Primo incontro del
2012 organizzato dal Circolo Culturale "L'Agorà" di Reggio Calabria, presieduto
da Gianni Aiello.
Il sodalizio
culturale giunge al suo diciannovesimo anno di attività,
il che non è cosa di poca considerazione, visto le
grandi e continue difficoltà di chi opera in tale sfera,
e soprattutto di chi si impegna in tali iniziative in
funzione della cultura e della ricerca.
|
|
I lavori
della giornata di studi sono stati coordinati da
Natale Bova, segretario del Circolo Culturale
"L'Agorà", il quale nella sua parte introduttiva
ha evidenziato ai presenti il percorso culturale
svolto dal sodalizio reggino nel
|
nel corso di questo
arco di tempo, come, tra l'atro, evidenziato in
apertura.
Il
giavellotto è una specialità dell'atletica leggera,
nella quale l'atleta ha il compito di lanciare tale
oggetto il più lontano possibile all'interno di una
struttura sportiva.
I due
record del mondo
del lancio del giavellotto maschile e femminile sono
rispettivamente di 98,48 metri per gli uomini, stabilito
dal
ceco
Jan Železný
il
25 maggio
1996 a
Jena (Germania)
e di 72,28 metri per le donne, stabilito dalla
ceca
Barbora Špotáková
il
13 settembre
2008 a
Stoccarda (Germania),
usando un giavellotto di 600 grammi di peso.
Il giavellotto,
quindi, fa parte dell'atletica leggera, ed insieme a
tale disciplina sportiva ha origini antichissime e
nonostante ciò fu ammesso dal
C.I.O. (Comitato Olimpico Internazionale) alle Olimpiadi
nel 1908 a Londra.
Il primo campione
olimpico fu lo svedese Eric Valdemar Lemming (Göteborg,
22 febbraio 1880 – 5 giugno 1930) con 54.83 metri.
Tra l'altro, l'atleta
svedese ad Atene nel 1906 conquistò la medaglia d'oro
nel lancio del giavellotto, così come a Stoccolma nel
1912.
Uno dei migliori
Atleti italiani, nella storia del Lancio del Giavellotto
“Azzurro”, è l’Atleta delle Fiamme Gialle e della
Nazionale Italiana Francesco Pignata, (Reggio Calabria,
14 febbraio 1978) atleta reggino, con un record
personale di 81,64.
|
|
Come si diceva in
apertura, lo scopo dell'atleta in tale
specialità è quello ci effettuarne il
lancio sfruttando gli elementi della
cinematica e della dinamica, tenendo
conto della migliore posizione del
baricentro del giavellottista. |
|
|
|
LEGGI DELLA FISICA
Un corpo che muove di
moto circolare uniforme è soggetto alla accelerazione
centripeta, che è sempre diretta verso il centro di
rotazione. Su ogni corpo soggetto ad accelerazione
agisce una forza.
La forza che agisce su
un corpo che si muove con moto circolare uniforme viene
definita Forza Centripeta
e la sua direzione
coincide in ogni istante con quella dell’accelerazione
centripeta.
Quando un corpo si
muove lungo una traiettoria circolare, agisce
continuamente su di esso una spinta rivolta verso
l’esterno, che tende ad allontanarlo dal centro di
rotazione.
Questa è la
Forza Centrifuga, che si genera per reazione alla
forza centripeta, ha la sua stessa intensità ma verso
opposto.
L’anatomia umana è la
Scienza che studia la forma, l’architettura e la
struttura del corpo umano. Le prime ricerche
scientifiche sul corpo umano sono avvenute mediante
dissezione.
Leonardo da Vinci, nel 1500, fu uno degli scienziati più
impegnati nello studio dell’anatomia umana, poi, nel
volgere dei secoli, nuove tecniche e nuovi strumenti
hanno consentito di conoscere il corpo umano anche a
livello submicroscopico
Basti pensare alle
ultime scoperte sull’acido desossiribonucleico (DNA).
L’anatomia umana fonda
i suoi principi su leggi scientifiche.
La forma, le
proporzioni ed il volume dei muscoli del corpo umano
sono costanti.
Le variazioni di
volume dei muscoli si possono avere per ipertrofia o
ipotrofia.
L’ipertrofia è
l’aumento di volume di un muscolo in seguito ad attività
atletiche.
L’ipotrofia, invece, è la diminuzione di
volume di un muscolo per sedentarietà.
I muscoli del corpo
umano si sviluppano in maniera caratterizzante a seconda
dell’allenamento fisico e delle tecniche esercitate,
costantemente, nelle diverse discipline sportive.
L’ipertrofia e
l’ipotrofia dei muscoli del corpo umano “disegnano” la
fisionomia di un atleta.
