Quando si parla del passato remoto calabrese, generalmente si comincia con la colonizzazione greca, dimenticando che specie nel nord e nel centro della Calabria in passato ci sono stati fondamentali ritrovamenti che hanno fornito dei tasselli molto importanti per la preistoria del mediterraneo.
Ora è il momento della provincia di Reggio, quando in seguito ai primi ritrovamenti di manufatti preistorici si è aperto un ampio dibattito sulla preistoria non solo calabrese.  
Il Circolo Culturale L’Agorà per primo ha fornito i mezzi per aprire una enclave che ha contribuito  all'apertura di pagine ignote sulla consistenza patrimoniale archeologica della nostra provincia.
Per puro desiderio di approfondimento culturale il sodalizio reggino, presieduto da Gianni Aiello ha preparato l'incontro con il supporto di                              relatori internazionali che hanno studiato la presenza umana in epoca preistorica nella provincia, specie nelle località costiere joniche reggine.
Dopo l'introduzione di Gianni Aiello, presidente del Circolo Culturale "L'Agorà", che tra l'altro, ha ringraziato gli illustri ospiti per aver aderito all'iniziativa, la parola è passata alla dott.ssa Emilia Andronico della Soprintendenza Archeologica  della Calabria che ha evidenziato l'importanza degli scavi di Bova Marina, della meritoria opera di ricerca effettuata dagli studiosi su tali siti e dell'attività informativa del sodalizio organizzatore del convegno.
La parola è passata ad Annalisa Crucitti che ha trattato "Il simbolo nelle civiltà primitive".
Il segno come espressione libera nasce ad opera dell'uomo, è la prima e la più semplice delle sue manifestazioni, infatti fin dalle prime civiltà gli uomini percepiscono la realtà che li circonda e la traducono in segni che esprimono il loro essere, la loro cultura, la loro voglia di comunicare,  il bisogno della libera espressione.
Alcuni di questi segni trasferiti attraverso i tempi e caricati di significato, sono diventati simboli.
La relatrice è passata alla differenza tra segno e simbolo dicendo che il segno è semplice espressione, spesso istintiva che viene ad inserirsi in un contesto sociale, ma che rimane ancorato ad esso può essere letto solo nell’ambiente in cui è nato. 
Il simbolo invece trasferisce nel tempo alcuni significati, trasmette alcuni valori. 
Usando una metafora, lo si può associare all’idea di una medaglia, che avrà una faccia che si vede che consiste nella  sua forma e nei colori, e una he non si vede che consiste in ciò che vuole comunicare.
Il simbolo nel suo significato etimologico, è una arola greca derivante dal verbo "synballein" (mettere insieme, riunire). 
Presso i Greci assurge due significati: è un oggetto (moneta, medaglia, coccio) che veniva dato a due persone diverse e consentiva ai suoi possessori, di riconoscersi quando si sarebbero rincontrati, ed inoltre veniva utilizzato anche come “gettone” per erogare paghe in denaro o in viveri.
Il soggetto che si relaziona con un linguaggio simbolico, quindi, non può rimanere solo spettatore, ma diventa attore partecipativo, entra n contatto con esso. 
Il simbolo è qualcosa di dinamico,  mobilita tutto l'essere umano: la mente, la ragione, la psiche, ma soprattutto l'immaginazione e la fantasia coinvolgendolo anche emotivamente.
Appare chiaro che il simbolo nasce da una motivazione che lo caratterizza,che appare col suo esistere e diventa la sua linfa vitale, lo rende vivo nel tempo, lo tramanda, e lo rende rappresentativo della cultura in cui nasce. 
Una delle caratteristiche principali del linguaggio simbolico è il sintetismo, l’essenzialità, se facciamo riferimento alle civiltà primitive, vediamo che i simboli, che maggiormente colpiscono l'attenzione di chi guarda, sono  i più semplici sia per le linee che per i colori.
Questi simboli preistorici che troviamo nelle grotte di Pech-Merle (Aquitania), scoperte nel 1922, parlano di accoppiamenti tra uomini e donne in cui  il maschio e la femmina sono rappresentati con dei simboli precisi: il bastone fronzuto per lui e una specie di campana per lei. 
Questi  segni, definiti anche geroglifici, creano una vera  e propria sintassi primitiva, e diventano il fondamento di un vero e proprio linguaggio artistico, l'arte è libera espressione, sfogo istintivo dell'uomo, bisogno di omunicazione, ma in queste immagini appare soprattutto sintetica ma incisiva.
L’arte primitiva esprime, attraverso forme semplici, un determinato concetto, trasforma la  realtà, si serve di essa e poi la sintetizza per rappresentare anche le cose più astratte come i sentimenti.
