Si ritorna a parlare di archeologia e dei risultati emersi dagli scavi nel territorio reggino, grazie al valido supporto di validi studiosi di fama internazionale che da diversi anni effettuano diversi saggi atti a dare una diversa mappatura della storia del passato, grazie ai preziosi ritrovamenti che hanno fornito dei tasselli molto importanti per la provincia di Reggio.
Nel corso del suo intervento introduttivo Orlando Sorgonà ha evidenziato la valenza della manifestazione, visto anche le autorevoli presenze autrici di continue e laboriose ricerche fatte nel corso degli anni sul territorio e che hanno portato alla luce nuove testimonianze del nostro passato atte a riscrivere, quindi ridisegnare le vicende storiche della provincia reggina.
Sebastiano Stranges, ispettore onorario del Ministero per i Beni e le Attività Culturali ha tratteggiato il periodo degli anni 80, quando insieme a Luigi Saccà, iniziò una serie di ricognizioni sul territorio della provincia jonica dei Reggio.
I dati archeologici riguardo il periodo più antico erano frammentari, e spesso si riferivano al ritrovamento di asce in pietra.
Le ricognizioni miravano al ritrovamento di manufatti che potessero datare la presenza umana in una zona che per gli studiosi e gli storici, non era adatta ad ospitare l’uomo ai primordi.
I fatti - prosegue il relatore - hanno smentito ogni previsione negativa, in quanto i risultati sono tra i più lusinghieri.
Il ritrovamento cronologicamente più antico riguarda il territorio di Palizzi, e precisamente la collina di Gunì, dove su um terrazzo a 400 m. dialtitudine abbiamo trovato due chopper, e numerosi manufatti litici, ascrivibili ad un periodo tra gli 800 ed i 700 mila anni.
La tipologia degli strumenti litici presenta similitudini con quella conosciuta di Caselle di Maida in provincia di Catanzaro.
In particolare tra punte, bulini e raschiatoi, abbiamo rinvenuto alcune punte peduncolate simili a quelle riscontrabili nelle facies paleolitiche del nord Africa.
Il ritrovamento di achereau, e non di amigdale rafforza l’ipotesi di presenze umane africane in quanto gli strumenti sono ottenuti da selce anch’essa del tipo africano.
Le successioni abitative del sito con intervalli delle presenze ci porta fino al periodo tardo musteriano.
Un’altra punta del musteriano medio l’abbiamo raccolta vicino a l’abitato di Palizzi, in località Torre Mozza.
Sebastiano Stranges nel corso del suo interessante intervento ha evidenziato che il periodo neolitico, nella provincia di Reggio si è dimostrato ricco di siti, per lo più appartenenti alla facies di Stentinello, circa 5500 anni a.C. mentre uno solo per ora presenta una tipologia senza decorazioni nello stile citato, ma solo decorazioni del neolitico più antico, con incisioni sulle ceramiche ancora crude di motivi, cardiali ed unghueali.
I siti neolitici, fino ad ora rinvenuti sono a Saline, Melito, Condofuri, Bova e Bova Marina, Palizzi e Capo Spartivento sulla sponda sinistra dell’omonima fiumara.
I reperti più rappresentativi sono esposti presso i Musei di Reggio e Locri.
Una insolita facies del neolitico è emersa a ridosso di alcune formazione rocciose di Motta S. Giovanni, dove abbiamo rinvenuto delle ceramiche con decorazioni floreali, si leggono chiaramente graffiti motivi i foglie di diverse specie botaniche.
Nella provincia Reggio abbiamo rinvenuto una serie di siti che cronologicamente testimoniano che il territorio è stato intensamente abitatonelle varie epoche e le tipologie insediative e le facies culturali a volte originali dovrebbero innescare un processo di studi da parte di specialisti.
