicina quindi il centenario dalla scoppio della Prima Guerra Mondiale, avvenuta a seguito dell'assassinio dell'arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono d'Austria-Ungheria, e della consorte, la duchessa Sofia Chotek von Chotkowa, Duchessa di Hohenberg, il 28 giugno 1914 a Sarajevo .
Il conflitto che ebbe inizio il 28 luglio dello stesso anno con la dichiarazione di guerra dell'Austria alla Serbia coinvolse le maggiori potenze mondiali del periodo, da una parte gli Imperi centrali (Germania, Austria-Ungheria, Impero ottomano) e Bulgaria contrapposti alle potenze Alleate (Francia, Gran Bretagna, Impero russo,Stati Uniti) e tra gli altri l'Italia che entrò in guerra nel 1915.
La guerra si concluse l'11 novembre del 1918 e causò oltre 9 milioni di vittime tra i soldati e circa 7 milioni di vittime civili dovute non solo agli effetti diretti delle operazioni di guerra, ma anche alla carestia e alle malattie concomitanti.
Il 1914 fu quindi lo spartiacque tra quell'Europa egemone e quello della nascita delle ideologie che provocarono altri drammi come i vari apparati totalitari e successivamente quelli tecno-finanziari che gestiscono i destini del vecchio Continente e tutto ciò al fine di comprendere, attraverso l'analisi quel periodo, il senso ed il significato dell’Europa di oggi.
Da queste premesse il Circolo Culturale “L'Agorà”, presieduto da Gianni Aiello, in occasione di tale ricorrenza, inserisce nel proprio palinsesto organizzativo un ciclo di incontri su tale periodo storico che ha radicalmente cambiato il corso della storia contemporanea.
Tale programma riguarderà una serie di eventi che si snoderanno nel corso del quadriennio 2014-2018 finalizzati ad avviare una riflessione sul quel che avvenne e sulle conseguenze che tale “grande massacro” provocò alla civiltà europea.
Tutto ciò con il chiaro intento di realizzare un progetto specifico di approfondimento didattico interamente dedicato al tema della Prima Guerra Mondiale, con apposite conferenze e l'intento di sensibilizzare le giovani generazioni e creare nuovi spazi nella memoria collettivaattraverso appositi incontri su vari aspetti di tale periodo storico, in modo da creare nuovi spazi nella memoria collettiva dei più giovani tali eventi che inghiottirono l'Europa della "Belle Époque " in un inferno di fango e di sangue che modificò profondamente il corso della storia contemporanea.
Il sodalizio culturale reggino ha ricevuto due importanti attestazioni di merito da parte dell'Ambasciata della Repubblica Ceca e dell'Ambasciata di Ungheria, che, per le motivazioni sopra evidenziate hanno concesso l'Alto Patronato.
Tutto ciò per sottolineare sia la valenza dell'iniziativa che per il suo significato rivolto “all'approfondimento della memoria collettiva, soprattutto nella generazione più delicata, tra i giovani” come evidenziato da l'Ambasciatore ungherese János Balla e per “commemorare e celebrare l'amicizia tra i popoli nel mondo senza guerre” da S.E. Petr Buriánek della Repubblica Ceca.
Ha aperto i lavori Gianni Aiello, il quale in apertura ha evidenziato che “risulta necessario fare una seria riflessione anche per capire la situazione attuale dell'Europa e delle nuove geografie non solo dal punto di vista territoriale”.
Un'Europa, il famoso “vecchio continente”, che è crollato a seguito delle conseguenze degli ultimi due conflitti e delle relative dissoluzioni, così come viene ricostruito cronologicamente dal letterato ungherese Márai Sándor nelle” Confessioni di un borghese “ .
Micro e macro storie che si intrecciano, così come nella geografia narrativa del “Secolo breve” il saggio dello storico britannico Eric J. Hobsbawm o in altre esperienze narrative che saranno oggetto di questo percorso che il Circolo Culturale “L'Agorà” si appresta a realizzare .
Lo storico inglese nella prefazione cita il poeta statunitense Thomas Stearns Eliot, secondo il quale "il mondo finisce in questo modo: non con il rumore di un'esplosione, ma con un fastidioso piagnisteo".