Il Metodo
“Interpretazione Muscolo-Operativa” consente al Docente
di Scienze Motorie e Sportive, attraverso l’osservazione
della postura, della morfologia del sistema muscolare,
della somatometria dei distretti muscolari, di risalire
-con poca percentuale di errore- alla specialità
sportiva esercitata da un Atleta.
Vero è che un
maratoneta presenta una forma muscolare diversa da un
lanciatore di peso ed è anche vero che un lottatore
appare fisicamente diverso da un karateka, pur
praticando entrambi sport di combattimento.
Se il docente di
Scienze Motorie e Sportive è nelle condizioni di poter
osservare, anche, il particolare di un gesto tecnico, la
percentuale di errore, per risalire al tipo di attività
esercitata da un Atleta, si riduce al minimo.
Il Metodo
“Interpretazione Muscolo-Operativa” permette, inoltre,
di poter stabilire se il personaggio rappresentato da
una statua è stato ritratto da un modello vivente, di
attribuire il significato di gesti ed il tipo di
attività bellica esercitata.
 |
|
La forza di
gravità ha condizionato e determinato la forma
degli esseri viventi, dei vegetali e dei
minerali.
L’uomo,
anche per la forza di gravità, ha dovuto
organizzare, trasformare e regolare la postura
del suo corpo in |
relazione all’ambiente
circostante ed alle sue necessità.
Quando
l’uomo preistorico ebbe l’idea di utilizzare le mani per
afferrare pietre e bastoni per difendersi dall’attacco
di altri ominidi e per praticare la caccia, diede
inizio, forse involontariamente, alla sua evoluzione.
La stazione eretta, la
forza, la deambulazione bipede, la visione
binoculare/stereoscopica, il pollice opponibile, la
lotta per la sopravvivenza, la capacità di ideare,
costruire ed utilizzare armi ed utensili, la migrazione,
la comunicazione verbale e scritta ed altri fattori,
hanno determinato, nel corso di milioni di anni,
l’evoluzione dell’uomo.
Dopo aver capito che
la lotta corpo a corpo con nemici ed animali feroci era
troppo pericolosa per la propria incolumità, l’uomo
preistorico iniziò a costruire armi da lancio per
colpire a distanza i suoi nemici.
La lancia,
il giavellotto, l’arco e le
frecce furono le sue prime creazioni.
L’attrezzo acuminato
era lanciato con una tecnica che sfruttava una forza
propulsiva che doveva, anche, controllare la precisione
e la distanza.
Dopo milioni di anni
il principio è rimasto invariato: un corpo acuminato
(proiettile) viene lanciato con la forza lineare
determinata da una piccola esplosione all’interno di una
camera di scoppio.
Nella storia
dell’umanità, l’arma che più è stata tenuta in
considerazione per importanza è senz’altro il
giavellotto.
I primi dati storici
dell’esistenza del giavellotto ci provengono dai
graffiti, raffiguranti scene di caccia e di guerra,
scolpiti milioni da fa e ritrovati sulle rocce
dell’Africa.
Negli scritti di
Senofonte, allievo di Socrate, si legge che nell’antica
Grecia il lancio del giavellotto era una delle
specialità atletiche più considerate, assieme alla lotta
ed alla corsa.
Le statue greche, i
vasi ed i piatti del V secolo a.C. spesso
rappresentavano gesti di lottatori, corridori e
giavellottisti.
Presso il Museo
archeologico di Vulci (Viterbo) è conservato un
interessante corredo facente parte della “tomba della
Panatenaica” caratterizzato da diversi elementi
architettonici che avevano lo scopo di ornare le tombe
degli atleti.
Tra
l'altro si evidenzia una grande anfora panatenaica che
veniva data come premio all'atleta vincitore ed in tale
vaso era raffigurata sia una scena della competizione
nella quale l'atleta si era distinto che quella della
dea
“Athena Promachos” con elmo ed egida: in tale anfora era
raffigurata anche il lancio del giavellotto.
La
tecnica del giavellotto era simile all’attuale con la
differenza che all’asta veniva legato un laccio che
l’atleta teneva tra le dita per darne una maggiore
stabilità.
LA TECNICA DI LANCIO
DEL GIAVELLOTTO CON L’ANKÙLE
I Greci, già nel V
sec. a. C. , avevano escogitato un sistema di leve che
aumentava la gittata e la precisione dell’attrezzo.
Un laccio di cuoio
denominato “ankùle”, avvolto “a bocca di lupo” attorno
all’asta del giavellotto, diviene il braccio di una leva
che produce una forza centrifuga che si somma alla forza
muscolare prodotta dall’atleta.