Fino ad ora si sono interessati molti studiosi conosciuti ed apprezzati in tutto il mondo, uno tra questi è stato il Paleontologo prof. Tinè che ha redatto una prima mappatura di centinaia di siti che abbiamo ritrovato.
«Ma è stato il prof. John Robb - prosegue Sebastiano Stranges - dell’Università di Cambridge, che ha integrato le ricerche per il territorio di Bova e Bova Marina, effettuando successivamente degli scavi che hanno fornito risultati importanti sulle modalità insediative del neolitico della provincia di Reggio. »
Tutte le epoche successive sono rappresentate, poche riguardano il periodo dell’inizio della metallizzazione, ma ritornano molti insediamenti nel periodo del bronzo antico, medio e finale.
L’età del ferro trova queste aree da noi indagate povere di insediamenti, forse perché erano cambiati gli stili di vita, infatti nascono le prime polis, ma questo periodo denuncia una svuotamento di un’area di oltre 50 Km.
Rimangono incogniti centinaia di siti che non hanno restituito ceramiche databili e facies culturali anch’esse non note.
Il prof John Robb dell'Università di Cambridge nel suo interessante intervento corredato da numerose immagini tratte dalle campagne di scavi effettuate nel territorio della fascia ionica reggina, esordisce ricordando che «circa 8 anni or sono a seguito delle segnalazioni di Sebastiano Stranges, abbiamo fatto richiesta al Ministero competente ed al Museo di Reggio Calabria di effettuare degli studi sul territorio di Bova Marina, che si dimostrava il più ricco di reperti del periodo preistorico e protostorico.
Con la stretta collaborazione della Soprintendenza archeologica di Reggio, specie nella persona dell'Ispettore archeologo responsabile della zona dottoressa Emilia Andronico, coadiuvato da un gruppo di studenti e specialisti di diverse discipline non solo archeologiche, abbiamo effettuato anche per gli anni successivi delle ricognizioni, ottenendo così una mappatura del territorio nelle varie epoche.
Successivamente, abbiamo iniziato delle prospezioni a ridosso delle formazioni rocciose di Umbro, raccogliendo molti dati sul sito archeologico» .
Lo scavo - prosegue il docente universitario - ha consentito di ritrovare in sequenza cronologica le varie epoche, dall’inizio del periodo di Stentinello, con ricche forme decorative.
Abbiamo raccolto ed analizzato frammenti di ossa, sia umane che animali, resti di cibi combusti, strumenti litici sia in selce che ossidiana, resti di vegetali e pollini.
I risultati verranno pubblicati successivamente quando si avrà la completezza degli esami scientifici.
Contemporaneamente allo scavo, una equipe composta da specialisti, provenienti non solo da l’Università di Cambridge, ma da Leicester, Southampton, New York, Michigan, Durham, Birmingham, ed Oxford, hanno effettuato altre campagne di studi sul territorio.
Terminato il primo scavo nella parete nord ovest, abbiamo effettuato un altro scavo che ha restituito una tomba del bronzo antico con corredo composto da ciotole impilate e contenute in un bacinella.
Lo scavo della località Penitenzeria, situato su un terrazzo a circa 200 m. dal primo è iniziato nel 1999, con piccoli saggi, i primi risultati portavano ad optare per un sito post neolitico, con ceramiche databili dell’età del bronzo.
Nel 2001 si è effettuato uno scavo più esteso ed approfondito.
Al disotto dei materiali di superficie, pervenuti per dilavamento, è emerso un sito con materiale in stile Stentinello, impressa e di Diana.
I reperti hanno la stessa cronologia del precedente scavo di Umbro ed appartengono alle stese facies culturali.
Infatti, si sono rinvenute ceramiche solo impresse di tipo Cardiale ed altre presentanti delle sintassi più complesse come quelle di Stentinello e di Diana.