Secondo Hobsbawm il mondo “è finito in tutti e due i modi”: il disfacimento dei vecchi imperi (russo, tedesco, austriaco e ottomano).
La prima guerra mondiale rappresenta anche la fine del periodo della “Belle Époque “ e di quella “vecchia Europa”, che era il centro degli interessi non solo culturali.
Quell'Europa, quel modo di essere, quel mondo contadino, quei palcoscenici sociali che non avevano frontiere, crollano anch'essi a seguito delle conseguenze delle due guerre.
Quelle storie, quel mondo che ritroviamo nell'opera di Molnár Ferenc con “I ragazzi della via Pál”, si allontano da quei lidi ed il “Buon soldato Svejk” di Jaroslav Hasek., funge da spartiacque tra i due periodi storici del Novecento.
La denuncia dell'assurdità della guerra nel “Buon soldato Svejk” , gli orrori ed i traumi del conflitto che si materializzano nelle opere di Otto Dix, la poetica narrativa del letterato ungherese Géza Gyóni, morto in prigionia nel 1917, sono alcuni degli aspetti quel periodo.
La parola è passata ad Antonino Megali che ha caratterizzato il suo intervento da una serie di particolari inediti, letture di poesie, come ad esempio i versi di Trilussa che nella stesura di “Fra cent'anni” evidenziava che “... quanno ritroveranno ner zappà la terra li resti de li poveri sordati morti ammazzati in guerra, pensate un po' che montarozzo d'ossa, che fricandò de teschi scapperà fòra da la terra smossa!...”
Uno scenario apocalittico i cui colori di morte riportano alla mente la poetica di Giuseppe Ungaretti all'epoca presente nelle operazioni belliche: “Questi dossi di monti si sono coricati nel buio delle valli. Non c’è più niente che un gorgoglìo di grilli che mi raggiunge. E s’accompagna alla mia inquietudine”.
Antonino Megali prosegue la sua relazione parlando di Norman Angell, un giornalista ed economista inglese, premio Nobel per la Pace, che pubblicò nel 1910 il libro La Grande Illusione nel quale ipotizzava l’assenza di guerre per il futuro in quanto, in una eventuale guerra, anche la potenza vittoriosa avrebbe avuto perdite enormi in campo finanziario ed economico.
Pertanto un eventuale conflitto sarebbe stato un disastro per tutti i belligeranti. L’ipotesi del giornalista aveva lasciato dubbioso Giovanni Amendola che sulla Voce, a proposito del libro scriveva:”Gli uomini nonostante sappiano che dalla guerra non avranno vantaggi materiali, continuano a prepararsi alla guerra, e c’è da prevedere, senza essere profeti, che guerre si combatteranno per l’avvenire come si sono combattute per il passato. Ciò vuol dire che gli uomini preferiscono i mali della lotta, e il rischio, e il dolore, ed anche la morte, a quello stato di pace in cui tutta la vita fosse dominata da motivi economici e regolata saggiamente in base al tornaconto…. In realtà non sappiamo perché i popoli facciano la guerra; e, non sapendolo non siamo in grado di far molto per impedirla o per provocarla”.
Sulla stessa linea Giuseppe Prezzolini e i tanti collaboratori del giornale da lui fondato. Accettavano la guerra non perché erano dei guerrafondai, o perché fosse bella secondo la tesi dannunziana o perché fosse “igiene del mondo” come sostenevano i futuristi, ma in quanto era una situazione inerente alla natura umana.
A smentire l’ ottimismo del giornalista furono gli avvenimenti storici successivi.
Nel 1911 l’Italia parte per la conquista della Cirenaica e della Tripolitania (la Libia d’oggi) e l’anno dopo la Lega Balcanica dichiara guerra all’Impero Ottomano.
Poi s’accende la miccia che scatenerà la I Guerra Mondiale.
Il 28 giugno 1914 lo studente serbo Gavrilo Princip uccide a Sarajevo l’Arciduca ereditario d’Austria, Francesco Ferdinando e la moglie Sophia.
Agiva agli ordini dell’organizzazione terroristica serba “Mano Nera” e credeva di compiere una missione patriottica. Non immaginava, con quel gesto, di porre le premesse per uno sconvolgimento che avrebbe provocato un riassetto degli equilibri mondiali e il suicidio dell’Europa.