Quindi il laccio in
argomento che viene legato “a cappio” attorno all’asta
del giavellotto diviene il braccio di una leva che
permette di sfruttare la forza centripeta sviluppata
dalla circonduzione dell’articolazione della spalla che
si trasforma, nel momento del lancio, in forza
centrifuga uguale e contraria a quella prodotta.
L’azione motoria
inizia con la rincorsa e termina con il lancio,
precisamente con la flessione prima del polso e
successivamente delle due dita, indice e medio,
impegnate a mantenere l’Ankulè.
Quest’applicazione di
forza veloce, risulta efficace se sorretta da una
tecnica esecutiva che rispetti i principi della
biomeccanica.
Inoltre, l’ankùle,
svolgendosi, produce un effetto “giroscopico” che
permette all’attrezzo di rimanere stabile e non variare
la direzione impressa dall’arto superiore dell’Atleta e
dalle due dita, indice e medio, nel momento dello
“sgancio”.
Quattro
statue in bronzo risalenti al V secolo a. C. , custodite
nei più importanti musei del mondo, rappresentano un
giavellottista.
 |
|
La statua in bronzo custodita nel Museo di
Lussino (Croazia) rappresenta un giavellottista
nell’atto di avvolgere il laccio di cuoio (ankùle);
la statua custodita nel Getty Museum di Los
Angeles rappresenta un giovane giavellottista
mentre punta il giavellotto ed, infine, due
statue custodite nel Museo |
di Atene (Grecia)
rappresentano rispettivamente un giavellottista nel
momento di puntamento ed un giavellottista nella fase
finale di un lancio.
C'è da
evidenziare che i risultati delle ricerche del relatore
Riccardo Partinico presente nella giornata di studi
organizzata dal Circolo Culturale "L'Agorà" sono stati,
tra l'altro, presentati a suo tempo presso il "Getty
Museum" di Los Angeles, alla presenza del direttore
dell'importante struttura museale statunitense Jens
Deahner, al quale Riccardo Partinico ha spiegato i
risultati delle sue ricerche ed il metodo del lancio del
giavellotto sia degli atleti che dei militi greci che
usufruivano del supporto, per tali operazioni, di un
laccio di cuoio chiamato ankùle.
Nel corso
dell'incontro losangeleno sono stati spiegati anche
alcuni particolari di importanti opere statuarie del
periodo classico, come ad esempio quelli relativi
all'opera bronzea "l'Atleta che si incorona",
ribattezzato per ovvie motivazioni precedentemente sopra
indicate come il "Giovane giavellottista greco".
I
risultati di tali ricerche relative alle
tre statue custodite nei musei di Lussino, Los Angeles
ed Atene sono confermate anche
dal giavellottista, pluricampione italiano assoluto,
Francesco Pignata.
A tal riguardo
l'atleta reggino
dimostra la fase di arrotolamento dell'ankùle,
quella relativa
all'operazione di puntamento ed il lancio del
giavellotto così come veniva effettuato
nell'Antica Grecia.
Per avere una
maggiore visione di quanto esposto si invita alla
visione delle sequenze visive (cliccando sulle
apposite immagini) nella sezione video pubblicata nella
colonna di questa pagina.
Ritornando
alla manifestazione organizzata dal Circolo Culturale
"L'Agorà" che si è svolta nei locali della Biblioteca
Comunale "Pietro De Nava" di Reggio Calabria, ci sono da
evidenziare altre cifre che hanno caratterizzato la
giornata di studi in argomento.
Infatti, oltre alle
informazioni sopra evidenziate, il relatore Riccardo
Partinico ha inserito nel corso della giornata di studi altre cifre, e
nello specifico quelle relative ai restanti temi:
 |
ASPETTI
STORICO-LETTERARI; |
 |
LO
STUDIO SULLA STATUA DI LISIPPO; |
 |
LO
STUDIO SULLA STATUA DI PERSEO CON LA TESTA DI
MEDUSA; |
 |
LO
STUDIO SULLA STATUA DI
"Apoxyòmenos" ("Colui che si
deterge") .
|
ASPETTI STORICO-LETTERARI
Il
giavellotto è l’arma che l’uomo preistorico ha
utilizzato per procurarsi il cibo cacciando la
selvaggina e per difendersi da attacchi sia di suoi
simili che da animali.
Esso ha
origini antiche e veniva utilizzato dall'uomo
preistorico per procurarsi il cibo e per difendersi e
successivamente venne inserito tra le gare atletiche
nella prima olimpiade del 776 a.C. nella specialità del
Pentatlon.
Le prime notizie storiche sul lancio del giavellotto
provengono dall'antica Grecia, più precisamente, dagli
scritti di Senofonte, allievo di Socrate, nelle
“Elleniche”.