Le ceramiche di Stentinello presentano a volte delle differenze espressive rispetto al precedente scavo di Umbro, d’altronde come si è già notato ogni sito dove la cultura neolitica di Stentinello è presente, si riscontrano spesso delle differenze stilistiche oppure in questo caso considerato la vicinanza dei siti, il periodo insediativo è successivo al primo.
Dai risultati delle prime analisi effettuati con il C.14, abbiamo potuto effettuare la prima datazione scientifica in assoluto per i siti neolitici della provincia, retrodatando la presenza umana a 5800 anni a.C.
Sono allo studio i materiali litici, come selci ed ossidiane, ma anche tutti i materiali organici, a volte resti combusti ritrovati frammisti alle cenere dei focolari.
Lo studio di tutti questi materiali ci consentirà di formulare su base scientifica, quale era lo stile di vita.
Capire l’economia la socialità dei popoli neolitici calabresi, e le loro interazioni ambientali.
Tutto questo è allo studio di vari centri di ricerca internazionali, coinvolti di volta in volta secondo le loro specializzazioni.
L'intervento conclusivo della professoressa Lin Foxhall dell'Università di Leicester è stato indirizzato dalla docente ai risultati emersi dal sito greco di Umbro che si trova poco distante dal sito preistorico, è posto su un terrazzo a 250 metri di altitudine, ad est si affaccia al disopra di un dirupo a picco sulle retrostanti formazioni argillose, mentre ad ovest si staglia poco al disopra di un terreno argilloso pianeggiante.
La prima segnalazione è stata ad opera di Sebastiano Stranges e Luigi Saccà, che avevano osservato laterizi, e ceramiche a vernice nera datati intorno al VI sec. A. C. ed un muro in pietra semi coperto dalla vegetazione che spariva a tratti sotto terra.
I saggi preliminari hanno dimostrato che il sito era composto da materiali di crollo, con presenza di ceneri e sostanze carboniose.
Un grosso muro costituito da blocchi quadrangolari di arenaria si inseriva nella struttura rocciosa.
Dense concentrazioni ceramiche con larghi frammenti di pithoi forniscono una datazione tra il VI ed il V sec. A C.
Il sito sembra sia stato abitato per oltre un secolo, ed era costruito su fondazione in pietra con alzato in mattoni crudi, i ritrovamenti ceramici includono frammenti a vernice nera di fine fattezze, tazze, ciotolealabastra, aryballoi, lucerne lekythoi oltre alla ceramica comune e da mensa.
Il sito ha le caratteristiche di casa rurale con annesso luogo sacro, questo è prematuro affermarlo, ma alcune caratteristiche intrinseche porterebbero a tale supposizione.
Contemporaneamente allo scavo abbiamo effettuato altre ricerche di superficie per integrazione delle precedenti, per avere una conoscenza più approfondita del territorio.
Nelle ricerche di superficie è venuto alla luce un sito insolito per la collocazione in altura al disopra dell’area di Bova a 1300 metri .
Per l’originalità e la novità della scoperta abbiamo iniziato una campagna di scavi in quello che fino ad ora è il sito altimetricamente più alto nella provincia.
I reperti archeologici sono distribuiti su una superficie di circa un ettaro, l’ubicazione è presso un impianto forestale di circa 30-40 anni, di piante di pino.
Qualche danneggiamento c’è stato nell’escavazione delle buche per l’impianto forestale, ma questo e servito a mettere in luce la sottostante area archeologica.
Un accumulo d terra nasconde un grosso muro di cinta al di fuori di questo con le prime prospezioni stratigrafiche sono emersi dei grossi frammenti ceramici di arnie, ceramiche nere sottili di buona fattura.
E’ ancora presto per azzardare delle ipotesi, ma ci troviamo in un area che per la sua caratteristica, potrebbe rappresentare un punto avanzato per la protezione militare del territorio.
Negli anni a venire saranno intensificate le ricerche sia stratigrafiche che di superficie per definire quello che presenta caratteristiche di importanza archeologica per la comprensione della storia greca della Calabria.