L’Italia si dichiara neutrale, essendo legata al patto della Triplice Alleanza. Lo stesso Francesco Giuseppe è poco convinto dell’entrata in guerra. Anche il Kaiser Guglielmo II aveva molti dubbi e cercò fino all’ultimo di fermare tutto. I diversi popoli peraltro, illusi dal clima instauratosi nel periodo della belle époque, considerarono lo scoppio della guerra come una festa.
L’entusiasmo s’impadronì delle folle che scesero nelle piazze cantando gli inni nazionali.
Questo stato d’animo derivò dalla certezza di dovere affrontare una guerra lampo.
Perfino l’insospettabile fondatore della psicoanalisi, Sigmund Freud, si scoprì favorevole all’intervento.
Il suo biografo Ernest Jones scrive:”Si sarebbe supposto che un pacifico sapiente di 58 anni come Freud dovesse salutare la guerra con orrore, mentre la sua prima reazione fu quasi di giovanile entusiasmo. Era eccitato, e cadeva in continui lapsus”.
Tutta la mia libido-sembra abbia detto- si riversa su gli austro-ungarici.
Due suoi figli Martin e Ernst partirono volontari. Un altro scrittore austriaco, Stefan Zweig, pur ostile alla guerra, confessò anni dopo che:”in quel primo mettersi in marcia delle grandi masse c’era qualcosa di grandioso, di trascinante, di seducente perfino, cui era difficile sottrarsi.
Malgrado tutto l’odio e l’orrore per la guerra, non vorrei cancellare quelle giornate dalla mia vita.”
Vediamo – continua Antonino Megali - ora più da vicino l’impegno civile e politico e quello sulle trincee di combattimento degli scrittori e degli intellettuali, italiani e stranieri di fronte al conflitto. Dopo pochi mesi dall’inizio scoppia la battaglia della Marna, durata 4 giorni. Rappresentò la fine dell’illusione di una rapida vittoria tedesca e di un ingresso trionfale a Parigi.
Dopo la fallita guerra lampo inizia quella di trincea per conquistare pochi metri, dopo i quali,”non si può distinguere- come fu detto-se il fango sia carne o la carne sia fango”.
Sulla Marna troverà la morte
il grande poeta e saggista francese cattolico Charles Péguy. Prezzolini gli dedica un commosso ricordo. Morendo,in battaglia- scrisse- ha coronato la sua esistenza, ha continuato e precipitato il suo sforzo morale, ha confermato tutta la sua vita. Ha vissuto da guerriero-insoddisfatto; è morto da guerriero- vincitore.
Da ricordare che in Francia a favore della guerra si schierarono Gide, Proust, Anatole France e Claudel.
Un futuro premio Nobel, morto suicida, Ernest Hemingway venne in Italia nel maggio 1918 a guidare un’ambulanza della Croce Rossa.
Venne ferito da una granata lanciata da un mortaio austriaco, mentre distribuiva cioccolato ai soldati italiani in trincea.
Tornato a combattere, sempre come volontario, con la fanteria italiana sul fronte austriaco, il governo italiano lo decorò due volte per il suo coraggio.
La sua era un’esperienza fatta per comprendere il significato della guerra. Le sue riflessioni saranno poi riportate nel romanzo che gli diede la fama, “Addio alle armi”. Secondo la versione americana, Hemingway ferito, prima di prendersi cura di sé:” prestò generosa assistenza ai soldati italiani che erano stati feriti più gravemente nella stessa esplosione e non volle essere portato via prima che essi fossero stati soccorsi”.
Per la cronaca dai frammenti di granata era stato ferito al piede destro al ginocchio, alle cosce, alla testa e ad una mano.
Un altro scrittore americano, ma tedesco di nascita, Erich Maria Remarque, della sua esperienza al fronte trasse un celebre romanzo contro la guerra :Niente di nuovo sul fronte occidentale. Il titolo ricorda la morte del personaggio protagonista, ucciso in “una giornata così calma e silenziosa su tutto il fronte, che il bollettino del Comando Supremo si limitava a queste parole: Niente di nuovo sul fonte occidentale”. Volontario fu anche lo scrittore francese Louis-Ferdinad Céline, anch’egli fu gravemente ferito e decorato. Chiamato alle armi nel 1916 lo scrittore ceco Hasek disertò, per passare con i russi e combattere contro l’Austria nelle legioni cecoslovacche.