Ma c’è
anche da ricordare che tale pratica ci è stata
tramandata attraverso le narrazioni di Omero e nel mondo
egeo durante le manifestazioni olimpiche le armi da
guerra, tra cui il giavellotto, venivano riadattate e
regolamentate in chiave prettamente sportiva.
Infatti nel
canto ventitreesimo dell’Iliade vengono narrate le prove
relative alla corsa, al lancio del disco ed a quello
relativo al giavellotto.
Mentre nell'ottavo
canto dell’Odissea vengono descritte le attività
sportive del popolo dei Feaci.
Nelle
competizioni sportive i giavellotti avevano dimensioni
più corte ed avevano la punta arrotondata, come la
tradizione letteraria ci ha tramandato.
Sappiamo
che il lancio del giavellotto – prosegue Riccardo
Partinico - era sicuramente una delle specialità
atletiche più legate alla attività di guerra e dunque
una delle più considerate.
L’attrezzo
del tempo era più corto e più pesante di quello attuale.
Ritornando agli aspetti
militari c’è da ricordare, come riportano le fonti
storiche che era consuetudine che la cavalleria greca
era supportata anche da reparti di giavellottisti
(hippakontistai) che insieme agli arcieri erano
denominati “akrobolistai”, in quanto avevano il
compito
di effettuare delle azioni di disturbo nei confronti dell’esercito
nemico.
Nel corso del tempo e dello spazio
ha assunto diverse denominazioni come quelle relative
agli etimi di pilum, geso, soliferrum,
angone, falarica, harba.
Documenti
ineccepibili sull’esistenza e sull’uso di tale utensile
sono riportati sul Grande Dizionario della Lingua
Italiana (Amento, sm. Stor. Correggia di cuoio fissato
all’impugnatura del giavellotto per rendere più agevole
il lancio), sull’Enciclopedia Ragionata delle Armi (Amentum,
correggia fissata all’asta del giavellotto per
aumentarne la spinta propulsiva. In questa correggia si
infilavano due dita della mano) e su alcune
raffigurazioni, dipinte su vasi artistici risalenti al
V° secolo a.C. .
Con tale accorgimento apportato al giavellotto romano se ne
stabiliva la stabilità durante la sua traiettoria e
questa faceva si che esso raggiungesse un bersaglio ad
una distanza di circa duecento metri.
 |
|
Il giavellotto usato dall’esercito romano
assumeva il nome di pilum e la sua
lunghezza variava dai 150 ai 190 centimetri e la
sua parte finale era caratterizzata da ferro
dolce (tranne la sua estremità).
Questa caratteristica rendeva inutilizzabile l’uso del pilum
dopo il lancio da parte dei nemici, in modo che
quest’ultimi non potessero utilizzarlo per nei
confronti dei militi romani. |
A
testimonianza di quanto sopra
evidenziato viene riportato nel “De bello
Gallico” di Giulio Cesare: « I
Romani, lanciando dall'alto i giavellotti, riuscirono
facilmente a rompere la formazione nemica e quando
l'ebbero scompigliata si gettarono impetuosamente con le
spade in pugno contro i Galli; questi erano molto
impacciati nel combattimento, perché molti dei loro
scudi erano stati trafitti dal lancio dei giavellotti e,
essendosi i ferri piegati, non riuscivano a svellerli,
cosicché non potevano combattere agevolmente con la
sinistra impedita; molti allora, dopo aver a lungo
scosso il braccio, preferivano buttare via lo scudo e
combattere a corpo scoperto. »
Altra attestazione
letteraria è quella riportata da
Polibio nel libro VI delle “Storie”, dove: « ... e
poiché incastrano la parte di ferro del pilum fino a
metà dell'asta [di legno] stessa, fissandolo poi con
numerosi ribattini, la congiunzione risulta così ferma e
la sua funzionalità è assicurata, che usandolo, prima
che si allenti l'incastro, si spezza il ferro, malgrado
nel punto di congiunzione con l'asta di legno abbia una
grandezza di un dito e mezzo. Tale e tanta è la cura con
cui i Romani mettono insieme i due pezzi. »
Le origini
del “pilum” sono incerte, in quanto secondo
alcune fonti sono di derivazione etrusca durante la
guerra contro le popolazioni celtiche nel nord della
penisola italiana, e successivamente anche dai Romani
come ci ha tramandato . Plutarco in “Vita di Camillo”.
A testimonianza di ciò si riporta quanto segue : « [...] Camillo
portò i suoi soldati giù
nella pianura e li schierò a battaglia in gran numero con
grande fiducia, e come i barbari li videro, non più
timidi o pochi in numero, come invece si aspettavano.