Gli artisti primitivi solo in qualche caso realizzano delle opere d’arte considerate come tali  fatte solo per essere guardate, l’arte preistorica si manifesta soprattutto negli oggetti di uso comune.
Quando l’artista realizza un oggetto può procedere er due strade: assoggettare la forma dell'oggetto alla materia cioè scolpire un determinato pezzo di legno o di pietra in modo da ottenere la forma pensata; oppure trovare in natura una forma, una pietra, un pezzo di legno, un osso che maggiormente si avvicini, nelle linee e nelle orme, a quel determinato oggetto che si vuole realizzare. 
Questo vale anche per sculture che  si sono ritrovate caverne, che nascono proprio dalle pareti stesse di quest’ultime divenendo parte integrante di esse .
L'arte per i popoli primitivi, non è solo rappresentazione di qualcosa o semplice comunicazione visiva, ma superato il momento iniziale, in cui l’artista deve acquisire il completo dominio della materia e il superamento delle difficoltà tecniche,  comincia a ricercare l’armonia,  il gusto per il particolare,  creando una soluzione bella a vedersi.
L’arte primitiva del periodo maturo, si snoda su due filoni: uno "figurativo" e uno "simbolico".
Nell'arte figurativa, le immagini rappresentano quello che appare ai nostri occhi, e non sempre rimandano ad altri concetti,esempio di questo tipo è una famosa statuetta “La Venere di Brassempouy” “Dama col cappuccio” del periodo Gravettiano, che  rappresenta la testa di una donna.
Appartengono al filone simbolico invece immagini che ritroviamo su oggetti di uso comune come ciotole, brocche, ma anche su abiti, stoffe, stuoie.
Questi simboli, che a noi possono sembrare così strani, oscuri e indecifrabili, sono conosciuti da tutti i membri del popolo primitivo diventando così un linguaggio comune che ha un ruolo molto  importante nella loro vita sociale.
Un altro aspetto dell’arte preistorica è l’arte parietale. 
La grotta è per l'uomo simbolo di sicurezza, riparo ma è anche luogo in cui trascorre la maggior parte del tempo e per questo motivo,  egli cerca di sfruttare al meglio gli spazi per renderla  confortevole ed accogliente.
L'uomo cerca di abbellire le caverne che diventano dei veri e propri "santuari" preziosi in quanto pazientemente incisi e decorati.
Questo tipo di arte, non rappresenta un avvenimento o una scena, tutti gli animali sia  feroci che miti, sia piccoli che grandi coesistono nello stesso spazio e danno testimonianza  che gli uomini primitivi  conoscevano molto bene l'anatomia  e la morfologia degli animali come testimoniano queste immagini di bisonti della grotta di Lascoux.
«Torniamo al nostro concetto di simbolo - prosegue Annalisa Crucitti- , per citare un noto studioso Becker, “Il simbolo è paragonabile a un cristallo che restituisce una rifrazione diversa a seconda della luce che la coglie”, è proprio vero se  guardiamo un opera d’arte, di qualsiasi periodo storico essa sia, interpella lo spettatore in maniera diversa. 
Tutta l’arte anche la più figurativa e aderente alla realtà comunica per simboli, una fra tutte anche molto vicina a noi, è l’arte greca.
Nell’arte greca il connubio tra forma e simbolo raggiunge livelli estremi, infatti se prendiamo  per esempio i vasi greci,  la decorazione diviene parte integrante dell’oggetto, o se vogliamo è l’oggetto stesso che si arricchisce e si relaziona con lo spazio, grazie al decoro.
Già nello stile geometrico e protogeometrico si assiste alla manifestazione di uno stile che conferisce senso e significato profondo a semplici linee e forme che si fondono a silhoettes di igure simboliche dando vita ad un tessuto decorativo molto coinvolgente .
Nel periodo arcaico invece si abbandona il linguaggio precedente per passare a una ricerca di uno stile più orientalizzante.
Le figure di animali o uomini che trovavamo nei vasi del periodo precedente adesso prendono il sopravvento sulla superficie e sembra che trasformino la stessa a loro immagine.  
Questo salto in avanti è dovuto sia a una crescita dello stile, ma anche ad una migliore padronanza delle tecniche originarie, in questo contesto nasce la tecnica monocroma, le nuove figure sono figure reali di animali, fiori, ma anche scene di vita quotidiana o di lotte.
La scelta del decoro varia in funzione dell’utilizzo del vaso, proprio perché superficie e decorazione devono fondersi.
Da questo discorso evince che l’arte di queste civiltà, comunica attraverso un linguaggio simbolico che pur mantenendo la complessità dei contenuti si esprime attraverso segni essenziali, sintetici, ma incisivi.  