Nel 1918 entrò nelle file dell’Armata rossa.
Dopo la guerra scrisse Le avventure del buon soldato Svejk il cui protagonista è un anti-eroe che usa l’ironia come auto difesa contro la guerra.
Chiudiamo la breve citazione di famosi scrittori stranieri con il tedesco Ernst Jünger, volontario, che idealizzò la guerra come prova di coraggio nel suo diario Tempeste d’acciaio. “Siamo partiti sotto una pioggia di fiori, ebbri di rose e di sangue. Non vi era alcun dubbio che sarebbe stata la guerra ad apportarci quella cosa grande, forte, memorabile che tanti sospiravano. Essa ci appariva un’azione virile, una divertente scaramuccia su prati fioriti, bagnata dalla rossa rugiada del sangue”. L’Italia, com’è noto, entrerà in guerra nel maggio del 1915. Alleati e nemici non hanno grande opinione di noi.
Pesa ancora il duro giudizio di Bismarck :”Voi italiani siete il popolo del tre S:nel 1859, con Solferino, prendeste la Lombardia. Nel 1866, con Sadowa,prendeste il Veneto. Nel 1870, con Sedan prendeste Roma. Nessuna della tre S venne fatta da voi”. Altrettanto duro il giudizio dei francesi :“l’Italia rimarrà probabilmente neutrale, ma non esiterà a schierarsi dalla parte del possibile vincitore“.
In realtà la maggioranza è restia a entrare in guerra, ma è sconfitta da una minoranza più organizzata dal punto di vista mediatico e comunicativo.
Il primo movimento a rivolgersi alle masse fu il Futurismo e il suo fondatore, Marinetti. Con i giornali ,con gli scritti e con manifestazioni di piazza raggiunse tutte le classi sociali.
Già nel suo primo manifesto apparso il 20 febbraio 1909 su “Le Figaro” di Parigi ( inizialmente la pubblicazione era programmata per la fine del 1908, ma fu rimandata per il terremoto che distrusse Reggio e Messina), proclama:” Noi vogliamo glorificare la guerra sola igiene del mondo. Nel periodo della neutralità, i futuristi mantennero alta la tensione in Italia.
Il 15 settembre 1914 Marinetti e altri al teatro dal Verme a Milano bruciarono una bandiera austriaca, sventolando quella italiana.
Il giorno dopo per una manifestazione in Galleria furono arrestati undici futuristi e trattenuti nel carcere di San Vittore per tre giorni. La prende bene il nostro Boccioni che scrive alla madre :” Sono da tre giorni nel carcere di Milano con Marinetti, due pittori, due artisti drammatici e due avvocati…Mangio,bevo, dormo, leggo. Questo riposo ci voleva, però non durerà che qualche giorno”.
Coerenti, partirono volontari per il fronte Marinetti, Boccioni, Russolo, Sant’Elia, Erba, Funi, Piatti e Sironi nel luglio del 1915. Marinetti, per non essere scartato, si fece prima operare d’ernia. Pagarono questa loro scelta con un grande tributo di sangue.
Secondo Marinetti rimasero uccisi tredici futuristi, tra cui Boccioni (per una caduta da cavallo), Sant’Elia, Tommei, Casarini e Carlo Erba. I feriti furono quarantuno:tra gli altri Russolo, Piatti.Rossi , Dessy e lo stesso Marinetti che ricevette un mazzo di rose rosse da d’Annunzio.
ùNon partì Carrà; e quando fu richiamato alle armi nel 1917 fu ricoverato in un ospedale psichiatrico. (Si narra che un ufficiale medico si fosse convinto di avere di fronte un pazzo, dopo aver esaminato alcuni sui quadri).
Convinti sostenitori dell’entrata in guerra furono Papini, Prezzolini e Soffici. Per loro la guerra significava una compensazione delle disillusioni della vita di pace, una palingenesi pubblica e privata.
