Giunge alla XIX edizione la giornata di studi avente come tema "Gioacchino Murat: un Re tra storia e leggenda" organizzata dal Circolo Culturale “L’Agorà” e dal Centro studi “Gioacchino e Napoleone”.
La manifestazione in argomento si è svolta presso la saletta conferenze della Chiesa di San Giorgio al Corso in Reggio Calabria e dopo le note del segretario del sodalizio organizzatore Natale Bova, la parola è passata a Gianni Aiello che ha relazionato sul tema "Le condanne a morte nella provincia reggina durante il decennio francese".
Il presidente delle due co-associazioni ha argomentato su tali aspetti storico-politici che fanno parte di un suo saggio dal titolo “Il massimo della pena, le condanne a morte nel territorio di Reggio Calabria dal 1808 al 1888”.
In tale pubblicazione sono presi in considerazione oltre cento atti ricavati da documenti archivistici che riportano per ogni condannato, vita, lavoro, legami di parentela, e i motivi e la tipologia della condanna.
Il periodo considerato si snoda lungo un arco di tempo che va dal 1808, quindi sotto la legislazione francese (prima con Giuseppe Bonaparte e successivamente con Gioacchino Murat), conclusasi nel 1815, al 1888, quando i Savoia era subentrati ai Borboni da oltre un ventennio.
Gianni Aiello oltre a descrivere i luoghi delle esecuzioni e la tipologia e le motivazioni delle sentenze si è soffermato anche all’aspetto legislativo ed agli istituti che regolamentavano gli aspetti argomentati nella giornata di studi.
[L’istituto della Gran Corte Criminale venne regolamentato dalla legge n. 140 del 20 maggio 1808 che regolava la nuova organizzazione giudiziaria conosciuta originariamente come Tribunale Criminale; in seguito cambiò denominazione in Corte Criminale e successivamente in Commissione Criminale; tale organo giudiziario durò sino all’aprile del 1862 passando attraverso il periodo francese, quello borbonico e quello dei Savoia.
La Gran Corte Criminale poggiava la sua struttura su un Presidente, cinque giudici, un procuratore generale del re e un cancelliere.
La Gran Corte Criminale veniva coadiuvata dalle Commissioni militari, reintrodotte con il decreto n. 742 del 24/09/1810, emanato a Reggio, che disponeva le sedi di Monteleone per la Calabria Ultra e a Cosenza per la Citra, “per giudicare i fuorgiudicati e i briganti presi colle armi alla mano nelle dette province”.
Tali tribunali militari risultano alquanto “duri” nelle sentenze, come si può constatare dalle Condanne della Commissione militare di Cosenza che su 378 giudicati ne sentenzia 315 alla pena capitale.
A testimonianza la descrizione del Duret De Tavel (membro della Commissione), che ne delinea la lunghezza, dettagliandone la posizione dei giudizi, i quali in maggiorparte disconoscevano la lingua italiana.
Dopo la battaglia di Mileto (28/05/1807) venne stilato il “Volume relativo al notamento delle pene civili e criminali, ed altro, incorse dall’anno 1804 al 1808”; ciò al fine di ovviare al “vuoto” degli incartamenti inerenti alle pene fiscali e criminali dal 1802 al 1808, come si evince dalle numerose sollecitazioni epistolari del Procuratore generale del re presso la Regal Corte dei Conti (come quella indirizzata al Procuratore Regio Generale presso la Corte di Appello delle due Calabrie a Catanzaro, dove era ubicato l’Archivio).
Da questo si deduce che sussisteva una mancanza di documentazione (sia nell’Archivio di Stato di Reggio Calabria sia in quello di Catanzaro) per i carteggi penali della Corte Criminale della provincia di Monteleone (mancanza protrattasi tutt’ora); sussistono quelli di Cosenza, riferiti solo alla Calabria Citeriore; ma non si è potuto ovviare alla suddetta mancanza, in quanto nell’archivio della dimessa Regia Udienza non si sono trovati tutti i registri relativi alle citate pene criminali, ma soltanto quelli del 1804.
Dello smarrimento dei documenti relativi all’operato della Corte Criminale si è a conoscenza sin dal 1810; uguale è la situazione della Commissione militare per la provincia di Monteleone, mentre risultano in perfetto stato quelle relative alla provincia Citeriore.
Tali discrepanze nella documentazione sopra in oggetto possono ipoteticamente essere l’effetto di qualche saccheggio dei briganti volto a distruggere i carteggi penali (come avvenne nell’Archivio del Tribunale di Cosenza il 28/11/1806) o di qualche “manomissione” da parte di qualche personaggio avente influenze nei quartieri alti del potere (come potrebbe essere stato il sindaco Bruno Varano di Monteleone che operava con “spirito” brigantesco ed era accusato di complicità e rapporti di parentela con i briganti) «essendo i di lui parenti briganti conosciuti, ed un di lui fratello trovandosi in Sicilia fra le bande dei briganti, in qualità di capo».
Altra indicazione interessante, che può in un certo qual modo avallare quanto detto prima è il ritrovamento di alcuni documenti della Gran Corte Criminale di Reggio Calabria nel Fondo Visalli.