La parola è passata a Sebastiano Stranges, che da oltre 20 anni è ispettore onorario del ministero dei Beni Culturali ed Ambientali.
Collaboratore esterno del Museo archeologico di Reggio per il quale ha segnalato oltre 3000 nuovi siti archeologici che vanno dal Paleolitico al periodo bizantino.
Sue sono le scoperte oggetto di scavo delle Università di Cambridge, Leicister e di altre italiane.
Nel corso della sua relazione ha evidenziato  che «In questi ultimi vent’anni io con Luigi Saccà di  Palizzi, abbiamo vagliato un ampio territorio della provincia di Reggio Calabria, i risultati della ricerca sono tra i più lusinghieri, giacché abbiamo potuto consegnare alla storiografia un’impensabile mole di siti a partire dal periodo Greco e risalendo fino al paleolitico.
Molti reperti tra i più rappresentativi, sono esposti, al museo di Reggio Calabria. Tralasciando il periodo greco-romano, risaliamo negli anni menzionando, solo le facies e le culture più importanti.»
Il periodo che precede la colonizzazione greca è molto ben rappresentato, mentre il periodo del bronzo medio e finale ha visto una fioritura di villaggi sia su alture che in fondo valle.
Le ceramiche più importanti sono quelle dette  “appeniniche “ queste sono importanti perché  mostrano spesso stili diversi tra i villaggi fino ad ora trovati.
Nell’ambito di questo periodo protostorico, si sono altresì rinvenute delle decorazioni originali che sono allo studio di specialisti per la facies d’appartenenza.
Il bronzo antico è anche questo ben rappresentato, meno del periodo precedente, anche se a questo periodo va legato un villaggio ubicato sulla costa in fondo valle con ceramiche particolari del tutto uguali a quelle dello stile maltese di “Borg in nadur”
L’età del rame presenta anch’essa peculiarità che vanno indagate da specialisti, poiché gli stili si approssimano alla cultura su detta, ma non mancano originalità come per il resto tutto il periodo preistorico del sud della Calabria.
Il neolitico finale trova la provincia di Reggio particolarmente abitata, sono evidenti due stili fondamentali, quello detto di Diana, ed un altro che presenta ceramiche grezze, con poche incisioni o decorazioni, ed al posto dell’ossidiana si trovano degli oggetti litici fabbricati con pietra locale. 
Il neolitico è fortemente rappresentato dalla cultura di Stentinello, con originalità indiscutibile tra un villaggio e l’altro.
La ricchezza delle decorazioni e la loro bellezza meritano attenzione particolare, poiché alcuni reperti presentano una sintassi, un’esecuzione ed elaborazione otre alla  manualità, che sconvolge tutti.  
«In passato abbiamo segnalato  - prosegue Sebastiano Stranges -  per il territorio di  Palizzi una punta musteriana, più tardi, altri significativi reperti del paleolitico medio e finale. »
Per il convegno, in anteprima Stranges ha presentato il sito più antico in assoluto per la provincia, si tratta di un insediamento a quota  400 metri  in territorio di Palizzi,  che presenta strette analogie con quello di Caselle di Maida  (Catanzaro) ed è tipologicamente affine a quelli del Nord Africa, in quanto non presenta dei veri e propri strumenti ad amigdala, ma altri che seppur rastremati verso l'apice presentano un taglio sommitale questo tipo di strumenti viene definito Achereau ed è molto comune e ben rappresentato sia a Palizzi che in tutta l'Africa shaariana.  
Il  valido supporto tecnico di Sebastiano Stranges è stato supportato da altre scoperte «sul monte Gunì sempre di Palizzi dove abbiamo raccolto diverse centinaia di strumenti litici consistenti in Chopper, punte, schegge, achereau, sferoidi a  faccette e punte litiche peduncolate facies, di “Atérien” nord Africa del paleolitico medio. 
Ancora del paleolitico medio, abbiamo rinvenuto bulini raschiatoi ed un enorme mole di schegge ritoccate.»
Di notevole spessore sono stati i dati  dalle ricerche effettuate dallo statunitense John Robb che ha fornito in anteprima i risultati emersi nel corso degli ultimi scavi.
John Robb ha insegnato all'Università di Southampton (Regno Unito) dal 1996-2001 e insegna all'Università di Cambridge (Regno Unito) dal 2001. 
Si specializza nello studio della preistoria mediterranea, della teoria di archeologia e la ricostruzione di società preistoriche, e dell'antropologia scheletrica.
Da antropologo, ha studiato centinai di scheletri italiani dal neolitico all'età del Ferro, anziché collezioni dall'America, dall'Europa e dal Vicino Oriente. 