Pur non avendo nessuno dei tre obblighi militari, chiesero di essere arruolati. Dopo ripetute visite mediche Papini fu escluso per la forte miopia. Proprio lui che era stato in prima fila per l’intervento lanciando la parola d’ordine Amiamo la guerra!:” Finalmente è arrivato il giorno dell’ira dopo i lunghi crepuscoli della paura. Finalmente la decima dell’anime per la ripulitura della terra. Ci voleva, alla fine, un caldo bagno di sangue nero dopo tanti umidicci e tiepidumi di latte materno e di lacrime fraterne… È finita la siesta della vigliaccheria, della diplomazia, dell’ipocrisia e della pacioseria. “.
Un po’ diverso l’interventismo di Prezzolini da quello dei suoi amici. È una scelta più ragionata, supportata da considerazioni economiche e sociali: “Il nostro compito è quello di far ragionare le persone sulle quali possiamo avere qualche presa e cercare che si rendano conto della complessità di elementi dalla quale dovrà scaturire l’intervento dell’Italia nel conflitto”.
Arruolatosi manifesta subito la sua disillusione per la vita di recluta:” Venni avido d’imparare, di obbedire, di lavorare. Non riesco a nulla. Ci tengono a ciondolare dalla mattina alla sera. Siamo avviliti e umiliati”. L’esercito gli sembra inadeguato. I nostri generali –scrive- sono gran bestie; ma speriamo che i generali austriaci siano ancora più bestie.
Le critiche continueranno anche dopo: per l’impreparazione dell’esercito, per le battaglie inutili e sanguinose, per la scarsezza degli armamenti “ si pretende di tagliare i reticolati con le pinze”, per la mancanza di strategia :”L’eroismo dal basso si mescolava all’imbecillità dell’alto… i nostri soldati con la testa di leone guidati da generali con la testa d’asino”. Più tardi lo scrittore si pone la domanda se tutto il sangue della guerra sia stato sparso invano. Risponde rivendicando la scelta interventista avendo l’Italia realizzato sul piano storico gli obiettivi già individuati nel 1914. “Fu il momento dell’Italia. Vi assicuro che era bellissimo”.
Anche Ardengo Soffici non esita a vestire la divisa grigioverde. Ma proprio l’amico Prezzolini lo invita a non farsi mandare al fronte. Così gli scrive:”Tu non devi andare, tu sei un artista. La tua politica non è politica, è sentimento di un artista e non ha altro valore. Perciò niente di male se le mancherà l’appoggio popolare della tua coerenza. Tu sei più utile in Italia come scrittore (artista) che come ufficiale lassù. Ne sei persuaso come ne siamo persuasi . Daresti un dolore inutile agli amici se tu per uno scatto ormai senza ragione volessi partire per il fronte. Dammi retta, te ne prego “.
Soffici invece nel 1916 andò al fronte scrivendo a Papini confessa che solo ora sta conoscendo il popolo italiano attraverso i soldati. Nella loro calma, nella loro fermezza dignitosa vede la vera grandezza dell’Italia.
Nel corso di un bombardamento viene ferito alla testa. Scampato alla morte per miracolo dato il sopravvenire di complicazioni infettive chiede di combattere ancora. Prima di partire detta le sue ultime volontà , in caso di morte, all’amico Papini :” Per quel che mi riguarda in questa faccenda guerresca tu che conosci il mio stato d’animo…cerca che non mi si faccia passare da eroe nel caso sempre che morissi e morissi anche bene. Sai cosa penso, come sono andato alla guerra, perché, qual è il mio concetto morale. Io sono un dilettante tragico e prendo tutta questa avventura soprattutto ironicamente”.
Pochi giorni dopo verrà ferito ad un occhio durante la conquista del monte Kobilek.
A guerra finita ammette di ritrovarsi in un mondo diverso da quello che aveva lasciato, né in quello che si sta profilando dopo la sua adesione all’interventismo e la partecipazione al fronte.
C’è un altro scrittore che non aspetterà per combattere l’entrata in guerra dell’Italia, ma che scapperà di casa per arruolarsi nella legione garibaldina delle Argonne, sotto il comando di Peppino Garibaldi. Si tratta di Kurt Erich Suckert, non ancora Malaparte. (un gesto che sembra legittimare la famosa battuta di Indro Montanelli: Al matrimonio vorrebbe essere la sposa; al funerale il morto).