Per ovviare a tale mancanza documentaristica ho “aggirato” l’ostacolo passando alla consultazione del Fondo di Intendenza dal quale è scaturito che in data 11/06/1808 vennero costruite delle forche, forse relative alla condanna dei tre rei (di cui si disconoscono le generalità) sepolti in data 26/06/1808 nel cimitero di Modena. E successivamente della documentazione relativa allo stato civile – atti di morte, dove si rilevano alcune esecuzioni, come quelle di Cinquefrondi: tra il 13 luglio ed il 12 agosto 1808 in tale luogo vennero passati per le armi bel 29 cittadini per motivi di brigantaggio]. (1)
Il relatore continua il suo intervento affermando che dalle […ricerche effettuate attraverso la documentazione dello stato civile – atti di morte presso le carceri di Monteleone. Condanne riguardanti: Francesco Calabrese di Rosalì (la cui condanna venne eseguita il 11/11/1810), e due cittadini di Podargoni: tali Fortunato e Salvatore Catalano giustiziati il 13/11/1813]. (2)
Nel corso dell’incontro, Gianni Aiello ha anche illustrato ai presenti la struttura degli istituti in argomento e nello specifico per [… avere un’idea dell’ordine giudiziario dell’epoca citiamo il lavoro di Domenico Coppola « … aveva il compito di decidere in prima ed in unica istanza tutte le cause dei misfatti e nel pronunciare sugli appelli prodotti avverso le sentenze emesse dai giudici del circondario sopra reati correzionali o di semplice polizia. Negli affari di quest’ultima specie bastava la presenza di quattro giudici per decidere; in tutti gli altri casi ce ne volevano sei. Mancando il numero dei votanti erano chiamati a integrarlo i giudici del Tribunale civile che avevano la medesima residenza, in numero di non più di due. A parità di voti, veniva adottata l’opinione favorevole al reo. Il rimedio competente contro le decisioni della Gran Corte Criminale era il ricorso alla Suprema Corte di giustizia.
In alcuni casi previsti dalla legge (ordine pubblico, sicurezza dello Stato) essa, con l’aggiunta di due giudici, assumeva il titolo di Gran Corte Speciale e ne praticava il procedimento. Le decisioni della Gran Corte Speciale erano inappellabili né potevano impugnarsi con ricorso alla Corte Suprema. Questa però rivedeva d’ufficio le decisioni di condanna a morte o a pene perpetue non pronunciate con l’uniformità di sei voti.
Le Corti d’Assise giudicavano con l’intervento di sei giurati. Ove necessario poteva, con decreto reale, ordinarsi la formazione di due o più corti d’Assise nello stesso territorio. Ogni Corte era composta da un presidente e da due giudice scelti fra i Consiglieri della stessa Corte. In principio di ogni anno giuridico erano con regio decreto designati fra i membri della Corte d’Appello i presidenti e i giudici delle assise. Il presidente della Corte di Appello aveva sempre facoltà di presiedere alla Corte di assise. Mancando o essendo impedito taluno dei membri della Corte di Assise, veniva sostituito dal giudice più anziano. Le Assise si tenevano ordinariamente ogni trimestre nelle città capoluogo di circolo, ma potevano essere straordinariamente convocate in ogni tempo con decreto del Presidente della Corte di Appello, sia nella città capoluogo, sia in qualunque altra città del circolo.
Tale istituto si appellava a Gran Corte Speciale per i reati dovuti a:
La Gran Corte Criminale della provincia della 1^ Calabria Ulteriore, avente sede in Reggio Calabria svolse il suo iter giudiziario per un arco di tempo di quarantacinque anni a partire dal primo processo che si svolse nel 1818 fino all’ultima sentenza che venne emanata il 14 aprile del 1862»]. (3)
CONCLUSIONI
I RISULTATI DI QUANTO PRECEDENTEMENTE ESPRESSO sono contenuti nel saggio “Il massimo della pena, le condanne a morte nel territorio di Reggio Calabria dal 1808 al 1888”.
Quelle cifre vanno ad integrarsi con altre, frutto di recenti ricerche archivistiche, che sono al momento oggetto di studio e di confronto con i precedenti risultati.
A TAL PROPOSITO posso fare cenno a:
1) note informative da parte della Direzione del Reale Demanio con sede in Monteleone che sollecitava i sindaci di vari Comuni della provincia al pagamento di “… fusi, sapone, trasporto per seppellirsi i giustiziati…”;
2) elenco di 43 condanne a morte eseguite dalla Commissione Militare dal 14 giugno – 8 settembre 1808 di cittadini residenti in Reggio e provincia;
3) altre esecuzioni eseguite in Reggio, Scilla ed altri luoghi della provincia nel 1808.
CONSIDERAZIONI
AVEVO FATTO CENNO - conclude Gianni Aiello - che per porre rimedio alla mancanza documentaristica relativa a tale argomento avevo a suo tempo consultato:
CURIOSITÀ CHE ASSUMONO TONALITÀ DI UN GIALLO, in quanto i recenti documenti, ritrovati da Gianni Aiello, relativi alle esecuzioni delle pene capitali, i nomi dei giustiziati non risultano riportati nello stato civile – atti di morte.