Per cominciare, ciò mandò in frantumi la fiducia dei
Galli, i quali credevano di essere loro ad attaccare per
primi. Poi i
velites attaccarono, costringono i Galli ad
entrare in azione, prima che avessero preso posizione
con lo schieramento abituale, al contrario schierandosi
per tribù, e quindi costretti a combattere a caso e nel
disordine più totale. Quando infine Camillo condusse i
suoi soldati all'attacco, il nemico sollevò le proprie
spade in alto e si precipitò all'attacco. Ma i Romani
lanciarono i giavellotti contro di loro, ricevendo i
colpi [dei Galli] sulle parti dello scudo che erano
protette dal ferro, che ora ricopriva gli spigoli, fatti
di metallo dolce e temperato debolmente, tanto che le
loro spade si piegarono in due; mentre i loro scudi
furono perforati e appesantiti dai giavellotti [romani].
Le prime evidenze del pilum come arma romana partono,
invece, dal IV secolo a.C. I Romani adottarono questa
nuova arma durante le guerre con i Celti e
successivamente la impiegarono con successo anche contro
le altre popolazioni del centro e sud Italia. Plutarco
racconta, infatti, che 13 anni dopo la battaglia del
fiume Allia, in un successivo scontro con i Galli
(databile al 377-374 a.C.), i Romani riuscirono a
battere le armate celtiche, e ne fermarono una nuova
invasione: I Galli allora abbandonarono effettivamente
le proprie armi e cercarono di strapparle al nemico,
tentando di deviare i giavellotti afferrandoli con le
mani. Ma i Romani, vedendoli così disarmati,
cominciarono misero subito mano alle spade, e ci fu una
grande strage dei Galli che si trovavano in prima linea,
mentre gli altri fuggirono ovunque nella pianura; le
cime delle colline e dei luoghi più elevati erano stati
occupati in precedenza da Camillo, e i Galli sapevano
che il loro accampamento poteva essere facilmente preso,
dal momento che, nella loro arroganza, avevano
trascurato di fortificarlo. Questa battaglia, dicono, fu
combattuta tredici anni dopo la presa di Roma, e
produsse nei Romani una sensazione di fiducia verso i
Galli. Essi avevano potentemente temuto questi barbari,
che li avevano conquistati in un primo momento, più che
altro credevano che ciò fosse accaduto in conseguenza di
una straordinaria disgrazia, piuttosto che al valore dei
loro conquistatori. »
Altra importante
testimonianza letteraria risulta nelle “Storie” di
Tacito, il quale parlando dei
Sarmati, ci tramanda quanto segue « [...] questa
armatura, usata dai capi e da tutti i nobili, è conserta
con lamine di ferro oppure cuoio durissimo,
impenetrabile ai colpi; ma rende incapace di
risollevarsi chi sia stato buttato a terra dall’urto del
nemico. […] Il soldato romano invece, con la sua facilis
lorica (agile, mobile), andando all’assalto coi pila e
con le lance, trafiggeva al momento opportuno il Sarmata
col suo gladio leggero (levi gladio), poiché il nemico
non usa difendersi con lo scudo"[...]» .
A riguardo gli altri etimi e/o
tipologie relative al giavellotto si riporta una breve
descrizione relativa a:
 |
geso; |
 |
soliferrum; |
 |
angone; |
 |
falarica; |
 |
harba. |
IL
GESO
Il
gaesum era un tipo di arma bianca che caratterizzata
l'armamentario delle antiche popolazioni celtiche del
nord della penisola italiana in epoca preromana. Veniva
utilizzato anche nell''Europa centro-occidentale ma
anche nella penisola iberica, dalle popolazione galliche
e britanne.
Esso era
caratterizzato da un'unica sottile barra di ferro ed
aveva una lunghezza variabile dal metro e quaranta, come
l'esemplare ritrovato nella Tomba Benacci di Bologna, ai
due metri, come quelli ritrovati nella penisola iberica.
Queste sue
caratteristiche vennero poi usate dall'esercito romano
ed assunse il nome di soliferrum.
Piace anche
ricordare altre due tipologie di armi da getto come la
tragula, simile al giavellotto e che veniva usata
con la stessa tipologia di una fiocina, in quanto era
legata da una lunga corda che ne consentiva il recupero.
Sempre nel
mondo celtico troviamo la cateia, menzionata da
Virgilio nell'ottavo canto dell'Eneide: “…sono abituati
a lanciare la cateia, alla maniera dei Teutoni.” .
IL
SOLIFERRUM
Le
popolazioni celtiche ubicate nella penisola iberica i
Celtiberi facevano uso del soliferrum
(o soliferreum), conosciuto
anche come saunion: esso raggiungeva una
lunghezza variabile dai 150 ai 200 centimetri.