Arrivato a Ventimiglia passa clandestinamente il confine. Quando i genitori gli scrivono di tornare risponde che “Piuttosto metterò la pancia davanti a un cannone che spara“.
Non partecipa a vere operazioni belliche –anche se sostiene il contrario- ma essendo di nazionalità tedesca, in caso di cattura avrebbe rischiato la fucilazione. Dopo alcuni anni definisce l’esperienza francese:”La più bella pagina della mia vita, la più pura”.
Dopo pochi mesi dal suo ritorno in Italia, la Nazione entra in guerra parte subito come volontario; sempre sotto il comando di Peppino Garibaldi, fu fante e poi sottotenente.
Nel luglio 1918 lo ritroviamo sul fronte francese a Bligly. Nella battaglia ebbe due medaglie, ma anche i polmoni danneggiati dalle esalazioni del gas yprite.
Dall’esperienza di guerra nacque la sua prima opera: “La rivolta dei santi maledetti”.
In essa vuole dimostrare che i soldati “ laceri, sudici, lenti ed uguali” sui fronti di guerra furono abbandonati a sé stessi e dietro di loro non vi era la nazione, ma il vuoto.
Da allora Malaparte conserverà un rancore verso l’Italia e un odio verso gli alti comandi e anche verso i giornalisti che, parlando di guerra, usavano belle parole intrise di retorica.
Partirono per non più ritornare Carlo Stuparich, Scipio Slataper, Nino Oxilia (famoso autore di “Addio Giovinezza”), Renato Serra e tanti altri.
Nonostante sul suo casellario giudiziario sia scritto a caratteri cubitali “Anarchico”, Ungaretti, dotato di spirito ribelle, non ha dubbi :la guerra è inevitabile.
Partecipa alle iniziative per l’intervento e finisce il galera più di una volta. Combatté, sul Carso, sul Monte San Michele.
La vita al fronte incise sulla sua persona e sul suo stile di vita.
Arrivò al punto, in licenza, di non saper dormire sul letto, abituato com’era a stendersi per terra.
A poco a poco la delusione si impadronisce di lui e prevale anche il pensiero continuo della morte. Sognava azioni eroiche.
Ma il problema giornaliero era come liberarsi dai pidocchi, procurarsi il cibo, sopportare la promiscuità fisica anche nei momenti più intimi.
Da qui il ripensamento e il considerare la guerra inutile e stupida e prive di consistenza le azioni alle quali prima dava importanza. In quei giorni inizia in lui a farsi strada la ricerca della fede che lo porterà più tardi alla conversione.
In trincea nascono alcune delle sue più belle poesie. Come lo stesso poeta racconta scrive i suoi versi su brandelli di carta, su cartoline, margini di vecchi giornali spazi bianchi di lettere ricevute.
Conserva tutto nel tascapane e li porta sempre con sé.
Consegna poi i versi ad un suo ammiratore, il giovane tenente Ettore Serra, che li riordina e li fa stampare in 80 esemplari. Nasce la raccolta del Porto Sepolto.
Il primo a parlarne e a recensire quel libro è Giovanni Papini. In quest’opera prima vi sono già tutti gli elementi di base che formeranno poi il nucleo della sua successiva produzione.
Prima di concludere un cenno ad uno scrittore della nostra terra: Corrado Alvaro. Partecipò alla guerra come sottotenente di fanteria.
Prima di essere chiamato alle armi partecipa a manifestazioni a favore dell’intervento ed è anche arrestato per alcune ore. Combatte nella zona di San Michele del Carso, dove viene ferito alle braccia( al destro non guarirà completamente).
Sarà decorato con medaglia d’argento. Da questa partecipazione al conflitto nascono le poesie Grigioverdi che riflettono lo stato d’animo dello scrittore e il clima culturale di quel periodo.
Di fronte alla visione di tanti giovani sacrificati, ribalta in seguito le sue convinzioni nazionalistiche e l’idea della guerra come rinascita nazionale, sociale ed esistenziale.
Dopo alcuni anni scrive il romanzo autobiografico Vent’anni che testimonia non solo il suo ripensamento, ma è un’accusa contro la vita militare e la sua disciplina, che fa perdere l’identità agli individui.