Il docente della prestigiosa Università di Cambridge ha ampiamente rendicontato al pubblico presente del lavoro svolto nel corso del survey , supportato da uno staff di validi collaboratori, quali ricercatori e docenti universitari di notevole livello.
Dai risultati ottenuti si è potuto evincere che la facies culturale su detta esprime una cultura materiale assai progredita per quei tempi.
Sono stati effettuati degli approfondimenti stratigrafici su siti preistorici che  hanno restituito manufatti di grande importanza storico culturale,  indagando anche sui sistemi di vita di quelle popolazioni , vissute circa 7000 anni fa e  che sono  da considerare la più evolute culturalmente nel periodo neolitico dell'intero bacino del Mediterraneo.
Il docente di Cambridge ha trattato il capitolo relativo all'ossidiana, quel prezioso vetro vulcanico che le popolazioni neolitiche andavano a prelevare nelle isole siciliane.
L’ossidiana era assai utile per tagliare la carne le pelli, ma costituiva un prezioso esempio di status symbol.
Il commercio dell’ossidiana ha spinto le popolazioni neolitiche a sfidare il mare su delle piroghe per poter appropriarsi del prezioso vetro col quale praticavano commerci  in tutto il Mediterraneo.
I loro manufatti ceramici erano senza dubbio dei capolavori, ma non hanno puntato su quelli per i loro scambi, bensì sull’ossidiana alla quale hanno dato grandissima importanza.
«Le ricerche attuali  - afferma il prof. John Robb - sono volte a capire i loro stili di vita, ma per  ora nonostante abbiamo scavato in due posti diversi, non abbiamo trovato segno d’abitazioni, anche se i resti dei loro pasti, composti d’ossa di diversi animali, come maiali, cinghiali volpi, capretti agnelli e vitelli.
Molte sono le conchiglie di lumache terrestri, mentre le poche marine presentano segni di lavorazioni, come forature per ottenere collane».
Tali popolazioni basavano la loro alimentazione sul consumo di frutti selvatici, compreso l’uva e moltissimi i cereali venivano usati per i loro pasti.
«Tra i cereali, di cui abbiamo trovato tracce carbonizzate - prosegue John Robb - , nei resti di  fuochi, abbiamo raccolto Hordeum vulgare, triticum monococcum, e di coccum. Triticum estivum, atriplex, e poa.
Le leguminose di cui abbiamo trovato tracce, sono, Vicia lathyrus, trifolium medica, melilotus.
Sappiamo ancora poco sul sistema di vita, delle popolazioni neolitiche calabresi, abbiamo, raccolto in questi anni, moltissimi campioni di terreno intorno agli abitati.
Abbiamo ora bisogno di molto tempo per approfondire con indagini scientifiche i contenuti dei pollini, dei carboni dei coproliti ed ogni altro elemento che potrà fornirci ulteriori risultati per le nostre indagini.»
John Robb ha concluso il suo supporto scientifico dicendo che «Dal 2004 allargheremo le ricerche verso i territori montani, da dove ci sono giunte delle segnalazioni di abitati, sia da Stranges che da altri autori del passato.
Perché riteniamo essenziale l’allargamento della ricerca, poiché le popolazioni che stiamo indagando erano parzialmente nomadi ciò era dovuto sia alla transumanzache alla ricerca di frutti e di cacciagione nel corso delle varie stagioni.»
Il prof. John Robb dell'università di Cambrige ha voluto approfondire i risultati delle indagini di  Stranges e Saccà e con la collaborazione del Museo Archeologico di Reggio sta scavando a Bova Marina ormai da cinque anni, localizzando dei siti molto importanti per la conoscenza delle popolazioni antichissime e dei loro sistemi di vita, costituendo una equipe di scienziati internazionali provenienti dalle università più prestigiose del mondo e così  Bova da alcuni anni  sono presenti gli atenei di Cambrige, Oxford, New York, Leicester, Southampton, Michigan, Durham, Birmingham, e Ontario , oltre agli archeologi di Reggio nelle persone della Soprintendente Elena Lattanzi ed Emilia Andronico.
I villaggi scavati sul territorio di Bova stanno fornendo dati apprezzabili ed i  primi articoli su "Calabria Sconosciuta" da parte dei ricercatori non sono passati inosservati, anche perché il compianto direttore della rivista ha voluto per primo mettere in rilievo i risultati, così il Prof. Giuseppe Polimeni intellettuale raffinato ed  intelligente con altri studiosi affermati di Reggio come Mosino, Minuto hanno contribuito con articoli e con la loro presenza nelle conferenze a dare importanza ai ritrovamenti.

18 luglio 2003