L’uso di
tale arma era in voga anche nella regione francese dell’Aquitania
ed il suo utilizzo divenne caratteristica delle aree
sopra indicate.
L'ANGONE
Simile al pilum
usato dall'esercito romano, troviamo tale arma in epoca
successiva e precisamente nel periodo alto-medioevale
(476 d.C. - 1000) quando
veniva utilizzato sia dai Franchi
che dalle popolazioni del ceppo
anglosassone, tra cui quelle germaniche e il suo nome
deriva dal greco (ἄγγων,
aggon).
Questo tipo di giavellotto aveva delle dimensioni che
variavano dai 160 ai 280 centimetri, come risultano da
alcuni ritrovamenti effettuati durante la campagna di
scavi nell’area di Nydam-Mose in Danimarca.
Oltre alle
testimonianze archeologiche vi sono quelle letterarie
come testimoniato
dallo storico Ammiano Marcellino nel “Res gestae
(Storie)” dove descrive le varie fasi della battaglia di
Strasburgo, conosciuta anche come battaglia di
Argentoratum (dalla derivazione latina della città
alsaziana), che si svolse nell’agosto del 357 d. C. tra
l’esercito dell’Impero romano diretto dall’imperatore
Flavio Claudio Giuliano e la lega germanica guidata dal
sovrano Cnodomario.
Nel
“Res gestae” viene documentato l’utilizzo delle diverse
armi da lancio usate dagli opposti schieramenti, come
quelle usate dalla fanteria romana che disponeva di una
lancia dalle lunghe dimensioni, di alcuni giavellotti di
dimensioni inferiori “lanceae” e di circa sei
“plumbatae” (dardi a mano) che avevano una portata di
circa 30 metri.
Ammiano Marcellino descrive anche ciò di cui disponeva
la coalizione germanica, come il lungo giavellotto
denominato “spicula (angone” simile al pilum, armi da
lancio corte come la “verruta missilia” .
Altra testimonianza è quella
relativa alla battaglia del Volturno, avvenuta
nell’ottobre del 554 d. C. tra l’esercito bizantino
diretto dal generale Narsete contro quello composto
dalle milizie dei Goti, Vandali, Franchi ed altre
popolazioni germaniche dirette da Butilino o Buccellino
(Βουτιλῖνος/Βουσελίνος/Butilinus/Buccellenus) che morì
nella stessa battaglia.
A tal proposito Agazia riferisce che i Franchi usarono
gli angoni nel corso di quella battaglia svoltasi nei
pressi del fiume Volturno, conosciuta anche come
battaglia di Capua o del Casilino.
La cronaca di quella battaglia ci è
stata tramandata dallo storico bizantino Agazia
Scolastico che nella sua
documentazione “Sul regno di Giustiniano”
parla dell’uso dell’angone nella battaglia del Volturno.
LA
FALARICA
Questa arma da lancio veniva denominata anche
“phalarica” ed aveva una lunghezza di circa 90
centimetri, tale termine deriva dal greco antico
“phalos”, “phalaros” splendido, bianco e
dall'etrusco “fala” , da queste etimologie si
comprende che tale asta veniva utilizzata come
arma incendiaria.
Infatti tale giavellotto aveva una punta
alquanto ristretta ed aveva la capacità di
contenere della stoffa imbevuta di sostanze
infiammabili e veniva usato durante gli assedi
sia per colpire le linee difensive che gli
avversari.
Lo storico romano Publio Flavio Vegezio Renato
nella sua opera “Epitoma rei militaris” (“De re
militari” o anche “L'arte della guerra”) riporta
a tal riguardo che « La falarica è un'asta
forata con un gagliardo ferro in cima, pieno di
zolfo,
resina,
bitume,
e
stoppa
infusi di olio incendiario, la quale, tirata con
la furia della
balestra,
rompe le coperte e ficcandosi ardendo nel legno
spesse volte abbrucia le torri. »
L'HARBA
È un giavellotto di
piccole dimensioni usato dalle popolazioni arabe ubicate
nell'altipiano dello Yemen. Di esso ci è stato
tramandato dalle fonti storiche che venne usato durante
la battaglia di Uhud del 23 marzo del 625: essa
rappresentò la prima sconfitta musulmana della storia.
La tradizione narra che quest'arma da lancio trafisse
mortalmente lo zio di Maometto Hamza ib, 'abd
al-Muttalib durante tale battaglia tra lo schieramento
musulmano e la coalizione meccana.
 |
|
Dopo questo excursus
storico-letterario relativo ad alcune
tipologie
del giavellotto si passa alla disamina delle
opere statutarie oggetto della ricerca
effettuata da Riccardo Partinico e |
nello
specifico quelle relative a:
 |
STATUA DI LISIPPO; |
 |
STATUA DI
"Apoxyòmenos"; |
 |
STATUA DI PERSEO CON LA TESTA
DI MEDUSA. |
LA STATUA DI LISIPPO
Opera
d’Arte: Statua in bronzo risalente al Periodo Classico;
dimensioni: 151,5
cm. in altezza; denominazione: Atleta che si incorona;
luogo di
ritrovamento: Scogli di Pedaso a Fano (Pesaro) - 14
agosto 1964;
Luogo di
esposizione: Museo Getty di Los Angeles;
Interpretazione del
gesto: Atleta che mantiene il giavellotto con l’Ankùle.
ANALISI INTERPRETATIVA:
Gli
studiosi di Storia dell’Arte, commettendo un errore di
valutazione, hanno denominato “Victorious Youth
(Giovane Vittorioso)” o “Atleta che si incorona” la
statua custodita nel Getty Museum di Los Angeles
risalente al Periodo Classico.
La
statua, priva dei piedi e di una parte delle gambe
(circa 20 centimetri), misura in altezza 151,5 cm.
Al
termine della mia analisi interpretativa, posso
affermare che il giovane rappresentato dalla statua
trovata nel Mar Adriatico nell’anno 1964 è un Atleta
Greco, di età compresa tra i 15 ed i 18 anni, che
pratica il lancio del giavellotto.
Quindi,
non ha vinto nessuna gara, non si incorona con la mano
destra e nella mano sinistra non trattiene alcuna corona
di alloro.
Semplicemente, con lo sguardo rivolto in avanti, sta
assumendo la classica postura di chi si appresta a
lanciare il giavellotto munito di Ankùle.
Infatti,
le dita della mano destra, indice e medio, sono
impegnate a trattenere l’immancabile laccio di cuoio che
veniva arrotolato dai Greci attorno al giavellotto per
migliorare la presa, imprimere un effetto rotatorio ed
aumentare la propulsione e la precisione dell’attrezzo.
La
muscolatura dell’Atleta, vista la giovane età, si
presenta poco ipertrofica ed anche la gabbia toracica è
di piccole dimensioni.
I
muscoli pettorali sono caratteristici -quanto a forma- a
quelli degli adolescenti al termine dello sviluppo
prepuberale.
I
muscoli degli arti inferiori appaiono agili ed allenati
alla corsa breve e veloce.
Il
braccio sinistro leggermente flesso ed abdotto e la mano
sinistra del giovane, che assume lo stesso gesto della
mano destra, dimostrano simmetria ed equilibrio.
Probabilmente, il gesto appena descritto è determinato
dal fatto che, nell’uomo, i due emisferi cerebrali,
destro e sinistro, sono in comunicazione tra loro per
mezzo del corpo calloso e, nelle fasi statiche o
istintive, ripropongono la stessa postura, in questo
caso le dita, indice e medio, divaricate.
Infine,
non può essere esclusa la possibilità che l’Atleta in
posa mimasse di avere nella mano sinistra un altro
giavellotto, considerato che le gare di questa
specialità, nell’Antica Grecia, si svolgevano al meglio
dei due lanci.
LA STATUA DI
"Apoxyòmenos"
("Colui che si deterge")
Opera
d’Arte: Statua in bronzo risalente al Periodo Classico;
denominazione: Apoxyòmenos (colui che si deterge);
data
di ricupero: 27 aprile 1999;
luogo
di ritrovamento: Mare Adriatico vicino l’Isola di
Lussino (Croazia);
dimensioni: 192 cm in altezza;
Luogo
di esposizione: Museo di Lussino (Croazia);
Interpretazione del gesto: Atleta che avvolge l’Ankùle
attorno al giavellotto.
ANALISI INTERPRETATIVA:
I Greci
rappresentavano gli Eroi, Atleti o Guerrieri, con le
armi o con l’attrezzo che essi utilizzavano per
dimostrare il proprio valore nello sport e la propria
audacia nelle guerre.
Tale
affermazione è confermata da innumerevoli dipinti
raffigurati sui vasi dell’epoca e da relazioni di
autorevoli studiosi di Storia dell’Arte.
La
statua in bronzo custodita nel Museo di Lussino,
denominata “Apoxyòmenos-Colui che si deterge”, a mio
modesto avviso, riproduce, invece, un Atleta che pratica
il Lancio del Giavellotto.
Infatti,
analizzando il volto dell’uomo rappresentato dalla
statua, in particolare il naso e le orecchie, non si
riscontrano segni caratteristici derivanti dalla pratica
di Sport di combattimento - setto
nasale deviato, zigomi deformati, orecchie ingrossate da
otoematomi, ecc. -
: quindi, non è un pugile e neanche un lottatore
che si deterge il sudore, l’olio e la polvere con lo
strìgile.
Infatti,
le mani snelle ed agili, la muscolatura longilinea, i
deltoidi ed i trapezi ipertrofici, lo sguardo rivolto
verso il basso, concentrato a preparare, con le mani,
l’azione preliminare di un lancio, ovvero, la legatura e
l’arrotolamento dell’Ankùle attorno al giavellotto
avvalorano la mia tesi.
L’atto
di detergere il sudore, così come indicato da molti
studiosi di Storia dell’Arte e riportato da autorevoli
Riviste, è un’interpretazione errata del gesto
effettuato dal giovane rappresentato dalla statua.
Infatti,
un Atleta, per utilizzare lo strìgile, non avrebbe posto
molta attenzione su tale attrezzo e non avrebbe compiuto
l’azione frontalmente, ma lateralmente, così come
rappresentato da altra statua in marmo (Museo Città del
Vaticano), copia originale dell’opera in bronzo
attribuita allo scultore Lisippo.
Infine,
lo strigile è un attrezzo con il manico a forma di
cucchiaio e, quindi, la postura delle mani dell’Atleta,
rivolte verso il basso, non è compatibile con
l’interpretazione in analisi. Pertanto, si desume che la
mano destra dell’Atleta mantiene ferma, con le due dita
indice e medio, l’Ankùle e la mano sinistra, invece,
ruota l’asta, in senso antiorario, per arrotolarlo.
LO STUDIO
SULLA STATUA DI PERSEO CON LA TESTA DI MEDUSA
Opera
d’Arte: Statua in bronzo risalente al Periodo Classico;
denominazione: Paride con la mela, Perseo con la testa
di Medusa;
dimensioni: 194 cm in altezza;
luogo
di ritrovamento: Anticitera - Coste del Peloponneso
(Grecia) -1900;
Luogo
di esposizione: Museo di Atene;
Interpretazione del gesto: Atleta che lancia il
giavellotto con l’Ankùle.
ANALISI INTERPRETATIVA:
Non è Paride con la
mela, non è Pèrseo con la testa di Medusa: è, invece, un
Atleta Greco, di età compresa tra i 20 ed i 25 anni,
specialista del lancio del giavellotto.
Sembra la stessa persona rappresentata dalla statua
custodita nel Getty Museum di Los Angeles, in età più
matura.
Il
gesto della mano destra rappresenta le due dita, indice
e medio, inserite nell’Ankùle nella fase finale di un
lancio di precisione con un giavellotto.
L’Ankùle
(greco) o Amentum (latino) era il laccio di cuoio che
gli Atleti Greci arrotolavano attorno al giavellotto per
lanciarlo con effetto rotatorio e con maggiore potenza e
precisione.
Le
tecniche insegnate agli efebi erano quelle finalizzate a
migliorare la precisione dei lanci.
Le
dita flesse della mano destra della statua, con quella
postura, non possono, certamente, sostenere il peso di
una testa e non sono neanche compatibili alle dita che
dovrebbero tenere una mela.
Infatti, nel primo caso l’uomo rappresentato dalla
statua avrebbe dovuto chiudere completamente la mano per
poter sorreggere il peso di una testa, nel secondo caso,
invece, una mela non coincide, per dimensioni, con lo
spazio disponibile tra le cinque dita.
La
muscolatura dell’Atleta custodito nel Museo di Atene
appare bene sviluppata, simmetrica e proporzionata.
I
muscoli degli arti inferiori appaiono potenti ed
allenati alla corsa veloce e di breve durata, mentre i
deltoidi, i pettorali, i bicipiti brachiali ed i
tricipiti evidenziano la capacità di effettuare azioni
rapide e precise.
I
muscoli addominali obliqui si dimostrano allenati nelle
torsioni del busto.
La
mano sinistra ripropone il gesto che gli estensori del
braccio destro hanno modificato nella stessa mano per
consentire di lanciare il giavellotto.
Il
piede destro dell’Atleta raffigurato dalla statua è
poggiato sull’avampiede, la gamba destra semipiegata ed
il peso del corpo sull’arto sinistro, con la spalla
destra avanzata, con l’arto destro in avanti e le due
dita, indice e medio, divaricate.
Al
termine dei miei studi, posso confermare che quel gesto
rappresenta il momento finale di un lancio di
precisione.
Infatti, a differenza di altri tipi di lancio, il lancio
di precisione richiede stabilità e controllo del corpo.
L’Atleta deve impegnare soltanto i distretti muscolari
interessati, in questo caso l’arto superiore destro, la
spalla destra e l’anca destra, mentre, la parte sinistra
del corpo svolge la funzione di sostegno e controllo.
|